Educazione in campo. L’estate di oratori e parrocchie. «A pieno regime. Anche oltre»

Le iniziative avviate in questi giorni hanno visto crescere l’adesione sia tra le famiglie che tra gli animatori Pascolini (Foi): sia un’occasione per rigenerare le comunità
L'estate di oratori e parrocchie. «A pieno regime. Anche oltre»

C’è una nuovo ‘imprevisto’ nell’orizzonte della Pastorale giovanile italiana, che solo pochi giorni fa nel XVII Convegno nazionale a Lignano Sabbiadoro si è trovata a interrogarsi proprio sul tema dell’imprevedibilità, dopo che pandemia e guerra hanno profondamente cambiato i programmi e i progetti. Si tratta dell’incredibile adesione alle iniziative estive proposte dagli oratori e dalle parrocchie italiane, che da questa settimana hanno riaperto le porte alle esperienze dei Grest e dei centri estivi.

Si può dire che dopo due anni siamo tornati a regime? «No, direi che siamo abbondantemente ‘oltre il pieno regime’ da un punto di vista numerico», sottolinea don Riccardo Pascolini, segretario del Forum degli oratori italiani, responsabile del Coordinamento regionale dell’Umbria della pastorale giovanile e degli oratori. «C’è stato un grande incremento, rispetto anche al pre-pandemia, sia dei ragazzi e delle famiglie che si sono rivolti agli oratori, che degli adolescenti che hanno scelto di mettersi al servizio dei più piccoli». Un’adesione così massiccia, dice il sacerdote, «era attesa e sperata ma inaspettata in questa misura, tale da obbligare a cambiare i programmi».

Tutto ciò, aggiunge Pascolini, «nasce di sicuro da un desiderio di tornare in comunità: ecco perché in parrocchia da me ho ricordato che questa estate dev’essere un’occasione non solo per tornare a organizzare cose belle (quello ci veniva bene anche prima), ma soprattutto per tornare a stare insieme, a fermarci e a stare con i ragazzi. Insomma, dev’essere il momento per offrire un tempo di qualità, che fa diventare grandi». Un tempo, quello degli oratori in estate, destinato a costruire futuro, perché per i ragazzi è un’esperienza che rimane nel cuore per sempre: «Ho chiesto a un giovane animatore, perché volesse fare questo servizio – racconta don Pascolini per esemplificare il valore delle iniziative estive – e lui mi ha risposto semplicemente che è perché ‘l’oratorio è una di quelle cose che si ricordano per sempre’».

Va da sé che questi giorni sono destinati a essere il momento privilegiato per mettere in pratica quel pressante invito all’ascolto, diventato il mantra dominante nella vita della Chiesa italiana: «Per i ragazzi, come per tutti – aggiunge il segretario del Foi – è di sicuro il momento della ripartenza, ma deve essere anche l’occasione per ripensare quello che hanno vissuto in questi ultimi due anni e per fare questo hanno bisogno di essere ascoltati ». È solo così, nota Pascolini, che quest’estate 2022 «ci aiuterà a generare e a rigenerare le comunità. Vedo in questo una ‘vocazione nella vocazione’ degli oratori, perché tramite queste esperienze offerte agli adolescenti tutte le famiglie potranno davvero ritrovare quella comunità di cui tutti sentiamo il bisogno per ripartire». Parole che sugellano con disarmante semplicità il ruolo sociale degli oratori e della pastorale giovanile in Italia. Perché in parrocchia i centri estivi non sono mai solo dei ‘parcheggi’ per minori, ma offrono un tempo di qualità fondato su un prezioso progetto educativo. L’attenzione fondamentale da avere, chiosa il sacerdote perugino, è che l’impegno messo in campo in questo periodo non si esaurisca con l’estate ma diventi «motivo per volgere lo sguardo e il cuore a una ripresa strutturata ma anche condivisa dei cammini educativi ».

D’altra parte gli oratori e la pastorale giovanile in questi due anni, in cui non si sono mai fermati di fatto, «hanno imparato a trovare soluzioni anche nei momenti difficili e a camminare sempre col passo del popolo di Dio, senza mai avere la presunzione di sapere tutto, ma cercando di intuire invece quello che serviva e serve alla comunità. Oggi ad esempio – conclude Pascolini – essi sono anche laboratori di dialogo e di pace: nei nostri oratori sono impegnati tra gli animatori anche ragazzi musulmani, ortodossi, oltre agli ucraini rifugiati». Un piccolo segno profetico per il mondo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nella foto i giovani di Bergamo durante una gita estiva in montagna (da Facebook)

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«Gli oratori ora sappiano essere scuola di fraternità»

Avvenire

La sfida della ripartenza non può prescindere da quella di una rinnovata fraternità. E da una socialità che, per i cristiani, coinvolge anche la dimensione della fede. Lo sottolinea monsignor Daniele Gianotti, vescovo di Crema, diocesi caratterizzata da una virtuosa sinergia tra parrocchie, oratori, circoli dell’associazione Noi e iniziative di Pastorale giovanile.

