Regina Caeli. Papa Francesco: a Lesbo ho visto tanto dolore

“Ho visto tanto dolore”. Al Regina Caeli in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha parlato con commozione della sua visita di ieri tra i profughi accolti sull’isola greca di Lesbo, condivisa con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e l’arcivescovo ortodosso di Atene, Ieronymos. Il Papa ha anche espresso solidarietà per le vittime del sisma in Ecuador e per quello avvenuto in Giappone qualche giorno fa e ha invocato attenzione per i lavoratori precari dei call center. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Una notte non basta a far sedimentare ciò che mente e cuore hanno assorbito di una giornata di emozioni potenti, che poche volte capita nella vita.

“Ho visto tanto dolore”
La prima cosa che Papa Francesco condivide con la folla dopo la preghiera del Regina Caeli, è l’esperienza vissuta a Lesbo tra profughi di tutte le età, tra gente che lo ha accolto e toccato con meraviglia e commozione, come la personificazione del fatto che non tutti i grandi del mondo, nei loro confronti, sono concentrati su come fare per tenerli il più possibile a distanza, ma che c’è chi è capace di farsi vicino, condividere il loro dramma, portare aiuto:

“Abbiamo visitato uno dei campi dei rifugiati: provenivano dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Africa, da tanti Paesi… Abbiamo salutato circa 300 di questi profughi, uno ad uno. Tutti e tre: il Patriarca Bartolomeo, l’arcivescovo Ieronymos ed io. Tanti di loro erano bambini; alcuni di loro – di questi bambini – hanno assistito alla morte dei genitori e dei compagni; alcuni di loro morti annegati in mare. Ho vito tanto dolore!”

“Quell’uomo piangeva tanto”
Di quel mare di disperazione, Francesco coglie un frammento, una storia di ordinario orrore per chi ha messo in gioco ogni sicurezza pur di lasciare l’inferno che gli è scoppiato attorno:

“Voglio raccontare un caso particolare di un uomo giovane, non ha 40 anni. Lo ho incontrato ieri con i suoi due figli. Lui è musulmano e mi ha raccontato che era sposato con una ragazza cristiana, si amavano e si rispettavano a vicenda; ma purtroppo questa ragazza è stata sgozzata dai terroristi, perché non ha voluto negare Cristo ed abbandonare la sua fede. E’ una martire! E quell’uomo piangeva tanto…”

Preghiera per Ecuador e Giappone
La piazza resta muta, attonita, mentre il Papa passa a esprimere solidarietà agli ecuadoriani della parte settentrionale del Paese – anch’essi vittime di una tragedia, un terremoto violentissimo che ha fatto un’ottantina di morti e centinaia di feriti – così come ai giapponesi di Kumamoto, colpiti dal sisma giovedì scorso. “L’aiuto di Dio e dei fratelli – è la preghiera di Francesco – dia loro forza e sostegno”. Forza che la fede, aveva detto nella riflessione prima del Regina Caeli, trova sempre in Gesù, il Pastore buono celebrato dalla quarta domenica di Pasqua, che nel Vangelo assicura: Io do la vita per le mie pecore “e nessuno le strapperà dalla mia mano”:

“Queste parole ci aiutano a comprendere che nessuno può dirsi seguace di Gesù, se non presta ascolto alla sua voce. E questo “ascoltare” non va inteso in modo superficiale, ma coinvolgente, al punto da rendere possibile una vera conoscenza reciproca, dalla quale può venire una sequela generosa, espressa nelle parole «ed esse mi seguono» (v. 27). Si tratta di un ascolto non solo dell’orecchio, ma un ascolto del cuore!”

Nessuno ci strappa da Gesù
Queste parole, afferma Francesco, “ci comunicano un senso di assoluta sicurezza e di immensa tenerezza. La nostra vita è pienamente al sicuro nelle mani di Gesù e del Padre”:

“Per questo non abbiamo più paura: la nostra vita è ormai salvata dalla perdizione. Niente e nessuno potrà strapparci dalle mani di Gesù, perché niente e nessuno può vincere il suo amore. L’amore di Gesù è invincibile! Il maligno, il grande nemico di Dio e delle sue creature, tenta in molti modi di strapparci la vita eterna. Ma il maligno non può nulla se non siamo noi ad aprirgli le porte della nostra anima, seguendo le sue lusinghe ingannatrici”.

