Appuntamento internazionale a Canale d’Agordo per il il festival del film religioso

In 27 anni sono arrivati più di 18.000 film e documentari, si sono incontrati 2.200 artisti e registi di tutto il mondo, gli spettatori sono stati più di 50.000. Sono questi i numeri della rassegna cinematografica internazionale Religion Today Film Festival (https://rtff.it/) che presenterà l’edizione 2024 domenica 25 agosto presso la Sala Emigranti di Canale d’Agordo (Belluno) nell’ambito dell’Appuntamento estivo con papa Luciani organizzato dal Musal – Museo Albino Luciani (www.musal.it). Saranno presenti la presidente del festival Lisa Martelli e il direttore artistico Andrea Morghen. A Canale d’Agordo verranno illustrati i film che parteciperanno alla 27ª edizione che si terrà a Trento e provincia (Arco, Dro, Lavarone, Baselga di Pinè) e Bolzano dal 18 al 25 settembre. Dopo l’incontro si terrà la proiezione delle pellicole vincitrici della scorsa edizione, Jalaldine di Hassan Benjelloun e il cortometraggio Super Jesus di Vito Palumbo. 
Il Festival continua a crescere e a rispondere all’impellente necessità di spiritualità delle nuove generazioni. Invitiamo tutti a partecipare alla 27ª edizione, che speriamo possa riflettere come le nuove forme di intrattenimento possano diventare veicolo per parlare di spiritualità»
«Il 27° Religion Today Film Festival vuole indagare le nuove forme di creazione artistica e l’utilizzo che ne fanno le diverse confessioni religiose, per trovare nuovi proseliti, per rinforzare la loro presenza, per diffondere messaggi positivi», dichiara Andrea Morghen, direttore del festival. Un’esplorazione tra diversi linguaggi, dal fumetto all’animazione, passando per la realtà aumentata e la serialità televisiva e web, che si snoderà tra masterclass, concorsi ed eventi di approfondimento con esperti e artisti del settore. «Sempre strizzando l’occhio alle nuove generazioni di studenti e professionisti ormai pubblico target di un festival che vuole reinventarsi non solo attraverso i contenuti, più innovativi, ma anche attraverso nuovi linguaggi, quello del fumetto, della street art, del podcast e perché no della musica tecno», conclude Morghen.

Il Religion Today Film Festival è organizzato dall’Associazione Bianconero di Trento ha una dimensione itinerante, di pellegrinaggio tra i popoli, è partito da Trento e ha fatto tappa a: Bologna, Ravenna, Roma, Camerota, Milano, Nomadelfia, Gerusalemme (per oltre 10 anni), Teheran, Mar Musa in Siria, Cambridge, San Paolo in Brasile, Dhaka in Bangladesh, Kazan in Russia, Los Angeles negli Stati Uniti, Tailandia. Il comitato scientifico del festival è internazionale ed è composto da professionisti nel settore del cinema che da anni s’impegnano per la diffusione di opere cinematografiche di qualità e nell’organizzazione di attività formative per studenti, studentesse e appassionati.

Famiglia Cristiana

La genialità di papa Francesco: la sua fedeltà al Vangelo

La genialità, secondo il dizionario della RAE (Real Academia Española, ndt), è “l’unicità propria del carattere di una persona”. Detto ciò, la genialità di papa Francesco si distingue soprattutto per la sua fedeltà al Vangelo. E per questo è stato – e continua ad essere – un papa così sconcertante. Così lodato da alcuni e così mal visto da altri. È così, anche se suona come una bugia. Oppure può sembrare una spiegazione senza né capo né coda. Il che è ovviamente un problema che molte persone non immaginano. Come mai?

Mi sembra che il problema non consista nel fatto che i conservatori considerino questo problema in un modo, mentre i progressisti pensino il contrario. Questo può certamente influire. Ma mi sembra che il problema di fondo, posto a tutti noi da padre Jorge Mario Bergoglio, sia molto più profondo. In che cosa consiste questo problema?

Lo dirò, per come la vedo io, nel modo più semplice e breve possibile. La Chiesa, a partire dai secoli III-IV, ha fatto una svolta – tanto comprensibile quanto sconsiderata – che ha portato (questa nostra Chiesa tanto amata) a fondere e confondere la Religione con il Vangelo. Anzi, ciò è stato fatto (e continua ad essere fatto) in modo tale che il Vangelo è diventato più o meno un atto o una componente della Religione. Di più, è successo (e continua ad accadere) che nella Chiesa la Religione è più presente del Vangelo. Ecco perché (per fare un esempio) le persone che vanno a messa pensano e dicono che stanno andando ad un “atto religioso”. Cioè, un atto della Religione che dedica alcuni minuti alla lettura (o all’ascolto) del Vangelo ed alla successiva spiegazione, se il prete fa l’omelia.

E cosa ha di problematico tutto questo? Beh, qualcosa di così ovvio e sconvolgente. Tutto consiste nel fatto che, se leggiamo attentamente i quattro vangeli canonici (Mc, Mt, Lc, Gv), emerge con chiarezza che la Religione ed i suoi capi si sono scontrati con Gesù e il suo Vangelo. Quindi, se c’è qualcosa di indiscutibile, è il fatto che la Religione ha ucciso Gesù.

In realtà, il Vangelo è costituito da una raccolta di racconti, tra i quali spicca lo scontro di Gesù e del suo Vangelo con la Religione ed i suoi capi. Uno scontro sempre in crescendo. Fino al momento in cui i capi della Religione (sacerdoti, dottori della legge…), quando si sono resi conto che il Vangelo di Gesù attirava le persone più della Religione dei sacerdoti, hanno chiaramente compreso che Religione e Vangelo sono incompatibili. Il racconto più chiaro è il capitolo 11 del vangelo di Giovanni: quando Gesù ha riportato in vita Lazzaro, questo fatto ha prodotto una tale e tanta impressione che il Sinedrio si è riunito urgentemente e i capi della Religione hanno capito che dovevano uccidere Gesù (Gv 11,53).

Perché si è verificato (e continua a verificarsi) questo scontro tra la Religione ed il Vangelo? Perché la Religione mette al centro il soggetto, ciò di cui lo stesso soggetto religioso ha bisogno o che desidera (il benessere, la sicurezza, il potere, la propria salvezza…). Al contrario, il Vangelo mette al centro gli altri, ciò di cui gli altri hanno bisogno (salute, cibo, dignità, rispetto, affetto…). Sono due dinamismi opposti: ciò che è primordiale è “sé stesso” (Religione); ciò che è primordiale è “l’altro” o gli altri, e tanto più quanto più bisognosi sono gli altri (Vangelo).

Ebbene, il grande errore commesso dalla Chiesa è stato quello di fondere e confondere due realtà contrapposte. Ma ha unito queste due realtà dando più importanza e più presenza alla Religione che al Vangelo. Per questo – di fatto – nella Chiesa si vede e si avverte in modo più palpabile la presenza della Religione che la presenza del Vangelo. Per fare un esempio: perché la Chiesa ha un dicastero per la dottrina della fede (Sant’Uffizio) e non un altro dicastero per la sequela di Gesù?

Capisco che tutto questo necessiti di una spiegazione più ampia, molto più ampia. Ma, con quanto ho appena delineato, si può cominciare a capire cosa sia e in cosa consista “la genialità di papa Francesco”. Non so se padre Bergoglio “ci abbia pensato”. Ma nella vita ciò che conta non è “ciò che si pensa”, ma “ciò che si fa”. E mi sembra (e credo si avverta in maniera palpabile) che per papa Francesco quello che è decisivo non è la Religione, ma il Vangelo. Ecco perché papa Francesco non entusiasma i teologi “di mestiere”. Ma entusiasma chi ha bisogno di “rispetto e affetto”.
di José Matia Castillo – Adista

Papa Francesco: «Gesù e Buddha: costruttori di pace e promotori della nonviolenza»

«Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano […]. Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici […], tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia». Riportiamo il discorso completo che il Pontefice ha tenuto Sabato 28 Maggio alla delegazione di autorità del Buddhismo in Mongolia

Illustri Signori!