Si parla tanto, e in più ambiti, di ripartenza. Che ruolo ricoprono i nostri oratori in questo atteso ritorno alla normalità?

La normalità è senz’altro anche normalità di interazioni a cui dobbiamo sperare di tornare pienamente: normalità dell’incontro, del saluto, della parola scambiata, del tempo passato insieme. Quando, con i giovani di Crema, siamo stati pellegrini tra Loreto e Assisi, nel 2018, e abbiamo incontrato alcune comunità delle Marche colpite dal terremoto, ci siamo sentiti dire che il sisma aveva fatto perdere tutti i luoghi di socialità, e questo pesava molto sulla vita di quelle comunità. La pandemia ha provocato qualcosa del genere: ha bloccato per mesi tanti luoghi di socialità ‘fisica’ (che, in realtà, non è mai solo fisica, perché lo spirito si innesta nel corpo), compresi i nostri oratori, con conseguenze deleterie. Bisogna tornare ad ‘abitare’ questi luoghi per ritrovare noi stessi.

C’è un augurio che, più di altri, si sente di offrire ai tanti giovani coinvolti in queste settimane nei Gre- st e nelle attività estive delle parrocchie?

Quello che ho fatto, anche esplicitamente, in diverse visite fatte nelle settimane scorse alle attività estive: di vivere queste esperienze come esercizi di fraternità. La fraternità, che è dono e vocazione, e che sta al cuore del Vangelo, è sempre anche da imparare e da costruire: mi sembra che l’esperienza dei Grest possa e debba diventare una vera scuola di fraternità.

I mesi più duri della pandemia hanno trasformato la vita delle nostre comunità. Quale messaggio possiamo trarre da quel periodo per progettare il futuro?

Ci siamo resi conto che la vita di fede non può ridursi solo ai momenti ‘centralizzati’ di una parrocchia. Naturalmente ciò era vero anche prima della pandemia, ma forse abbiamo capito che non sempre i cristiani sono attrezzati per vivere la propria fede nell’intreccio con il quotidiano, tra le mura di casa, nei rapporti ordinari con le persone, o quando si tratta di fare i conti con i limiti, la ma-lattia, le difficoltà economiche e nelle relazioni. Nel primo lockdown avevamo coniato lo slogan #siamocasasiamochiesa, per dire che la vita di Chiesa non era certo interrotta per il fatto che gli oratori fossero chiusi o che non si poteva celebrare la Messa con la presenza fisica dei fedeli, ma ci siamo accorti che le risorse per vivere anche in casa la vita di fede erano un po’ ridotte. La pandemia ci ha ricordato l’importanza della dimensione del ritrovarsi, che definisce la natura stessa della Chiesa come comunità che si raccoglie intorno a Gesù, rispondendo alla sua chiamata. Si torna all’esigenza di una socialità che per i cristiani ha anzitutto una dimensione profonda di fede: è il ritrovarsi intorno a Cristo. Attorno a questo nucleo prendono poi forma le altre dimensioni del ritrovarsi, per costruire nuove forme di umanità condivisa.

L’esigenza della prossimità è, oggi più che mai, un’urgenza per la Chiesa. In che modo le parrocchie e i loro oratori possono affrontare questa sfida?

La parabola del buon samaritano offre una direzione chiara. Al dottore della legge, che domanda «chi è il mio prossimo?», Gesù risponde con l’esempio scandaloso del ‘samaritano’ (lo straniero, l’altro, l’eretico…) che si fa prossimo a chi è nel bisogno. La Chiesa – e dunque anche le parrocchie – sono messe alla prova in questo: farsi prossimo, secondo la parola di Gesù. A chi? A tutti, verrebbe da dire. Nel dubbio, un punto di partenza sicuro c’è: gli ultimi, quelli ai quali nessuno si avvicina, quelli che vengono lasciati sul ciglio della strada. Chi sono, per noi, oggi? Forse si tratta di ripartire da questa domanda.

