Morto l’ex presidente del Pakistan Musharraf, aveva 79 anni

 © ANSA

– Morto dopo una lunga malattia l’ex presidente del Pakistan Pervez Musharraf, aveva 79 anni.

Fu presidente dal 2001 al 2008 e autore del colpo di Stato del 1999.
L’ex presidente pakistano è morto in un ospedale di Dubai dove era ricoverato.
Musharraf era salito al potere con un colpo di Stato nel 1999 che rovesciò il governo di Nawaz Sharif. Nel 2008 si dimise per evitare l’impeachment. Da allora ha trascorso la maggior parte del suo tempo in esilio autoimposto nel Regno Unito e in Medio Oriente.
Musharraf fu alleato chiave degli Stati Uniti all’indomani degli attacchi dell’11 settembre, il suo periodo al potere divenne noto per l’oppressione e le dilaganti violazioni dei diritti umani, specialmente negli ultimi anni. Nel 2007 sospese la Costituzione, imposto la legge marziale, destituito il giudice capo della corte suprema e arrestato attivisti e avvocati, provocando proteste di massa.
Dopo le dimissioni nel 2008, Musharraf è tornato dall’esilio autoimposto nel marzo 2013 nel disastroso tentativo di contestare un seggio alle elezioni generali di quell’anno. I procedimenti legali per alto tradimento contro di lui sono iniziati nel 2014, ma nel 2016 Musharraf è stato autorizzato a lasciare il Paese per motivi medici. Nel 2019, è stato dichiarato colpevole di tradimento per aver sospeso la Costituzione e imposto lo stato di emergenza nel 2007 e condannato a morte. (ANSA).

Pakistan. «Nessuno è infedele»: 500 imam si schierano con Asia Bibi

Asia Bibi, in una foto senza data messa a disposizione dai familiari (Ansa)

Asia Bibi, in una foto senza data messa a disposizione dai familiari (Ansa)

«Uccidere con il pretesto della religione è contrario ai precetti dell’islam». Inizia così la “Dichiarazione di Islamabad”, firmata domenica durante un incontro organizzato dal Consiglio pachistano degli ulema. Oltre cinquecento imam di tutto il Paese hanno sottoscritto il documento che condanna senza mezzi termini violenze e discriminazioni sulle minoranze e chiede il rispetto per tutti i pachistani, a qualunque religione appartengano. Un passo non da poco, «in una nazione in cui i fondamentalisti si accaniscono sugli appartenenti a fedi minoritarie, in particolare cristiani, ahmadi e sciiti. La stessa legge anti-blasfemia viene spesso impiegata arbitrariamente come strumento di persecuzione nei confronti di questi ultimi. A rendere ancora più eccezionale la Dichiarazione, una risoluzione ad essa allegata in cui i predicatori islamici fanno un esplicito riferimento ad Asia Masih, ovvero Asia Bibi, emblema degli abusi della normativa anti-blasfemia.

Arrestata il 19 giugno 2009, la donna cattolica è stata condannata a morte senza prove con l’accusa di aver offeso Maometto e detenuta per 3.421 giorni fino al pieno proscioglimento, da parte della Corte Suprema, il 31 ottobre scorso. I gruppi estremisti legati al movimento Tehreek-e-Labbaik non si sono, però, dati per vinti e hanno presentato una richiesta di revisione del verdetto. Al riguardo, i 500 imam firmatari chiedono al ministero della Giustizia di esaminare il suo caso con assoluta priorità, in modo «da far conoscere all’opinione pubblica la verità giuridica» sulla vicenda.

Gli esperti sostengono che il riesame sia un atto formale, dato che ad esprimersi saranno gli stessi alti togati autori della sentenza di assoluzione. Fino al pronunciamento, però, Asia Bibi resta in un limbo. Fuori ormai dal carcere, la donna è costretta a nascondersi in un luogo segreto, sotto stretto controllo autorità. Queste ultime cercano di proteggerla dagli estremisti, che l’hanno condannata a morte. Il rischio aumenta di giorno in giorno: da quasi tre mesi, la donna aspetta un visto d’espatrio, l’unica possibilità di tornare davvero libera, seppur in esilio. Sembra difficile, però, che le autorità pachistane glielo concedano prima dell’ultimo pronunciamento della Corte.