Con grande cordialità e stima do il benvenuto a voi, Leader Buddisti dalla Mongolia, e a S.E. Mons. Giorgio Marengo, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar, che vi accompagna. Esprimo la mia gratitudine per la vostra prima visita in Vaticano quali rappresentanti ufficiali del Buddismo mongolo. Essa si propone di approfondire le vostre relazioni amichevoli con la Chiesa Cattolica, per promuovere la comprensione e la collaborazione reciproca al fine di costruire una società pacifica. L’occasione è particolarmente significativa, poiché quest’anno ricorre il 30° anniversario della Prefettura Apostolica nel vostro bel Paese, come pure delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Mongolia.

La pace è oggi l’ardente anelito dell’umanità. Pertanto, attraverso il dialogo a tutti i livelli, è urgente promuovere una cultura della pace e della nonviolenza e lavorare per questo. Questo dialogo deve invitare tutti a rifiutare la violenza in ogni sua forma, compresa la violenza contro l’ambiente. Purtroppo, c’è chi continua ad abusare della religione usandola per giustificare atti di violenza e di odio.

Gesù e Buddha sono stati costruttori di pace e promotori della nonviolenza. «Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano […]. Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) […], tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16)». Perciò, «essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1 gennaio 2017, 3).

Il messaggio centrale del Buddha era la nonviolenza e la pace. Insegnò che «la vittoria si lascia dietro una scia di odio, perché il vinto soffre. Abbandona ogni pensiero di vittoria e sconfitta e vivi nella pace e nella gioia» (Dhammapada, XV, 5 [201]). Sottolineò inoltre che la conquista di sé è più grande di quella degli altri: «Meglio vincere te stesso che vincere mille battaglie contro mille uomini» (ibid., VIII, 4 [103]).

In un mondo devastato da conflitti e guerre, come leader religiosi, profondamente radicati nelle nostre rispettive dottrine religiose, abbiamo il dovere di suscitare nell’umanità la volontà di rinunciare alla violenza e di costruire una cultura di pace.

Sebbene la presenza di comunità più formali di fedeli cattolici nel vostro Paese sia abbastanza recente e il loro numero esiguo ma significativo, la Chiesa si impegna pienamente a promuovere una cultura dell’incontro, seguendo il suo Maestro e Fondatore il quale ha detto: “Amatevi come io vi ho amato” (cfr Gv 15,12). Rafforziamo la nostra amicizia per il bene di tutti. La Mongolia ha una lunga tradizione di pacifica convivenza di diverse religioni. Il mio auspicio è che questa antica storia di armonia nella diversità possa continuare oggi, attraverso l’effettiva attuazione della libertà religiosa e la promozione di iniziative congiunte per il bene comune. La vostra presenza qui oggi è in sé stessa un segno di speranza. Con questi sentimenti, vi invito a continuare il vostro dialogo fraterno e le buone relazioni con la Chiesa Cattolica nel vostro Paese, per la causa della pace e dell’armonia.

Grazie ancora per la vostra gradita visita; e spero che il vostro soggiorno a Roma sia ricco di gioia e di interessanti esperienze. Sono anche certo che il vostro incontro con i membri del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso vi darà l’opportunità di esplorare le vie per promuovere ulteriormente il dialogo buddista-cristiano in Mongolia e nella regione.

Auguro a voi e a coloro che rappresentate, nei diversi monasteri buddisti in Mongolia, abbondanza di pace e di prosperità.

«Rendere ragione della speranza che è in noi». Messaggio di Mons. Morandi, nuovo Vescovo, alla Diocesi

Una riflessione del Vescovo Morandi sulla Bellezza della Fede

(da Radio Vaticana)

Il Testo del Messaggio alla Diocesi del 9 Gennaio 2022

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, in queste prime parole che rivolgo a Voi come Vescovo eletto della Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla, desidero dirvi la mia gioia unita ad una certa trepidazione per questa missione che il Signore, per mandato della Chiesa e del Santo Padre Francesco, mi ha affidato.

La gioia nasce dalla consapevolezza che ogni ministero e servizio nella Chiesa è per il bene dei fratelli e delle sorelle a cui si è inviati e sono grato al Signore di poter spendere la mia vita e i doni che il Signore mi ha dato per voi e insieme a voi!
La gioia è il primo sentimento profondo che più si è impresso nel mio cuore nell’istante in cui mi è stata comunicata la nomina, anche perché la Diocesi di Reggio Emilia Guastalla non mi è proprio così estranea, anzi!

Gli anni di studio in preparazione al presbiterato, seguiti da quelli di insegnamento presso lo Studio Teologico Interdiocesano, mi hanno dato la possibilità di conoscere tanti futuri presbiteri, a cui assicuro sin d’ora che non farò supplementi di esami, inoltre anche numerosi laici e religiosi, in occasione di corsi biblici e di catechesi nelle comunità parrocchiali e religiose in cui sono stato invitato.

Una frequentazione passata che in questo momento ha fatto riemergere tanti ricordi e volti di presbiteri, religiosi e laici di Reggio Emilia a cui sono grato per la loro testimonianza di fede e il dono della loro amicizia sincera.

Desidero dire la mia gratitudine al Vescovo Massimo, mio predecessore che in questi anni ha guidato con sapienza e generosità la Chiesa di Reggio Emilia- Guastalla; inoltre un saluto cordiale e riconoscente al Vescovo emerito Adriano Caprioli, che anni fa ebbe il coraggio di chiamarmi a predicare gli esercizi spirituali al Clero di Reggio.

Non posso dimenticare il Vescovo Luciano Monari, mio paziente insegnante di Sacra Scrittura e anche consacrante alla mia ordinazione episcopale.
Come vedete sono tanti i legami che mi uniscono alla vostra Chiesa, anzi alla nostra Chiesa!

Se la gioia è il primo sentimento, la trepidazione è certamente il secondo, consapevole come sono dei miei limiti, ma altrettanto certo che la vostra preghiera e pazienza saranno e sono un dono prezioso per aiutarmi ad essere un pastore secondo il cuore dell’unico Buon Pastore: Gesù Cristo!

Vorrei affidarmi alle parole dell’apostolo Pietro per orientare il nostro cammino di fede e il mio servizio episcopale. L’apostolo esorta la comunità cristiana “a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt, 3,15).

Ritengo che questo sia una delle urgenze pastorali che la Chiesa, oggi, deve sapere assumere in tutta la sua portata e forza!
La speranza cristiana, che non è da confondere con il semplice ottimismo, affonda le sue radici in quella fede che anima e sostiene il nostro pellegrinaggio verso la piazza d’oro della Gerusalemme celeste, fede in quel Signore risorto che ha promesso di rimanere con noi sino alla fine del mondo! (Mt 28,20).

La certezza della Sua presenza imprime nel cuore – in modo definitivo – quel sentimento profondo di serenità e fiducia di chi sa che non è mai solo, qualunque sia la condizione in cui si trova! Egli è l’Emmanuele! Il Dio con Noi! Evangelizzare la gioia e la speranza: questo mi pare essere il dono più grande che possiamo offrire agli uomini e alle donne che incrociano il nostro cammino, qualunque sia la loro situazione e la loro condizione di vita!

Le modalità di questo annuncio sono chiaramente espresse dall’apostolo Pietro che aggiunge: “Tutto questo sia fatto con dolcezza e rispetto e con una retta coscienza” (1Pt,3,16).
Vorrei e desidero che il mio ministero episcopale sia al servizio di questo annuncio intriso di gioia e di speranza e, come scrive l’apostolo Paolo, essere collaboratore della vostra gioia (2 Cor 1,24).