Monsignor Daniele Gianotti insieme con i bambini dell’Estate Ragazzi

Oratori. Le diocesi non si tirano indietro sui centri estivi

Si avvicina la data del 15 giugno, quando oratori, parrocchie e associazioni potranno far partire i centri estivi e le attività rivolte ai più piccoli. Per le famiglie sarà un piccolo laboratorio di normalità, potendo affidare finalmente i loro figli a qualcuno che non appartiene al nucleo domestico. La sfida più grande per gli organizzatori è rappresentata dalle regole stringenti imposte dai protocolli di sicurezza. Le linee guida nazionali e regionali prevedono lo svolgimento delle attività in piccoli gruppi ma anche l’igienizzazione degli ambienti, la misurazione della temperatura all’ingresso, la formazione mirata dei volontari sul tema dei rischi connessi alla diffusione del coronavirus. Senza contare tutte le attività previe, con la richiesta di sottoporre il progetto al Comune e alle autorità sanitarie locali per l’approvazione.
Anche se le iniziative estive tradizionali non potranno essere organizzate, la comunità cristiana ha dimostrato non volersi arrendere davanti agli ostacoli tecnici e burocratici, scegliendo con coraggio di aprire ai ragazzi e di accompagnare così le famiglie in questo periodo. Nello spirito della “rete” molti hanno deciso di collaborare con istituzioni, enti e associazioni sul territorio. Chi parte, però, può di cerco contare anche sulla principale rete di sostegno che da sempre lega le comunità cristiane: le diocesi che, come raccontiamo in questa pagina, hanno deciso di sostenere chi vuole rimanere accanto ai più piccoli e alle loro famiglie.

Avvenire

Oratori estivi, festa diocesana degli animatori 6 giugno al «Don Bosco» di Reggio Emilia

Quale straordinaria occasione pastorale sono gli Oratori estivi? Forse più che per i bambini, sono una bellissima opportunità per gli adolescenti delle scuole superiori, che per diverse settimane si rendono disponibili a vivere giornate intense al servizio dei più piccoli. Infatti i grest sono ancora momenti molto attrattivi per questi ragazzi che si ripresentano regolarmente in massa nei nostri Oratori per mettersi a disposizione. Se fanno più fatica ad essere costanti in un cammino annuale, o per altre proposte di gruppo, queste settimane di inizio estate invece risultano essere ancora una soluzione molto affascinante.

Diversi Oratori della nostra diocesi hanno provato (con successo) a trasformare questa esperienza forte in un trampolino di lancio per continuare cammini più profondi, per farsi prendere per mano e continuare a camminare ancora, evitando il take away, o il “mordi e fuggi” superficiale e occasionale. E così piano piano qualcuno è riuscito a generare cammini di fede, di amicizia e di fraternità continuativi, anche se a tanti ancora rimane la domanda su come dare continuità a queste settimane intense.

Su tutto questo, però, c’è una certezza: quei giorni insieme sono una benedizione, perché si possono creare legami forti e profondi, se bravi adulti e sacerdoti educatori sanno approfittarne. Ma soprattutto sono una benedizione i ragazzi stessi. A cui va detto il nostro Grazie come Chiesa, e a cui va fatta sentire tutta l’importanza del ruolo che hanno nei confronti dei più piccoli: essi infatti rappresentano la comunità adulta che si fa famiglia e che accoglie i bambini; rappresentano la Chiesa nella sua maternità e nella sua sapienza educativa; ma rappresentano anche le mani, gli occhi e il cuore di Gesù, Buon Pastore, che ama e si prende cura dei piccoli.

laliberta.info

Il laboratorio dei talenti: l’episcopato rilancia gli oratori

Ragazzini di un oratorio durante una domenica all'aperto

Ragazzini di un oratorio durante una domenica all’aperto (foto SILVIA MORARA).

Altro che luoghi “antichi”, ormai da rottamare: «Dietro la ripresa dell’interesse per gli oratori non c’è semplicemente un’emergenza, ma la sfida di sempre: offrire un contesto che sia promettente per la relazione interpersonale, in una stagione a forte impatto digitale e quindi debilitata sotto il profilo della fisicità ». A sostenere il ruolo formativo degli oltre 6 mila oratori d’Italia è monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei, che ad aprile ha presentato Il laboratorio dei talenti, un documento pastorale sul valore e la missione degli oratori curato da due Commissioni episcopali: quella per la cultura e le comunicazioni sociali e quella per la famiglia e la vita. Occorre superare l’immagine nostalgica e adolescenziale di «polverosi campi di calcio, teatro e musica, amicizie ed escursioni al mare o in montagna»: l’oratorio, per Pompili, si rivela come «luogo di radicamento, a partire dal quale proiettarsi in un mondo più ampio senza perdere il senso del legame, delle radici, della gratitudine e senza dissolvere l’identità coltivandola grazie alle nuove aperture tecnologiche». E bisogna tener conto dell’aspetto economico: «Ammonta a circa 210 milioni di euro il contributo che gli oratori, in termini di servizi e di opportunità, offrono alla società civile », ha ricordato il sottosegretario della Cei. Grazie alla presenza di «volontari silenziosi », ha sottolineato il vescovo Enrico Solmi, presidente della Commissione per la famiglia e la vita: «Un luogo libero di accoglienza e gratuità, dove i ragazzi possono andare senza spendere, dove trovano mamme e insegnanti disponibili, dove possono giocare in modo libero».

