1- 2 AGOSTO 2017 Giornate del «Perdono di Assisi»

Da mezzogiorno di martedì 1° agosto e per tutta la giornata di mercoledì 2 agosto in Cattedrale e in tutte le chiese parrocchiali si potrà implorare e ricevere l’indulgenza plenaria detta “del Perdono di Assisi” (una sola volta, per sé o per un defunto), nel ricordo dell’Indulgenza della Porziuncola concessa a san Francesco d’Assisi nel 1216.

È un atto di fiducia nella grande misericordia di Dio, che si rinnova alle “solite condizioni”: pentimento dei propri peccati e confessione sacramentale (entro 15 giorni), partecipazione alla Messa con la Comunione, recita della professione di fede (il Credo), preghiera secondo le intenzioni del Papa per la Chiesa e la pace nel mondo, conclusa dalla preghiera battesimale del Padre Nostro.

Professione di fede

Io credo in Dio, Padre onnipotente,

creatore del cielo e della terra;

e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore,

il quale fu concepito di Spirito Santo,

nacque da Maria Vergine,

patì sotto Ponzio Pilato,

fu crocifisso, morì e fu sepolto;

discese agli inferi,

il terzo giorno risuscitò da morte;

salì al cielo,

siede alla destra di Dio Padre onnipotente;

di là verrà a giudicare i vivi e i morti.

Credo nello Spirito Santo,

la santa Chiesa cattolica,

la comunione dei santi,

la remissione dei peccati,

la risurrezione della carne,

la vita eterna. Amen.

 

Preghiera per la Chiesa

e Preghiera del Padre nostro

 

Il Signore è ricco di misericordia:

per salvare gli uomini dal peccato ha inviato nel mondo suo Figlio.

Preghiamo perché si affretti il giorno

della conversione di ogni cuore al suo amore.

Rit.: Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Ti preghiamo, Signore, in questo giorno, secondo le intenzioni

di Papa Francesco per la riforma della vita della Chiesa,

l’unità tra i cristiani, l’amicizia e la pace tra i popoli. Rit.

Custodisci nella comunione la nostra Chiesa diocesana

con il Vescovo Massimo, i presbiteri, i diaconi, i religiosi,

le persone consacrate, i seminaristi, gli sposi e i fedeli tutti. Rit.

Suscita nelle parrocchie e negli oratori una rinnovata sollecitudine materna nell’accogliere i giovani, valorizzarne le potenzialità,

accompagnarli nel discernimento vocazionale.  Rit.

Apri i nostri occhi e purifica il nostro cuore da pregiudizi e paure,

perché sappiamo vedere nel migrante un appello alla nostra

conversione, riconoscerti nel povero e nel bisognoso. Rit.

Per quanti oggi ricorreranno al “Perdono di Assisi”:

siano purificati e rinnovati, Signore, dalla tua misericordia. Rit.

Per i nostri defunti che ci hanno preceduto con il segno della fede:

ammettili, Signore, a godere della luce del tuo volto. Rit.

Eventuali altre intenzioni di preghiera personali,

poi si recita la Preghiera del Padre nostro,

e si aggiunge:

 

Purifica, o Padre, il nostro cuore e guida i nostri passi

verso la dimora dove tu ci attendi

e regni glorioso con il Cristo e lo Spirito Santo,

per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Si conclude con il segno della croce in ricordo del proprio Battesimo

Il perdono “in uscita”

Nel marzo del 416, papa Innocenzo I scriveva a Decenzio, vescovo di Gubbio, la Lettera decretale, nella quale sono contenute importanti indicazioni liturgiche ed ecclesiali in ordine alla celebrazione dei sacramenti, penitenza compresa. È questo 1600° anniversario ad aver motivato la scelta di Gubbio come sede della 67ª settimana liturgica nazionale sul tema “La liturgia luogo della misericordia. Riconciliati per riconciliare” (22-25 agosto).

