Atletica a Budapest. Gimbo jet, Tamberi vola ancora più in alto di tutti: oro mondiale

Dopo l’oro olimpico di Tokyo, il 31enne azzurro si conferma anche in Ungheria: è lui il re del salto in alto con 2,36 al primo colpo. Harrison argento
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Il saltatore Gianmarco Tamberi, 31 anni, oro olimpico a Tokyo e oro mondiale a Budapest

Il saltatore Gianmarco Tamberi, 31 anni, oro olimpico a Tokyo e oro mondiale a Budapest – Reuters

L’uomo con la barba a metà vola sul tetto del mondo. La maledizione della rassegna iridata evapora ai 28 gradi (percepiti 31) delle nove e mezza della sera, quando Gianmarco Tamberi supera l’asticella a quota 2 metri e 36 centimetri, atterrando nell’oro. Al Mondiale di Budapest il padrone del salto in alto è un trentunenne marchigiano, idolo della folla e salvatore di uno sport, che dopo l’addio di Usain Bolt è ancora in cerca di personaggi.

Due anni fa per acciuffare l’oro olimpico si era portato in pista quel gesso bianco che gli aveva immobilizzato la caviglia nel 2016, mentre guardava in tv gli altri sfidarsi in Brasile; l’anno passato per salire sul trono d’Europa aveva spezzato la tradizione rinunciano all’Halfshave; nella notte magica in riva al Danubio per sfatare il tabù iridato ha fatto marcia indietro, presentandosi in azione col look con cui si era rivelato al globo intero.

Il suo cammino di gloria si completa in una stagione in cui ha ricominciato daccapo con una nuova guida tecnica. A telecomandarlo dagli spalti non c’è più papà Marco, ma Giulio Ciotti. Nel suo staff sono entrati il fisioterapista Andrea Battisti e il preparatore atletico Michele Palloni, con la conferma del mental coach Luciano Sabbatini.

Che fosse la giornata buona lo aveva intuito sin dal pomeriggio quando con schiuma e rasoio ha reso glabra la guancia destra. Ha immaginato la medaglia quando ha lasciato il campo di riscaldamento a bordo della golf car che lo ha condotto nella pancia dello stadio. I suoi colleghi a guardare in avanti, lui seduto di spalle a salutare la gente. Non c’è Lyles, Duplantis o Warholm che regga, l’uomo che si rade a metà è l’unico capace di trascinare i tifosi.

Così quando i Vip si imbarcano sulla barca di fronte all’Hotel Marriott per raggiungere via fiume lo stadio, sorseggiando un drink e mirando il tramonto, Tamberi è l’altista più citato. Ma di lui si parla anche sul tram della linea 2 che porta allo stadio il popolo. Il Mondiale di Budapest è elitario nei trasporti: gli ospiti di World athletics viaggiano comodi lungo il Danubio, gli spettatori normali sono ammassati come sardine dentro tram, bus e metro. Eppure ad accomunare le due classi è Gimbo da Ancona, l’uomo per tutte le stagioni, le età e le nazioni. Fa impazzire i italiani e stranieri, manda in visibilio bambini, ragazzi e adulti, e le teenager gli mimano il cuore. Nella sua vita c’è solo Chiara, la moglie sposata a settembre, una settimana dopo l’addio al celibato proprio al Budapest. Già quella sera di agosto 2022 si ripropose di tornare nella capitale magiara per prendersi l’unica medaglia che mancava alla prestigiosa collezione, quella iridata all’aperto.

Era stato ottavo a Pechino 2015 – quando alla vigilia della gara si raccontò per la prima volta ai lettori di Avvenire, raccontando i dettagli del taglio della mezza barba a ritmo di musica – e a Doha 2019, eliminato in qualificazione a Londra 2017 quando rientrò dopo l’infortunio che gli precluse i Giochi 2016, quarto a Eugene 2022, falcidiato da un fastidio al retto femorale della gamba sinistra, quella di stacco. In mezzo ha assaporato il fuoco dell’inferno, dopo la rottura del tendine d’Achille a Montecarlo alla vigilia di Rio, la dolce scalata del Purgatorio, con i titoli continentali indoor e outdoor, e la luce brillante del Paradiso, il 1° agosto 2021 quando a Tokyo toccò il cielo con un dito in compagnia dell’amico e rivale Mutaz Barshim. Il qatarino, già tre ori mondiali prima di ieri, era il favorito, ma si è fermato al bronzo.

Tamberi invece era arrivato in Ungheria con due uscite nella gambe – la vittoria da capitano in Coppa Europa e il 2.34 in Diamond League, entrambi nella polacca di Chorzów – e in qualificazione aveva pasticciato, rientrando nei 13 finalisti per un pelo. Un classico si potrebbe dire, visto che anche a Tokyo penò prima di vivere l’apoteosi. Genio nella lotta per le medaglie, sregolatezza nel percorso verso la finale.

