La preghiera e il programma di Leone XIV

La preghiera e il programma di Leone. "Gesù non è un superuomo"

Il Giornale
La fede cristiana è ritenuta «una cosa assurda»; si preferiscono denaro, successo, potere, piacere. La condanna dell’ateismo, la riscoperta della fede come bellezza del Vangelo. Ma anche il «farsi piccolo», l’umiltà di un Papa appena eletto.
La prima omelia di Robert Francis Prevost, che ha scelto di chiamarsi Leone XIV, è un manifesto teologico che invita l’uomo a «sparire» perché «resti presente Cristo». Davanti a tutti i cardinali, non solo gli elettori (era presente anche Angelo Becciu, che aveva deciso di non entrare in Conclave) per la messa Pro Ecclesia, Leone XIV introduce il suo discorso salutando in inglese e parlando a braccio. «Siamo una comunità», dice nella sua lingua madre, invitando l’intero collegio cardinalizio a «sostenerlo» e a «continuare come Chiesa» a vivere nell’unità. «Mi avete chiamato per portare una croce – esordisce rivolgendosi ai suoi elettori – per essere benedetto per questa missione e voglio che anche voi camminiate con me».
La Chiesa sia «un faro che illumina le notti del mondo», avverte Leone XIV. «In particolare poi Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli Apostoli, questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore a favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa; così che Essa sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo», scandisce.
La missione di Vescovo di Roma, ribadisce, è «un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo». Da qui l’invocazione di Leone XIV affinché possa svolgere il suo servizio: «Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa».
C’è anche la condanna rivolta a chi preferisce «altre sicurezze come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere». «Anche oggi sottolinea – non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui a essa si preferiscono altre sicurezze». Sono ambienti in cui «non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo» e dove «chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito». Immediato il richiamo alla missionarietà. «Sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco».
Da Prevost anche un richiamo a quei contesti in cui «Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto».
Il nuovo Papa cita Jorge Mario Bergoglio, come già aveva fatto per ben due volte – durante il suo primo intervento appena eletto, dalla Loggia delle Benedizioni. «Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Gesù Salvatore».
Al termine della celebrazione nella Cappella Sistina, i cardinali presenti hanno salutato la prima celebrazione di Prevost con un lungo e caloroso applauso. Segno di unità della nuova Chiesa di Leone XIV.

Addio a Sofija Gubajdulina: la musica come preghiera

Addio a Sofija Gubajdulina: la musica come preghiera

Avvenire

Quando Sofija Gubajdulina venne a Venezia per ricevere il Leone d’oro alla carriera, nel 2013, aveva 81 anni, la figura minuta e leggermente china, ma negli occhi una luce ardente. Parlava con parole di fuoco, con la stessa intensità con cui la sua musica sembrava respirare insieme al cosmo. «La musica senza religiosità non può sussistere», disse allora ad “Avvenire”, in un’intervista che oggi suona come un testamento. «Le basi della musica sono date da una sostanza che vibra, da una vibrazione. È il risultato di una espansione e di una contrazione, le stesse per cui esiste il cosmo». E ancora: «La legge cosmica, il nascere della musica e la religione grazie alla quale questi obiettivi vengono raggiunti devono stare insieme». Gubajdulina se ne è andata all’età di 93 anni, lasciando un’eredità che è impossibile racchiudere solo nella sua produzione musicale. Perché la sua musica è stata un atto di resistenza, una forma di preghiera e una dichiarazione di libertà, in un tempo e in un luogo in cui il potere voleva silenziare tutto ciò che non fosse allineato. Nata il 24 ottobre 1931 a Cistopol’, nel Tatarstan, visse la sua infanzia a Kazan’, città multiculturale in cui convivevano russi, tartari, ucraini ed ebrei. Suo padre era tartaro, sua madre russa, e questa mescolanza di culture la segnò profondamente.

La musica arrivò presto, come una rivelazione. «Avevo cinque anni quando in casa arrivò un pianoforte a coda», ricordava sempre in quell’intervista del 2013. «Creava una sonorità che sembrava uscire dalla cornice del solito. Quella sonorità sacrale si unì alla sensazione interna di sacralità e da quel momento le due cose si sono fuse insieme». Il richiamo al sacro non veniva dalla sua famiglia, cresciuta nell’ateismo imposto dal regime. La sua conversione al cristianesimo arrivò solo a trent’anni, ma la sua musica era già percorsa da un’urgenza spirituale. Fondamentale fu l’incontro con la pianista Marija Judina, ebrea convertita al cristianesimo e grande interprete di Bach e Šostakovic, che divenne per lei una guida.

