«Dio non è una polizza assicurativa contro il rischio»: la Quaresima secondo don Tonino

S’intitola il Decalogo di don Tonino Bello per essere uomini fino in fondo e santi fino in cima il messaggio del vescovo della diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca Vito Angiuli in occasione della Quaresima di quest’anno segnata dal drammatico conflitto in Ucraina. Ecco il testo integrale:

Caro/a amico/a,

questo messaggio ti giunge mentre venti di guerra soffiano in Europa. In questo drammatico scenario, gli insegnamenti di don Tonino Bello appaiono di una rilevanza ancora maggiore. Lasciati attirare dal suo luminoso esempio di vita e compi un intenso cammino quaresimale per invocare la pace e rafforzare lo stile sinodale della nostra Chiesa particolare.

La Quaresima di quest’anno è illuminata dall’annuncio della venerabilità di don Tonino Bello. Abbiamo gioito e celebrato l’evento, ora dobbiamo più intensamente imitarne l’esempio. La Quaresima è il tempo opportuno per intensificare quanto siamo chiamati a vivere tutto l’anno. È il cammino di conversione e di rinnovamento da percorrere “seguendo le orme di Cristo”. Ora possiamo anche dire: seguendo le orme di don Tonino. Con la sua vita, egli ci ha additato l’umanità di Cristo come modello insuperabile da tenere fisso davanti ai nostri occhi per realizzare in noi “l’uomo perfetto”. Guardando a lui saremo raggianti, purificheremo i nostri sensi materiali e spirituali e così, finalmente, vedremo “l’uomo nuovo”, fatto a sua immagine e somiglianza e modelleremo la nostra umanità in un continuo movimento di conformazione a Cristo e di trasfigurazione in lui. Per realizzare tale cammino, don Tonino ci suggerisce di vivere questi “esercizi spirituali” quaresimali.

1. Tendi l’orecchio per ascoltare

Il primo esercizio è ascoltare, compito fondamentale anche del cammino sinodale. Ascoltare vuol dire tendere gli orecchi a Dio che parla nel cuore e all’uomo che parla nella vita. Essenziale è avere un cuore docile cioè «in ascolto» (1Re 3,9) sostando davanti «al Signore del tabernacolo e al tabernacolo del Signore» (A. Bello, Il tabernacolo del Signore. Ai piedi della croce). Se rimani in silenzio udrai la Voce silenziosa e possente del Dio ineffabile e inaccessibile e quella flebile e straziante dell’uomo che grida la sua sofferenza e il suo dolore. Taci, ascolta il silenzio adorante del mistero di Dio e il silenzio di condivisione e compassione delle domande dell’uomo. Nell’umile acconsentimento alla Parola di Dio e in risposta d’amore alle necessità del fratello, la preghiera si farà azione e l’azione si trasforma in contemplazione.

2. Purifica gli occhi per vedere e discernere

Come il saggio, devi avere «gli occhi in fronte» (Qo 2,14) per fissare il tuo sguardo su Cristo e guardare con gli occhi di Cristo. Dovrai avere «la mira puntata sul principio di tutto, su Cristo, virtù assoluta e perfetta in ogni sua parte, e quindi sulla verità, sulla giustizia, sull’integrità; su ogni forma di bene» (Gregorio di Nissa, Omelie sull’Ecclesiaste, 5). Dovrai anche avere «occhi per vedere le necessità dei fratelli» (Preghiera eucaristica V4). A fare problema – scrive don Tonino -non sono le “muove povertà”, ma gli “occhi nuovi” che ci mancano e ci impediscono di vedere non solo le miserie nuove “provocate” dagli occhi antichi, ma anche quelle che dagli occhi sono “tollerate” o vengono “rimosse” (cfr. vol. II, 408-410, pp. 396-397). Avere “gli occhi in fronte” vuol dire scrutare i segni dei tempi (cfr. II, 331-339, pp. 285-296).