Grazie a Dio e all’opera di tanti fratelli e sorelle di questa Chiesa, sono tanti i segni di speranza che già illuminano il suo cammino: presbiteri, seminaristi, diaconi, religiosi/e, missionari/e e laici hanno donato e donano quotidianamente la loro vita perché possa risplendere la bellezza e il fascino di essere discepoli di Cristo. A loro la mia profonda gratitudine e riconoscenza!

Sono numerose le iniziative formative, spirituali e caritative, presenti nella nostra Chiesa di Reggio Guastalla! Continuiamo a camminare in questa scia luminosa di fratelli e sorelle!

Un particolare saluto ai presbiteri, primi collaboratori del ministero episcopale: grazie per quanto già fate e per la vostra generosità e disponibilità, insieme alla numerosa presenza dei diaconi permanenti! La testimonianza della fraternità presbiterale e diaconale è sempre la premessa indispensabile per l’efficacia del nostro servizio pastorale!
Un saluto veramente cordiale alle diverse confessioni cristiane presenti nella Diocesi; la speranza è che si possa intensificare il cammino verso quell’unità che rimane uno dei doni più preziosi del Signore risorto!
Vorrei inoltre salutare le autorità civili, politiche, militari e sanitarie a cui assicuro la mia piena collaborazione perché insieme possiamo assicurare una crescita umana e spirituale dell’intera società, soprattutto in questi tempi così gravati dalla Pandemia!

Infine permettete un pensiero ai tanti fratelli e sorelle sofferenti, la cui speranza è messa a dura prova, a chi vive in condizione di precarietà e povertà e vede il suo presente e il suo futuro seriamente compromessi. A voi cari fratelli e sorelle vorrei dire la prossimità e la premura della nostra Chiesa che ricorda bene che, ogni volta che vi accoglie e sostiene, accoglie e serve Cristo stesso!
“Si vorrebbe essere un balsamo per tante ferite”, così scriveva Etty Hillesum nel suo Diario, dopo aver visto da vicino e sperimentato le immani sofferenze del suo popolo. Essere un balsamo/sollievo significa anzitutto sentirsi amati e accolti incondizionatamente!

Carissimi fratelli e sorelle, in attesa di vederci, preghiamo gli uni per gli altri, affidiamoci alla Madre di Dio, a cui è intitolata la nostra Cattedrale e che è venerata nella Basilica della Ghiara e nel Santuario della Beata Vergine della Porta a Guastalla; invochiamo la protezione dei Santi Patroni San Prospero, San Francesco d’Assisi, dei Santi martiri Crisanto e Daria e anche del Beato Rolando Rivi!

Tutti benedico nel Signore Gesù.

+ Giacomo Morandi
Arcivescovo – Vescovo eletto
di Reggio Emilia-Guastalla

Roma 9 gennaio 2022
Festa del Battesimo di Gesù

Gli animali un dono di Dio, nostri “compagni” nel Creato

Il richiamo all’ecologia integrale è la condizione prioritaria per essere buoni amministratori del creato e allontanarsi da una cultura che trasforma gli esseri viventi in oggetti di consumo. Compresi gli animali, messi al centro del messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace per la 71ª Giornata del Ringraziamento: “Lodate il Signore dalla terra (…) voi, bestie e animali domestici (Sal 148,10). Gli animali, compagni della creazione”.

Ricca di significati la scelta di celebrare in Sardegna la manifestazione che contadini, pastori e allevatori considerano il capodanno delle campagne. L’isola, infatti, l’estate scorsa ha pagato un prezzo ambientale altissimo: 20mila ettari devastati dalle fiamme, centinaia di animali morti, 100 mila alberi d’ulivo inceneriti, con 60 milioni di api uccise, insetti che il documento dei vescovi considera «una benedizione per l’ecosistema e per le attività dell’uomo ». «La prossimità agli animali, che nella tradizione della civiltà agricola ha portato a sentirli e trattarli quasi come partecipi della vita familiare, nella modernità – scrivono i vescovi – è stata abbandonata, riducendo queste creature a oggetti di mero consumo». Un’ecologia anche integrata, che don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro, ha descritto in apertura del seminario organizzato dall’arcidiocesi di Sassari unitamente a Acliterra, Coldiretti, Fai Cisl, Feder.Agri, Terraviva. La necessità di riconvertire il nostro stile di vita è il filo rosso che unisce la due giorni del Ringraziamento, che si conclude oggi con la Messa (trasmessa in diretta su Rai uno) celebrata dall’arcivescovo Gian Franco Saba, a Portotorres, nella basilica dei Santi Martiri Gavino, Proto e Gianuario, seguita dalle parole di papa Francesco, all’Angelus. Al termine la benedizione dei mezzi agricoli e degli animali.

Di “Benessere animale e benessere dell’uomo nell’attività zootecnica” si è parlato nella tavola rotonda, coordinata da Daniela Scano, caporedattrice del quotidiano La Nuova Sardegna.

«Questa Giornata rappresenta, per la diocesi di Sassari – ha detto don Andrea Piras, responsabile della pastorale del lavoro – l’occasione per consolidare l’alleanza che, tra le componenti ecclesiali, le parti civili, gli organismi sociali, le agenzie culturali della città e del territorio, insieme alle categorie di lavoratori e di tanti giovani studenti, intende favorire una scelta di consapevolezza e di responsabilità perché ciascuno, sentendosi interpellato personalmente, si adoperi come autentico protagonista del cambiamento d’epoca in atto».

«La giornata del Ringraziamento – ha commentato il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota – ci consente di rilanciare il percorso verso l’ecologia integrale che ci siamo impegnati a coltivare anche con l’adesione al Manifesto di Assisi e con la nostra campagna Fai Bella l’Italia. Tra gli obiettivi di quell’idea c’è il superamento di un approccio predatorio che per anni ha caratterizzato la crescita, anche nel nostro Paese, svalutando e depauperando il suolo, il paesaggio, gli alvei idrici, le persone, il loro rapporto con l’ambiente e il regno animale». «Per noi – ha aggiunto il presidente di Coldiretti Sardegna, Battista Cualbu – è un orgoglio ospitare in Sardegna, a distanza di pochi anni dalla tappa di Dolianova nel 2015, questa manifestazione nazionale, che dimostra ancora una volta la sensibilità della Cei per la nostra terra, in particolare in quest’anno segnato dai terribili incendi estivi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un momento del Convegno a Sassari per la Giornata del Ringraziamento

In ascolto di Dio. Iniziativa del Lay Centre di Roma per valorizzare il silenzio durante la pandemia

«In questo tempo c’è tanto silenzio. Si può anche sentire il silenzio. Che questo silenzio, che è un po’ nuovo nelle nostre abitudini, ci insegni ad ascoltare, ci faccia crescere nella capacità di ascolto». Il 24 aprile scorso, nei giorni più duri della pandemia in Italia, quelli del lockdown, Papa Francesco apriva la messa mattutina a Santa Marta con questa preghiera-riflessione dedicata al silenzio e all’ascolto. La città vuota e taciturna per la quarantena e, di contro, l’esplosione di parole sul web di quei primi giorni di paura, hanno ispirato anche un’iniziativa ecumenica del Lay Centre di Roma, l’istituto cattolico internazionale creato nel 1986 per offrire accoglienza e formazione agli studenti laici delle università pontificie dell’Urbe.