Dopo gli studi al conservatorio di Kazan’ e poi a Mosca con Nikolaj Pejko, assistente di Šostakovic, scelse la strada più difficile. Il grande compositore le disse che doveva «seguire la sua strada sbagliata», ovvero rimanere fedele alla propria ricerca interiore, anche se questo significava il rischio dell’emarginazione. Negli anni ’70, in Unione Sovietica, il suo nome era sulla lista nera. «Le mie partiture circolavano come uno samizdat», ci raccontava a Venezia. «All’estero venivano suonate senza che nemmeno io lo sapessi. Gidon Kremer ottenne la partitura di Offertorium in modo clandestino: lui non poteva possederla».

Il suo linguaggio musicale era innovativo e profondamente simbolico. L’opera per violino e orchestra Offertorium (1980), basata su un tema bachiano, rappresentava un atto di offerta musicale e spirituale. In croce (1979), per bajan e violoncello, evocava la crocifissione attraverso l’intreccio delle linee melodiche. Sette parole (1982) rifletteva sulle ultime parole di Cristo. E poi le grandi opere vocali degli anni Duemila, come la Johannes-Passion e il Johannes-Ostern, che rileggevano il Vangelo in una chiave musicale unica, unendo tradizione ortodossa e occidentale.Ma il suono, per Gubajdulina, non era solo vibrazione. Il silenzio aveva per lei un ruolo essenziale. «È il mezzo, ciò che può dare alla luce la vibrazione», spiegava. «Se si riesce ad arrivare a una concentrazione massima, all’interno del silenzio e dietro di esso si apre un mondo di terribili scontri». La sua musica sapeva scavare in quella dimensione nascosta, dove il silenzio diventa lo spazio dell’attesa, della rivelazione e, insieme, del conflitto.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica si trasferì in Germania, dove continuò a scrivere fino agli ultimi anni, ottenendo riconoscimenti in tutto il mondo. Ma non dimenticò mai le sue radici. «Torno spesso a Kazan’», ci disse. «Dopo il ’90 l’economia è ripartita, i tartari hanno maggiore influenza, c’è una caratterizzazione nazionale. E devo dire che ne sono contenta. Ma non posso dimenticare cosa diceva Šostakovic, cioè che “bisogna innanzitutto essere fedeli a se stessi”». Essere fedeli a se stessi. È questa la lezione più grande che Sofija Gubajdulina ci lascia. In un’epoca di conformismo, la sua musica ha testimoniato una libertà interiore che nessuna censura ha mai potuto soffocare. E che continua a risuonare.

In Santo Stefano a Reggio Emilia: Madonna del Carmelo, tra le devozioni più antiche e più amate. Il 16 luglio, la Chiesa festeggia la Madonna del Carmelo. Un’antica devozione che risale ai profeti della Bibbia

ll culto mariano del Carmelo, caso unico tra i culti dei santi, affonda le sue radici nove secoli prima della nascita di Maria. Il primo profeta d’Israele, Elia, dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Beata Vergine. La vide alzarsi in una piccola nube, portando una provvidenziale pioggia e salvando Israele da una devastante siccità. E’ uno dei culti più antichi della Roma cristiana, così come l’Ordine carmelitano che si ricollega a quanto descritto nella Bibbia, quando si racconta che Elia ebbe la profezia del Mistero della Vergine e Madre e della nascita del Figlio di Dio. Già nel I secolo, gli eremiti che si ritirarono sul monte costruirono una cappellina a Lei dedicata. “I carmelitani hanno la tradizione di essere legati alla Madonna ma anche a Elia, cioè alla capacità, come quella del profeta, di ascoltare Dio”:

“Gli fu detto: ‘Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore’. Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.”

L’iconografia popolare

Secondo l’iconografia popolare, la Madonna del Carmelo non tiene in braccio Gesù, ma distende le braccia in avanti offrendo lo scapolare. L’immagine fa riferimento all’apparizione del 16 luglio 1251: la Madonna si mostrò a san Simone Stock, consegnò uno scapolare e gli rivelò i privilegi connessi a tale culto. “Non è un portafortuna o un talismano”  ma un segno di salvezza. Significa essere rivestiti della sua grazia, cioè dei suoi doni. Se noi diciamo oggi ‘voglio lo scapolare’, penso di voler ricevere questo segno di salvezza che mi rimanda alle virtù di Maria; mi aiuta a impegnarmi a vivere come lei”.

Le Confraternite intitolate alla Madonna del Carmine

Nel tempo, le Confraternite intitolate alla Madonna del Carmine e il favore di alcuni papi, che La arricchirono di privilegi spirituali, ne aumentarono la devozione popolare.
Nel 1623, un decreto della Congregazione dell’Indice consacrava la “Tradizione del Sabato”, ossia l’aiuto che la Beata Vergine del Carmelo dà in questo giorno ai suoi devoti morti in grazia di Dio per il raggiungimento immediato della pienezza dell’amore divino.

