Vaticano Opus Dei: fine della prelatura personale

di: Giancarlo Rocca
settimananews.it

Con il nuovo intervento dell’8 agosto scorso, papa Francesco ha modificato i canoni 295-296 del Codice di diritto canonico relativi alle prelature personali, senza fare alcun riferimento all’Opus Dei, ma avendolo chiaramente presente dato che l’unica prelatura personale finora esistente era proprio quella dell’Opus Dei.

Intervento atteso
Tutto sommato, questo nuovo intervento è chiaramente in linea con la lettera apostolica Ad charisma tuendum del 14 luglio 2022, diretta allora esplicitamente all’Opus Dei. Con l’intervento dell’8 agosto viene precisata la natura della prelatura personale, con alcune conseguenze dirette per l’Opus Dei.

Rifatta la storia della prelatura personale e decisamente riconosciuto che la sua posizione nel Codice si trova nella parte dedicata ai fedeli, accantonando precedenti ricostruzioni che volevano inserirla nei canoni riguardanti la gerarchia, papa Francesco ha di colpo ridotto l’Opus Dei a uno statuto ancora inferiore a quello di istituto secolare, come era stato approvato definitivamente nel 1950, con l’orgoglio di essere stato il primo e il modello degli istituti secolari.

Allora, come istituto secolare, l’Opus Dei aveva un presidente generale e poteva incardinare preti e laici. Nella nuova formulazione di papa Francesco, solo i chierici possono essere incardinati nella nuova associazione pubblica clericale alle dipendenze del Dicastero per il clero.

Appare evidente che l’Opus Dei viene privato dei laici, che costituivano la sua forza e che non possono più essere considerati suoi membri.

Ciò risulta chiaramente dalla aggiunta-correzione al canone 296, dove si precisa, con il riferimento al canone 107, che la persona giuridica, cioè ogni fedele, ha un proprio parroco e un proprio Ordinario. Quindi, i membri dell’Opus Dei non possono più fare riferimento al loro Presidente come se fosse Ordinarius loci, ma in tutto devono dipendere anche dal loro parroco e dal loro vescovo.

Finiscono qui tutti i vari tentativi di far approvare l’Opus Dei come diocesi personale cum proprio populo, iniziando dal tentativo di Escrivá che aveva proposto di erigere come diocesi la casa generalizia dell’Opus Dei a Roma (viale Bruno Buozzi), progetto che persino il cardinal Tardini, protettore dell’Opus Dei, aveva detto «che non si reggeva in piedi». E si capiscono meglio tutti i vari tentativi, naufragati, di far elevare Escrivá alla dignità episcopale.

La questione dei laici
La questione dei laici e la loro posizione all’interno della prelatura aveva preoccupato l’Opus Dei e, mentre nei primi testi pontifici si parlava di chierici, incorporati alla prelatura, e di laici che lavoravano per la prelatura con prestazioni di tipo contrattuale, questa formulazione non bastava più e l’Opus Dei ha cercato in vari modi di vincolare i laici alla prelatura, come risulta dalle varie formulazioni presenti nel suo Catecismo:

nel Catecismo della prelatura nella settima edizione del 2003, n. 11, p. 24 si scrive: «El vínculo de los fieles [per fieles l’articolo 6 intende sia chierici che laici: Son fieles de la Prelatura del Opus Dei los clérigos incardinados y los seglares incorporados] con la Prelatura no es de naturaleza contractual, sino el proprio de la pertenencia a una circunscripción eclesiástica. De naturaleza contractual es la declaración que causa ese vínculo»;
nella ottava edizione del Catecismo de la Prelatura de la Santa Cruz y Opus Dei, edito nel 2010, si scrive, Cap. I, n. 11: «El vínculo de los fieles [per fieles l’articolo 6 intende sia chierici che laici: Son fieles de la Prelatura del Opus Dei los clérigos incardinados y los fieles seglares incorporados] con la Prelatura no es de naturaleza contractual, aunque la declaración que crea ese vinculo tenga una forma externa de tipo contractual. El vínculo tiene un origen contractual en cuanto nace de una declaración mutua. En cambio, el vínculo que surge de esa declaración no tiene naturaleza contractual, porque ni la Prelatura ni los fieles pueden establecer o modificar a su arbitrio su contenido».
Queste posizioni non sono facili da comprendersi – potremmo dire che sono tortuose? –, perché accomunano chierici e laici (= fedeli) in un’unica incorporazione, mentre i documenti pontifici distinguevano accuratamente tra chierici e laici; e, dopo aver accennato ad alcuni teologi e canonisti con diverse opinioni, l’Opus Dei respingeva la tesi di autori che sostenevano che i laici non possono essere membri di pieno diritto della prelatura.