Dal 24 luglio e per cinque settimane, registrandosi al sito laycentre.org, sarà possibile ricevere ogni venerdì, via mail, un testo di meditazione in lingua inglese dedicato al silenzio, accompagnato da un’immagine e da un brano musicale. «Wellsprings of silence» (“Sorgenti di silenzio”), s’intitola la serie nata per favorire la riscoperta della ricchezza della preghiera e della meditazione silenziosa. «Durante la pandemia — spiega Heather Walker, coordinatrice della comunicazione e dei programmi di studio del Lay Centre — qui a Roma, quando uscivamo per andare al lavoro o a fare la spesa, scoprivamo le strade vuote e silenziose. Dietro le mura delle abitazioni c’erano invece una vita e una comunicazione frenetica. Ora che l’Italia è uscita dal lockdown abbiamo pensato ai nostri amici di tutto il mondo, ai nostri studenti che vivono in Paesi ancora in piena pandemia e offerto loro dei testi che aiutino, nel silenzio, a riflettere, ascoltare la voce di Dio e a trovare risposte. La preghiera silenziosa nel mondo cristiano è abbastanza diffusa fra i religiosi — nota ancora Walker — ma non lo è altrettanto fra i laici. Ecco perché abbiamo voluto proporre testi non solo di autori religiosi».

La prima meditazione pubblicata è di padre John Keating, religioso irlandese, docente a Dublino. Un esperto di silenzio che nel 1990 ha trascorso un anno di ritiro in solitudine sulle coste del lago Lough Derg nel suo Paese. Seguirà quella della teologa Karen Petersen Finch, ministro della chiesa presbiteriana, e, nelle settimane successive, quelle di laici e religiosi esponenti di altre confessioni cristiane, a sottolineare il carattere ecumenico delle meditazioni.

Chiuderà il ciclo la dottoressa Donna Orsuto, cofondatrice del Lay Centre e docente di spiritualità alla Pontificia università Gregoriana.

Nel suo testo padre Keating cita in apertura il capitolo 10 del Libro dei Proverbi: «Un fiume di parole non è mai senza colpa, chi frena le labbra è saggio». Ricorda poi quanto sia frequente oggi ascoltare parole che non costruiscono pace: un linguaggio divisivo, aspro che sembra distruggere ciò che abbiamo di più caro e prezioso. Il religioso invita a trovare l’antidoto in un equilibrio fra suono e silenzio, che possa generare gentilezza, tenerezza e compassione. Sottolinea il bisogno urgente che avvertono in molti di curare questo bilanciamento e di concentrarsi sulle piccole cose, non su quelle grandi. «Stare in disparte in silenzio — nota padre Keating — ci dà la possibilità di ritrovare noi stessi e crescere anche nelle relazioni con gli altri».

Come ricorda insomma il Salmo 23 è solo presso le «acque tranquille» che possiamo rinfrancare il nostro spirito. Solo uno specchio d’acqua fermo e silenzioso può riflettere la nostra anima.

di Fabio Colagrande

Osservatore Romano

La Chiesa in uscita ha bisogno di una teologia in uscita

«Io penso che una Chiesa in uscita abbia bisogno di una teologia in uscita». Lo afferma con convinzione don Pino Lorizio, dal 1993 docente di teologia fondamentale alla Pontificia università Lateranense e coordinatore del nuovo percorso di licenza in Teologia interconfessionale, in prospettiva ecumenica e comunionale, che l’ateneo del Papa attuerà dal prossimo anno accademico 2020-2021. «Il primo passo in uscita dobbiamo farlo proprio noi teologi cattolici — spiega Lorizio — cercando di incontrare gli altri fratelli in Cristo. Ma poi speriamo che il percorso verso l’esterno continui e che la teologia cristiana vada sempre di più incontro a un mondo che sembra sempre di più allontanarsi dalla fede in Cristo».

Il nuovo corso biennale di laurea magistrale della Lateranense non punta infatti a fornire semplicemente competenze ma a formare presbiteri, pastori, suore, religiosi e laici che sappiano annunciare il Vangelo e che tornando nelle loro comunità di origine siano in grado di animarle e servirle nello spirito della “cultura dell’incontro” cara a Papa Francesco. Era stato proprio il Pontefice a incoraggiare l’iniziativa accademica nella sua visita all’ateneo lateranense dello scorso 31 ottobre. «Cercare ed esplorare ogni opportunità per dialogare non è solo un modo per vivere o coesistere, ma piuttosto un criterio educativo», aveva sottolineato il Papa intervenendo in chiusura di un convegno su «Educazione, diritti umani e pace. Gli strumenti dell’azione interculturale ed il ruolo delle religioni». In questa linea, aveva proseguito il Pontefice, «trova giusta collocazione il percorso di studi in teologia interconfessionale avviato in questa Università. Andate avanti, con coraggio. Quanto abbiamo bisogno di uomini di fede che educano al vero dialogo, utilizzando ogni possibilità e occasione!». E seguendo l’invito del Papa, dopo un anno di incontri seminariali nei quali ci si è interrogati sul futuro del cristianesimo, un comitato scientifico formato da rappresentanti delle diverse confessioni cristiane ha individuato sei moduli nei quali sarà articolato il nuovo corso della Lateranense: storico-patristico, biblico-fondamentale, dottrinale dogmatico, etico-morale, liturgico-cultuale e missionario. «Quest’ultimo è il punto di arrivo ma vuole essere anche una dimensione trasversale dell’intero percorso», sottolinea ancora il professor Lorizio. «La dimensione sottesa a tutte le materie è infatti quella della missione nel mondo contemporaneo, una prospettiva che abbia a cuore il futuro del cristianesimo». Ma la novità più importante, secondo il coordinatore del corso, sarà la modalità didattica. «I singoli moduli non saranno tenuti da un solo docente — spiega Lorizio — ma sempre da almeno tre: una voce cattolica, una voce protestante e una ortodossa che terranno lezioni sulla stessa tematica». Al termine di ogni modulo una tavola rotonda dimostrerà i risultati delle indagini e della didattica che si è attivata durante le lezioni.

Grazie al coinvolgimento della cappellania universitaria della Lateranense il cammino accademico interconfessionale sarà accompagnato da momenti di preghiera comune, in occasione di tempi forti come l’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, Natale, Pasqua e altre occasioni.

L’itinerario interconfessionale, nell’orizzonte della Veritatis gaudium, sarà inoltre interdisciplinare e trans-disciplinare. «La costituzione apostolica di Papa Francesco sulle università e le facoltà ecclesiastiche ci aiuta molto come docenti a non pensare in maniera ristretta restando ciascuno all’interno della propria disciplina», spiega ancora don Lorizio. «Ci spinge a cercare il rapporto tra le diverse discipline teologiche ma anche tra la teologia e gli altri ambiti del sapere. Trans-disciplinarietà significa andare oltre e quindi, come dice la Fides et ratio di Giovanni Paolo II, far maturare la scienza in sapienza».

Il corso di Teologia interconfessionale è destinato solo a chi è già laureato in teologia o ha una licenza in scienze religiose? «Nient’affatto», conclude il professor Lorizio. «Per avere il titolo accademico bisognerà avere i titoli precedenti. Siamo aperti, però, alla possibilità di conferire diplomi a persone che non abbiano il titolo compiuto e ad accogliere semplici ospiti e uditori». Venerdì 19 giugno alle 18.30, sulla pagina Facebook della Pontificia università Lateranense, durante un webinar che si aprirà con una preghiera ecumenica i rappresentanti delle diverse teologie presenteranno il percorso.

di Fabio Colagrande – osservatoreromano.va

Ecumenismo: Origini e prospettive delle relazioni con gli organismi internazionali cristiani

Mountassir Chemao, «Comunione» (2001)

L’Osservatore Romano

Relazioni con il Consiglio ecumenico delle Chiese

Nel campo delle relazioni multilaterali, il principale partner della Chiesa cattolica è il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec). Istituito nel 1948, è l’organizzazione ecumenica più ampia e inclusiva, che comprende 350 confessioni cristiane, tra cui ortodossi, luterani, riformati, anglicani, metodisti, battisti e Chiese unite e indipendenti. Nel complesso, rappresenta oltre cinquecento milioni di cristiani in tutto il mondo.