Come ogni anno ci riuniamo il 16 luglio, per testimoniare la nostra devozione alla Beata Vergine del Monte Carmelo ed avere da Lei luce e conforto per la nostra vita. Ognuno di noi ha un patrimonio di esperienze di gioia e di dolore, di accoglienza e di rifiuto, di successo e di sconfitta. Ognuno di noi prende coscienza di come la precarietà del presente e l’incertezza del futuro ci rendano fragili. Molte volte, basta una parola sbagliata, nel momento sbagliato, per distruggere un rapporto d’amicizia e di collaborazione, e una parola giusta, nei tempi e nei modi corretti, per salvare una vita. La grande forza che abbiamo per resistere a queste nostre fragilità umane è la promessa di Gesù di non lasciarci mai soli e di restare con noi tutti i giorni della nostra vita, sino alla fine del mondo.

Se, ora, volessimo sintetizzare il messaggio della Parola di Dio sulla pietà popolare potremmo dire che il profeta Isaia e lo stesso Gesù ci chiedono di unire alla nostra pietà popolare la testimonianza della fede. Il profeta Isaia scrive: “smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio; anche se moltiplicaste le preghiere, io non le ascolterei…Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”. E Gesù dice ai suoi ascoltatori: “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà; e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”.

La pietà popolare è ricca di canti, preghiere, devozioni ai santi Patroni e alla Madonna, venerata sotto diversi titoli, tra cui quello della Beta Vergine del Monte Carmelo. Però, questa ricchezza potrebbe diventare povertà. Sembra un paradosso che una vita ricca di religiosità possa diventare povera! Il paradosso si chiarisce se spieghiamo che cosa intendiamo per ricchezza e povertà dal punti vista religioso. La ricchezza è fatta di devozione esteriore, di pratiche religiose, di voti e promesse. La povertà è costituita da mancanza di fede interiore, di motivazioni spirituali, di valori evangelici. La fede interiore è soprattutto quella di San Francesco d’Assisi, Santa Teresa d’Avila, Madre Teresa di Calcutta, che pregavano dicendo: Deus meus et omnia, Dio mio e tutto. La fede interiore, dunque, è quella che ci porta a Dio, che ci aiuta a pregarlo, amarlo, lodarlo, ringraziarlo nei modi, nei luoghi, nei tempi giusti. Ma come si arriva a Dio nel modo giusto, se Lui è l’Inaccessibile, l’Onnipotente, l’Altissimo, il Misterioso? Ce lo indica S. Agostino, che ha scritto: ambula per hominem et pervenies ad Deum: percorri la via dell’uomo e arrivi a Dio. In buona sostanza, per S. Agostino, la via per arrivare a Dio nel modo giusto è l’uomo. Anche San Giovanni Paolo II, nell’enciclica Redemptor Hominis, ha scritto che “l’uomo è la via fondamentale della Chiesa”. Nessuno di noi, perciò, deve pretendere di aver la corsia preferenziale per arrivare a Dio senza passare per l’uomo. San Giovanni chiama bugiardo chi dice di amare Dio e odia o trascura il proprio fratello (1Gv, 4, 20). La cartina di tornasole del nostro vero amore di Dio è l’amore del prossimo, ossia la virtù della carità. Per praticare la virtù della carità non bisogna essere intelligenti, ricchi, super eruditi. I gesti di amore sono i più semplici della nostra vita. Addirittura, talvolta, basta un semplice sguardo, una stretta di mano, un saluto di incoraggiamento, un complimento sincero per rendere felice una persona. Gesù promette la sua ricompensa a chi ha dato da bere “anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno dei discepoli”.

Ora, la festa della Madonna del Monte Carmelo, nel proporci la venerazione del profeta Elia, ci offre un esempio concreto di come la pratica della carità avvicini a Dio nel modo giusto. Elia è in cammino verso il Monte Carmelo per sfuggire alla persecuzione della regina Gezabele, che lo aveva minacciato di morte. Giunge a Sarepta, una città della Fenicia, in casa di una vedova, di cui non sappiamo il nome, definita da quello che le manca, il marito, che vive con il figlio orfano. Elia è accolto dalla vedova e, alla sua domanda di dargli da bere e da mangiare, lei gli offre tutto ciò che ha, anche se, trovandosi in tempo di carestia, sa che non le resterà più nulla per sé. Elia, come ricompensa, le promette che la farina e l’olio non mancheranno mai dalla sua casa.

La vicenda del profeta Elia ci aiuta a capire come comportarci nei momenti di scoraggiamento, di fallimento, di solitudine. Egli visse lo scoraggiamento e il fallimento in modo drammatico, tanto che di fronte al peso della persecuzione chiese al Signore di lasciarlo morire. Ma il Signore gli offrì un pane miracoloso che gli diede la forza per continuare il cammino. Con la forza datagli da questo pane misterioso Elia camminò per 40 giorni e 40 notti e giunse fino al monte Oreb, dove il Signore gli parlò attraverso un vento leggero e gli diede il coraggio di portare a termine la sua missione.