Lavoro, prima la dignità
Durante i saluti finali, il Papa ha ricordato la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni invitando ragazzi e ragazze in Piazza a chiedersi se il Signore non stia chiamandoli a “consacrare la vita al suo servizio”, nel sacerdozio o nella vita religiosa. E accorato è anche l’ultimo appello di Francesco, quando esprime vicinanza “alle tante famiglie preoccupate – dice – per il problema del lavoro”:

“Penso in particolare alla situazione precaria dei lavoratori italiani dei call center: auspico che su tutto prevalga sempre la dignità della persona umana e non gli interessi particolari”.

Radio Vaticana

La visita a Lesbo. La preghiera: liberaci dall’indifferenza

Dio di misericordia,
Ti preghiamo per tutti gli uomini, le donne e i bambini, che sono morti dopo aver lasciato le loro terre in cerca di una vita migliore.
Benché molte delle loro tombe non abbiano nome, da Te ognuno è conosciuto, amato e prediletto.
Che mai siano da noi dimenticati, ma che possiamo onorare il loro sacrificio con le opere più che con le parole.
Ti affidiamo tutti coloro che hanno compiuto questo viaggio, sopportando paura, incertezza e umiliazione, al fine di raggiungere un luogo di sicurezza e di speranza.
Come Tu non hai abbandonato il tuo Figlio quando fu condotto in un luogo sicuro da Maria e Giuseppe, così ora sii vicino a questi tuoi figli e figlieattraverso la nostra tenerezza e protezione.
Fa’ che, prendendoci cura di loro, possiamo promuovere un mondo dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa e dove tutti possano vivere in libertà, dignità e pace.
Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell’indifferenza,apri i nostri occhi alle loro sofferenze e liberaci dall’insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi.
Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui, a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste sono nostri fratelli e sorelle.
Aiutaci a condividere con loro le benedizioni che abbiamo ricevuto dalle tue mani e riconoscere che insieme, come un’unica famiglia umana,siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te, che sei la nostra vera casa, là dove ogni lacrima sarà tersa, dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio.

da Avvenire

Papa Francesco a Lesbo: la diretta «Il mondo risponda alla crisi umanitaria»

​Il Pontefice è arrivato nell’isola poco dopo le 9. Il tweet: sono persone, non numeri. In aereo: incontriamo la catastrofe umanitaria peggiore dalla guerra. Nel campo profughi di Mòria ha salutato i bambini soli e asciugato le lacrime degli adulti. Fonti greche: tornerà in Vaticano con 10 profughi. Le parole di Francesco: non siete soli. Poi la firma della dichiarazione congiunta (IL TESTO): la comunità internazionale agisca subito. I DISCORSI INTEGRALI. Al porto di Mitilene la preghiera e il lancio delle corone dall’alloro per le vittime.
TRE COSE DA SAPERE SUL VIAGGIO | IL PROGRAMMA
Prigione a cielo aperto, dove l’Europa è un sogno (G.Ferrari)
L’attesa e le speranze dei profughi (I.Solaini)

Il Papa lava i piedi ai profughi: dietro i terroristi, i trafficanti di armi

iamo tutti fratelli, musulmani, indù, cattolici, evangelici, figli dello stesso Dio. E’ stato questo il forte grido di Francesco, durante la Messa in Coena Domini al Cara di Castelnuovo di Porto, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo a Nord di Roma. Il Papa ha lavato i piedi a 12 profughi. Siamo tutti fratelli, ha ripetuto più volte, opponendo la fratellanza al sangue versato a Bruxelles da chi vuole la guerra.

Si è inginocchiato per lavare e baciare quei piedi che hanno camminato attraverso i deserti, che hanno solcato i mari per sfuggire alla violenza, per raggiungere la salvezza. Piedi di chi ha abbandonato la sua vita nel tentativo di salvarsela. Ha lavato i piedi, così come Gesù fece con i suoi, lui “capo” che “lava i piedi ai più piccoli”. I gesti parlano più delle parole, dice Francesco guardando quegli occhi che portano con sé tanti dolori e tante atrocità. Sono due i gesti nel Vangelo di Giovanni, la lavanda dei piedi e il tradimento di Giuda che vende Gesù per trenta denari ai suoi nemici, spiega il Papa, che poi parla di altri due gesti, il primo quello di fratellanza, che si compie nella Messa a Castelnuovo di Porto:

“Questo, tutti noi, insieme: musulmani, indù, cattolici, copti, evangelici, ma fratelli, figli dello stesso Dio, che vogliamo vivere in pace, integrati. Un gesto”.

