San Francesco e l’invenzione del presepe

di: Angelo Angeloni – settimananews.it

libro Il presepe di san Francesco – Storia del Natale di Greccio [il Mulino, Bologna, 2023]

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Quando i seguaci di Francesco divennero numerosi, e mutò lo spirito di assoluta povertà che aveva unito i primi di essi, mutò la regola, e lo stesso Francesco non fu più seguito nelle decisioni pratiche di vita che mutava, egli, «come Cristo sul Monte degli Ulivi, inizia una lunga agonia spirituale; si ritira sempre più negli eremi, fugge la compagnia dei suoi fratelli, spesso ha per loro parole aspre e dure».

È «il periodo che i biografi definiscono della “grande tentazione”, tentazione di abbandonare tutto, di disinteressarsi completamente della comunità, forse di non avere più fiducia in Dio».1

Allora, sperimentò la solitudine tremenda del Getsemani. Era il 1223, tre anni prima della morte, e si era ritirato a Greccio.

Il presepe di Greccio
Ma chi aveva fatto della vita di Cristo l’esempio da seguire e del Vangelo la regola di vita, poteva sentire la delusione, non la disperazione. Così, volle rivivere un’altra notte, luminosa e gloriosa: la notte del Natale di Gesù, per ricordare il «fanciullo che è nato a Betlemme e vedere in ogni momento con gli occhi del corpo i disagi e le ristrettezze della sua nascita, come fu adagiato in una greppia e posto sul fieno tra il bue e l’asino».2

Chiamò un suo caro amico, affinché gli preparasse una mangiatoia (presepe) piena di fieno, un bue e un asino.

Su questo presepe altamente significativo si sofferma Chiara Frugoni nel bellissimo libro Il presepe di san Francesco – Storia del Natale di Greccio [il Mulino, Bologna, 2023], in cui analizza, servendosi anche di illustrazioni di affreschi e miniature, l’episodio di quel Natale descritto da Tommaso da Celano nella Vita del beato Francisco, con un’interpretazione davvero suggestiva.

Nel presepe di Greccio non c’è il bambinello, reale o raffigurato, come è in rappresentazioni già prima di questo; ma lo crea la forza oratoria della predica che Francesco fece quella notte, e che toccò il cuore degli astanti, a tal punto che uno di essi vide «giacere in una greppia un bimbo esamine, e il santo di Dio avvicinarglisi e quasi destarlo dal sonno».3

Questa visione – commenta Frugoni – «risarcisce il vuoto della mangiatoia» (p. 37). È la forza della riflessione che genera la visione. Questo voleva Francesco: che si meditasse sul Bambino posto nel cuore di tutti, così che, ovunque nel mondo si ripetono le condizioni di umiltà e povertà nelle quali nacque, tutti possano rivivere l’evento di allora.

E quando Cristo si porta nel cuore, non occorre visitare i luoghi della sua vita, perché essi diventano luoghi dell’anima. Così, nella nuova Betlemme di Greccio, Francesco ridestò il Cristo dimenticato in molti cuori.4 La Chiesa lo fa quotidianamente con l’eucaristia.

Il senso del Natale
Nell’eucaristia è il senso del Natale di Francesco che Chiara Frugoni analizza, partendo da ciò che Tommaso da Celano racconta; e cioè che «quando [Francesco] diceva Bethlehem belava come una pecora, riempiendosi tutta la bocca di quel suono, ma ancor più di tenerezza».5 Il riferimento alla pecora richiama l’agnello immolato.

Il presepe di Greccio, scarso di elementi ma di straordinaria ricchezza spirituale, offre allora una profonda simbologia eucaristica. Se, infatti, Betlemme è la «casa del pane», il Bambino che vi nasce è «il pane vivo disceso dal cielo»;6 e ogni chiesa è Betlemme, ogni altare un presepe: «un presepe eucaristico» (p. 39).

