“Difendiamo e rinnoviamo il Sistema Sanitario Nazionale per evitare il collasso”

“Difendiamo e rinnoviamo il Sistema Sanitario Nazionale per evitare il collasso”

Da sinistra il professor Nino Cartabellotta, il direttore generale dell’Ausl di Reggio Cristina Marchesi, il sindaco Luca Vecchi, il presidente di Confcooperative Matteo Caramaschi ed Elisabetta Negri, direttrice delle attività socio sanitarie del distretto Ausl di Reggio Emilia

Dal convegno “Salute Bene Comune” riflessioni sul futuro della nostra sanità

REGGIO EMILIA – “Indipendentemente dall’alternanza dei governi degli ultimi anni, la forbice fra il fabbisogno reale e gli investimenti pubblici si allarga sempre di più: di questo passo, il Sistema sanitario nazionale, fiore all’occhiello del nostro Paese, non potrà reggere a lungo. Ecco perché va rinnovato, velocemente, con progetti concreti”.
Questo uno dei concetti, tanto forti quanto preoccupanti, espressi in occasione dell’evento, promosso sabato 3 febbraio a Palazzo Da Mosto dal Poliambulatorio 3C Salute per celebrare i primi 10 anni di attività. Hanno dialogato soggetti pubblici e privati del panorama sanitario locale, che, grazie agli interventi dei vari relatori, hanno riflettuto sul futuro della sanità del nostro Paese, sulla necessità di mantenere alto il livello delle prestazioni e di definire una migliore interazione fra pubblico e privato: una coesione tale da consentire al Sistema sanitario nazionale di recuperare il terreno perduto in questi ultimi vent’anni in termini di potenziale e di risorse, sfruttando al meglio la grande professionalità e la grande competenza che lo hanno reso un’eccellenza assoluta, malgrado il costante calo degli investimenti pubblici nel settore.

Maurizio Gozzi, amministratore delegato del Poliambulatorio 3C Salute

L’iniziativa ha riscosso una grande attenzione, con una platea gremita di persone, tra cui molti addetti ai lavori, per una giornata finalizzata ad aprire un dialogo sul futuro dei servizi sanitari di prossimità.
Oltre al presidente di Confcooperative, Matteo Caramaschi, sono intervenuti il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, e il direttore generale dell’Ausl di Reggio Emilia, Cristina Marchesi.
Nella prima parte del convegno, dal titolo “Sanità e territorio: dove ci condurrà la trasformazione in atto”, Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, Mario Del Vecchio della SDA Bocconi di Milano e Giulia Galera, ricercatrice Euricse, coordinati da Mauro Ponzi, già presidente di 3C Salute, hanno dato vita a un’analisi approfondita, completa di dati, statistiche e proiezioni, sul presente e soprattutto sul futuro del Sistema sanitario nazionale, ma anche sul ruolo del Terzo settore e sulle tendenze dei cittadini che andrebbero orientate meglio per non sprecare risorse.

“Il nostro Sistema sanitario nazionale rappresenta una conquista sociale irrinunciabile e un pilastro della nostra democrazia, visto che il livello di salute e benessere della popolazione italiana condiziona anche la crescita economica del Paese e l’eventuale perdita del SSN sarebbe un disastro sociale ed economico senza precedenti”, ha sottolineato Nino Cartabellotta. “Il tempo della manutenzione ordinaria è ormai scaduto: ora occorre un rilancio dello stesso, con un sistema sanitario misto, formato da quote a carico del cittadino, delle aziende e di vari fondi e assicurazioni e il resto a carico dello Stato, perché i conti pubblici non sono più in grado di reggere a lungo questo sistema, almeno così com’è strutturato ora”.

