SCIENZA Parlare troppo al cellulare aumenta il rischio di ipertensione

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AGI – Parlare al cellulare per trenta o più minuti alla settimana è legato a un rischio di pressione alta aumentato del 12% rispetto a meno di trenta minuti. Questi i risultati della ricerca pubblicata su European Heart Journal – Digital Health, una rivista della Società Europea di Cardiologia (ESC). Il professor Xianhui Qin della Southern Medical University di Guangzhou, in Cina e l’autore dello studio. “È il numero di minuti che le persone trascorrono parlando al cellulare che conta per la salute del cuore, un numero maggiore di minuti significa un rischio maggiore”.

“Gli anni di utilizzo o l’impiego di un dispositivo a mani libere – ha spiegato Xianhui Qin – non hanno influito sulla probabilità di sviluppare l’ipertensione e sono, pertanto, necessari altri studi per confermare i risultati”. Quasi tre quarti della popolazione mondiale di età pari o superiore ai dieci anni possiede un telefono cellulare. Quasi 1,3 miliardi di adulti di età compresa tra i trenta e i settantanove anni in tutto il mondo soffrono di pressione alta (ipertensione). L’ipertensione è uno dei principali fattori di rischio per infarto e ictus e una delle principali cause di morte prematura a livello globale.

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Si pianificano viaggi di sei mesi verso Marte o si ipotizzano colonie spaziali: per queste future missioni, la dimensione culinaria diventa importante e da approfondire. Unimore ha avviato il progetto G.Astronomica

REGGIO EMILIA – I nuovi investimenti nell’industria aereospaziale stanno creando un indotto che per tante aziende, anche del nostro territorio, sta diventando interessante. Reggio Emilia potrebbe in futuro diventare un riferimento nell’ambito cibo. Unimore ha avviato un progetto che parte della nostra tradizione per creare innovazione.

Spiega Luigi Grasselli, docente di Geometria presso il dipartimento di Ingegneria di Unimore: “E’ chiaro che quando si comincia a parlare di un viaggio di sei mesi verso Marte o di colonie spaziali in un senso prossimo la dimensione del cibo sulle navicelle spaziali diventa importante e da studiare”. E chi meglio degli emiliani può raccogliere questa sfida? Unimore è scesa in campo e ha schierato i dipartimenti di ingegneria e di Scienze della vita, attraverso i laboratori En&Tech e Biogest del Tecnopolo, dove è stato avviato il progetto G-astronomica. Le diverse competenze sono integrate e coordinate da Francesco Bombardi, architetto, designer e docente di design industriale ad Ingegneria. L’obiettivo è creare una meal box, un pasto che vada ben oltre quello che si consuma nello spazio oggi: “Non solo dobbiamo garantire solo la qualità organolettica legata alla salute, all’equilibrio fisico dell’astronauta, del viaggiatore nello spazio o del colono nello spazio, ma anche associare al cibo una serie di valori legati alla cultura, alla memoria e anche alle emozioni che sappiamo essere importanti”, ha aggiunto Bombardi.

Il progetto è aperto al contributo di soggetti esterni che, se interessati, possono una scrivere una mail a g.astronomica@unimore.it. Perché la forza è proprio nella interdisciplinarietà. “Ottenere un alimento di qualità ha la necessità di dover partire da una materia prima di qualità – dice il vicedirettore di Biogest Enrico Francia – e poi di applicare tutte le tecnologie necessarie per la sua trasformazione e per la sua conservazione in un ambiente come quello senza gravità dello spazio”. “Il contributo dei nostri ingegneri riguarda tutto quello che sta attorno al prodotto – aggiunge Mauro Dell’Amico, direttore del centro En&Tech -, nello spazio ci sono delle sfide tecnologiche particolarmente importanti per poter fruire e conservare il cibo nello spazio”.