E «dove un tempo gli animali si sono pasciuti di fieno, là gli uomini del futuro per la salvezza dell’anima e del corpo mangino le carni dell’agnello immacolato e senza difetto, Gesù Cristo nostro Signore».7

In tre punti dello stesso capitolo (2,7.12.16) Luca ricorda la mangiatoia, perché essa è un segno, come la croce. E noi «non abbiamo alcun altro segno così grande ed evidente della nascita di Cristo, quanto il corpo e il sangue di lui che assumiamo quotidianamente al santo altare. E colui che nacque dalla Vergine, ogni giorno lo vediamo immolato per noi».8

In questo presepe eucaristico, i segni del primo sono nel secondo. Infatti, come Maria avvolse in fasce il bambino e lo pose nella mangiatoia, le pie donne lo avvolgeranno in un sudario e lo porranno nel sepolcro; e noi lo vediamo avvolto sotto le specie del pane e del vino, che ricordano il fieno. E come il fieno avrebbe guarito gli animali che lo mangiavano e le partorienti che se lo ponevano sul ventre, così guarisce il pane eucaristico.

Mangiatoia-sepolcro-eucaristia
Nella bellissima Icona della natività di Andrei Rublëv, la mangiatoia in cui è posto il bambino fasciato ha la forma d’un sepolcro. E nella Disputa del Sacramento di Raffaello, nei Musei Vaticani, l’ostia chiusa nell’ostensorio sopra l’altare, porta impressa una croce, perfettamente allineata verticalmente con la Trinità nella zona sovra celeste. La salvezza promessa da Dio nel Protovangelo del Genesi, inizia con il Natale di Gesù.

Nella notte santa, un esercito di angeli cantò la pace che il Bambino era venuto a portare agli uomini che la desiderano, e desiderano portarla dove ci sono guerre e odi.

La pace, è l’altro significato del presepe di Francesco, proprio quando imperversavano guerre e crociate, organizzate per strappare dalle mani degli infedeli i luoghi santi. Ma quale diversità con la volontà di Francesco! Le une usavano le armi, l’altro l’amore e la pace. I papi erano severi con chi non vi partecipasse; ma Francesco disobbedì alle direttive papali: non ne predicò una, né fece propaganda, né tanto meno vi partecipò. Il suo fu un «silenzioso e deciso rifiuto della violenza in nome di Dio» (p. 52). Egli anzi proibì tutte le armi, anche quelle della parola usata per convertire.

Andò anche lui in Oriente: non contro, ma tra gli infedeli. Voleva che si evitassero liti e controversie, e raccomandava solo l’esempio, che necessariamente nasce dalla fede che in esso risplende. Mai espresse un giudizio negativo, tanto meno insulti, sulla religione musulmana. Anzi, «rimase così colpito dalla preghiera dei muezzin che su quel ricordo fosse esemplata la preghiera dei cristiani quando lodavano Dio» (p. 63).

Nel suo messaggio di pace, il presepe di Francesco si oppone, quindi, alla crociata. Si comprende allora – dice Chiara Frugoni – perché «bisognava cancellare il messaggio della predica [di Natale], troppo disturbante per una Chiesa in armi, per un ordine che aveva approvato una nuova regola, la quale aveva di fatto abolito il rivoluzionario modo di Francesco di rapportarsi con chi credeva in un’altra religione» (p. 108).

La speranza
E il presepe cambiò: non si modellò più sulla vita di Tommaso da Celano, ma sulla Legenda maior di san Bonaventura, la sola biografia ufficiale. E Chiara Frugoni esamina puntualmente tale cambiamento, legato alle controversie interne all’ordine francescano.

Oggi in cui il presepe, abbellito di fronzoli, ha perduto tutto il suo significato spirituale, Francesco ci ricorda che ogni Natale è la nascita di Cristo nel cuore di quanti hanno dimenticato l’amore e la pace. È speranza di quanti vivono nel bisogno, lo stesso in cui si trovò la Sacra Famiglia.