La sala degli affreschi di palazzo Da Mosto gremita di persone

Nella seconda parte, Elisabetta Negri, direttore delle attività socio sanitarie dell’Ausl di Reggio, Carlo Bergamini, dg delle Farmacie comunali riunite, Gian Luca Galletti, presidente di EmilBanca e Maria Cristina Santi, neo presidente di 3C Salute, coordinati da Flaviano Zandonai, sociologo e ricercatore Gruppo cooperativo CGM, hanno dato vita ad una seconda parte del dibattito sul tema “Costruire una corresponsabilità”.
In chiusura, l’amministratore delegato di 3C Salute, Maurizio Gozzi, ha sottolineato come, in questi anni, egli stesso abbia sperimentato quanto sia difficile cooperare tra soggetti diversi nel contesto della sanità, mentre oggi risulta sempre più necessaria la collaborazione fra forze del territorio che si orientino unitariamente ad un unico obiettivo: la Salute, intesa come bene comune.

reggionline.com

Intervista . «Bimbi senza leucemia, così può realizzarsi il nostro sogno»

Parla Giovanni Verga, padre di Maria Letizia, malata leucemica morta a 4 anni nel cui nome è nato un Comitato di sostegno alla ricerca e alla cura che ha reso il San Gerardo di Monza un’eccellenza
Giovanni Verga con un piccolo paziente

Giovanni Verga con un piccolo paziente – .

Quando, nel 1979, per iniziativa di un gruppo di genitori, di medici e di Giovanni Verga, papà di Maria Letizia, morta di leucemia a soli 4 anni, nacque il Comitato che porta il nome della bimba, 85 pazienti pediatrici su 100 uscivano sconfitti dalla lotta contro i tumori del sangue. Oggi la percentuale è scesa fino al 15%, anche grazie agli sforzi compiuti da quel Comitato che, investendo cospicue risorse in ricerca e per la nascita del Centro di ematologia pediatrica dell’Ospedale San Gerardo di Monza – da pochi mesi elevato a Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) –, ha reso il capoluogo brianzolo una delle capitali internazionali di questa branca medica. Dando così vita a una sinergia virtuosa e unica tra un nosocomio universitario pubblico e organismi privati non profit, già ribattezzata “sistema Monza”.

Giovanni Verga

Giovanni Verga – .

Non a caso nei giorni scorsi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto al Quirinale vertici e promotori dell’Irccs monzese, conferendo il titolo di “Grande Ufficiale” al direttore scientifico, il professor Andrea Biondi. Nel corso di 4 decenni il Comitato ha promosso, tra l’altro, la nascita delle fondazioni “Tettamanti”, con l’omonimo centro di ricerca, e “Monza e Brianza per il bambino e la mamma”. Ma anche del Laboratorio di Terapia cellulare “Verri”, una delle prime cell factory in Italia. Del 2015 è il Centro Maria Letizia Verga, che in un edificio di 4 piani, a Monza, accoglie il Centro di ricerca Tettamanti, il reparto di degenza, l’innovativo Centro trapianti di midollo (che concentra il 10% di tutta l’attività trapiantologica italiana), il day hospital ematologico e gli spazi per il sostegno psico-sociale. Una palazzina «destinata ad ampliarsi», afferma Giovanni Verga che sabagto 4 marzo, all’Autodromo di Monza, presenta il progetto di crescita del Centro, con il professor Biondi.

Presidente, quali novità preparate?

È un altro dei nostri sogni che si avvera. Intendiamoci: la pediatria del San Gerardo è uno splendido reparto, anche dal punto di vista estetico. Ci lavorano professionisti che curano i bambini con amore. Ma c’è bisogno di più spazio. Siamo un Irccs, un centro di riferimento mondiale, e abbiamo previsto la realizzazione di due nuovi piani nel Centro Verga. Uno accoglierà bambini leucemici ma anche quelli affetti da altre patologie metaboliche e genetiche. Nell’altro piano ci saranno laboratori per la ricerca di base, studi medici, stanze per le famiglie. In cima alla palazzina sistemeremo ambienti dedicati ai nostri adolescenti che, mentre sono in terapia, possono invitare gli amici, magari per sorseggiare un aperitivo.

Quanti posti letto ricaverete?

Avremo 15 posti letto di degenza, che ci permetteranno di abbattere le liste di attesa, e un day hospital con altri 10 posti. E se il bambino dovesse avere bisogno di una casa nel periodo delle terapie, lo ospiteremo in uno nei nostri 17 alloggi nel vicino Residence Maria Letizia Verga (dove oggi vivono alcune famiglie di ucraini, ndr).