I primi contatti con il Cec risalgono ai tempi dei preparativi del concilio Vaticano II, quando la Santa Sede invitò l’organizzazione a designare osservatori per il concilio. Poiché nel passato i Pontefici avevano sempre rifiutato, nonostante le richieste del Cec, di inviare i propri osservatori alle sue assemblee, sussistevano ora forti dubbi sull’esito dell’invito vaticano. Tuttavia, sapendo che san Giovanni XXIII desiderava aprire la Chiesa cattolica al moderno movimento ecumenico attraverso il concilio, la direzione del Cec raccomandò di inviare osservatori. Nello stesso periodo, la Santa Sede inviò per la prima volta osservatori ufficiali cattolici alla terza assemblea del Cec tenutasi a New Delhi, nel 1961. Alla fine, Willem Adolph Visser’t Hooft, riformato olandese, e poi segretario generale del Cec, e Nikos Nissiotis, teologo greco dell’Istituto ecumenico di Bossey, parteciparono a tutte e quattro le sessioni del concilio Vaticano II. Dal 1962 al 1965, oltre un centinaio di non-cattolici presero parte a diverse sessioni del concilio come osservatori delegati od ospiti ecumenici. Essi influenzarono il lavoro del concilio e apportarono un reale contributo alla preparazione dei documenti principali, tra cui le costituzioni sulla liturgia e sulla Chiesa, il decreto sull’ecumenismo e le dichiarazioni sulla libertà religiosa e sulle religioni non cristiane. Aiutarono il concilio a evolversi, passando da quello che avrebbe potuto essere un forum su questioni ecclesiali puramente interne a un evento veramente ecumenico, che ebbe un impatto non solo sulla Chiesa cattolica ma sull’intera cristianità. Durante i quattro anni del concilio, Willem Adolph Visser’t Hooft instaurò un rapporto di fiducia con il cardinale Augustin Bea e con il suo connazionale, padre Johannes Willebrands, entrambi responsabili del nuovo Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, che Papa Giovanni XXIII aveva istituito il 5 giugno 1960. Da allora, tra la Chiesa cattolica e il Cec si è sviluppata una multiforme collaborazione.

Sebbene la Chiesa cattolica non sia membro del Cec, diversi cattolici nominati ufficialmente dalla Santa Sede sono membri delle sue varie commissioni e dei suoi gruppi di lavoro, e diversi dicasteri della Curia romana collaborano con le rispettive aree programmatiche. La cooperazione tra la Chiesa cattolica e il Cec comprende la preparazione congiunta dei testi per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la presenza attiva dei membri cattolici nella Commissione per la missione mondiale e l’evangelizzazione, una proficua interazione con l’Ufficio per il dialogo interreligioso e la cooperazione internazionale, progetti comuni per promuovere la giustizia e la pace, per assistere i migranti e i rifugiati e per tutelare il creato.

La collaborazione tra il Cec e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (Pcpuc) è, dal punto di vista del perseguimento dell’obiettivo della piena unità visibile, la più importante e assume diverse forme tangibili. Una di queste è il Gruppo misto di lavoro (Gml) che, dal 1965, è stato il catalizzatore di una fruttuosa cooperazione nel campo della formazione ecumenica, della missione e dell’evangelizzazione, della gioventù, della giustizia e della pace, e di questioni legate alla vita contemporanea. Per molti anni il Pcpuc ha nominato e finanziato un professore cattolico a tempo pieno nello staff dell’Istituto ecumenico di Bossey, nei pressi di Ginevra. Nel 2018 questo professore è diventato il primo decano cattolico nominato dalla Facoltà, in oltre 70 anni di storia dell’Istituto. Ogni anno, a gennaio, gli studenti e lo staff dell’Istituto vengono a Roma per una visita di studio di una settimana, che culmina nella partecipazione ai vespri ecumenici presieduti dal Santo Padre il giorno della conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Poiché la risoluzione delle divergenze dottrinali è indispensabile per ricomporre la piena unità visibile, la Chiesa cattolica riconosce la speciale importanza del lavoro svolto dalla Commissione fede e costituzione. Si tratta della Commissione teologica più rappresentativa del mondo, composta da teologi ortodossi, anglicani, protestanti, evangelicali, pentecostali e, dal 1968, anche cattolici, che rappresentano il 10 per cento dei membri. La Commissione ha pubblicato un numero considerevole di studi su temi quali Sacra scrittura e tradizione, fede apostolica, antropologia, ermeneutica, riconciliazione, pace, tutela del creato e unità visibile. I più importanti di questi testi sono due dichiarazioni che hanno aiutato le Chiese a superare alcune delle maggiori divergenze dottrinali. Entrambe sono state preparate con il contributo sostanziale di studiosi cattolici nel processo di redazione.

Nel 1982, la Commissione ha pubblicato «Battesimo, Eucaristia e Ministero» (Bem), noto anche come «Dichiarazione di Lima». Il documento illustra la crescente convergenza su tre temi intorno ai quali le Chiese sono state divise nel corso dei secoli ed è riconosciuto come uno dei risultati più influenti del dialogo teologico multilaterale. Il Segretariato di fede e costituzione ha ricevuto 186 risposte ufficiali da parte delle Chiese. La risposta cattolica presentata nel 1987 parla con apprezzamento del testo ma sottolinea anche alcuni argomenti specifici che necessitano di uno studio ulteriore, in particolare l’ecclesiologia. Bem ha avuto un impatto proficuo sui dialoghi cattolico-ortodossi e cattolico-protestanti riguardo al reciproco riconoscimento del battesimo.

Dopo la pubblicazione di Bem, l’ecclesiologia è diventata il tema di studio principale all’interno di Fede e Costituzione. Nel 2013, la Commissione ha pubblicato il secondo documento di convergenza, intitolato «La Chiesa: verso una visione comune», che è il risultato di un intenso lavoro teologico durato vent’anni e che comprende due testi intermedi. Il Segretariato di Ginevra ha ricevuto oltre 75 risposte inviate da Chiese, Consigli nazionali di Chiese, facoltà teologiche, gruppi di studio ecumenici e singoli individui. Nel 2019, il Pcpuc ha presentato un’ampia risposta cattolica preparata con il contributo di Conferenze episcopali e di esperti di tutto il mondo. La risposta mostra che «La Chiesa: verso una visione comune» riassume bene il crescente consenso nel campo dell’ecclesiologia e sottolinea alcuni aspetti che necessitano di un’ulteriore riflessione sulla natura della Chiesa, sulla sua missione e sulla comprensione della sua unità.

Tra i momenti speciali nella storia delle relazioni tra la Chiesa cattolica e il Cec, ricordiamo tre visite papali al Centro ecumenico di Ginevra. Ad aprire la strada fu san Paolo VI il 10 giugno 1969. Si trattò di un gesto di grande valenza simbolica in un’epoca in cui le relazioni tra la Chiesa cattolica e il Cec erano ancora agli inizi, e si stava discutendo intensamente sulla possibilità della partecipazione della Chiesa cattolica al Cec. Affrontando questa tematica, Paolo VI affermò: «In tutta fraterna franchezza, Noi non riteniamo che la questione della partecipazione della Chiesa cattolica al Consiglio ecumenico sia matura a tal punto che le si possa o si debba dare una risposta positiva. […] Essa comporta gravi implicazioni teologiche e pastorali; esige di conseguenza studi approfonditi, ed impegna in un cammino che l’onestà obbliga a riconoscere che potrebbe essere lungo e difficile». Un rapporto del Gml pubblicato nel 1972 giunse alla conclusione che non vi erano ostacoli fondamentali che impedivano una possibile adesione. Non sussisteva alcun dubbio sul fatto che la Chiesa cattolica potesse accettare le basi dottrinali del Cec radicate nella fede trinitaria. Tuttavia, dopo uno studio approfondito, la Santa Sede optò per la non partecipazione della Chiesa cattolica al Cec come membro, in parte a causa delle disparità di struttura e di dimensioni tra la Chiesa cattolica e gli altri membri, e in parte a causa della sua auto-comprensione teologica come comunione universale avente una missione e una struttura universali. Da questo punto di vista, il Vescovo di Roma non può essere considerato come uno dei tanti capi di Chiesa, ma come il punto di riferimento dell’unità di tutti i battezzati. La questione dell’adesione cattolica rimane aperta, ma al momento non è considerata una priorità né dalla Chiesa cattolica né dal Cec.