Ci invita al rispetto delle altre fedi, perché anche in esse e nei loro libri c’è il nome di Dio, che tutti devono lodare e gloriare. Il comportamento che raccomandava ai fratelli, il solo degno di fede, chiedeva rispetto reciproco. Dichiarare di essere cristiani voleva dire (vuol dire) essere portatori di pace.

Tutto l’insegnamento di Francesco si comprende nella diversa visione di Dio rispetto ai suoi contemporanei che predicavano la guerra, mentre Dio è di tutti e creatore di tutto; ed è Dio di pace e di misericordia. Il bue e l’asino, simboleggianti ebrei e infedeli, sono intorno a lui nel presepe. Un messaggio che il Canticum creaturarum suggella poeticamente e devotamente.

1 Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi; Einaudi, Torino 1995; 111 ss.

2 Tommaso da Celano, Vita del beato Francesco, XXX, 84, 8; in Claudio Leonardi (a cura), La letteratura francescana – le vite antiche di san Francesco, vol. II; Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, Milano 2005, 163.

3 Ivi, XXX, 86, 7.

4 Ivi, XXX, 86, 8.

5 Ivi, XXX, 86, 4.

6 Gv 6,41.

7 Ivi, XXX, 87, 5.

8 Aelredo di Rievaulx, citato da Chiara Frugoni a p. 39.

Un presepe in ogni casa

Cari fratelli e sorelle,
sebbene ancora distanti dal periodo natalizio, vi raggiungo con questa mia per promuovere l’iniziativa della CEI “un presepe in ogni casa”, ispirata alle parole del Santo Padre Francesco nella Lettera Apostolica Admirabile Signum, affinché ogni Unità Pastorale possa diffondere questa bella proposta.

In questo anno si celebrano gli 800 anni dall’invenzione del primo presepe di Greccio, grazie al quale il Santo Poverello di Assisi ha avvicinato tanti credenti al Vangelo. Le condizioni di povertà del popolo e la difficoltà nel reperire e leggere la Sacra Scrittura hanno inizialmente favorito la diffusione del presepe nelle case, ma ciò che la rende una tradizione ancora oggi è il fatto che – come scrive Papa Francesco – “aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme” attraverso l’immaginazione e gli affetti e “invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali”.

Pertanto, mi auguro che in questa particolare ricorrenza possiate sollecitare tutti i vostri parrocchiani a continuare questa santa tradizione.
I miei saluti insieme alla mia benedizione.

+ Giacomo Morandi

La lettera del Vescovo

Natale: tre anni di uncinetto per un presepe a colori a Bitonto

Un lavoro certosino e di lunga pazienza, con rocchetto di filo e uncinetto: un coloratissimo presepe di oltre 50 pezzi, tra personaggi e decorazioni, tutti fatti rigorosamente a mano, fa bella mostra di sè a Bitonto (Bari). Opera di Giuseppina Lacetera, 67 anni, che si è dedicata con passione alla sua idea, realizzata da sola

tre anni uncinetto presepe artigianale a colori a bitonto 
presepe realizzato a mano

AGI – Un lavoro certosino, di lunga pazienza, oltre tre anni con rocchetto di filo e uncinetto in mano: adesso è finito e un coloratissimo presepe di oltre 50 pezzi, tra personaggi e decorazioni, tutti fatti rigorosamente a mano,  fa bella mostra di sè a Bitonto (Bari). Opera di Giuseppina Lacetera, 67 anni, che si è dedicata con passione alla sua idea, realizzata da sola.

Non manca nessuno dei personaggi tradizionali del presepe: il pastore assopito, il fabbro con incudine e martello, le ricamatrici con matassa e telaio, il fruttivendolo con le piccole cassette di verdure, la fioraia con un mazzolino di fiori di campo, l’asino che gira le macine, il mulino e il panettiere, il pizzaiolo che inforna le pizze, il pescatore al lago, una donna che stende i panni.