Quanto costerà l’ampliamento e quando sarà realizzato?

Contiamo di far partire il cantiere in estate e di chiuderlo in due anni, avrà un costo compreso tra i 12 e i 15 milioni. Ma il denaro non mi preoccupa.

Perché?

Di fronte a progetti seri e lungimiranti, la mia gente, quella brianzola, quella lombarda, direi dell’intero Paese, non si spaventa. Sarà così anche questa volta. Con i nostri 20.000 sostenitori abbiamo creato una rete possente. Abbiamo mobilitato il bene, orgogliosi di essere italiani.

Avete creato un modello di collaborazione singolare tra pubblico e privato. Sembra abbiate bisogno l’uno dell’altro…

È così. La nostra particolarità è che siamo dentro l’ospedale, perché per guarire un bambino c’è bisogno che ricerca, clinica e accoglienza di alto livello siano in dialogo tra loro. Al San Gerardo abbiamo trovato terreno fertile per la nostra missione, che, per dirla con uno slogan, è quella di contare gli anni in bambini guariti. Nella nostra storia ne abbiamo salvati 2.000. L’ospedale non è dei dirigenti o dei dipendenti: è degli ammalati. Il Centro Verga non è di Giovanni Verga: è del bambino che si presenterà domani con un problema di salute, ed è di quella mamma che deve fare curare il figlio ma che ha perso lo stipendio e magari non può restargli accanto. Siamo qui per loro.

Il rendering del complesso monzese secondo il progetto del Comitato Verga

Il rendering del complesso monzese secondo il progetto del Comitato Verga – .

Qual è lo spazio dei finanziamenti privati per la ricerca in Italia?

Tutto parte dal riconoscimento della qualità. La Fondazione Tettamanti, con tanti giovani specializzandi e tirocinanti di valore, porta a casa finanziamenti nazionali ed esteri in virtù della valenza dei progetti. Quando non basta, ci siamo noi che li stimoliamo a fare qualcosa di più, a perseguire dei sogni. Perché sono sempre i sogni che mandano avanti le cose. Ma bisogna avere i soldi per realizzarli.

Lei cosa sogna?

Sogno che i nostri ricercatori trovino risposte.

Un'altra veduta computerizzata che anticipa le nuove strutture che saranno realizzate

Un’altra veduta computerizzata che anticipa le nuove strutture che saranno realizzate – .

A quali domande?

Prenda la Fondazione Tettamanti. Fa tante cose, per esempio aiuta i clinici nei percorsi di cura attraverso una diagnostica sofisticata. Tutto il resto è ricerca per rispondere a delle domande: perché ci s1i ammala? Perché una volta curati, bambini e ragazzi hanno delle ricadute? E soprattutto, quando il bambino non recupera, cosa ci è sfuggito, cosa non siamo riusciti a vedere? Non smetteremo mai di lottare per quelle risposte.

avvenire.it

Benedetto XVI isolato nel monastero con padre Georg e quattro «memores». Da mesi non parla più

I misteri e i veleni sul dualismo con Bergoglio: nonostante la lealtà e il rispetto reciproco tra predecessore e successore, la sua longevità ha nutrito per quasi un decennio la leggenda destabilizzante dei «due Papi»

 Benedetto XVI isolato nel monastero con padre Georg e quattro «memores». Da mesi non parla più

Sembra una notizia che filtra da un altro mondo, sideralmente remoto da quello reale. E in qualche modo lo è. Forse perché quel Monastero nascosto nei giardini vaticani, dove Benedetto XVI si è ritirato da quasi dieci anni, è ad appena tre minuti di auto da Porta Sant’Anna, quella da cui si entra in Vaticano per andare alla farmacia, allo Ior, all’Archivio segreto; ma arrivarci significa compiere un viaggio mentale che fa perdere la nozione dello spazio e del tempo, tra viali deserti, altari, fontane, cactus enormi e improbabili, che spuntano tra le garitte di gendarmi vaticani in allerta davanti a qualunque viso sconosciuto. Le condizioni del papa emerito Benedetto si sono aggravate, Francesco ha chiesto di pregare per lui, e lo è anche andato a trovare: sono queste le notizie convulse di ieri.