3. Apri la bocca per pregare, annunciare e insegnare

Preghiera, annuncio e insegnamento scaturiscono dall’obbedienza al comandamento di Dio: «Apri la tua bocca, la voglio riempire» (Sal 80,11). È Dio a mettere sulla tua «bocca un canto nuovo» (Sal 39,4). Solo allora la recita dei salmi si aprirà alla grazia della preghiera, passando dalla ripetizione delle parole, alla meditazione della mente fino a giungere alla sapienza del cuore. Dall’abbondanza del cuore (ex abundantia cordis) sgorgherà l’annuncio e l’insegnamento. Le parole ripetute accorderanno la lingua e il cuore (san Benedetto, «mens nostra concordet voci nostrae», Reg 19,7) e proclameranno le meraviglie del Signore. Quando si imprimeranno nel silenzio della tua anima, ti accompagneranno per tutto il giorno e per giorni interi, fin quando non ci sarà più bisogno di recitazione e di ripetizione, perché entrerai nel silenzio di una preghiera senza parole e sperimenterai il santo timor di Dio. Prega dunque: «Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode» (Sal 50,17). La tua parola si farà fecondo annuncio, l’insegnamento sarà carico di sapienza, la supplica si volgerà in domanda, la domanda si trasformerà in invocazione e l’invocazione esploderà nel rendimento di grazie.

4. Lascia che la bellezza della liturgia scavi il tuo cuore

Il mistero irrompe per viam pulchritudinis, attraverso segni sensibili colmi di bellezza, quali sono le azioni liturgiche. «La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi» (Evangelii gaudium, 24). L’esperienza liturgica avviene attraverso il regime dei segni (cfr. Sacrosanctum Concilium, 7), secondo la linea che va dall’Incarnazione alla celebrazione: «Quanto del nostro Redentore era visibile è passato nei sacramenti» (Leone Magno, De Ascensione Domini II, 2). La bellezza «non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ma è elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione» (Sacramentum caritatis, 35). È la bellezza di Cristo, del suo Vangelo, dei suoi misteri, della sua morte e risurrezione, della sua presenza viva che rende bella, buona, desiderabile, attraente, l’azione liturgica. Si va dunque dalla bellezza del mysterium Christi alla bellezza dell’azione che lo rende sacramentalmente presente. L’invisibile si rende visibile e scava nel tuo cuore un pozzo profondo di luce e di pace in cui, come in un riflesso, il mistero si vede, si guarda e si contempla. Risuona così il fascino dell’imperativo: «Seguimi!» (Mt 9,9) a cui fa eco la tua pronta risposta: «Eccomi, manda me» (Is 6,8).

5. Apprendi la sapienza della vita

Seguire Cristo vuol dire imparare la sapienza della vita (cfr. Sir 1,1-22). Nessun cammino di fede è senza prove. La tentazione non è un incidente di percorso, ma è parte integrante del discepolato; è un’interruzione, l’apertura di una faglia, una ferita, una “frattura instauratrice” (Michel de Certau). Ma proprio quando lo scorrere lineare e prevedibile del cammino si fa incerto, se non impossibile, quando i conti non tornano, gli ideali sfioriscono e le aspirazioni evaporano, Dio irrompe per trasformare il chronos in kairos; non un tempo da cui fuggire, ma un evento da abitare e da vivere sotto l’azione dello Spirito che spinge nel deserto e, in quel luogo impervio e difficile, entra dolcemente e impetuosamente come difensore e liberatore, per consolare con la tenerezza affettuosa di una madre e mostrare la premurosa vicinanza e delicatezza di un amico. Devi accettare la durezza resistente e respingente della realtà. Non sempre “quello che capita” coincide con ciò che desideri, né puoi sapere in anticipo se sarà foriero di realtà positive o di nuove ostilità. Prudenza, pazienza e perseveranza sono le virtù dei forti e dei coraggiosi. Fidati e affidati a Dio, non come se fosse una polizza assicurativa contro il rischio e neppure come una scommessa frettolosa e sconsiderata, ma come segno affettuoso di chi, senza “rete di protezione”, si getta nelle braccia dell’amato, sorretto solo da un’illimitata fiducia in lui, nella serena certezza che, anche se è nascosto e invisibile, il Signore è ti vicino e ti accoglierà con la dolce forza del suo amore misericordioso.