E poi i protagonisti: il Bambinello, Maria, Giuseppe, i Re magi. Giuseppina Lacetera, racconta quanta cura ci ha messo “per cucire, assemblare e trovare le giuste posizioni per ciascuno di loro”. Il suo presepe è posizionato in cucina in una casa che pare un vero tempio del “fatto a mano”: addobbi realizzati all’uncinetto, con il pannolenci, palline di natale all’albero cucite a punto croce con i nomi di figli e nipotini – Nicolangelo, Tommaso, Antonella, Michele, Elena e Santiago –, e a svettare, in cima, un angelo biondo con un centrino a far da sfera di luce.

tre anni uncinetto presepe artigianale a colori a bitonto 
presepe realizzato a mano 

“Una vera passione nata da bambina – racconta Giuseppina – volevo che ferri e filo fossero i miei compagni anche in pensione, dopo una vita trascorsa come sarta”. Quella del presepe, però, è un’opera d’arte vera e propria cominciata nel 2020 durante il lockdown: “eravamo ristretti in casa, non potevamo uscire, così sceglievo le immagini dal tablet, chiedevo a mio figlio Nicolangelo di stamparle e mi mettevo a lavoro sui personaggi”.

Un pezzo dopo l’altro, in una vera esplosione di colori, Giuseppina è riuscita a metter su una vera meraviglia, “desideravo avere i personaggi tutte nelle cassettine di legno, piccole, verniciate e in questo mi ha aiutata mio marito Michele. È stato un vero lavoro di squadra, famigliare”, sorride.

tre anni uncinetto presepe artigianale a colori a bitonto 

C’è un personaggio che le sta particolarmente a cuore? “Sicuramente il cammello, perché il più complicato da realizzare e, infatti, ne mancano ancora due. Mi sono ripromessa di non lasciarli soli”. Gli occhi grandi e luminosi, affaticati dal lavoro e coperti dagli occhiali, si fanno scappare una lacrimuccia quando sollevando l’ovatta con un po’ anticipo dice contenta: “Eccolo, questo è Gesù bambino”.

Presepi, grande affluenza a Reggio Emilia

A Reggio Emilia la mostra “I presepi della carità in san Giuseppe” sta attirando molti visitatori, soprattutto nei fine settimana. I presepi – con pochissime eccezioni – sono opera di artisti del luogo; scultori, artigiani, falegnami di cui traspare l’abilità quanto l’amore per il tema trattato

Presepe, pane buono per tutti

Amato, contestato o anche a volte strumentalizzato il presepe ha un suo perché, anche oggi. È un simbolo largo, religioso solo nella misura in cui non perde la sua statura laica e feriale, la forza dei racconti da cui trae origine, la accoglienza delle sue immagini. Al suo centro una scena solo apparentemente scontata: una donna con un bambino e, talvolta un po’ in disparte, almeno nelle pitture, o altrimenti a fianco, un uomo. Immediatamente siamo pronti a tradurre, è una famiglia, anzi certamente è la Santa Famiglia. Intorno piccole vite spesso disprezzate, da quelle degli animali a quelle di pastori e pastorelle: sempre in prima fila gli uomini, ma fa poca differenza, tanto nei luoghi sacri non possono entrare né le une né gli altri, per la loro vicinanza alle bestie. Non fa una piega, si potrebbe dire: ma invece ha molte crepe, quelle che la costituiscono come luogo di benedizione, come spazio accogliente, come parola trasformativa.

A cominciare proprio dalla scena centrale: quell’uomo non è il padre. Non lo è nelle narrazioni evangeliche e lo sappiamo bene; non lo è nelle sospettose chiacchiere che vanno in giro e raccogliamo in scritti di vario genere, che mettono in dubbio la correttezza di quella nascita. I dubbi di Giuseppe ci vengono restituiti anche da Matteo: secondo la regola, avrebbe dovuto denunciare Maria, che sarebbe stata lapidata. Non denuncia e resta lì, infrangendo le regole dell’onore (maschile, certo) e dell’orgoglio del lignaggio, in una famiglia pure un po’ importante: non a caso in occasione di quest’anno (anche) a lui dedicato, si sono scritte bellissime riflessioni sulla maschilità (Autiero- Perroni (a cura)

Maschilità in questione,

Queriniana 2021). La tradizione più fedele ha poi anche parlato di un rapporto tra quei due molto diverso da quello comune fra gli sposi.