Non tutti noi portiamo lo scapolare. Anche se non portiamo lo scapolare, però, chiediamo alla Vergine del Monte Carmelo la benedizione perché, sull’esempio del profeta Elia, purifichi il nostro culto del Dio vivente da tante preghiere superstiziose. Tante volte, anche involontariamente, scambiamo i santuari mariani per una banca dove ritirare le grazie con il bancomat delle novene e delle processioni. Chiediamole il rafforzamento della nostra fede nel Dio misericordioso, per seguirlo ed amarlo anche al di sopra dei vincoli familiari. Chiediamole il dono della preghiera dei santi: “Dio mio e tutto”. La fanciulla Maria di Nazareth ha creduto alla parola dell’Arcangelo e, rinunciando ai suoi progetti personali, ha affidato il suo futuro alla Parola di Dio: “si compia in me secondo la tua parola” (Lc 1, 28). Sul suo esempio, fidiamoci della Parola di Dio, anche quando non la comprendiamo, la troviamo particolarmente dura ed esigente. Custodiamola nel nostro cuore, come faceva la Madre di Gesù, nella rinnovata convinzione che “non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4). Anche se, come i discepoli, fatichiamo notte e giorno senza prendere niente, sulla parola di Gesù, gettiamo la rete (cfr. Lc 5, 5) e camminiamo secondo lo Spirito. Il nostro futuro, per fortuna, non è nelle nostre mani ma nelle mani di Dio. Mani che creano dal nulla, guariscono dal male, accompagnano nel buio, conducono alla meta fissata per ognuno di noi sin dall’eternità.

Fonte: vaticannews e chiesadioristano

 

Gmg 2023. Il Papa a Fatima: preghiera silenziosa per la pace con dolore

Il portavoce Matteo Bruni ha spiegato che Francesco, pur non leggendo i testi, ha invocato pace “con dolore” in silenzio. “Maria ci è vicina e segnala a Gesù le nostre necessità”, l’omelia del Papa
avvenire.it
Il Papa a Fatima: preghiera silenziosa per la pace con dolore

Reuters

Una preghiera silenziosa per la pace, con un nuova consacrazione della Chiesa e del mondo, specie i Paesi in guerra, a Maria. Questa è stata l’intenzione del Papa, durante la sua visita di questa mattina al santuario di Fatima. Lo ha detto il direttore della Sala Stampa Vaticana, Matteo Bruni, ai giornalisti che gli chiedevano come mai Francesco non avesse pronunciato la preghiera per la pace, limitandosi solo a poche frasi dell’omelia scritta e parlando a braccio in spagnolo. “Posso confermare – le sue parole – che il Papa mi ha detto di aver pregato in silenzio e con dolore per la pace. I suoi sentimenti sono rispecchiati nel tweet pubblicato sul profilo ufficiale qualche ora dopo la visita”. Nel tweet infatti si legge: “O Maria, noi ti amiamo e confidiamo in te. E a te, ora, nuovamente ci affidiamo. Con cuore di figli ti consacriamo le nostre vite, per sempre. Ti consacriamo la Chiesa e il mondo, specialmente i Paesi in guerra. Ottienici la pace. Tu, Vergine del cammino, apri strade dove sembra che non vi siano. Tu, che sciogli i nodi, allenta i grovigli dell’egoismo e i lacci del potere. Tu, che non ti lasci mai vincere in generosità, riempici di tenerezza, colmaci di speranza e facci gustare la gioia che non passa, la gioia del Vangelo”.

Quanto alla decisione di non seguire i testi scritti, molto frequente in questo viaggio, Bruni, ha risposto: “Nessun problema di vista. Il Papa sta bene e parla sempre da pastore anzitutto al popolo che ha di fronte e a cui si rivolge. Il rosario in sé era una preghiera per la pace, esplicitata nelle intenzioni del quarto mistero” (il quarto mistero gaudioso, la presentazione di Gesù al Tempio, ndr). “La preghiera l’ha sostituita con l’Ave Maria, in un santuario mariano”.

Nel discorso pronunciato a braccio il Papa ha inventato un nuovo titolo per Maria. “Nostra Signora che va in fretta”. Lo ha coniato davanti alla statua della Madonna, nella Cappellina delle Apparizioni, per far comprendere ai 200mila fedeli che hanno appena finito di recitare il Rosario con lui la grande sollecitudine della Vergine in tutte le situazioni della storia e delle nostre vite. Francesco anche nel luogo delle apparizioni mariane del 1917 chiede una Chiesa aperta a tutti, uno dei leit motiv di questi giorni in Portogallo. E prende spunto proprio dalla questa Cappellina. “Accogliente e senza porte – dice -, è un santuario a cielo aperto, nel cuore di questa piazza che evoca un grande abbraccio materno. Così sia nella Chiesa, che è madre: porte aperte per tutti, per facilitare l’incontro con Dio; e posto per tutti, perché ognuno è importante agli occhi del Signore e della Madonna”.