La scelta del luogo e del tema hanno ricevuto il plauso di papa Francesco. Nel messaggio inviato a Claudio Magnago, vescovo di Castellaneta e presidente del Centro di azione liturgica (CAL), a firma del card. Segretario di stato, Piero Parolin, si legge che la liturgia deve essere percepita «quale luogo della misericordia incontrata e accolta per essere donata». Rifuggendo da «atteggiamenti intimistici e autoconsolatori» e «partendo dalla consapevolezza che si è perdonati per perdonare, occorre essere testimoni di misericordia in ogni ambiente, suscitando desiderio e capacità di perdono». Il sacramento della penitenza – si legge ancora nel messaggio – deve diventare una “soglia” che apre verso «un’umanità sempre più bisognosa di compassione».

La stessa esortazione la troviamo nel saluto di accoglienza ai convegnisti firmato congiuntamente dal vescovo Maniago e da Mario Ceccobelli, vescovo di Gubbio: il sacramento della penitenza «non è stato istituito per esaurirsi nell’angusto spazio di un confessionale… La misericordia che riceviamo dal Padre non ci è data come una consolazione privata… Si è perdonati per perdonare».

Il servo di Maria padre Ermes Ronchi, nella relazione alla settimana liturgica, ha usato accenti piuttosto duri nel denunciare «celebrazioni senza pathos, senza sorrisi, e noiose», arrivando a dire che «Dio può morire di noia nelle nostre chiese». Cercare poi la misericordia celebrata nelle nostre assemblee «è impresa ardua», perché vi si consuma un fatto religioso, «ma non si consegna speranza ai fedeli». E poi un accento positivo: «La misericordia che libera è una forza mite e possente che rimette la mia barca sul filo della corrente, che fa ripartire la carovana al levar del sole; non un colpo di spugna sul passato, ma un colpo di vento verso il futuro, che insegna respiri, apre sentieri».

Il vescovo Maniago, presentando il programma della settimana, aveva dichiarato che questo appuntamento «vuol contribuire a indicare con forza l’unica risposta alle troppe situazioni di conflitto, di violenza e terrore che colpiscono soprattutto innocenti, creando un clima di sgomento e di sofferenza». E proseguiva: «Il nostro mondo ha bisogno di riconciliazione e il Signore è pronto, nella sua instancabile misericordia, a renderci tutti strumenti perché altri possano ricevere e sperimentare lo stesso dono». Concetto ribadito alla celebrazione dei vespri che hanno ufficialmente aperto la settimana liturgica: «Se ci lasciamo riconciliare, diventiamo noi stessi più capaci di misericordia e operatori di riconciliazione. La vita rigenerata dalla misericordia di Dio nell’azione liturgica, si realizza poi come riconciliazione in forme di interazione sociale, di perdono, di solidarietà, di impegno per la pace e la salvaguardia del creato».

Anche il vescovo Nunzio Galantino si è espresso sulla stessa linea nell’omelia del 23 agosto: «Sentirci richiamare all’esercizio della misericordia, in tempi come i nostri attraversati da forti spinte egoistiche e di chiusura, vuol dire – ha dichiarato il segretario generale della CEI – sentirsi richiamati alla carità come arte dell’incontro, come arte della relazione, come arte del vivere, ma significa soprattutto sollecitare un soprassalto di umanità per non permettere al cinismo, alla barbarie e all’indifferenza di avere la meglio».

Per questo – ha dichiarato Enzo Bianchi nella relazione conclusiva della settimana – «noi cristiani oggi dovremmo tentare di dare alla misericordia e alla riconciliazione una valenza sociale, a volte politica».

Tre relatori si sono soffermati esplicitamente sul sacramento della penitenza: Ildebrando Scicolone, Silvano Sirboni e il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla. Potremmo sintetizzare i loro interventi nello slogan “dal rito alla vita”. La penitenza infatti è una virtù che va oltre il sacramento. Senza questo “oltre” – ha spiegato il vescovo Brambilla – lo stesso sacramento è costretto a rinchiudersi della dinamica confessio-absolutio, la quale non può non affrontare la questione del superamento del peccato e della ricostruzione della propria storia cristiana».