Piccole vite, anche le loro, in linea con quelle di chi va a trovarli: chissà, anche gli angeli sono forse le ombre dei pensieri dei pastori? Certo in linea anche con la storia di quel lignaggio, che è pure, sempre secondo Matteo, molto poco zuccherata: attraversata da storie di donne, un po’ audaci e un po’oltraggiate dalla vita e dalle circostanze – da Tamar a Rut, da Raab a Betsabea, fino appunto, a Maria e alla sua gravidanza fuori da quello che ci si sarebbe potuti aspettare.

La storia continua in questo modo ed è già contenuta nella scena centrale, in maniera pesante ed eloquente. Non a caso in Amoris Laetitia si ricorda così (spostandosi molto su Maria, ma è anche giusto) per tutte le famiglie, cioè per chiunque ha, ha avuto – o magari ha perduto – un amore, una casa, un luogo: «Davanti a ogni famiglia si presenta l’icona della famiglia di Nazaret, con la sua quotidianità fatta di fatiche e persino di incubi, come quando dovette patire l’incomprensibile violenza di Erode, esperienza che si ripete tragicamente ancor oggi in tante famiglie di profu-ghi rifiutati e inermi.

Come i magi, le famiglie sono invitate a contemplare il Bambino e la Madre, a prostrarsi e ad adorarlo (cfr. Mt 2,11). Come Maria, sono esortate a vivere con coraggio e serenità le loro sfide familiari, tristi ed entusiasmanti, e a custodire e meditare nel cuore le meraviglie di Dio (cfr. Lc 2,19.51). Nel tesoro del cuore di Maria ci sono anche tutti gli avvenimenti di ciascuna delle nostre famiglie, che ella conserva premurosamente. Perciò può aiutarci a interpretarli per riconoscere nella storia familiare il messaggio di Dio» ( Amoris laetitia, n. 30).

Come non mettere tutto questo a fianco dei muri e delle onde, non fittizie, ma segno tangibile della nostra comune dis/umanità? Piccoli bambini, donne in fuga, uomini straziati. Grido dell’umanità, grido della terra, grido della Croce. Come non mettere quel presepe, con gli affetti che lo attraversano, al centro dell’amore e della benedizione, di tutti e di ognuno, di ogni piccolo gesto di amore, che fa la differenza (GE 144-145) ben al di là dei piccoli recinti e dei giudizi risentiti?

Per tutto questo quelle persone, quelle vicende hanno raccolto e raccolgono sguardi e sospiri, preghiere e desideri, drammi e gioie di tanti, di tutti purché non lo escludano. Per tutti questo si deve riconoscere che ‘quei tre’, quella loro famiglia, è al cuore della santità, anche se per abitudine a santa preferiamo la parola ‘sacra’. Ma ci può stare, non è (solo) questione di trovare la parola migliore. Potrebbe anche non starci, invece – e ben al di là del termine – se la sacralità venisse pensata in opposizione a profanità, come confine che separa, invece che come profondità che benedice. Questo secondo modo sarebbe più vicino a quello di chi impedisce l’accesso dei pastori, lapida le donne, respinge gli innocenti, distrugge e uccide. Non sia così. E quando lo fosse stato, c’è sempre spazio per la conversione, per tornare per un’altra strada.

Quel simbolo tenero e forte infatti non è risentito, non è riservato, non è separante, non è neppure solo estetico e zuccheroso. È pane buono per tutti, per un mondo fatto casa che non esclude, secondo l’etimologia di uno dei suoi luoghi.

Bet-lehem, Casa del pane.

Docente teologia patristica Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale Dal 2013 al 2021 presidente Coordinamento nazionale delle teologhe italiane

IL MISTERO

Come non mettere la Sacra Famiglia, con gli affetti che lʼattraversano, al centro di ogni piccolo o grande gesto dʼamore?