Il Servo di Dio don Tonino Bello (1935-1993) è stato dichiarato venerabile il 25 novembre scorso

6. Gusta le gioie genuinamente umane

Lo sconvolgente messaggio del Concilio Vaticano II è «“gustare le gioie genuinamente umane”. Per quanto limitate e forse anche banali, esse faranno battere il tuo cuore. Queste gioie «non sono snobbate da Dio, né fanno parte di un repertorio scadente che abbia poco da spartire con la gioia pasquale del Regno. La felicità per la nascita di un amore, per un incontro che ti cambia la vita, per una serata da trascorrere con gli amici, per una notizia sospirata da tempo, per l’arrivo di una creatura che riempie la casa di luce, per il ritorno del padre lontano, per una promozione che non ti aspettavi, per la conclusione a lieto fine di una vicenda che ti ha fatto a lungo penare… questa felicità fa corpo con quella che sperimenteremo nel Regno. È la gioia che ci proietta nell’eternità. È la gioia che proveremo nel cielo, molto più grande dell’estasi che ti coglie davanti alle montagne innevate, alle trasparenze di un lago, alle spume del mare, al mistero delle foreste, ai colori dei prati, ai profumi dei fiori, alle luci del firmamento, ai silenzi notturni, all’incanto dei meriggi, al respiro delle cose, alle modulazioni delle canzoni, o al fascino dell’arte» (III, 229-230, n. 151- 152).

7. Stendi le mani per abbracciare e accarezzare

Anche le mani hanno una loro intelligenza. L’esperienza tattile è la prima lettura della realtà che ci circonda, solo successivamente si impara a vedere e a correggere le imprecisioni della vista. Il tatto è il senso più complesso perché non riguarda un organo preciso come gli altri sensi. È il più compromettente, perché è prossimità, relazione, confidenza. È il più umano e il più mistico dei sensi. Il suo è un linguaggio non verbale che puoi utilizzare istintivamente per manifestare i tuoi sentimenti, per far sentire a chi ti sta vicino l’amore che nutri. Toccare significa comprendere, conoscere se stessi e il mondo e rafforzare l’autostima, la sicurezza, il conforto della compagnia. A differenza degli idoli, anche Gesù non teme il contatto con le malattie e le impurità, anzi si fa toccare dalla sofferenza. La gente tocca Gesù e chiede di essere toccata, guarita e salvata da lui. Le tue mani siano come le sue: strumenti sensibili capaci accarezzare e di trasmettere amore e accoglienza. Anche il tocco attraverso l’abbraccio ha effetti positivi. Abbracciare è un modo meraviglioso per dare amore a chi ti circonda ed è uno strumento per accarezzare l’anima di chi ti è vicino.

8. Muovi i tuoi piedi sui passi degli ultimi

Non è sufficiente “camminare insieme”. Fondamentale è stare “insieme per camminare”. Solo quando comprendi la gioia di relazionarti con il fratello e la sorella che ti sono accanto il tuo cammino si riempirà di senso e acquisterà un valore più alto, tanto che il fatto stesso di camminare insieme costituirà la prima testimonianza di amore e di fede in Cristo Risorto. Devi camminare “sul passo degli ultimi”. È la logica del Vangelo, il segno eloquente della presenza del Signore nel mondo, il primo visibile modo per testimoniare e mostrare a tutti il Signore che cammina ancora con noi, nel nostro tempo, accanto ai nostri passi (cfr. I, 351-353, pp. 287-289). Da qui l’importanza di vivere con intensità il cammino sinodale.

9. Conta, se puoi, il numero delle stelle

Stupisce la creazione, continuo miracolo e infinita distesa di splendore che si mostra continuamente e silenziosamente sotto i nostri occhi; universo di immensa e sterminata ricchezza di bellezza che sfavilla in mille forme, in mille sfumature e mille gradazioni di luce; cosmo insuperabile di armonia dei suoni e consonanza di colori. «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle!» (Gn 15,5) dice Dio ad Abramo, numerosa è la discendenza che sta per regalargli. Con somma meraviglia egli scoprirà di essere chiamato a diventare “padre di molti popoli” (cfr. A. Bello, Ad Abramo e alla sua discendenza). Anche a te, ogni volta che vuole liberare il tuo sguardo dalla tristezza di rimanere soli, dal dolore di non essere amato da nessuno, dalla paura della sofferenza e della morte, Dio dice: «Conta le stelle!». Se ti eserciti a contare le stelle avrai imparato a spostare la sguardo da te per puntarlo verso la luce divina che non tramonta e risplende in ogni frammento del creato. Dovunque potrai scorgere sprazzi di luce che illuminano non solo il cielo stellato, ma anche gli angoli più oscuri della terra. Guarda tutto il creato, in terra un manto di gemme e, in cielo, un velo azzurro trapunto di mille fulgide stelle. Affacciati anche tu alla finestra della tua vita, non riuscirai a contare tutte le meraviglie che Dio ha operato e continua a realizzare in te e attraverso di te. Scoprirai che «le stelle stanno a guardare (the stars look down)» e brillano «di gioia anche per te» (Bar 3,35).