Poi il secondo gesto, quanto accaduto a Bruxelles, colpita dal terrorismo assassino, è lì che va il pensiero del Papa:

“Tre giorni fa, un gesto di guerra, di distruzione, in una città dell’Europa, di gente che non vuole vivere in pace. Ma dietro a quel gesto, come dietro a Giuda, c’erano altri. Dietro a Giuda c’erano quelli che hanno dato il denaro perché Gesù fosse consegnato. Dietro quel gesto ci sono i fabbricanti, i trafficanti di armi, che vogliono il sangue, non la pace, che vogliono la guerra, non la fratellanza”.

Ed ecco i due gesti: “Gesù lava i piedi, Giuda vende Gesù per denaro”. Ma solo il primo è un gesto di fratellanza:

“Voi, noi, tutti insieme, diverse religioni, diverse culture, ma figli dello stesso Padre, fratelli. E là, poveretti quelli, che comprano le armi per distruggere la fratellanza. Oggi, in questo momento, quando io farò lo stesso gesto di Gesù di lavare i piedi a voi dodici, tutti noi stiamo facendo il gesto della fratellanza, e tutti noi diciamo: siamo diversi, siamo differenti, abbiamo differenti culture e religioni, ma siamo fratelli e vogliamo vivere in pace”.

Ognuno ha una storia, prosegue Francesco, ognuno ha “tante croci e tanti dolori, ma ha anche un cuore aperto che vuole la fratellanza”:

“Ognuno, nella sua lingua religiosa, preghi il Signore, perché questa fratellanza si contagi nel mondo, perché non ci siano le 30 monete per uccidere il fratello, perché sempre ci sia la fratellanza e la bontà”.

Poi il saluto agli ospiti del Cara, uno ad uno, 892 strette di mano, 892 sorrisi. E il ringraziamento del Papa a tutte queste persone alle quali chiede di far vedere “che è bello vivere insieme come fratelli, con culture, religioni e tradizioni differenti”, ma tutti fratelli. E tutto questo ha un nome, conclude Francesco: pace e amore.

Radio Vaticana

Giovedì Santo, il Papa laverà i piedi a 12 profughi

Papa Francesco celebrerà la Messa in Coena Domini del prossimo Giovedì Santo nel centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Castelnuovo di Porto, dove laverà i piedi a dodici profughi. Ad annunciarlo è stato l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Il servizio di Alessandro De Carolis di Radio Vaticana

Inginocchiato a lavare e ad asciugare piedi di persone alle quali in tanti neanche si accosterebbero, mentre la civile e democratica Europa si barrica dietro un anacronistico filo spinato. O tutt’al più stanzia soldi “per mettere a riposo la coscienza”. Ma sempre con una precisa geometria: noi di qua e gli immigrati dall’altra parte.

Il pressapochismo dei ricchi
Mons. Rino Fisichella fotografa con realismo il quadro internazionale delle migrazioni e lo pone a confronto con le scelte perseguite da mesi da Papa Francesco. Mentre, scrive in un articolo sull’Osservatore Romano, “i Paesi ricchi dell’Occidente permangono nel loro pressapochismo, indifferenti” a un “dramma che sconvolge per la durata e per il numero delle persone coinvolte, il Papa non passa mese – ricorda – che non si mobiliti di persona per dimostrare il valore dell’accoglienza, qualsiasi sia la povertà sociale che lo richieda.

Ai piedi di 12 profughi
Da quell’Angelus del 6 settembre, in cui sollecitò parrocchie e strutture ecclesiali ad aprire le proprie porte per ospitare una famiglia di profughi, da dicembre a febbraio Francesco ha abbracciato senzatetto, anziani e malati in stato vegetativo, giovani tossicodipendenti per arrivare, ora che la Pasqua è alle porte, a ripetere quel gesto caro al suo cuore – la lavanda dei piedi del Giovedì Santo – proprio a persone regolarmente marchiate dallo stigma dello scarto. Il gesto che compirà con 12 profughi ospiti della struttura a Castelnuovo di Porto – scrive mons. Fisichella – “sarà un segno semplice ma eloquente”, un “segno di servizio e attenzione alla loro condizione”. Un gesto che il massimo responsabile dell’organizzazione del Giubileo inquadra nell’ottica della misericordia. Essa, afferma, “per essere un’esperienza completa ha bisogno di convertire il cuore. Mentre si riceve misericordia si diventa strumenti per esprimere misericordia” e dunque accogliere i profughi “diventa per i cristiani un’espressione tangibile per vivere il Giubileo”.