Quando entra nello stadio Tamberi aizza la curva. Poi, scalzo, passeggia sull’erba, lontano dai rivali. Quindi, calzate le due scarpe di colore diverso, prova rincorsa e salti, atterrando sul saccone come sul divano del salotto quando si rincasa esausti. Alla presentazione dello speaker china il capo e nasconde il volto, poi si rivolge alla massa e ottiene il boato, prima di esibirsi alla batteria. Evidentemente l’arte imparata con i “The Dark Melody” è ancora viva.

Pronti, via ed è subito errore a 2.25. Ma da quel momento Gimbo non sbaglia più: 2.25 alla seconda prova, 2.29, 2.33, 2.36 alla prima. Poi, a titolo acquisito, due errori a 2.38 e tentativo finale a 2,40. Argento allo statunitense Harrison con 2.36 al secondo colpo. Con l’oro mondiale al collo Tamberi si candida al ruolo il portabandiera azzurro l’anno prossimo all’apertura dei Giochi di Parigi. Intanto per una notte il bel Danubio è azzurro.

In Brasile una sentenza «storica» sfida il traffico d’oro amazzonico

Un impianto illegale per l'estrazione dell'oro in Amazzonia

Meno di due mesi fa, la polizia brasiliana ha sgominato una banda accusata di contrabbandare all’estero 13 tonnellate di oro estratto illegalmente dai territori indigeni in Amazzonia. Una settimana fa, un processo al tribunale di New York ha riacceso i riflettori sul traffico del metallo prezioso dalla foresta alle grandi aziende del Nord del pianeta. Del resto, come uno studio dell’organizzazione di monitoraggio Instituto Escolhas ha dimostrato, almeno il 52 per cento dell’oro brasiliano «presenta indizi di provenienza illecita».

La quota, insieme alla distruzione della selva e la violenza nei confronti di quanti vi si oppongono, è cresciuta a partire dal 2013. Quell’anno, il governo dell’allora presidente Dilma Rousseff approvò la cosiddetta «clausola di buona fede». Il sistema, tuttora vigente, consente al produttore di autocertificare l’origine legale del metallo e alle aziende acquirenti di accettare la sua parola senza ulteriori verifiche. Queste ultime, dunque, non incorrono in nessuna responsabilità né sanzione in caso di scoperta, successiva alla vendita, di estrazione clandestina.

Il meccanismo ha favorito la nascita di «alleanze spurie tra reti criminali e grandi compagnie», ha affermato il giudice della Corte Suprema Gilmar Mendes che ha deciso di mettervi fine. Con una recentissima sentenza, ora, il magistrato ha dato novanta giorni di tempo al governo per elaborare un nuovo regolamento.

Una svolta importante, da sempre richiesta dalle organizzazioni ambientaliste e dai popoli indigeni. Già a febbraio, l’esecutivo guidato da Luiz Inácio Lula da Silva aveva in progetto di eliminare la «clausola di buona fede», sull’onda dello scandalo dello sterminio degli Yanomami da parte dei minatori illegali.

Ora dovrà accelerare. «Il testo è quasi pronto, mancano ancora gli ultimi dettagli ma siamo a buon punto», ha affermato il ministro della Giustizia, Flávio Dino che ha anche ribadito la ferma volontà del governo di proteggere l’Amazzonia. In gioco non c’è solo la vita della foresta e dei suoi popoli.

La rivista scientifica Communications, earth and environment, del gruppo Nature, ha appena pubblicato un inedito studio che dimostra come la selva sia un gigante “aspirapolvere” di sostante nocive. Il fenomeno è noto ma, per la prima volta, è stato calcolato l’esatto ammontare.

Ogni anno, la foresta assorbe 26mila tonnellate di particelle inquinanti liberate dagli incendi. In tal modo, si evitano almeno 15 milioni di casi di malattie respiratorie e cardiovascolari che costerebbero al sistema sanitario due miliardi di dollari.

Le aree restituite ai nativi “inghiottiscono” quasi un terzo del totale. «Sono quelle dove è più basso l’indice di disboscamento», sottolinea Florencia Sangermano, coautrice della ricerca . «Con la loro azione di protezione, gli indigeni rendono un servizio prezioso per la salute pubblica – ha concluso l’autrice Paula Prist –. Contrariamente a quanto si pensa, garantire i loro diritti è interesse di tutti».