10. Sogna i sogni dei poveri

Vivere è sognare. Il sogno però, non è fuga in un mondo onirico, ma è entrare nel «teatro dei poveri» (V, 55, p. 55), il luogo dove si consumano le sorti degli ultimi della terra, non nella forma della commedia o della tragedia, ma dell’assunzione di responsabilità. In questo teatro, si impara a sognare «anche per conto terzi» (V, 56, p. 56). Non solo sogni personali, ma “sogni planetari”, non “piccoli sogni”, ma “sogni cosmici e universali”, dove si coltivano le speranze di tutti, i progetti di rinnovamenti globali e di cambiamenti radicali, scenari di un nuovo assetto della società. Farsi solidali con i sogni dei poveri significa anche «interpretare» (VI, 286, pp. 291-292). e imparare a «sognare con essi: perché solo chi sogna può evangelizzare» (VI, 286, p. 292). Se, infatti, «uno sogna da solo, il suo rimane un sogno. Ma se sogna insieme con gli altri, il suo è già inizio della realtà» (V, 58, p. 58).

Famiglia Cristiana

Cei. Il messaggio per la Quaresima 2022: tempo di opportunità di amore creativo

Per il cristiano questo non è semplicemente il tempo segnato dalle restrizioni dovute alla pandemia, è invece un tempo dello Spirito, un tempo di pienezza
Conversione all’ascolto, conversione alla realtà, conversione alla spiritualità

Conversione all’ascolto, conversione alla realtà, conversione alla spiritualità – Archivio Avvenire

Di seguito pubblichiamo il messaggio della presidenza della Cei per la Quaresima 2022.

Carissimo, carissima,
la Quaresima di quest’anno porta con sé tante speranze insieme con le sofferenze, legate ancora alla pandemia che l’intera umanità sta sperimentando ormai da oltre due anni. Per noi cristiani questi quaranta giorni, però, non sono tanto l’occasione per rilevare i problemi quanto piuttosto per prepararci a vivere il mistero pasquale di Gesù, morto e risorto. Sono giorni in cui possiamo convertirci ad un modo di stare nel mondo da persone già risorte con Cristo (cfr. Col 3,1). La Chiesa come comunità e il singolo credente hanno la possibilità di rendere questo tempo un “tempo pieno” (cfr. Gal 4,4), cioè pronto all’incontro personale con Gesù.
Questo messaggio, dunque, vi raggiunge come un invito a una triplice conversione, urgente e importante in questa fase della storia, in particolare per le Chiese che si trovano in Italia: conversione all’ascolto, alla realtà e alla spiritualità.