Abbiamo visto Samantha Cristoforetti bere un caffè sulla Stazione Spaziale Internazionale da una tazzina, oggi esposta al Moma di New York: un rito tipicamente italiano. La speranza è quella di vedere in futuro gli astronauti gustare i nostri prodotti tipici. Conclude Bombardi: “Io credo che sia arrivato il momento di sfruttare quel valore che abbiamo ereditato dalla nostra tradizione così forte e proiettarlo in scenari di futuro dove possiamo essere competitivi con gli americani e con gli altri paesi coinvolti in questa ricerca”.

reggionline.com

Papa Francesco alla Specola: l’accesso all’acqua un problema di giustizia

E’ provvidenziale che la 15.ma Scuola estiva di Astronomia della Specola Vaticana si occupi dello “studio dell’acqua nel sistema solare”. Lo sottolinea Papa Francesco nel discorso rivolto ai partecipanti al Corso estivo della stessa Specola, ricevuti stamani in udienza in Vaticano. Il servizio di Debora Donnini da Radio Vaticana

“Il desiderio di comprendere l’universo, creato da Dio, e il nostro posto in esso, è comune a uomini e donne che vivono in contesti culturali e religiosi assai differenti”. Nel discorso ai partecipanti al Corso estivo provenienti da vari Paesi – circa 45 le persone presenti fra professori e alunni – Francesco parte proprio dalla costatazione della meraviglia del cosmo: è, infatti, un desiderio che unisce gli uomini quello di “scoprire la verità su come opera questo meraviglioso universo, avvicinandoci sempre di più al suo Creatore”.

L’accesso all’acqua pura è un problema di giustizia
Quindi, il Papa rileva come sia provvidenziale che la 15.ma Scuola estiva si occupi proprio dello studio dell’acqua nel sistema solare e altrove:

“Dai più piccoli fiocchi di neve alle grandi cascate, dai laghi e dai fiumi agli immensi oceani, l’acqua ci affascina con la sua potenza e al tempo stesso con la sua umiltà. Le grandi civiltà ebbero inizio lungo i fiumi e anche oggi l’accesso all’acqua pura è un problema di giustizia per il genere umano, ricchi e poveri”.

L’impegno dello scienziato e l’augurio di coltivare la gioia
Centoventicinque anni fa, nel 1891, Papa Leone XIII fondò l’Osservatorio vaticano anche per confermare “quanto la chiesa fosse amica della ‘vera e fondata scienza, sia umana che divina’”. E negli anni – nota Francesco – l’istituzione si è sforzata di realizzare queste finalità, avvalendosi di nuovi strumenti come anche del dialogo con altri centri di ricerca.

Più in generale, il lavoro dello scienziato richiede un grande impegno che può essere anche lungo e faticoso ma, dice Francesco, “dovrebbe essere una sorgente di gioia”:

“Vi auguro di saper coltivare in voi questa gioia, che anima il vostro lavoro scientifico e che è la ragione per cui non potete fare a meno di condividerla con i vostri amici, le vostre famiglie, le vostre nazioni, come pure con la comunità internazionale degli scienziati con i quali lavorate. Vi auguro di sperimentare sempre la gioia della ricerca e del condividerne i frutti, con umiltà e fraternità”.

 

Big Bang o fede, il falso dilemma

«Tra scienziati, anche in privato, capita molto raramente di parlare di filosofia o teologia. C’è molto pudore ad affrontare certi temi». Krzysztof Meissner, 52 anni, docente di fisica teorica all’università di Varsavia, è uno dei massimi studiosi di fisica delle particelle in Europa, ha lavorato nei più importanti centri di ricerca al mondo, da Harvard, all’École polytechnique di Parigi, al Cern di Ginevra. Per cui, quando confessa di sentirsi spesso frustrato dalla mancanza di spazi di confronto con i propri colleghi sulle domande ultime che fanno da sfondo allo scavo scientifico, lo fa a ragion veduta.

Anche per questo è uno dei partecipanti più convinti al “Cortile del dialogo”, l’appuntamento mutuato dal Cortile dei gentili che si tiene oggi e domani a Varsavia, organizzato dall’arcidiocesi con il patrocinio del Pontificio Consiglio della cultura. Evento che sarà aperto dal cardinale Gianfranco Ravasi – domani porterà il suo saluto anche il presidente della Repubblica Bronislaw Komorowski – e a cui partecipano nomi prestigiosi della cultura polacca, come il sacerdote e cosmologo Michael Heller, il filosofo Piotr Gutowski , lo storico Krzysztof Pomian, il sociologo Andrzej Zybertowic.