 

Reteurs

Maria, aggiunge poi, “va in fretta per stare vicino a noi. E così accompagna la vita di Gesù. Mai è protagonista. Ella ci accoglie e segnala a Gesù. Non fa altro. E lo fa in fretta. Maria proprio qui – ricorda – si fece presente in modo speciale. E allora davanti a lei oggi pensiamo: che cosa mi sta segnalando? Che c’è nella tua vita che ti preoccupa, che ti commuove, che ti interessa? E lei lo segnala a Gesù”. Infine conclude chiedendo un applauso di saluto per la Vergine e recitando un’altra Ave Maria insieme con il popolo.

Proveniente da Lisbona, dove è in corso la 37.ma Giornata mondiale della Gioventù, che stasera vivrà uno dei suoi momenti più intensi con la Veglia, Francesco era giunto in elicottero a Fatima intorno alle 8,40, per recitare il Rosario insieme con un centinaio di giovani ammalati e sei detenuti del carcere di Leiria, che infatti sono con lui nella Cappellina delle apparizioni.
Festosa l’accoglienza lungo le strade della cittadina portoghese e sulla grande spianata del santuario, gremita di fedeli. Il Papa passa sulla papamobile, baciando diversi bambini che gli vengono presentati, quindi sulla piazza scende un clima di profondo raccoglimento. Francesco per primo si ferma per la sua preghiera silenziosa davanti alla statua della Vergine, quindi dona un rosario d’oro e infine comincia il Rosario.

Reuters

Tanti avevano passato la notte davanti alla Cappellina delle apparizioni, dormendo nei sacchi a pelo, incuranti anche del fatto che non lontano era in corso un grande incendio. E infatti il cielo a prima mattina era oscurato da nuvole rossastre, mentre il vento faceva volare nell’aria frammenti di cenere. Francesco si è immerso nel clima orante e quando ha preso la parola, dopo il saluto del vescovo di Leiria-Fatima, José Ornelas, ha parlato dello stile di Maria, che accoglie, accompagna e presenta a Gesù. Alla fine della preghiera è tornato a Lisbona sempre in elicottero.

Gli esami al via. Maturità 2023: a che santo raccomandarsi?

Ragazzi alla prova della Maturità

Da san Giuseppe da Copertino al beato Carlo Acutis, passando per san Tommaso d’Aquino, santa Rita da Cascia o san Luigi Gonzaga. Inizia l’esame di maturità. È la “grande” prova che ogni studente è chiamato ad affrontare. Da solo, certo, forte di anni di impegno e di settimane frenetiche di ripassi. Ma anche con “amici” che dal cielo possono intercede per lei o lui. Sono i santi che i ragazzi alle prese con scritti e orali possono invocare.

«Anche come comunità ecclesiale, vogliamo esprimere la nostra vicinanza agli studenti impegnati nel sostenere questa importante verifica – afferma in una dichiarazione il vescovo Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale Cei per l’educazione cattolica, la scuola e l’università –. Ne condividiamo le apprensioni e le speranze augurando che possano raccogliere i frutti del lungo cammino che ha arricchito la loro formazione umana e intellettuale, contribuendo a plasmare la personalità e a dare le basi per un pieno inserimento nella vita sociale». Il presule rivolge poi «un pensiero di gratitudine anche a tutti i docenti e al personale amministrativo che accompagnano con passione educativa e professionalità i giovani in questo delicato passaggio del loro percorso scolastico». E aggiunge: «Siamo vicini alle famiglie che sostengono i loro figli condividendone le ansie e le aspettative. Anche se si stratta di una prova individuale, essa riveste sempre un rilevante valore sociale, perché alla fine è la comunità nel suo insieme che beneficia dei risultati positivi o che deve prendere atto delle difficoltà. Consapevole di questo peculiare valore umano e sociale, la Chiesa accompagna anche spiritualmente, con l’affetto e la preghiera, gli studenti e tutti coloro che a diverso titolo sono coinvolti negli esami di maturità».

La preghiera è anche quella dei ragazzi stessi. A san Giuseppe da Copertino, anzitutto, il patrono degli studenti. Si definiva “fratel Asino”. Cacciato dal convento per «semplicità ed ignoranza», passò con molta fatica gli esami per diventare sacerdote. Motivo per cui è il protettore degli studenti. Nato il 17 giugno 1603 a Copertino, in provincia di Lecce, in una stalla del paese, era figlio di un “maestro dei carri”. Voleva farsi prete, ma non aveva un’istruzione sufficiente anche perché era stato costretto a lasciare la scuola per motivi di salute. A quasi 17 anni bussò alla porta dei frati francescani conventuali, convento detto della “Grottella” a due passi da Copertino, ma venne mandato via «per la sua poca letteratura». Passò allora dai francescani riformati, ma anche questi dopo un po’ lo rifiutarono. Si diresse allora dai cappuccini di Martina Franca, allora esigenti in fatto di cultura, e fu rimandato a casa. Grazie all’interessamento dello zio materno, riuscì dopo molte insistenze a farsi accettare di nuovo dai conventuali della “Grottella”. E in modo stupefacente superò prima l’esame per il diaconato e poi quello per il sacerdozio. Nella sua vita ha avuto frequenti visioni ed estasi, ed è anche chiamato “patrono dei voli” a causa delle sue levitazioni.