Ma Joseph Ratzinger è ancora, disperatamente, vivo. Anche se con i suoi quasi 96 anni potrebbe spegnersi da un momento all’altro. Anche se pensava di morire sei mesi dopo la rinuncia del febbraio del 2013, e il fatto di essere sopravvissuto così a lungo ha alimentato il mistero sulle vere ragioni delle sue «dimissioni» epocali. Nonostante la lealtà e il rispetto reciproco tra predecessore e successore, la sua longevità ha nutrito per quasi un decennio la leggenda destabilizzante dei «due Papi»: benché Benedetto abbia fatto di tutto per ridimensionarla e smentirla. D’altronde, Ratzinger è stato «emerito» più a lungo che «regnante»: eletto nel 2005, ha lasciato nel 2013. Otto anni contro quasi dieci. Ad ogni occasione ha cercato di ribadire che «il Papa è uno solo». Ma i tradizionalisti che pure lo hanno sempre considerato una propria icona non si sono rassegnati.

Si è dato corpo al fantasma, se non alla realtà di «due Chiese». Benedetto è stato strumentalizzato di volta in volta da anti bergogliani e bergogliani, per motivi opposti. E non è stato mai chiaro fino in fondo quanto il pontificato emerito abbia influenzato e condizionato quello del papa argentino; e quanto il Monastero Mater Ecclesiae, la «Madre della Chiesa», abbia segnato alcune mosse di Bergoglio e della sua corte di Casa Santa Marta, l’hotel dentro le mura vaticane dove vive dal giorno dell’elezione. Una tesi sostiene che finché le riforme di Francesco sono andate avanti spedite, la sintonia con Benedetto è stata totale. Ma quando si è capito che arrancavano, che apparivano troppo visionarie, è cresciuta la tentazione di vedere nella filiera dei nostalgici di Ratzinger i frenatori, e nel Monastero una sorta di contropotere allo stato latente.

Negli ultimi anni si è assistito a uno scontro neanche troppo larvato tra le frange più estreme dei «tifosi» dell’uno e dell’altro. Contro, va sottolineato, la volontà di Francesco e Benedetto. È un conflitto che negli ultimi mesi si è in qualche maniera quietato, o almeno diplomatizzato. Forse perché la voce del papa emerito si è affievolita fino a spegnersi: da alcuni mesi non riesce più a articolare le parole. O magari perché il rischio di una rottura troppo vistosa nella Chiesa cattolica ha suggerito una tregua di fatto tra fazioni. Ma difficilmente la dicotomia verrà archiviata o si spegnerà quando Benedetto morirà. Anzi, per paradosso potrebbe ravvivarsi, sommandosi alle voci di dimissioni dello stesso Francesco, che emergono a intermittenza per bocca dello stesso papa argentino.

Da mesi, ormai, la domanda che si insinua nelle file vaticane non è se ma quando e come Francesco potrebbe rinunciare, una volta scomparso il papa emerito: perché due papi dimissionari sarebbero troppo, e una delle ragioni che finora hanno impedito una nuova scelta traumatica risiede proprio nel fatto che c’è ancora «l’uomo del Monastero». In questi anni è stata una figura ingombrante non solo per le sue rare prese di posizione ma per i suoi silenzi. In fondo, il solo fatto di esistere rappresentava una sorta di assenza-presenza che il mondo ecclesiastico ha sentito molto più dell’opinione pubblica. «Il Monastero» è diventato un modo per definire uno stile di papato complementare o perfino, nell’uso strumentale che ne hanno fatto gli avversari, alternativo a quello bergogliano: con Benedetto dedito a una vita monastica, assistito e protetto dalla sua «famiglia pontificia» composta dall’arcivescovo e prefetto Georg Gaenswein e dalle quattro «memores», le donne consacrate di Comunione e liberazione che hanno vissuto con loro in quell’edificio.