Pur non trascurando le sue radici, l’oratorio garantisce di rinnovarsi per rispondere a esigenze educative sempre più impellenti, che mettono in campo l’impegno di animatori, catechisti e genitori. Per valorizzare i «talenti» delle nuove generazioni e sperimentare quella «pastorale integrata» che dalla parrocchia si apre verso il territorio, con un’ottica sempre più ampia di annuncio evangelico e missione. Capace di includere le nuove tecnologie e i linguaggi usati dai giovani per comunicare. «Se l’oratorio funziona, ci vuole la rete, ma funziona anche se manca la rete», ha osservato Solmi, facendo riferimento sia alla rete del campo di calcio che alla Rete massmediale, comunque da intercettare per non perdere contatto con i «nativi digitali». Rimane comunque cruciale, perché le energie investite portino frutto in maniera strutturale, l’alleanza educativa: «Gli oratori sono i luoghi dove sono accolti i figli di tutti, anche quelli che hanno un disagio magari proprio in famiglia », ha riferito il presule. Su un campetto o intorno a un biliardino, al tavolo di ping-pong o durante una partita di pallavolo, educatori e allenatori sono chiamati a intercettare difficoltà relazionali e potenzialità dei ragazzi. Per affiancarli nel difficile e affascinante percorso della crescita.

Laura Badaracchi

jesus Maggio 2013

Prosegue la sfida educativa degli oratori, oltre 6 mila in Italia

In questo tempo d’estate alcuni luoghi diventano ancora più importanti e costituiscono insostituibili punti di riferimento per bambini e ragazzi. Si tratta degli oratori, che in Italia sono oltre 6 mila. La sfida educativa, scelta dalla Chiesa italiana per gli orientamenti pastorali del prossimo decennio, non può prescindere da una forte responsabilizzazione dei ragazzi, come sottolinea don Marco Mori, presidente del Forum oratori italiani, al microfono di Antonella Palermo

R. – Noi non possiamo rinunciare a testimoniare l’idea che si può crescere. Siamo in un periodo in cui la nostra cultura tende a "tener piccoli" tutti; in realtà crescere è bello e questo penso sia la cosa più importante che dobbiamo testimoniare nei prossimi anni. In un ambiente come quello dell’oratorio, serve alla fine per dire che crescere è possibile, che crescere fa bene all’altra persona, che si deve crescere insieme, perché nessuno può crescere da solo; la presenza all’interno dell’oratorio di tante età, di tante situazioni serve esattamente per questo. Per crescere si ha bisogno di tanti apporti e di tutto l’uomo: c’è la dimensione spirituale, che è necessaria, che fa crescere tutta la persona. C’è proprio la dimensione, ad esempio ludica, dello stare insieme, dell’incontrare gli altri. Io penso che questa sfida del crescere significhi andare un po’ controcorrente: mettere nelle persone la voglia proprio di giocare, di crescere, eccetera, significa fare un grande servizio educativo. Dal nostro punto di vista, l’oratorio è un ambiente strategico perché non è un’idea astratta. E’ concretamente la mia parrocchia che mi è vicina, mi aiuta, che mi fa vedere che crescere è possibile. D. – Insomma, da un lato tendere ad una fede adulta, matura, dall’altra parte conservare la semplicità del cuore, tipica dei più piccoli. E’ questo poi in sostanza il messaggio evangelico… R. – Occorre farlo insieme, nel senso che l’oratorio mette insieme sia i bambini sia gli adulti. Obbliga queste due categorie a parlarsi. E’ possibile incontrarsi a livello anche di generazioni diverse, prendendoci cura gli uni degli altri. Questa cosa ci permette esattamente di crescere e anche da un punto di vista nostro cristiano di incarnare il Vangelo, perché nessuno di noi è completo da solo. E’ possibile scoprire anche la cura che il Signore Gesù ha per ciascuno di noi. Questa dimensione concreta, penso che sia preservare il Vangelo da un punto di vista educativo anche nella nostra comunità.

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