Ecco la preghiera dello studente al santo pugliese:

O san Giuseppe da Copertino,
amico degli studenti e protettore degli esaminandi,
vengo ad implorare da te il tuo aiuto.
Tu sai, per tua personale esperienza,
quanta ansietà accompagni l’impegno dello studio
(degli esami) e quanto facili siano il pericolo
dello smarrimento intellettuale e dello scoraggiamento.
Tu che fosti assistito prodigiosamente da Dio
negli studi e negli esami
per l’ammissione agli Ordini sacri,
chiedi al Signore
luce per la mia mente e forza per la mia volontà.
Tu che sperimentasti tanto concretamente
l’aiuto materno della Madonna,
Madre della speranza,
pregala per me,
perché possa superare facilmente
tutte le difficoltà negli studi e negli esami.
Amen.

 

'San Giuseppe da Copertino si eleva in volo alla vista della Basilica di Loreto' di Ludovico Mazzanti

“San Giuseppe da Copertino si eleva in volo alla vista della Basilica di Loreto” di Ludovico Mazzanti – Wikipedia

Era studente, come lo sono i ragazzi della maturità, il beato Carlo Acutis, appassionato di computer e pioniere del mondo digitale. Aveva 15 anni quando nel 2006 è morto per una leucemia fulminante. Le sue spoglie si trovano ad Assisi, città a cui era legato benché fosse nato a Londra e fosse vissuto a Milano. Frequentava l’istituto “Leone XIII” dei gesuiti. Attento alla comunicazione, aveva capito che il linguaggio informatico poteva essere utilizzato fino in fondo per diffondere il Vangelo e il culto dell’Eucaristia alla quale dedicava lunghe ore di adorazione. Le sue giornate erano scandite, oltre che dalla scuola, anche dalle partite di pallone, dalle uscite in pizzeria con gli amici, dal volontariato alla mensa dei poveri, dall’aiuto ai bambini in difficoltà con i compiti, dal sassofono, dalla progettazione di programmi con il computer o dai videogiochi.

 

Carlo Acutis a Castelluccio

Carlo Acutis a Castelluccio – Famiglia Acutis

È firmata da un dottore della Chiesa una delle più famose preghiere degli studenti. È san Tommaso d’Aquino, filosofo e teologo, che è considerato l’”Angelo della scuola”. La tradizione della Chiesa tramanda la preghiera che egli stesso recitava prima dello studio, delle lezioni, delle prediche. Pio XI l’aveva raccomandata nella sua enciclica Studiorum Ducem.

Ecco la preghiera dello studente di san Tommaso d’Aquino:

Creatore ineffabile,
che dai tesori della Tua Sapienza hai tratto tre gerarchie d’angeli e le hai stabilite sopra i cieli in un ordine mirabile.
Tu che hai disposto ogni elemento dell’universo con armonica bellezza. Tu che sei chiamato autentica Fonte della Luce e della Sapienza, e Principio sublime di ogni cosa.
Degnati di illuminare le tenebre del mio intelletto con il raggio della tua chiarezza, liberandomi dalle due tenebre in cui sono nato: il peccato e l’ignoranza.
Tu, che fai fiorire l’eloquenza sulle lingue dei bambini, forgia la mia lingua e infondi nelle mie labbra la grazia della tua benedizione.
Dammi l’acutezza dell’intelligenza, la facoltà di ricordare, il metodo e la facilità dell’apprendere, la perspicacia dell’interpretare, il dono copioso del parlare.
Disponi Tu l’inizio, dirigi lo svolgimento e portami fino al compimento: Tu che sei vero Dio ed uomo, che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Amen.