Conversione all’ascolto
La prima fase del Cammino sinodale ci consente di ascoltare ancora più da vicino le voci che risuonano dentro di noi e nei nostri fratelli. Tra queste voci quelle dei bambini colpiscono con la loro efficace spontaneità: «Non mi ricordo cosa c’era prima del Covid»; «Ho un solo desiderio: riabbracciare i miei nonni». Arrivano al cuore anche le parole degli adolescenti: «Sto perdendo gli anni più belli della mia vita»; «Avevo atteso tanto di poter andare all’università, ma adesso mi ritrovo sempre davanti a un computer». Le voci degli esperti, poi, sollecitano alla fiducia nei confronti della scienza, pur rilevando quanto sia fallibile e perfettibile. Siamo raggiunti ancora dal grido dei sanitari, che chiedono di essere aiutati con comportamenti responsabili. E, infine, risuonano le parole di alcuni parroci, insieme con i loro catechisti e collaboratori pastorali, che vedono diminuite il numero delle attività e la partecipazione del popolo, preoccupati di non riuscire a tornare ai livelli di prima, ma nello stesso tempo consapevoli che non si deve semplicemente sognare un ritorno alla cosiddetta “normalità”.
Ascoltare in profondità tutte queste voci anzitutto fa bene alla Chiesa stessa. Sentiamo il bisogno di imparare ad ascoltare in modo empatico, interpellati in prima persona ogni volta che un fratello si apre con noi. Nella Bibbia è anzitutto Dio che ascolta il grido del suo popolo sofferente e si muove con compassione per la sua salvezza (cfr. Es 3,7-9). Ma poi l’ascolto è l’imperativo rivolto al credente, che risuona anche sulla bocca di Gesù come il primo e più grande dei comandamenti: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore» (Mc 12,29; cfr. Dt 6,4). A questo tipo di ascolto la Scrittura lega direttamente l’amore verso i fratelli (cfr. Mc 12,31). Leggere, meditare e pregare la Parola di Dio significa preparare il cuore ad amare senza limiti.
L’ascolto trasforma dunque anzitutto chi ascolta, scongiurando il rischio della supponenza e dell’autoreferenzialità. Una Chiesa che ascolta è una Chiesa sensibile anche al soffio dello Spirito. In questo senso, può essere utile riprendere quanto il Consiglio Episcopale Permanente scriveva nel messaggio agli operatori pastorali, lo scorso settembre: «L’ascolto non è una semplice tecnica per rendere più efficace l’annuncio; l’ascolto è esso stesso annuncio, perché trasmette all’altro un messaggio balsamico: “Tu per me sei importante, meriti il mio tempo e la mia attenzione, sei portatore di esperienze e idee che mi provocano e mi aiutano a crescere”. Ascolto della Parola di Dio e ascolto dei fratelli e delle sorelle vanno di pari passo. L’ascolto degli ultimi, poi, è nella Chiesa particolarmente prezioso, poiché ripropone lo stile di Gesù, che prestava ascolto ai piccoli, agli ammalati, alle donne, ai peccatori, ai poveri, agli esclusi».

Questa prima conversione implica un atteggiamento di apertura nei confronti della voce di Dio, che ci raggiunge attraverso la Scrittura, i fratelli e gli eventi della vita. Quali ostacoli incontra ancora l’ascolto libero e sincero da parte della Chiesa? Come possiamo migliorare nella Chiesa il modo di ascoltare?

Conversione alla realtà
«Quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4). Con queste parole Paolo annuncia il mistero dell’incarnazione. Il Dio cristiano è il Dio della storia: lo è a tal punto, da decidere di incarnarsi in uno spazio e in un tempo precisi. Impossibile dire cosa abbia visto Dio di particolare in quel tempo preciso tanto da eleggerlo come il momento adatto per l’incarnazione. Di certo la presenza del Figlio di Dio tra noi è stata la prova definitiva di quanto la storia degli uomini sia importante agli occhi del Padre.
L’epoca in cui Gesù è vissuto non si può certo definire l’età dell’oro: piuttosto la violenza, le guerre, la schiavitù, le malattie e la morte erano molto più invasive e frequenti nella vita delle persone di quanto non lo siano oggi. In quell’epoca e in quella terra si moriva certo di più e con maggiore drammatica facilità di quanto non avvenga oggi. Eppure in quel frangente della storia umana, nonostante le sue ombre, Dio ha visto e riconosciuto “la pienezza dei tempi”.
L’ancoraggio alla realtà storica caratterizza dunque la fede cristiana. Non cediamo alla tentazione di un passato idealizzato o di un’attesa del futuro dal davanzale della finestra. È invece urgente l’obbedienza al presente, senza lasciarsi vincere dalla paura che paralizza, dai rimpianti o dalle illusioni. L’atteggiamento del cristiano è quello della perseveranza: «Se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8,25). Questa perseveranza è il comportamento quotidiano del cristiano che sostiene il peso della storia (cfr. 2Cor 6,4), personale e comunitaria.
Nei primi mesi della pandemia abbiamo assistito a un sussulto di umanità, che ha favorito la carità e la fraternità. Poi questo slancio iniziale è andato via via scemando, cedendo il passo alla stanchezza, alla sfiducia, al fatalismo, alla chiusura in sé stessi, alla colpevolizzazione dell’altro e al disimpegno. Ma la fede non è una bacchetta magica. Quando le soluzioni ai problemi richiedono percorsi lunghi, serve pazienza, la pazienza cristiana, che rifugge da scorciatoie semplicistiche e consente di restare saldi nell’impegno per il bene di tutti e non per un vantaggio egoistico o di parte. Non è stata forse questa “la pazienza di Cristo” (2Ts 3,5), che si è espressa in sommo grado nel mistero pasquale? Non è stata forse questa la sua ferma volontà di amare l’umanità senza lamentarsi e senza risparmiarsi (cfr. Gv 13,1)?
Come comunità cristiana, oltre che come singoli credenti, dobbiamo riappropriarci del tempo presente con pazienza e restando aderenti alla realtà. Sentiamo quindi urgente il compito ecclesiale di educare alla verità, contribuendo a colmare il divario tra realtà e falsa percezione della realtà. In questo “scarto” tra la realtà e la sua percezione si annida il germe dell’ignoranza, della paura e dell’intolleranza. Ma è questa la realtà che ci è data e che siamo chiamati ad amare con perseveranza.