Non è chiaro se l’allarme che ieri mattina si è propagato dal suo eremo giù nei palazzi vaticani, e poi in tutta Italia, rimbalzando nel mondo, sia solo l’eco ricorrente di altri annunci funesti, smentiti dall’attaccamento alla vita di Joseph Ratzinger. Oppure se sia il presagio che l’esistenza di questo pontefice e fine teologo è davvero agli sgoccioli; che il suo «pellegrinaggio verso Casa», come scrisse in una lettera al Corriere nel febbraio del 2018, sta veramente arrivando al punto di non ritorno. Le voci che arrivano dal Vaticano sono contrastanti, ma le parole pronunciate ieri in udienza da Jorge Mario Bergoglio hanno conferito drammaticità alle voci sullo stato di salute di Benedetto. D’altronde, il silenzio intorno e dentro il Monastero è diventato pesante da mesi, ormai.

Si sapeva da tempo che Benedetto non riusciva più a parlare, a dispetto di una stupefacente lucidità. Le visite si erano diradate, come i suoi articoli di teologia. Si è creata una barriera invisibile di riserbo e di laconicità, aggiuntasi a quella che già circondava la costruzione di mattoni chiari protetta da un cancello di ferro elettrico schermato, e affiancata da un piccolo orto. Foto col contagocce, seduto in poltrona nel salotto al primo piano: l’ultima il 1° dicembre scorso. Frammenti di notizie arrivate da visitatori obbligati alla riservatezza. E una coltre di mistero così fitta che non si capiva dove finisse la volontà di isolare il papa emerito nel suo mondo rarefatto, e cominciasse la sua volontà di autoisolarsi. Di certo, senza di lui il Monastero diventerà altro. Eppure, si è impresso nella memoria collettiva come il luogo-simbolo di una delle stagioni più sconcertanti e insieme intriganti di una Chiesa in bilico: messa alla prova non dai suoi nemici ma dai suoi papi.

di Massimo Franco in https://www.corriere.it/cronache/22_dicembre_28/benedetto-xvi-isolato-monastero-padre-georg-quattro-memores-mesi-non-parla-piu-6ac67f20-86f0-11ed-95ee-af8dc55ce986.shtml

 

Le condizioni di #BenedettoXVI papa #Ratzinger: cosa sappiamo

Il pontefice emerito ha iniziato ad accusare problemi respiratori già nei giorni precedenti al Natale
CITTÀ DEL VATICANO – Il papa emerito, Benedetto XVI, «è molto ammalato». È stato il sommo pontefice in persona, Francesco, a dare notizia qualche ora fa dell’aggravarsi delle condizioni di salute del suo predecessore al soglio petrino. E lo ha fatto chiedendo «al Signore» di sostenerlo «in questa testimonianza di amore alla Chiesa, fino alla fine». Ma cosa sappiamo di preciso sulle sue condizioni?

Le parole spese da papa Francesco, va detto, non concedono margine a particolari interpretazioni. E anzi sembrano rievocare quanto disse a suo tempo l’arcivescovo Georg Gänswein, il suo segretario personale, che parlò di un uomo sempre lucido ma, al contempo, sempre più fragile. «È come una candela che, lentamente e serenamente, si spegne».

La sala stampa del Vaticano, nella persona del portavoce Matteo Bruni, ha confermato, senza entrare nei dettagli, che «nelle ultime ore si è verificato un aggravamento dovuto all’avanzare dell’età» di Joseph Ratzinger, che il 16 aprile scorso ha compiuto 95 anni.

«La situazione», ha proseguito Bruni, «al momento resta sotto controllo, seguita costantemente dai medici». A fornire qualche dettaglio in più ci ha pensato in un secondo momento l’Ansa, che ha fatto sapere di aver appreso da «fonti qualificate» come le condizioni di salute del papa emerito si fossero aggravate già nei giorni che hanno preceduto il periodo di Natale. In particolare, Benedetto XVI avrebbe iniziato ad accusare «problemi respiratori».
tio.ch