'San Tommaso d'Aquino mentre scrive l'inno al Santissimo Sacramento' di Giovanni Barbieri Guercino

“San Tommaso d’Aquino mentre scrive l’inno al Santissimo Sacramento” di Giovanni Barbieri Guercino – Wikipedia

Una santa da invocare nei momenti della prova è Rita da Cascia. E’ la santa delle cause impossibili. Donna, sposa, madre, vedova e monaca, è un modello di vita più che mai valido anche oggi. «Le donne di oggi – ha detto papa Francesco –, sul suo esempio, possano manifestare il medesimo entusiasmo di vita e, al contempo, essere capaci dello stesso amore che ella riservò a tutti incondizionatamente». Nata a Roccaporena in Umbria nel 1381, figlia unica, Margherita Lotti coltivava fin da giovane il sogno di consacrarsi a Dio, ma fu destinata al matrimonio con un uomo violento. La pazienza e l’amore di Rita lo cambiò, ma alla fine la sua vita fu spezzata nella violenza. Morti anche i due figli di malattia, Rita, che convinse la famiglia del marito a non vendicarsi, decise di seguire il desiderio giovanile entrando nel monastero dell’Ordine di Sant’Agostino a Cascia. Morì nel 1447 (o forse nel 1457).

Ecco la preghiera a santa Rita per le situazioni “impossibili”:

O cara santa Rita,
nostra patrona anche nei casi impossibili e avvocata nei casi disperati,
fate che Dio mi liberi dalla mia presente afflizione,
e allontani l’ansietà, che preme così forte sopra il mio cuore.
Per l’angoscia, che voi sperimentaste in tante simili occasioni,
abbiate compassione della mia persona a voi devota,
che confidentemente domanda il vostro intervento
presso il Divin Cuore del nostro Gesù Crocifisso.
O cara santa Rita,
guidate le mie intenzioni
in queste mie umili preghiere e ferventi desideri.
Emendando la mia passata vita peccatrice
e ottenendo il perdono di tutti i miei peccati,
ho la dolce speranza di godere un giorno
Dio in paradiso insieme con voi per tutta l’eternità.
Così sia.
Santa Rita, patrona dei casi disperati, pregate per noi.
Santa Rita, avvocata dei casi impossibili, intercedete per noi.

Il simulacro di santa Rita da Cascia venerato nella chiesa di San Giovanni La Punta

Il simulacro di santa Rita da Cascia venerato nella chiesa di San Giovanni La Punta – Wikipedia

Il patrono della gioventù è san Luigi Gonzaga. Morto a 23 anni, rampollo di un nobile casato, era nato nel 1568 a Castiglione delle Stiviere (Mantova), primogenito del marchese Ferrante Gonzaga. Fin da piccola aveva maturato la vocazione a seguire il Signore in modo radicale. Entrò nella Compagnia di Gesù nonostante l’opposizione del padre. E a 17 anni aveva firmato la sua rinuncia a titoli ed eredità. Partito per Roma, sarebbe rimasto solo pochi anni fra i gesuiti a causa della salute cagionevole e di una grave malattia: studierà teologia ma non farà in tempo nemmeno a prendere i voti. Durante la peste, Luigi andò tra gli “appestati” per curarli e soccorrerli, a fianco di san Camilo De Lellis.

 

'Luigi Gonzaga' di Francisco Goya

“Luigi Gonzaga” di Francisco Goya – Wikipedia

 

Verso Pasqua. La Quaresima dei fannulloni: quindici minuti al giorno con i santi

Preghiera per la pace il venerdì di quaresima

Momento qualificante per la meditazione personale o per un cammino quaresimale in parrocchia, >>> il volume “Quaresima per fannulloni” di Max Hout de Longchamp (Il Pozzo di Giacobbe con sconto 5% qui) è giunto alla XVIII edizione. Proposto per la prima volta in Italia dalla Confraternita della Beata Vergine del Monte Carmelo di Erice di cui è moderatore sin dalla nascita, nel 2003, il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti ha visto ampliare il circuito di persone interessate a vivere questo originale percorso spirituale e pratico.

Alla scuola dei santi e dei mistici, bastano 15 minuti al giorno per un vero itinerario quaresimale fino alla Pasqua. «Il metodo proposto richieste pochi minuti e un po’ di perseveranza per lasciare che la Parola prenda forma in noi». Una buona lettura, qualche minuto di meditazione, un consiglio pratico.

«È come strofinare un cerino per accendere un incendio, dice l’autore che attualmente dirige il Centro “Saint Jean de la Croix” di Mer-sur-Indre in Francia, gemellato con la confraternita ericina. «L’appuntamento secolare con la quaresima, con i suoi riti e le sue pratiche, ci dona lo strumento della preghiera con cui accendere il desiderio di Dio, potenza dell’uomo che è infinito desiderio come dicevano i filosofi antichi» ha detto Anna Pia Viola, filosofa e teologa della Facoltà Teologica di Sicilia nella presentazione che si è tenuta a Trapani presso il salone dell’abbraccio del Museo diocesano di arte contemporanea “San Rocco” qualche giorno fa. «Siamo fatti di parola ma per vivere e crescere abbiamo bisogno di parole sensate, profonde, pensate. Questo sussidio ispira proprio perché si rivolge a quei ‘fannulloni’ che non vogliono aggiungere cose da fare ma andare in profondità».