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Cultura / L’oro di Troia era lo stesso oro usato a Ur, Ebla e Lemno

oro di troia usato ur ebla lemno

AGi – L’oro nei gioielli dell’età del bronzo ritrovati a Troia, a Poliochni, un insediamento sull’isola di Lemno che si trova a circa 60 chilometri da Troia, di Ebla in Siria e di Ur, in Mesopotamia, hanno la stessa origine geografica e venivano commerciati, più di 3500 anni fa, su grandi distanze, molto probabilmente fino alla valle dell’Indo in Pakistan. Questa scoperta è stata fatta da un team internazionale di ricercatori e i risultati sono stati pubblicati sul Journal of Archaeological Science.

Utilizzando un innovativo metodo laser mobile, il gruppo di lavoro internazionale è stato per la prima volta in grado di analizzare campioni dei famosi gioielli della prima età del bronzo di Troia e Poliochni. Lo studio è stato avviato da Ernst Pernicka, direttore scientifico del Curt-Engelhorn Center for Archaeometry (CEZA) presso i musei Reiss-Engelhorn di Mannheim e direttore del progetto Troy dell’Università di Tubinga, e Barbara Horejs, direttrice dell’Istituto archeologico austriaco ( ÖAI) presso l’Accademia austriaca delle scienze di Vienna. Insieme a loro anche Massimo Cultraro ricercatore dell’Istituto di Scienze per il Patrimonio del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

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Il team internazionale ha riunito scienziati e archeologi del Curt-Engelhorn Center for Archaeometry, dell’Istituto archeologico austriaco di Vienna e del Museo archeologico nazionale di Atene. Da quando Heinrich Schliemann scoprì il tesoro di Priamo a Troia nel 1873, l’origine dell’oro è rimasta un mistero. Il professor Pernicka e il team internazionale hanno ora potuto dimostrare che deriva da quelli che sono noti come depositi secondari come i fiumi e che la sua composizione chimica non è solo identica a quella degli oggetti d’oro dell’insediamento di Poliochni a Lemno e delle tombe reali a Ur in Mesopotamia, ma anche con quella di oggetti provenienti dalla Georgia.

“Ciò significa che devono esserci stati legami commerciali tra queste regioni remote”, afferma Pernicka. Lo studio è stato reso possibile grazie a un sistema di ablazione laser portatile (pLA) che ha consentito al team di effettuare un’estrazione minimamente invasiva di campioni dai gioielli del Museo Archeologico Nazionale di Atene. Le collane, i ciondoli, gli orecchini ei girocolli del museo sono così preziosi che non è consentito trasportarli in un laboratorio o effettuare qualsiasi esame che lasci un segno visibile sugli oggetti.

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Ori del tesoro di Poliochni, oggi presso il Museo Nazionale di Atene

Tutti i metodi precedentemente disponibili hanno avuto esito negativo a causa di almeno uno di questi vincoli. Al contrario, lavorando in loco, il dispositivo laser portatile fonde un foro così piccolo negli oggetti che non può essere visto ad occhio nudo. “Il primo importante risultato – ha detto all’AGI Massimo Cultraro – è che a Troia e a Poliochni gli orafi impiegavano oro proveniente da depositi alluvionali, ovvero minerale proveniente dalla disgregazione di rocce trasportate dalle acque di fiumi”.

Il secondo risultato, “sul piano archeometrico, geologico e mineralogico – ha aggiunto l’archeologo – è che abbiamo scoperto che la fonte per i due depositi è la medesima e la stessa sorgente è stata impiegata anche per realizzare i gioielli di due importanti città del Vicino Oriente, Ebla e Ur. La prima (in Siria), come è noto, è un altro importante scavo di una missione italiana”.

Infine, ha aggiunto “nel caso di Poliochni e Troia, all’originaria fonte che ad oggi resta sconosciuta, ma da ricercare certamente in area mesopotamica, si aggiunge una seconda sorgente indiziata dalla presenza di un basso contenuto di platino. Queste caratteristiche compositive sono compatibili con le sorgenti di oro identificate in Georgia e in Armenia, cioè nel Caucaso”. Proprio in questa regione c’è una delle miniere d’oro conosciute.