I gruppi di lavoro si sono confrontati sull’interrogativo “Quale misericordia e quali riconciliazioni più urgenti oggi”, declinato in quattro aree: nella famiglia, nella comunità parrocchiale, con la vita e con il mondo, con le confessioni cristiane e con le altre religioni.

Ai 300 convegnisti è stato dato l’appuntamento a Roma per la 68ª settimana liturgica. Sarà l’occasione per celebrare e festeggiare i settant’anni di vita del CAL.

settimananews.it

So che questo è l’anno della misericordia. Mi potresti spiegare cos’è?

Per capire bene le parole, è utile, oltre che interessante, andare alla radice del significato. Misericordia deriva da due parole latine, miserere, che significa avere pietà, e cor/cordis, che significa cuore. In pratica è un sentimento che ci fa provare compassione quando qualcuno è infelice o si trova nel bisogno.
Quando penso alla misericordia mi viene in mente un’immagine: un bimbo ancora malfermo sulle gambe che inciampa e si fa male, e tende le braccia alla mamma per avere conforto. Oppure penso a una ragazza che soffre perché ha litigato col fidanzato e cerca un po’ di consolazione dall’amica.
La misericordia ci spinge a soccorrere chi sta male, chiamando in causa tutta la nostra pazienza e la nostra comprensione. È un sentimento che addolcisce il cuore, lo rende accogliente e avvolgente, ma fa anche muovere le gambe, perché ci fa andare incontro a chi ha bisogno di un sostegno.
La misericordia ci insegna anche a perdonare chi sbaglia ed ecco che entra in campo la religione. Infatti tutte e tre le grandi religioni monoteiste dicono che Dio è misericordioso. Nel libro dell’Esodo leggiamo: «Il Signore, tuo Dio, è un Dio misericordioso, non ti abbandonerà», e ancora: «Il Signore, Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di misericordia e fedeltà». Nel Vangelo è riportata questa frase di Gesù: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». «Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso», recitano i musulmani nelle loro preghiere rituali. Come vedi ebrei, cristiani e musulmani ritengono che Dio sia misericordioso, perché è capace di un amore infinito, che sempre accoglie chi sbaglia e lo perdona.

La misericordia di Dio è il perdono?

È uno degli aspetti, sì. Se dovessi riassumere in una sola frase tutta la Bibbia, direi che è la storia dell’uomo che spesso sbaglia e di Dio che sempre lo accoglie col suo perdono. «Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia», dice l’apostolo Paolo. Non a caso usa «sovrabbondare» per sottolineare che la misericordia di Dio è infinitamente più grande della misura che servirebbe per perdonare la colpa.

Ma è giusto che Dio ci perdoni tutte le volte? Voglio dire, se ci perdona sempre, allora non impareremo mai!

Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Non è una frase mia, è del profeta Isaia. Dio ci perdona perché ci ama visceralmente! E vuole che impariamo più dall’amore che dalle punizioni. Tu forse pensi che la misericordia sia l’espressione delle persone deboli, io invece credo che sia la caratteristica delle persone forti, sicure, fiduciose.
In Dio la misericordia manifesta la sua onnipotenza, è la forza del suo amore. C’è una bellissima lettera scritta da san Paolo alla comunità di Corinto che dice così: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». La carità è l’amore. E come la misericordia, ha a che fare con il cuore dell’uomo e con la sua capacità di amare. È il sentimento che più avvicina l’uomo al suo Dio.

Papa: Gesù ha aperto per tutti il tempo della misericordia

Ognuno “ha le proprie miserie”, ma la potenza del perdono di Cristo, che le ha riscattate sulla Croce, “non si esaurisce mai”. Lo ha affermato all’udienza generale Papa Francesco, inaugurando in Piazza San Pietro, davanti a circa 40 mila persone, un nuovo ciclo giubilare di catechesi dedicate alla misericordia nel Vangelo. Il servizio di Alessandro De Carolis da Radio Vaticana

“Poteva farlo”. Presentarsi come un re, giudicare tutti dall’alto di una santità e sapienza straordinarie. Perfino scendere dalla Croce come qualcuno, sbeffeggiandolo, arrivò a proporgli. Poteva farlo, come Dio, ma non l’ha fatto, facendosi uomo, anzi il miserabile tra gli uomini, accettando un sacrificio che ha schiuso all’umanità il tempo del perdono.