Papa Francesco a Greccio: ecco il vero significato del presepe

Avvenire

Bergoglio è tornato nella «seconda Betlemme» dopo quattro anni per firmare il documento sul significato e sul valore di questa usanza inventata da san Francesco

Papa Francesco a Greccio il 4 gennaio 2016 (Osservatore Romano)

Papa Francesco a Greccio il 4 gennaio 2016 (Osservatore Romano)

Seduto davanti all’altare della grotta dove San Francesco realizzò il primo presepe della storia, il Papa si immerge in un profondo silenzio. L’affresco con la Madonna che allatta il Bambino Gesù sembra guardarlo con tenerezza. E anche lui solleva di tanto in tanto lo sguardo verso l’immagine, in un muto dialogo. Sì, è vero, non c’è bisogno di tante parole in questa “nuova Betlemme” incastonata nel cuore dell’Appennino laziale. Perché a parlare è lo stesso presepe e perché “la scena che è posta sotto i nostri occhi – sottolinea Francesco nella successiva breve meditazione – esprime la saggezza di cui abbiamo bisogno per cogliere l’essenziale”. Silenzio e preghiera, per trasmettere il messaggio fondamentale della nascita di Gesù sono del resto gli ingredienti di questo pomeriggio di inizio Avvento, in cui il Pontefice visita il santuario alle porte di Greccio e firma una lettera sul significato e il valore del presepe, una tradizione che bisogna continuare, scrive il Papa nel documento, in casa, come pure “nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze”. Ma nel corso della visita a prevalere è la preghiera, che si trasmette dopo la calorosa accoglienza dell’arrivo, anche a qualche migliaio di fedeli, accorsi da tutta la zona. Clima di raccogliemento che ricrea di fatto quella della Santa Notte.

Foto Ansa

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“Dio ci ama a tal punto da condividere la nostra umanità e la nostra vita – ricorda il Pontefice -. Non ci lascia mai soli; ci accompagna con la sua presenza nascosta, ma non invisibile. In ogni circostanza, nella gioia come nel dolore, Egli è l’Emmanuele, Dio con noi”. E dunque anche noi dobbiamo dobbiamo portare gioia “dove c’è tristezza” e “speranza a chi l’ha perduta”. Perciò il Papa invita: “Immedesimiamoci in Maria, che depose il suo Figlio nella mangiatoia, perché non c’era posto in una casa. Con lei e con San Giuseppe, suo sposo, teniamo lo sguardo rivolto al Bambino Gesù. Il suo sorriso, sbocciato nella notte, disperda l’indifferenza e apra i cuori alla gioia di chi si sente amato dal Padre che è nei cieli”.

Foto Ansa

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Il Pontefice, per la sua seconda visita a Greccio, dopo quella del 4 gennaio 2016, giunge da Roma in elicottero a poche centinaia di metri dal santuario. Sono le 15,40 circa. Già ai piedi del velivolo Francesco si ferma a salutare i malati e alcune persone con disabilità, distribuendo sorrisi e carezze e ricevendo in cambio lettere e richieste di preghiera. Quindi in auto si reca nella grotta del Santuario, dove, viene accolto dal vescovo di Rieti, Domenico Pompili, dal guardiano dello stesso santuario, padre Francesco Rossi, presenti anche l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, e padre Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia. Non è agevole la discesa verso la grotta e Francesco di appoggia al braccio del giovane vescovo di Rieti, ma non perde il suo sorriso, anche quando all’interno del piccolo santuario di intrattiene con la comunità dei francescani.