>>> Quaresima per i fannulloni… Alla scuola dei santi (Vol. 18) del Febbraio 2023 con 5% sconto qui

«La Quaresima è un affare di cuore, con cui la Chiesa ci prende per mano per compiere il cammino verso la rigenerazione della Pasqua – ha aggiunto il vescovo Raspanti presente alla presentazione – l’amore è il quadro di riferimento di tutte le pratiche quaresimali che ogni anno si presenta a noi come occasione preziosa per rientrare in noi stessi e guardare i grandi limiti della nostra creaturalità. Abbiamo attraversato l’emergenza sanitaria del Covid, ci troviamo ad un anno da una guerra sanguinosa a pochi passi da noi, abbiamo seguito il dramma del terremoto in Turchia e Siria pensando che potevamo essere noi le vittime di tutto questo».

«Dopo anni in cui abbiamo vissuto con uno strisciante senso di onnipotenza ci siamo ritrovati deboli, fragili, come canne direbbe Pascal. Ma – ha ripreso il vescovo di Acireale – proprio nell’abbraccio del Padre in cui c’immette il rapporto con Cristo Risorto, possiamo scoprire che i nostri limiti non sono la nostra infelicità. Nel Padre la nostra debolezza non si sgretola nel nulla ma s’integra e si unifica nella vita del Risorto. La parola “Padre’” se mi fermo, respira di quel ‘per me’ della salvezza di Cristo che va ben oltre ad un triste esercizio di salute morale, ha concluso citando un brano di San Francesco di Sales contenuto nel volume».

avvenire.it

 

Preghiera. Il 10 marzo Messe in tutta Europa per la pace e le vittime della guerra

Una chiesa nel villaggio di Mala Komyshuvakha, vicino a Kharkiv, dalla quale è passata più volte la linea del fronte

Una Messa per la pace in Ucraina e per le vittime della guerra: all’invito a celebrarla venerdì 10 marzo in tutte le chiese arrivato dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), alla vigilia dell’anniversario dell’invasione russa il 24 febbraio, la Cei ha risposto con la sua adesione rilanciando l’appello alla preghiera con una nota diffusa il 21 febbraio. Oggi dunque in tutta Europa si celebreranno liturgie eucaristiche per invocare pace attraverso la partecipazione al sacrificio dell’altare, una vera mobilitazione popolare dei cattolici europei che possono mostrare così di sentire come loro la ferita della guerra abbracciando chi ne ha sofferto e ne patisce le terribili conseguenze. Una grande preghiera di tutto il continente, celebrata all’interno della Messa che rende presente il Signore nella sua Chiesa, stringe la comunità attorno al suo fondamento vivo, forma il centro e la radice stessa della vita cristiana. Una giornata dunque che per intensità spirituale ricorda quella nella quale il 25 marzo 2022 il Papa consacrò Ucraina e Russia al Cuore Immacolato di Maria con una memorabile preghiera mariana (alla quale possiamo tornare oggi).

Molte diocesi hanno a loro volta chiesto alle parrocchie di celebrare una Messa il 10 marzo secondo le intenzioni proposte da vescovi europei e italiani: «Sarà un’occasione per rinnovare la nostra vicinanza alla popolazione e per affidare al Signore il nostro desiderio di pace – si legge nella nota della Presidenza Cei –. Chiedere la conversione del cuore, affinché si costruisca una rinnovata cultura di pace, sarà il modo in cui porteremo nel mondo quei germogli della Pasqua a cui ci prepariamo». La Conferenza episcopale italiana faceva eco al «grido accorato di papa Francesco» che «scuote le coscienze e chiede un impegno forte a favore della pace: è tempo di trovare spazi di dialogo per porre fine a una crisi internazionale aggravata dalla minaccia nucleare. A un anno dall’invasione russa di uno Stato indipendente, l’Ucraina, vogliamo tornare a ripetere il nostro “no” deciso a tutte le forme di violenza e di sopraffazione, il nostro “mai più” alla guerra. Per questo, invitiamo le comunità ecclesiali ad unirsi in preghiera per invocare il dono della pace nel mondo. In Ucraina, così come in tanti (troppi) angoli della terra – prosegue la Cei – risuona infatti l’assordante rumore delle armi che soffoca gli aneliti di speranza e di sviluppo, causando sofferenza, morte e distruzione e negando alle popolazioni ogni possibilità di futuro. Sentiamo come attuale l’appello lanciato sessant’anni fa da san Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris: “Al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può ricostruire nella vicendevole fiducia” (n.39). Se da una parte è urgente un’azione diplomatica capace di spezzare la sterile logica della contrapposizione, dall’altra tutti i credenti devono sentirsi coinvolti nella costruzione di un mondo pacificato, giusto e solidale. Il tempo di Quaresima ci ricorda il valore della preghiera, del digiuno e della carità, le uniche vere armi capaci di trasformare i cuori delle persone e di renderci “fratelli tutti”».

avvenire.it