Quindici anni dopo la visita di Papa Paolo VI, san Giovanni Paolo II si recò presso il Cec il 12 giugno 1984. Nel suo discorso tenuto durante un servizio liturgico ecumenico, egli insisté sul fatto che l’impegno della Chiesa cattolica nel movimento ecumenico era irreversibile e ricordò che il Codice di diritto canonico promulgato poco prima includeva l’obbligo per i vescovi cattolici di promuovere l’unità dei cristiani. Il Papa incoraggiò anche l’intensificazione del dialogo dottrinale multilaterale inteso come «ricerca comune dell’unica verità».

Il 21 giugno 2018 anche Papa Francesco ha visitato il Cec, per commemorare il settantesimo anniversario della sua istituzione. Questo “pellegrinaggio ecumenico”, come è stato chiamato, era posto sotto il motto «Camminare, pregare, lavorare insieme» che riflette bene il tipo di relazione che la Chiesa cattolica porta avanti con il Consiglio ecumenico delle Chiese da oltre mezzo secolo. Nella sua riflessione durante un servizio di preghiera ecumenico, il Santo Padre ha incoraggiato tutti i cristiani a «pregare, evangelizzare e servire insieme». In un incontro successivo, egli ha sottolineato che di fronte alle disparità sociali, l’ecumenismo deve includere oggi la collaborazione tra le Chiese a favore di coloro che sono nel bisogno, dei migranti e dei rifugiati, delle molte vittime delle guerre, delle ingiustizie e delle catastrofi naturali. Ha in particolare sottolineato la necessità di intensificare gli sforzi comuni per la missione e l’evangelizzazione. «Sono convinto — ha detto — che, se aumenterà la spinta missionaria, aumenterà anche l’unità fra noi. Come alle origini l’annuncio segnò la primavera della Chiesa, così l’evangelizzazione segnerà la fioritura di una nuova primavera ecumenica». Francesco è stato anche il primo Papa a visitare l’Istituto ecumenico di Bossey, incontrando gli studenti e lo staff della facoltà. Il reverendo dottor Olav Fykse Tveit, allora segretario generale del Cec, ha descritto la visita di Papa Francesco come «una pietra miliare storica nella ricerca dell’unità dei cristiani e della collaborazione tra le Chiese per un mondo di pace e di giustizia». I vari aspetti di questo “camminare insieme” sono concreti risultati nella relazione solida e comprovata tra la Chiesa cattolica e il Cec.

Il Global Christian Forum

Un altro organismo multilaterale di cui la Chiesa cattolica fa parte è il Global Christian Forum (Gcf), un’iniziativa nata alla fine del secolo scorso per far fronte a una nuova situazione ecumenica caratterizzata dalla rapida diffusione di Chiese evangelicali, pentecostali e indipendenti. La maggior parte di queste non aderisce ad alcuna organizzazione ecumenica anche se molte di loro sono interessate a interagire con altri cristiani. Per rispondere a questa esigenza, il Gcf è stato istituito come uno “spazio aperto” in cui rappresentanti di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali possano incontrarsi periodicamente su una base di parità, contando su una partecipazione equilibrata di tutte le correnti del cristianesimo odierno. Il Forum fornisce una piattaforma per costruire relazioni di fiducia e comprensione reciproca tra i responsabili delle Chiese, per promuovere il mutuo rispetto e studiare insieme preoccupazioni comuni. Uno dei contributi specifici del Forum al movimento ecumenico è la pratica di condividere storie di fede personali e comunitarie durante le riunioni. Grazie al Gcf, molte comunità evangelicali, pentecostali e carismatiche, che per decenni non avevano avuto relazioni con le Chiese storiche, sono ora coinvolte nel movimento ecumenico. Il Pcpuc ha partecipato attivamente a tutti i progetti del Gcf sin dagli inizi e, insieme al Cec, all’Alleanza evangelica mondiale e alla Comunione mondiale pentecostale rappresenta uno dei suoi quattro pilastri. Grandi delegazioni cattoliche hanno partecipato ai tre incontri mondiali del Gcf tenutisi a Limuru, in Kenya, nel 2007, a Manado, in Indonesia, nel 2011 e a Bogotá, in Colombia, nel 2018. Un altro importante incontro del Gcf ha avuto luogo a Tirana, in Albania, nel 2015 per affrontare il tema della persecuzione, della discriminazione e del martirio dei cristiani nel mondo di oggi. Il cardinale Kurt Koch, presidente del Pcpuc, che guidava la delegazione cattolica, ha consegnato un messaggio incoraggiante ai partecipanti da parte di Papa Francesco. Senza dubbio il processo del Gcf può essere riconosciuto come un passo significativo compiuto dai cristiani nel loro cammino ecumenico verso la piena unità visibile.

La Conferenza dei segretari delle Comunioni cristiane mondiali

Un altro aspetto dell’ecumenismo multilaterale in cui è impegnata la Chiesa cattolica è la Conferenza dei segretari delle Comunioni cristiane mondiali, un incontro annuale che riunisce i segretari generali di diverse Comunioni cristiane e rappresentanti di alcune organizzazioni ecumeniche internazionali. La Chiesa cattolica è rappresentata dal segretario del Pcpuc. La Conferenza si riunisce ogni anno in autunno in un paese diverso, ospitata da una Chiesa sempre diversa. È un forum informale volto allo scambio di informazioni, che offre orientamenti al movimento ecumenico e promuove la crescita della comunione interecclesiale. I partecipanti presentano relazioni scritte su eventi importanti riguardanti le loro rispettive Comunioni e forniscono un aggiornamento sui dialoghi bilaterali e multilaterali in cui esse sono impegnate. La Conferenza non approva risoluzioni e non rilascia dichiarazioni pubbliche. Riunendosi senza interruzione dal momento della sua fondazione nel 1957, la Conferenza ha contribuito in modo significativo a creare uno spirito di fiducia e di collaborazione tra i dirigenti delle Chiese e tra le rispettive tradizioni, e a rafforzare la coerenza del movimento ecumenico in tutto il mondo. L’incontro del 2019 si è tenuto a Christiansfeld, in Danimarca, ed è stato ospitato dalla Chiesa morava.

di Andrzej Choromanski
Officiale della sezione occidentale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

Scuola. Prof di religione, i sindacati: bandire un nuovo concorso

(Ap)

Nel confronto tra sindacati della scuola e ministero dell’Istruzione irrompe anche il caso della mancata copertura di tutte le cattedre di ruolo previste per l’insegnamento della religione cattolica (Irc) nella scuola italiana.

Una questione che coinvolge potenzialmente alcune migliaia di docenti attualmente con contratto a tempo determinato e che lunedì è stata al centro di un incontro che i sindacati confederali (Cisl-scuola, Flc Cgil, Uil Scuola Rua) e di categoria (Fgu Snadir) hanno avuto con il responsabile del Servizio Nazionale per l’Irc della Cei don Daniele Saottini.

La legge 186/2003, che norma il reclutamento degli insegnanti di religione, mette a concorso il 70% delle circa 24mila cattedre previste in organico. Così è stato fatto nel 2004 e tutti i posti di ruolo sono stati assegnati. Da allora, però, sono passati 15 anni e nessun ministro dell’Istruzione ha bandito i concorsi ordinari previsti ogni tre anni dalla legge.