Meissner attualmente sta lavorando insieme al fisico Hermann Nicolai, del Max Planck Institut Potsdam, a una versione “allargata” della teoria standard dell’universo, alla ricerca di una seconda «particella di Dio», dopo il Bosone di Higgs. Una sfida vertiginosa, più che ambiziosa. Il bisogno di ricongiungere in qualche modo sapere scientifico e umanistico non lo lascia mai, anche per il fatto che l’apertura intellettuale è nel suo nel Dna. Suo bisnonno materno era Wincenty Lutoslawski, che stabilì la cronologia delle opere di Platone con un’analisi stilometrica dei testi, marito a sua volta della poetessa spagnola Sofia Casanova. Cugino di sua nonna materna era il grande compositore e direttore d’orchestra Witold Lutoslawski. Ma l’elenco degli intellettuali, politici e artisti in famiglia è sorprendentemente lungo.

Professor Meissner, qual è la differenza tra uno scienziato credente e uno no?
«Nel modo di fare ricerca, nessuna. Entrambi usano gli stessi mezzi, usano la stessa matematica. La differenza è nell’approccio al risultato finale. Le leggi che governano l’universo si rivelano sempre semplici, eleganti, con un che di perfetto nella loro essenza. Se uno non crede in Dio constata questa perfezione e si ferma lì. Se uno è credente non può non vedervi un riflesso della perfezione di Dio. Quello che cambia è insomma il significato attribuito alle scoperte, l’ottica con cui le possiamo guardare e apprezzare».

Tra le porte sul mistero che la scienza apre, qual è la principale per lei?
«È la stessa esistenza di leggi universali. Leggi che sono appunto semplici, eleganti, perfette, a cui rispondono tutte le cose. Un universo sorto dal caso dovrebbe essere caotico. Se ci fossero delle leggi non potrebbero essere universali nel tempo e nello spazio. Potrebbe esserci una certa misura di correlazione fra la cose, non di più. La presenza di leggi universali, che è la condizione di possibilità della ricerca scientifica, leggi che non cambiano dal lunedì al mercoledì, è qualcosa di stupefacente, che non smette di sorprendermi dopo tanti anni. La considero più che un indizio, direi quasi una prova della presenza di una realtà trascendente, del fatto che c’è qualcosa di più grande del mondo in cui viviamo. Cosa sia questa trascendenza, se sia un Dio personale o una divinità panteistica, è un quesito per rispondere al quale abbiamo bisogno della fede. Ma, ripeto, che ci sia una dimensione che trascende il nostro mondo, per me come scienziato è evidente».

C’è chi cerca di vedere anche nella fisica quantistica lo spazio per un «ritorno di Dio». Lei cosa ne pensa?
«Penso che non dobbiamo tirare in ballo l’intervento divino per colmare le lacune della nostra conoscenza. Ma una cosa va detta. Fino alla fine del XIX secolo è stata dominante una visione della scienza, originatasi anche per influsso della Rivoluzione francese, fortemente deterministica. Si era convinti che conoscendo le condizioni del mondo in un dato momento sarebbe stato possibile ricostruirne il passato e anticiparne il futuro. C’è chi voleva persino chiudere le facoltà di fisica, perché da allora in poi sarebbero state sufficienti quelle di ingegneria… Un determinismo che riguardava anche l’uomo. Ogni fenomeno era ritenuto spiegabile e prevedibile. La fisica quantistica ha spezzato le catene di questo determinismo duro e semplicistico e ha reso il mondo più interessante. Si può dire che abbia anche ricreato le condizioni per riflettere sull’altro grande mistero che, secondo me, spinge a considerare l’esistenza di una realtà trascendente e che sfugge al determinismo, il libero arbitrio dell’uomo».

E del Big Bang cosa pensa?
«Sul Big Bang io sarei molto più prudente di altri nel giudicarlo un “assist” della scienza all’esistenza di Dio. Prima di tutto perché non sappiamo se il Big Bang sia realmente esistito, o meglio: i nostri strumenti di fisica teorica ci permettono di capire l’universo solo fino a un certo punto di densità, oltre al quale non possono esserci più di aiuto. Può esserci stato un punto zero, un inizio di tutto, ma non possiamo escludere, andando a ritroso, di entrare in una sorta di tempo negativo, oltre il punto zero. Ho sempre considerato quindi azzardato mettere in parallelo il Big Bang e la Genesi. Anche i credenti non dovrebbero mai dimenticare che la Bibbia è una verità rivelata sulla relazione tra l’uomo e Dio, non su quella tra l’uomo e la realtà materiale».

Andrea Galli – avvenire.it