Papa Francesco: la riforma liturgica è irreversibile

A quasi mezzo secolo dalla chiusura del Concilio Vaticano II uno dei suoi frutti più noti, quello della riforma liturgica, fa ancora discutere. Ecco allora l’invito che papa Francesco fa nell’udienza concessa ai partecipanti allaSettimana liturgica promossa dal Centro di azione liturgica (Cal), affinchè si superino “letture infondate e superficiali, ricezioni parziali e pressi che sfigurano” la riforma della liturgica, che, tra le altre cose, introdusse la lingua nazionale nella celebrazione della Messa, al posto del latino in uso fino al Concilio convocato da san Giovanni XXIII. Al contrario, invita il Papa, si tratta di “conoscerne meglio le ragioni sottese, anche tramite la documentazione storica, come di interiorizzarne i principi ispiratori e di osservare la disciplina che la regola”.

IL TESTO DEL DISCORSO

Un lungo processo riformatore

Un discorso lungo e articolato quello che papa Francesco ha voluto rivolgere ai partecipanti al convegno del Cal, ricordando che il processo riformatore della liturgia pone le proprie radici ben prima dell’evento conciliare, e citando il riordino della musica sacra e il ripristino celebrativo della domenica da parte di san Pio X – noto come il Papa del catechismo – con il motu proprio “Tra le sollecitudini” del 22 novembre 1903, e il progetto riformatore di Pio XII espresso nell’enciclica “Mediator Dei” del 20 novembre 1947. E proprio nel 1947 nacque il Cal, che festeggia i suoi 70 anni di vita, che “in questo ambito formativo si è distinto con le sue iniziative” ha ricordato Francesco.

Una liturgia viva

Ma non è stato solo un discorso basato sulla memoria del passato, ma il Papa ha voluto anche sottolineare alcuni aspetti legati al tema della Settimana liturgica: “Una liturgia viva per una Chiesa viva”. Ebbene per papa Bergoglio la “liturgia è viva in ragione della presenza viva di Colui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato la vita a tutti noi”. Dunque “senza la presenza reale del mistero di Cristo, non è alcuna vitalità liturgica“, ricordando che l’altare diventa il “segno visibile dell’invisibile Mistero”. Non meno importante, secondo Francesco, anche il fatto che la liturgia “è vita per l’intero popolo della Chiesa“. Non una liturgia clericale, ma popolare, “un’azione per il popolo, ma anche del popolo”. Un invito a vivere la liturgia da protagonisti e non da spettatori, anche perchè, ed è il terzo punto toccato dal Pontefice nel suo discorso, “la liturgia è vita e non un’idea da capire. I riti e le preghiere per quello che sono e non per le spiegazioni che ne diamo, diventano una scuola di vita cristiana, aperta a quanti hanno orecchi, occhi e cuore dischiusi ad apprendere la vocazione e la missione dei discepoli di Gesù”.

L’armonia delle tradizioni rituali

“La Chiesa è davvero viva se, formando un solo essere vivente con Cristo, è portatrice di vita, è materna, è missionaria, esce incontro al prossimo, sollecita di servire senza inseguire poteri mondani che la rendono sterile”. Una Chiesa viva, in preghiera, e con la sua connotazione “cattolica” che va oltre il Rito Romano, che pur essendo il più esteso non è il solo. “L’armonia delle tradizioni rituali, d’Oriente e d’Occidente, per il soffio del medesimo Spirito dà voce all’unica Chiesa orante per Cristo, con Cristo e in Cristo”.

In un passaggio del discorso papa Francesco afferma che «dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile».

Avvenire

Il dibattito sull’adeguamento delle chiese alla riforma liturgica

di Roberto Cecchi

L’adeguamento delle chiese alla riforma liturgica voluta dal Vaticano II non è questione di gusto. È una riflessione profonda che ha come fondamento il rinnovamento della Chiesa, dove il presente s’illumina guardando al passato. Di questo si è discusso a Roma alla presentazione del libro di Tiziano Ghirelli, Ierotopi cristiani, le chiese secondo il magistero (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, pagine XXV + 833, euro 110) all’Accademia di San Luca con il cardinale Lluís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona, e Paolo Portoghesi, presidente dell’Accademia. Un volume che nasce da un’attenta riflessione sul progetto della cattedrale di Reggio Emilia; dunque, un percorso di conoscenza da tenere nella massima considerazione e rispetto, perché “attraverso la liturgia si attua l’opera della nostra redenzione”, come ricorda l’autore, mentre si è alla ricerca della volontà di crescere all’insegna del binomio “sana tradizione” e “legittimo sviluppo”, come sottolinea il vescovo Adriano Caprioli nell’introduzione al volume; parole del tutto simili a quelle espresse dal cardinale Lajolo, quando afferma che “la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso”.
Che rapporto c’è tra quest’esigenza di rinnovamento e la tutela del patrimonio culturale? C’è contraddizione? Inutile nascondersi che fino a non troppi anni fa era difficile contemperare quest’istanza profonda di revisione con le testimonianze del passato.
Così, l’accezione di bene culturale non è più intesa solo attraverso il pregio estetico che caratterizzava la legge Bottai e che gli dava quel sapore vagamente elitario; ora, il bene culturale viene visto come il tramite della capacità di produrre storia. L’oggetto della tutela è la storia, è il documento, è la memoria e cioè la “testimonianza materiale avente valore di civiltà”.
Quindi, il valore documentario storico-antropologico come prodotto delle culture che si sono succedute nel tempo; non un’opera compiuta in sé, ma in continua sovra-scrittura e stratificazione. In questa visione ogni testimonianza ha piena legittimità e il nuovo ha piena dignità.

(©L’Osservatore Romano 20 gennaio 2013)