Questa seconda conversione riguarda allora l’impegno a documentarsi con serietà e libertà di mente e a sopportare che ci siano problemi che non possono essere risolti in breve tempo e con poco sforzo. Quali rigide precomprensioni impediscono di lasciarsi convincere dalle novità che vengono dalla realtà? Di quanta pazienza è capace il cuore dei credenti nel costruire soluzioni per la vita delle persone e della società?

Conversione alla spiritualità
Restare fedeli alla realtà del tempo presente non equivale però a fermarsi alla superficie dei fatti né a legittimare ogni situazione in corso. Si tratta piuttosto di cogliere “la pienezza del tempo” (Gal 4,4) ovvero di scorgere l’azione dello Spirito, che rende ogni epoca un “tempo opportuno”.
L’epoca in cui Gesù ha vissuto è stata fondamentale per via della sua presenza all’interno della storia umana e, in particolare, di chi entrava in contatto con lui. I suoi discepoli hanno continuato a vivere la loro vita in quel contesto storico, con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti: ma la sua compagnia ha modificato il modo di essere nel mondo. Il Maestro di Nazaret ha insegnato loro a essere protagonisti di quel tempo attraverso la fede nel Padre misericordioso, la carità verso gli ultimi e la speranza in un rinnovamento interiore delle persone. Per i discepoli è stato Gesù a dare senso a un’epoca che altrimenti avrebbe avuto ben altri criteri umani per essere giudicata.
Dopo la sua morte, dall’assenza fisica di Gesù è fiorita la vita eterna del Risorto e la presenza dello Spirito nella Chiesa: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani» (Gv 14,16-18; cfr. At 2,1-13). Lo Spirito domanda al credente di considerare ancora oggi la realtà in chiave pasquale, come ha testimoniato Gesù, e non come la vede il mondo. Per il discepolo una sconfitta può essere una vittoria, una perdita una conquista. Cominciare a vivere la Pasqua, che ci attende al termine del tempo di Quaresima, significa considerare la storia nell’ottica dell’amore, anche se questo comporta di portare la croce propria e altrui (cfr. Mt 16,24; 27,32; Col 3,13; Ef 4,1-3).
Il Cammino sinodale sta facendo maturare nelle Chiese in Italia un modo nuovo di ascoltare la realtà per giudicarla in modo spirituale e produrre scelte più evangeliche. Lo Spirito infatti non aliena dalla storia: mentre radica nel presente, spinge a cambiarlo in meglio. Per restare fedeli alla realtà e diventare al contempo costruttori di un futuro migliore, si richiede una interiorizzazione profonda dello stile di Gesù, del suo sguardo spirituale, della sua capacità di vedere ovunque occasioni per mostrare quanto è grande l’amore del Padre.
Per il cristiano questo non è semplicemente il tempo segnato dalle restrizioni dovute alla pandemia: è invece un tempo dello Spirito, un tempo di pienezza, perché contiene opportunità di amore creativo che in nessun’altra epoca storica si erano ancora presentate.

Forse non siamo abbastanza liberi di cuore da riconoscere queste opportunità di amore, perché frenati dalla paura o condizionati da aspettative irrealistiche. Mentre lo Spirito, invece, continua a lavorare come sempre. Quale azione dello Spirito è possibile riconoscere in questo nostro tempo? Andando al di là dei meri fatti che accadono nel nostro presente, quale lettura spirituale possiamo fare della nostra epoca, per progredire spiritualmente come singoli e come comunità credente?

Avvenire