Nel frattempo dei circa 17mila docenti di ruolo molti hanno raggiunto la pensione o hanno lasciato la cattedra per altri motivi, lasciandone scoperte (come titolari di ruolo) circa 4.500. È proprio partendo da questo dato che i sindacati stanno da anni lavorando e hanno deciso di tornare ancora una volta alla carica con il ministero dell’Istruzione perché vi sia un intervento che porti alla copertura delle cattedre di ruolo.

Sul tavolo, come i sindacati hanno illustrato anche al responsabile Cei del Servizio nazionale, vi sono tre possibili strade: un concorso ordinario, un concorso riservato da costruire attraverso una nuova normativa, oppure l’inserimento di una specifica disposizione in aggiunta al piano di stabilizzazione di 50mila precari della scuola che si sta elaborando.

La prima strada è quella prevista dalla stessa legge: appare la più rapida e sembra la via più ‘gradita’ al ministero di viale Trastevere, ma non piace per nulla ai sindacati perché non valorizza adeguatamente i docenti che insegnano da tanti anni.

Si potrebbe, come pare preferisca il fronte sindacale, fare invece un concorso riservato a tutti coloro che, in possesso dei titoli di studi previsti e dell’idoneità riconosciuta dal vescovo diocesano, abbiano insegnato da molti anni sempre con un contratto annuale e non di ruolo. Su questa proposta sono state presentate anche delle proposte di legge, ma le tempistiche per la loro approvazione appaiono molto incerte.

La terza e ultima via, forse rapida ma per nulla facile, è rappresentata dall’inserimento di un capitolo ad hoc nel piano di sistemazione di oltre 50mila precari della scuola, magari facendo riferimento a coloro che hanno già maturato i 36 mesi di servizio con contratto a tempo determinato, che secondo le normative del mondo del lavoro dovrebbero portare all’assunzione a tempo indeterminato (nel caso della scuola, a quello di ruolo).

Da parte sua, il Servizio nazionale per l’insegnamento della religione cattolica nella scuola svolge solo un ruolo di osservatore e garante. Infatti, la questione del bando vede come attori protagonisti il ministero e i sindacati, mentre il Servizio Irc della Cei non partecipa al tavolo di confronto, ma ha solo una funzione esterna di consiglio e sostegno. «Certo da parte nostra – commenta don Saottini responsabile del Servizio Nazionale – ci auguriamo che, come prevede la legge 186/2003, venga rispettato l’obbligo di mettere a concorso i posti di ruolo scoperti». Al di là della scelta che sarà presa nel confronto tra sindacati e ministero, «la Cei si augura che si possa trovare una soluzione condivisa in tempi rapidi, evitando di penalizzare ulteriormente i docenti e la stessa disciplina dell’Irc». Un auspicio, a dire il vero, che negli ultimi tre lustri è andato deluso, visto che nessuno dei ministri che si sono succeduti alla guida dell’Istruzione ha dato attuazione ai concorsi triennali previsti per legge. Tuttavia don Saottini osserva che «questa speranza si fonda sulla disponibilità e sull’impegno che mostrano tutti i protagonisti per poter arrivare presto ad una positiva soluzione, per il bene di tanti docenti che con passione continuano a far apprezzare una materia a volte molto penalizzata come è l’Irc».

Cei. Ora di religione, in ascolto dei giovani

Ecco il testo del Messaggio diffuso dalla Presidenza della Conferenza episcopale italiana all’approssimarsi della scelta da parte delle famiglie e dei ragazzi di avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2019-2020.

Cari studenti e cari genitori,

si avvicina la scadenza per le iscrizioni al prossimo anno scolastico 2019-20, occasione nella quale sarete chiamati anche a scegliere se avvalervi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (Irc).
Frutto della revisione del Concordato del 1984, questo insegnamento si è ormai consolidato come apprezzata componente del curricolo scolastico ed è scelto da una maggioranza ancora cospicua di studenti e famiglie, che vi trovano risposta soprattutto in termini di formazione personale, di proposta educativa e di approfondimento culturale.
Nel cercare di rispondere sempre meglio a tali aspettative, gli insegnanti di religione cattolica potranno trovare ulteriori e importanti sollecitazioni dal Sinodo dei vescovi che si è concluso nelle scorse settimane e che è stato dedicato proprio ai giovani, cui la Chiesa intende rivolgere un’attenzione sempre maggiore.
Tra le numerose tematiche discusse, ci sembra importante evidenziare il richiamo legato alla domanda di ascolto che viene dal mondo giovanile. Scrivono infatti i vescovi: «I giovani sono chiamati a compiere continuamente scelte che orientano la loro esistenza; esprimono il desiderio di essere ascoltati, riconosciuti, accompagnati. Molti sperimentano come la loro voce non sia ritenuta interessante e utile in ambito sociale ed ecclesiale. In vari contesti si registra una scarsa attenzione al loro grido, in particolare a quello dei più poveri e sfruttati, e anche la mancanza di adulti disponibili e capaci di ascoltare» (Documento finale, 27 ottobre 2018, 7).
Tale richiamo può e deve interessare tutto il mondo della scuola, ma al suo interno l’Irc intende essere proprio un’occasione di ascolto delle domande più profonde e autentiche degli alunni, da quelle più ingenuamente radicali dei piccoli a quelle talora più impertinenti degli adolescenti. Le indicazioni didattiche in vigore per l’Irc danno ampio spazio a queste domande; a loro volta, gli insegnanti di religione cattolica sono preparati all’ascolto, presupposto per sviluppare un confronto serio e culturalmente fondato.
Il Sinodo ha anche constatato che, «se per molti giovani Dio, la religione e la Chiesa appaiono parole vuote, essi sono sensibili alla figura di Gesù, quando viene presentata in modo attraente ed efficace. In tanti modi anche i giovani di oggi ci dicono: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21), manifestando così quella sana inquietudine che caratterizza il cuore di ogni essere umano: l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore» (50).
L’Irc è il luogo più specifico in cui, nel rigoroso rispetto delle finalità della scuola, si può affrontare un discorso su Gesù. Come insegna papa Francesco, non si tratta di fare proselitismo, ma di offrire un’occasione di confronto per lasciare che ognuno possa, nell’intimo della propria coscienza, trovare risposte convincenti.
Ci auguriamo che anche quest’anno siano numerosi gli alunni che continueranno a fruire di tale offerta educativa, finalizzata ad accompagnare e sostenere la loro piena formazione umana e culturale.

Roma, 18 dicembre 2018

La Presidenza della Conferenza episcopale italiana

da Avvenire

Religione. Ravasi esplora tutti i giovani della Bibbia

da Avvenire

Andrea Mantegna, “Presentazione al tempio” (1455)

Andrea Mantegna, “Presentazione al tempio” (1455)

La parola più usata nell’Antico Testamento? Dopo il nome divino Jhwh (“Jahweh”) è ben, vale a dire “figlio”. Ce lo ricorda il cardinale Gianfranco Ravasi nel volume Cuori inquieti. I giovani nella Bibbia, pubblicato in occasione del Sinodo dei giovani voluto da papa Francesco. «La Bibbia – commenta il biblista, presidente del Pontificio consiglio della Cultura – è per certi versi un libro di figli buoni e cattivi che vedono alla fine entrare in scena in mezzo a loro il Figlio per eccellenza, Gesù Cristo». E osserva che il vocabolo ben deriva dal verbo ebraico banah,che significa “costruire, edificare”. «La casa infatti – spiega – cresce con le pareti, fatte di pietre vive e protese verso l’alto e il futuro, che sono i figli». Ed è pieno di episodi biblici in cui i figli si confrontano con i padri (da Isacco e Abramo al figliol prodigo), o i fratelli spesso litigano fra loro (da Caino e Abele alla vicenda rocambolesca di Giuseppe), questo libro che cerca di porre in rapporto gli eventi raccontati in quello che è stato giustamente definito il Grande Codice della cultura occidentale e il mondo di oggi, caratterizzato dal motto “digito, ergo sum”.