Il rispetto, strada maestra della pace
Con il suo “abbassarsi per lavare i piedi dei profughi” il Papa “vuole dirci – insiste mons. Fisichella – che è necessaria la debita attenzione verso i più deboli di questo momento storico; che siamo chiamati tutti a restituire loro dignità senza ricorrere a sotterfugi. Ci spinge a guardare verso Pasqua con gli occhi di chi fa della sua fede una vita vissuta a servizio di quanti portano impresso nel proprio volto i segni della sofferenza e della violenza”. E considerando che “molti di questi giovani non sono cattolici” ecco che il “segno di Papa Francesco” arriva a indicare “la via del rispetto come strada maestra per la pace”.

PROFUGHI ERITREI Una battaglia di civiltà che è solo all’inizio

di GIULIO ALBANESE – avvenire

 Tripoli ha dunque ceduto alle pressioni italiane (soprattutto) e internazionali (meno convinte a livello governativo), concedendo l’agognato ‘permesso di soggiorno’ ai circa 400 migranti irregolari eritrei che rischiavano di fare una brutta fine nel deserto libico. La cautela è d’obbligo, non foss’altro perché la concessione avviene in cambio di «lavori socialmente utili». Una dizione che, secondo alcuni osservatori, potrebbe celare un’altra dolorosa punizione, quella dei lavori forzati. Per non parlare del fatto che la Libia non riconoscerà mai loro lo status di rifugiati per tutelarli. Andrebbe comunque ricordato che si tratta di una vecchia storia: in questi anni un altissimo numero di africani che tentavano di fuggire dall’inferno dei loro rispettivi Paesi – dal Darfur all’Eritrea, per non parlare della Somalia – sono stati lasciati morire o rispediti al mittente dalle autorità libiche, decretando di fatto la loro condanna alla pena capitale. Ecco perché lo scorso 29 giugno, dopo la ribellione degli eritrei al porto di Misurata, esplosa perché non potevano imbarcarsi per l’Europa, i profughi sono stati arrestati e deportati in massa in pieno deserto, lontano da occhi indiscreti e soprattutto da aiuto umanitario. Eppure, la Provvidenza ha voluto che scattasse una vera operazione di salvataggio, innescata da un semplice sms lanciato dalle roventi celle del campo libico di Brak di Sheba, e ripreso in Italia da una rete improvvisata di nostri connazionali, espressione eloquente di quella solidarietà fattiva che scorre nel sangue di tanta gente di buona volontà. Al contempo, andando al di là delle contrapposizioni nell’arena politica italiana, vanno riconosciuti sia l’impegno in questa penosa vicenda della nostra diplomazia guidata dal ministro Frattini, con una doverosa ‘pressione’ su Tripoli, in ottemperanza al trattato di amicizia italo-libico; come anche la sensibilità dell’opposizione nel richiedere e sostenere l’intervento governativo a seguito delle denunce di pestaggi e altre vessazioni. D’altronde, qualora questi profughi fossero stati rimpatriati, il regime di Asmara si sarebbe comunque vendicato nei loro confronti. Bisognerà ora vedere fino a che punto la Libia manterrà fede al proprio impegno, considerando anche i lavori socialmente utili che gli eritrei dovrebbero svolgere nelle prefetture libiche. Detto questo, è ormai evidente che l’Europa deve assumersi le proprie responsabilità, concertando un’azione politica comune, rispettosa del diritto d’asilo, nei confronti di quei migranti provenienti da Paesi vittime di regimi totalitari. Ben vengano dunque iniziative di monitoraggio sui diritti umani, come nel caso dell’ordine del giorno Marcenaro, accolto al Senato, che impegna il nostro governo a vigilare sull’applicazione del trattato di amicizia con la Libia. E come l’accoglienza in Europa, dunque anche in Italia, di profughi e rifugiati politici. Sono molti a credere che la distinzione oppositiva tra migranti economici ed esuli non possa essere interpretata rigidamente, come spesso avviene in Europa, in quanto la maggior parte delle persone in cerca di asilo oggi è anche un migrante economico. Sarebbe pertanto pretestuoso lavarsi la coscienza di fronte a questi drammi. Parafrasando un opinionista, equivarrebbe a una sorta di imperdonabile «analfabetismo emotivo».

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