Segue un prolungato momento di preghiera e raccoglimento, poi il Papa firma sull’altare la lettera apostolica Admirabile signum che Fisichella gli porge e che qui di seguito riportiamo integralmente. Infine, prima di salire nella chiesa del Santuario, per presiedere la celebrazione della Parola e pronunciare il suo breve discorso, scambia qualche battuta con i religiosi presenti nella cappellina. “Annunciate il Vangelo se fosse necessario anche con la parola – dice citando proprio san Francesco -. Non c’è bisogno di convincere, ci pensa lo Spirito. Il Signore si è fatto terra e si è innamorato della nostra terra. Ricordate: povertà, umiltà e i miracoli lasciateli a Dio”. A una suora che gli dice: “Il Signore benedica ogni suo passo”, risponde: “Ne ho proprio bisogno”. Poi si informa: “Come si comporta il vescovo?” (Pompili, ndr) ricevendo assicurazione che si comporta bene. Per ultimo a un frate che gli dice di essere stato a Gerusalemme e di aver toccato la pietra del Santo Sepolcro, chiede scherzando: “Ma ci credi che è risorto?”.

Foto Ansa

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L’abbraccio della gente continua all’esterno. Il Papa non sembra avere fretta, né risentire della temperatura piuttosto frizzante. Saluta un gruppo di giovani in abiti da figuranti del presepio, quindi si intrattiene con i bambini che gli cantano in coro una filastrocca. Stringe le mani, dialoga con i fedeli. All’interno del santuario è presente anche il vescovo emerito di Rieti, Delio Lucarelli, oltre ai sindaci della zona. Ed è qui che il Papa sottolinea la dimensione della semplicità che il presepe ispira e ricorda che davanti a questa rappresentazione “scopriamo quanto sia importante per la nostra vita, così spesso frenetica, trovare momenti di silenzio e di preghiera”. Quindi la lettera viene consegnata simbolicamente a un gruppo di fedeli e ne viene data lettura.

Qui di seguito il testo integrale della lettera, che passando in rassegna i diversi personaggi del presepe, ci conduce quasi per mano davanti alla Grotta di Betlemme e al cospetto di Gesù appena nato e della Sacra Famiglia. Ma soprattutto, scrive il Papa “il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede”. In sostanza “ognuno di noi”, ricorda Francesco, deve farsi “portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia”.

Intorno alle 17,00 il Papa è uscito dal santuario per riprendere l’elicottero alla volta di Roma. Una visita di 80 minuti in tutto, ma estremente significativa. Del resto di fronte al presepe, come lui stesso a detto, non ‘è bisogno di tante parole.

LETTERA APOSTOLICA
Admirabile signum
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
SUL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL PRESEPE

1. Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui.

Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze… È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata.
2. L’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici della nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplicemente che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da cui presepe.
Entrando in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come «il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già Sant’Agostino, insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo» (Serm. 189,4). In realtà, il presepe contiene diversi misteri della vita di Gesù e li fa sentire vicini alla nostra vita quotidiana.
Ma veniamo subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechiamo con la mente a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò venendo probabilmente da Roma, dove il 29 novembre 1223 aveva ricevuto dal Papa Onorio III la conferma della sua Regola. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Betlemme. Ed è possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dai mosaici con la rappresentazione della nascita di Gesù, proprio accanto al luogo dove si conservavano, secondo un’antica tradizione, le tavole della mangiatoia.
Le Fonti Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio. Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».[1] Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.[2]
È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero.
Il primo biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, ricorda che quella notte, alla scena semplice e toccante s’aggiunse anche il dono di una visione meravigliosa: uno dei presenti vide giacere nella mangiatoia Gesù Bambino stesso. Da quel presepe del Natale 1223, «ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia».[3]
3. San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio.
Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato.
Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali.
In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).
4. Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79).
Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario.
5. Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.
«Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.
6. Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.
I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.
Spesso i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina.
7. Poco alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di Dio senza perdere, anzi consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei la Madre di Dio che non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).
Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe. In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.
8. Il cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore, che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.
La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.
«La vita infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovanni riassume il mistero dell’Incarnazione. Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire dal quale anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo.
Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita.
9. Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura.
Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.
I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti.
10. Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi.
Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.
Dato a Greccio, nel Santuario del Presepe, 1° dicembre 2019, settimo del pontificato.
FRANCESCO