I nostri adolescenti, che trascorrono cinque ore almeno della loro giornata davanti al computer, comunicano in modo assai differente rispetto agli adulti e agli anziani, più abituati al dialogo vis-à-vis. Non a caso Ravasi cita la nota espressione di papa Giovanni: «Voi dite sui vecchi le stesse cose che dicevamo noi da ragazzi. È giusto. Ma un giorno altri ragazzi diranno lo stesso di voi». Ma, aggiunge il cardinale, «noi della generazione precedente trasmettiamo, con la nostra indifferenza, con le nostre prediche moralistiche, con l’assenza dei valori genuini, rami secchi che i giova- ni rigettano e non possono far rinverdire. Si crea, così, una sorta di deserto comune in cui ci trasciniamo». Per questo non bisogna mai smettere di rimarcare, in questi dialogo fra nuove e vecchie generazioni, che nell’animo dei giovani rimane sempre un’inquietudine positiva. Come ha detto l’attuale pontefice in un videomessaggio del luglio 2016 al raduno ecumenico “Insieme” di Washington: «So che c’è qualcosa, nei vostri cuori, che vi rende inquieti, perché un giovane che non è inquieto è un vecchio».

La parte più intensa del volume è quella dedicata a Gesù giovane. Servendosi dei pochi cenni che emergono dai Vangeli e rinunciando alle suggestioni di quelli Apocrifi, Ravasi ci ricorda che Gesù non è stato solo bambino ma anche adolescente e giovane, morendo poco più che trentenne, un’età che oggi consideriamo giovanile. Nel ritratto che emerge tutto parte dalla linea di demarcazione dell’episodio di Gesù dodicenne al tempio tra i dottori, «una sorta di bar-mizvah» che nella cultura giudaica significava l’ingresso nella giovinezza, con l’ammissione al culto e all’osservanza della Torah. Il piccolo saggio dedicato a Gesù consente di puntualizzare varie questioni aperte, dal mestiere che egli praticava (falegname o carpentiere?) alle lingue che parlava (aramaico, ebraico e anche greco?), se egli sapesse leggere e scrivere, sino al fatto se avesse fratelli o sorelle o se fosse sposato. Come accennato, Ravasi ricostruisce molte vicende delle Scritture in cui i giovani si confrontano con i vecchi, come nel caso di Salomone, il re famoso per la sua saggezza, e del figlio Roboamo, non solo inesperto ma del tutto incapace di governare. Solo la vera sapienza e lungimiranza possono costituire la stoffa del buon uomo politico e «non è automatico indizio di buon governo né un sovrano di lungo corso né un giovane e aitante innovatore ».

Per ricordarci la maledizione del profeta Isaia che riferiva questo oracolo divino: «Io metterò come loro capi dei ragazzi, dei monelli li domineranno»: ad una classe politica sprecona spesso finisce per succederne una del tutto incapace e arrogante. Ai nostri ragazzi portati ad avere rapporti amorosi spesso fugaci, il libro porta l’esempio supremo del Cantico dei Cantici: il poemetto insegna la verità autentica sulla relazione interpersonale, a partire da tre elementi. Il primo è la corporeità, che si esprime anche nella sessualità, «celebrata come un dono divino di attrazione e fecondità». Al secondo posto viene l’eros, che in questo libro biblico sta per «tenerezza, bellezza, fascino, sentimento, passione». L’ultimo anello è rappresentato dall’amore, nel quale i due protagonisti del Cantico «si donano nella totalità dell’essere ». Concetto ben illustrato dalla citazione di un altro testo famosissimo, Il Profeta del poeta libanese Gibran: «Amatevi l’un l’altro ma non fate dell’amore una catena: lasciate piuttosto che vi sia un mare in movimento tra i lidi delle vostre anime… Siete nati insieme e insieme sarete in eterno. Sarete insieme anche quando le ali bianche della morte disperderanno i vostri giorni. Sarete insieme anche nella silenziosa memoria di Dio».

Curiosità la religione si fa videogioco

«Insegno religione in una scuola secondaria di primo grado. Una materia opzionale. Dispongo di un’ora alla settimana e rischio che l’anno dopo i ragazzi non tornino». A parlare è Luca Paolini, insegnante alla scuola media statale G. Borsi di Livorno, dove l’affluenza è già ampiamente multietnica e multireligiosa. Il vero problema in un contesto del genere non è differenziarsi bensì confrontarsi – salvo qualche timida eccezione – con il vuoto generalizzato delle nozioni in materia religiosa.

Paolini – che è anche un blogger ben noto col suo Religione 2.0 (religione20.net) – è di quelli che credono nell’”imparare facendo”, cioè nelle sviluppo di quelle competenze che aiutano i ragazzi a non restare confinati nell’apprendimento teorico. Nell’era digitale la capacità di attenzione e di concentrazione sono in crisi. Le lezioni frontali non bastano. Ci vuole altro.

E questo “altro”, per Paolini – ma anche per altri docenti italiani che si confrontano su Facebook e su vari blog –, può anche essere un videogioco. E non uno qualsiasi. Stiamo parlando di Minecraft, mondo virtuale inventato nel 2009 dallo svedese Markus Persson e poi pubblicato da Mojang. Si tratta di un universo costituito da blocchi modellabili, una sorta di Lego virtuale. All’interno di Minecraft si può esplorare da soli o insieme, interagire con animali, piante e persone, trovare oggetti e costruirne altri, combattere o muoversi pacificamente.
Per queste sue caratteristiche versatili e libere il gioco ha avuto un successo strepitoso. Microsoft ne ha acquistato la proprietà, a fine 2014, per la bella cifra di due miliardi e mezzo di dollari.
«Secondo me – spiega Paolini – Minecraft è il terreno ideale non soltanto per giocare ma anche per farsi domande, inventare, scoprire». Nell’anno scolastico in corso questa opinione si è tradotta in un originale progetto di studio della religione a partire dalla “costruzione virtuale” di luoghi religiosi: dall’arca di Noè a Gerusalemme, dalle catacombe romane alla basilica di San Pietro.

Lo scopo è duplice. Da un lato si adotta un linguaggio che i ragazzi – allievi dagli 11 ai 13 anni – conoscono, comprendono e apprezzano, e con questo si colma una prima distanza: Minecraft diventa un “luogo comune”, una piazza digitale dov’è interessante andare. Dall’altro lato, il percorso didattico va dalla costruzione di luoghi all’apprendimento delle ragioni, dei simboli, delle vite che si conducevano – o tuttora si conducono – in relazione a quei luoghi. «I ragazzi devono documentarsi e poi sforzarsi di costruire l’edificio che gli è stato assegnato o che hanno deciso: questo richiede andare sul Web, studiare, capire e poi realizzare un modello in 3D con i blocchi disponibili». E qui scatta il passo avanti che Paolini ha immaginato: se costruisci catacombe poi t’interessa sapere perché alcuni le abitavano e ci morivano; se allestisci il tempio-tenda degli ebrei nel deserto sei stimolato a comprendere gli usi e le credenze di quel popolo; se edifichi la basilica vaticana allora san Pietro è un personaggio che t’incuriosisce.

A pensarci, non siamo poi così lontani dall’iconografia “catechistica” medievale: là erano affreschi, qua sono costruzioni disegnate in un mondo di gioco. Un angolo della nuova agorà. Il metodo, a quanto pare, funziona: non soltanto gli allievi si sono interessati ma hanno dedicato tempo a casa per gli elaborati, condotti a volte da soli e a volte in gruppo; altri compagni che non frequentavano l’ora di religione hanno deciso di farlo l’anno prossimo.
A quell’epoca sarà entrata in scena anche la nuova versione multigiocatore ed educational di Minecraft, che Microsoft ha annunciato per l’estate prossima (ci si può informare al proposito sul sito dedicato: education.minecraft.net).

Avvenire