Da qui la richiesta degli imam di un rapido pronunciamento. Articolata in sette punti, la dichiarazione affronta il problema del terrorismo a tutto tondo. Non solo gli assassinii di innocenti con «pretesti religiosi» sono contrari ai precetti dell’islam. Lo è pure «dichiarare un gruppo religioso o setta», qualunque esso sia, come «infedele» e privarlo dei propri diritti costituzionali di vivere nel Paese in base alle proprie norme culturali e dottrinali. Per tale ragione, le esecuzioni extragiudiziali di presunti «infedeli» – pratica frequente soprattutto nel caso di accusati di blasfemia – sono condannate con forza, come pure le pubblicazioni, cartacee e digitali, che incitino all’odio, nonché le “fatwa” (editti) emesse in modo indiscriminato dagli ulema radicali.

Nella parte finale, il documento, riconoscendo il Pakistan come nazione multietnica e multiculturale, sottolinea il dovere del governo di «proteggere la vita e le proprietà dei non musulmani» e i loro luoghi sacri. Per tale ragione, ribadisce l’importanza di applicare il Piano d’azione nazionale contro il terrorismo e decreta il 2019 come anno di eliminazione della piaga che l’anno scorso ha ucciso almeno 595 persone.

da Avvenire

Orrore in Pakistan, stella dei social uccisa dal fratello

Bella, esuberante, esibizionista, tanto da diventare una stella dei social network, anzi la “Kim Kardashian del Pakistan”, come era stata ribattezzata nel suo Paese. Troppo per un posto dove alle donne non è permesso superare certi limiti. E così Qandeel Baloch, 26 anni, è stata uccisa dal fratello, strangolata in casa mentre dormiva perchè era motivo di “disonore” per la famiglia.

A riferirlo è stato un ufficiale della polizia della città di Multan, nel centro del Paese, aggiungendo appunto che “apparentemente si tratta di un delitto d’onore”. La lite è avvenuta nel villaggio di Muzzafarabad, nel Punjab, dove la famiglia si era recata da Karachi per le festività dell’Id al-adha. Qandeel, il cui vero nome è Fauzia Azeem, sapeva di essere in pericolo: aveva decine di migliaia di follower suo social, innamorati dei suoi selfie provocatori in cui appariva truccata e con vestiti scollati. Tra i suoi sostenitori c’erano moltissime donne che desideravano essere come lei e la ammiravanio per il suo coraggio. “La gente è pazza, soprattutto le ragazze. Ricevo molte chiamate di giovani che mi dicono che vorrebbero essere come me”, aveva dichiarato recentemente.

Il giorno di San Valentino apparve con un vestito scollato color porpora sfidando addirittura il presidente Mamnoon Husain, che aveva invitato i giovani del suo Paese a “non celebrare questo tipo di feste occidentali”. Suo fratello Wasim, secondo quanto riferito dalla polzia, era disoccupato e non aveva alcuna fonte di guadagno. Di recente, la giovane aveva diffuso un selfie con un un muftì, Abdul Qawi, in seguito al quale il religioso musulmano fu sospeso.

avvenire

«I terroristi vogliono fermare il Pakistan»

​Intervista a Paul Bhatti dopo l’attentato di Lahore nel giorno di Pasqua. «Siamo increduli e addolorati. Non permetteremo, però, che i terroristi raggiungano il loro obiettivo», spiega l’ex ministro per l’Armonia nazionale e fratello di Shahbaz, storico difensore delle minoranze, massacrato dai fondamentalisti nel 2011. (Lucia Capuzzi)
Avvenire

Il caso Pakistan, chi ha paura di San Valentino?

San Valentino metterebbe a rischio un’intera società e minaccerebbe di attivare nei giovani un processo di avvicinamento a celebrazioni “pagane” che potrebbe presto coinvolgere il Natale cristiano.

Una visione che – sebbene condivisa con varie sfumature nei Paesi di stretta osservanza islamica – evidenzia le contraddizioni del Pakistan, secondo Paese musulmano al mondo come popolazione che da giorni si preparava alla giornata odierna con slancio commerciale e qualche apprensione.