“Un interessante esempio di miniera – ha detto Cultraro – è quella identificata nel distretto di Sakdrisi (Georgia sud-orientale), oggetto di esplorazioni sistematiche di una missione georgiano-tedesca fin dal 2002. I filoni aurei venivano raggiunti attraverso l’apertura di strette gallerie che scendono fino a 25 m. dal suolo. Le datazioni al C14 confermano che lo sfruttamento del giacimento aurifero di Sakdrisi risale alla seconda metà del III millennio a.C (2500-2200 a.C.), estendendosi fino ad epoche più recenti. Alla fase dell’età del Bronzo sono state assegnate asce in pietra e mazzuoli, che rappresentavano lo strumentario usato dai minatori, insieme a stoviglie in terracotta legate alla vita degli operai. La presenza, inoltre, di tracce di attività fusoria lascia intuire che la prima sbozzatura e lavorazione del minerale, appena estratto, avvenisse, in loco”. il quadro che emerge è che già 1500 anni prima di Cristo, esisteva una fitta rete commerciale che andava oltre i confini politici.

oro di troia usato ur ebla lemno
Circolazione di gioielli in oro di manifattura mesapotamica nel Mediterraneo della fine del II milliennio

“Sono noti, fin dai primi scavi a Troia, i rapporti tra l’Egeo e il Mediterraneo orientale nel corso dell’età del Bronzo – ha spiegato l’archeologo – Il numero di materiali, ceramici, in metallo e in pietre preziose, provenienti dalla Mesopotamia è notevolmente cresciuto e oggi possiamo concludere che il mondo anatolico, con le isole di fronte alla costa troiana (Lemnos, Imbros, Samos, Chios), fosse il maggiore destinatario di questi prodotti. Sono manufatti di lusso destinati all’élites locali che si autorappresentavano con gioielli realizzati da artigiani anatolici ma con oro e argento importato. Schliemann aveva anche trovato alcune asce da parata in lapislazzuli di importazione dall’area centro-asiatica. Siamo nel periodo in cui commercianti mesopotamici aprono vie carovaniere lungo la costa meridionale dell’Anatolia e attraverso gli altopiani dell’entroterra. Restano oscure le ragioni di questo rapido rafforzamento delle relazioni internazionali tra le due aree, ma certamente la formazione dell’impero di Akkad, sotto il suo fondatore, Sargon I il Grande, e la conseguente apertura verso i porti della costa siro-palestinese, ha certamente favorito tale processo di interazione”.

Anche l’Italia e la Sicilia in particolare potrebbero essere stati parti di questa fitta rete. “Stiamo lavorando – ha concluso Cultraro – alla determinazione dell’origine e caratterizzazione su base isotopica dell’oro e dell’argento impiegato nella Sicilia prima dell’arrivo dei Greci, all’incirca tra 1300 e 750 a.C. Uno degli stereotipi, ancora oggi imperanti nel campo dell’archeologia nazionale, è che siano stati i coloni greci ad aver introdotto l’artigianato su metallo prezioso, oro e argento. Oggi possiamo sostenere con certezza che manufatti in oro e in argento circolavano in Sicilia e, più in generale nel Mediterraneo occidentale, fin dal 1600 a.C., probabilmente frutto dei contatti con la più antica marineria egeo-micenea. Anche in questo caso alle indagini chimico-fisiche sui metalli conservati in varie collezioni siciliane si associa l’indagine su documenti d’archivio, che riferiscono della riapertura di miniere d’argento in Sicilia durante l’occupazione araba. Non si esclude che molte di queste miniere, che andrebbero ricercate nel distretto peloritano di Messina, siano state in uso fin dal periodo greco”

Olimpiadi, Marcell Jacobs oro nei 100 metri: 9”80, nuovo record europeo

Incredibile impresa nella storia dello sport italiano. Marcell Jacobs, primo italiano di sempre a correre una finale dei 100 ai Giochi, è il nuovo campione olimpico nella gara regina dell’atleltica. Ha vinto a Tokyo in 9”80, nuovo primato europeo. Filippo Tortu eliminato nella semifinale

E’ italiano l’uomo più veloce del mondo. L’oro vinto da Marcell Jacobs sui 100 metri alle Olimpiadi di Tokyo 2020 in 9″80 entra nel mito dello sport azzurro: mai nessun italiano in 125 anni di Olimpiadi aveva neanche partecipato alla finale dei 100. La medaglia d’argento è stata vinta dallo statunitense Fred Kerley (9″84). Bronzo al canadese De Grasse (9″89).

“Era il mio sogno da bambino, vedere Gimbo mi ha gasato”

“Vedere Gimbo fare festa poco prima della partenza mi ha gasato – ha ammesso Jacobs -. Mi sono detto: ‘perché pure io non posso fare una cosa del genere?’ Detto fatto. Era il mio sogno da bambino, ho corso più che potevo. Mi sentivo meglio di condizione rispetto alla semifinale. Mi sentivo come non mai ed è successo… Ci metterò una settimana a capire quello che ho fatto! Ora non vedo l’ora di sentire domani l’inno di Mameli…”.

Jacobs e Tamberi si abbracciano subito dopo il traguardo dei 100 metri
Jacobs e Tamberi si abbracciano subito dopo il traguardo dei 100 metri – ©Getty
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