In fila tra i peccatori
È come un grande affresco di Cristo la prima catechesi del Papa sulla misericordia nel Vangelo. Francesco la rintraccia nelle cinque grandi azioni compiute da Gesù – “incontrando le folle, annunciando il Vangelo, guarendo gli ammalati, avvicinandosi agli ultimi, perdonando i peccatori” – e punta l’attenzione in particolare sul modo in cui Gesù inizia la sua missione, facendosi battezzare da Giovanni nel Giordano:

“Egli non si è presentato al mondo nello splendore del tempio: poteva farlo, eh? Non si è fatto annunciare da squilli di trombe: poteva farlo. E neppure è venuto nelle vesti di un giudice: poteva farlo. Invece, dopo trent’anni di vita nascosta a Nazaret, Gesù si è recato al fiume Giordano, insieme a tanta gente del suo popolo, e si è messo in fila con i peccatori. Non ha avuto vergogna: era lì con tutti, con i peccatori, per farsi battezzare”.

Puro, gratuito, assoluto
Fin da subito, indica Francesco, Cristo “si è manifestato come Messia che si fa carico della condizione umana, mosso dalla solidarietà e dalla compassione”. Tutto ciò che ha compiuto “dopo il battesimo – dice – è stato la realizzazione del programma iniziale: portare a tutti l’amore di Dio che salva”, “puro, gratuito, assoluto”:

“Gesù non ha portato l’odio, non ha portato l’inimicizia: ci ha portato l’amore! Un amore grande, un cuore aperto per tutti, per tutti noi! Un amore che salva! Lui si è fatto prossimo agli ultimi, comunicando loro la misericordia di Dio che è perdono, gioia e vita nuova. Il Figlio inviato dal Padre, Gesù, è realmente l’inizio del tempo della misericordia per tutta l’umanità!”.

Dalla Croce il perdono per sempre
Misericordia che raggiunge il culmine con lo strazio del Golgota, la cui portata Francesco ricorda amplificando nell’abbraccio del Colonnato le parole che hanno cambiato per sempre la condizione umana: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”:

“E’ sulla croce che Gesù presenta alla misericordia del Padre il peccato del mondo: il peccato di tutti! I miei peccati, i tuoi peccati, i vostri peccati. È lì, sulla croce, che Lui li presenta. E con esso tutti i nostri peccati vengono cancellati. Nulla e nessuno rimane escluso da questa preghiera sacrificale di Gesù”.

Non temiamo le nostre miserie
Una sola cosa basta, conclude il Papa: pentirsi e affidarsi a Dio con fiducia totale, attraverso il Sacramento della Riconciliazione. Evitando la tentazione di credersi autosufficienti rispetto all’offerta del perdono di Dio:

“Ognuno di noi dovrebbe domandarsi: ‘Sì, quello è un peccatore. E io?’. Tutti siamo peccatori, ma tutti siamo perdonati: tutti abbiamo la possibilità di ricevere questo perdono che è la misericordia di Dio (…) Non dobbiamo temere le nostre miserie. Ognuno di noi ha le proprie. La potenza d’amore del Crocifisso non conosce ostacoli e non si esaurisce mai. E questa misericordia cancella le nostre miserie”.

Sport, linguaggio universale che avvicina i popoli
Prima dei saluti finali, Papa Francesco ha ricordato con un pensiero la terza Giornata mondiale dello Sport per la Pace e lo Sviluppo indetta dall’Onu, che si celebra oggi:

“Lo sport è un linguaggio universale che avvicina i popoli e può contribuire a far incontrare le persone e superare i conflitti. Perciò incoraggio a vivere la dimensione sportiva come palestra di virtù nella crescita integrale degli individui e delle comunità”.