Al vertice della sconfessione di una celebrazione fatta propria, spontaneamente, da una consistente parte del globo lontana dai Paesi di tradizione cristiana dov’è nata, lo stesso presidente Mamnoon Hussain. Rivolgendosi venerdì agli studenti per ricordare un eroe dell’indipendenza, ha non solo segnalato che «San Valentino non fa parte della tradizione musulmana», ma anche che «non ha alcun punto di contatto con la nostra cultura e non dovrebbe essere osservata».

Un giornale conservatore in lingua urdu ha pubblicato uno spazio pubblicitario pagato da un’azienda locale. «Riflettete – ha esortato i lettori –. Domani i nostri figli potrebbero iniziare a celebrare il Diwali indù o il Natale cristiano e chissà quali altre celebrazioni non islamiche. Perciò cacciamo questo festival di oscenità dalle nostre vite».

Una concezione alla base della risoluzione di censura votata all’unanimità dall’assemblea provinciale del Khyber Pakhtunkhwa. «Non c’è posto nella nostra cultura e nella nostra civiltà per un giorno così inutile e osceno il cui scopo è far crescere volgarità e indecenza nei nostri giovani», si legge nella risoluzione. Se da parte della massima carica del Paese la presa di posizione sembra essere l’ennesima concessione ai radicali che tengono in ostaggio il Pakistan, quella dei politici del Khyber Pakhtunkhwa è nel segno dell’opportunismo.

Non a caso gli islamisti sono al potere dove prevalgono logiche tribali, oscurantismo e interessi particolari. Gli stessi che alimentano la casistica dei delitti d’onore, degli attacchi alle scuole femminili, dello stupro di donne delle minoranze per costringerle alla conversione e al matrimonio, degli agguati ai vaccinatori anti-polio.

Tuttavia, la necessità di imporre il divieto indica anche il timore dei gruppi radicali verso una società che faticano a imbrigliare. Non a caso alla vigilia di San Valentino si è riaccesa la tensione fra favorevoli e contrari. Non a caso la proibizione decretata a Kohat è stata ritirata di fronte all’opposizione dell’opinione pubblica. Non a caso, come in molte altre città, i negozi di Peshawar, capoluogo del Khyber Pakhtunkhwa in mano al Jamaat-e-Islami, hanno ancora una volta esposto palloncini, cuori e orsetti rossi, cioccolato e rose.

Avvenire

Malala torna a scuola. La ragazza pakistana ferita dai talebani per il suo attivismo a favore dell’istruzione per le donne in Pakistan

Londra, 20. Zainetto rosa in spalla, Malala Yousafzai, è tornata a scuola. La quindicenne pakistana che era stata aggredita dai talebani lo scorso ottobre per via del suo attivismo a favore dell’istruzione per le donne in Pakistan e che con il suo coraggio e la sua forza aveva commosso il mondo, ha trascorso ieri il primo giorno nella sua nuova scuola nel Regno Unito, a Birmingham, dove si è trasferita con la famiglia. «È il giorno più importante della mia vita», ha detto la ragazza che è sopravvissuta con grande forza a due difficili operazioni al cranio, l’ultima delle quali eseguita lo scorso 8 febbraio. «Questo — ha ripetuto sorridente — è il momento più felice, tornare a scuola. È ciò che ho sognato e credo che tutti i ragazzi dovrebbero potere andare a scuola, è un loro diritto».

(©L’Osservatore Romano 21 marzo 2013)

Pakistan: talebani uccidono 21 soldati

Ventuno soldati pakistani, sequestrati dai talebani due giorni fa durante un attacco a tre posti di controllo alla periferia di Peshawar, sono stati uccisi. Lo riferiscono le autorita’ locali. “Abbiamo trovato i cadaveri crivellati di proiettili di 21 membri dei servizi di sicurezza in una zona disabitata”, ha dichiarato il funzionario locale, Naveed Akbar. I cadaveri sono stati trovati a circa 4 km dalla zona in cui i soldati, componenti di un’unità paramilitare, erano stato rapiti.

ansa

pakistan

[banner]

Vini, Birre & Drink in 30 minuti alla tua porta! Ordina ora con Winelivery, L'App per Bere! Aimon Traghettilines DIARI SCOLASTICI IBS.IT British School Banner 2023 Kinderkraft Back to School! Talent Garden - Banner Master