Sembra, quindi, che con il nuovo intervento di papa Francesco, l’Opus Dei sia costretto a ripensare tutta la sua struttura. L’Opus Dei, per la verità, aveva già comunicato, subito dopo l’intervento del luglio 2022, che stava lavorando a una nuova strutturazione, di cui però non si conoscono le linee. Il problema principale per l’Opus Dei – come già detto – restano i laici, che sono la sua vera forza.

Se l’Opus Dei fosse rimasto istituto secolare, i problemi di oggi non esisterebbero. E se l’Opus Dei ritornasse alla fisionomia di istituto secolare – come suggerito in Spagna persino in un sito decisamente ostile all’Opus Dei –, o di società di vita apostolica (con o senza voti), ricupererebbe certamente i laici che potrebbero godere di una reale partecipazione alla vita dell’istituto. La linea di papa Francesco è chiara, quella dell’Opus Dei non ancora.

L’intervento di papa Francesco
Dopo la pubblicazione della costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19 marzo 2022, che riorganizzava la curia romana, era inevitabile attendersi un intervento sull’Opus Dei. Si trattava solo di sapere quando sarebbe avvenuto. Di fatto, nella Praedicate Evangelium si diceva esplicitamente, all’articolo 117, che il Dicastero per il clero avrebbe avuto competenza sulle prelature personali.

L’intervento di papa Francesco può essere esaminato da diversi punti di vista.

(a) La prelatura struttura gerarchica?
A parte la premessa iniziale di papa Francesco, che convalida la missione dell’Opus Dei di diffondere la chiamata alla santità attraverso la santificazione del lavoro e degli impegni di famiglia, la questione di base è se la prelatura dell’Opus Dei sia una struttura gerarchica della Chiesa o invece una particolare istituzione della Chiesa, una prelatura, con compiti specifici. Conviene quindi ripercorrere, sia pure brevemente, questa storia.

Il Concilio Vaticano II accenna, nel decreto del 1965 Presbyterorum ordinis 10, alle prelature personali, nel quadro di una miglior distribuzione del clero e per iniziative apostoliche particolari e, ugualmente nel decreto, ancora del 1965, Ad gentes 20 e 27, ma mai il Concilio parla della possibilità di incorporare dei laici in una prelatura personale.

Parecchie spiegazioni in più sulle prelature personali si hanno nel motu proprio Ecclesiae sanctae (I, 4), del 1966, con particolari circa la formazione del clero della prelatura in appositi seminari nazionali o internazionali, e ancora una volta si precisa che i laici, celibi o coniugati, non sono incorporati nella prelatura, ma possono collaborare alla sua missione tramite apposite convenzioni.

Un totale cambiamento di prospettiva e un deciso allontanamento dalle idee del Concilio Vaticano II si ha nello Schema di preparazione al Codice di diritto canonico. Il testo, del 1980, inserisce le prelature personali tra le strutture gerarchiche della Chiesa (pontefice, vescovi ecc.); nel canone 335 § 2 le prelature personali sono equiparate a quelle territoriali e, nel canone 337, le prelature personali sono presentate cum populo proprio.

Il Codice di diritto canonico del 1983, però, non ha recepito le indicazioni dello Schema, non ha più inserito le prelature personali tra le strutture gerarchiche della Chiesa (Sezione II), ma semplicemente nel libro II, De populo Dei, e specificamente nella prima parte che tratta dei fedeli. Di qui la questione, subito emersa, se la prelatura personale dell’Opus Dei fosse da inserire tra le strutture gerarchiche.

La formulazione più coerente, in realtà, è quella del Codice di diritto canonico del 1983, che ne parla ai canoni 294-297, e precisa che i sacerdoti e i diaconi sono incardinati nella prelatura, mentre i laici possono collaborare alle sue opere con particolari convenzioni da precisarsi negli statuti. Pertanto i laici non sono membri della prelatura, conservano la propria diocesi, il proprio vescovo, la propria parrocchia.

Si può anche aggiungere che l’unione giuridica pattizia dei laici con la prelatura è inferiore alla incorporazione a un istituto religioso o società di vita apostolica o istituto secolare.

Di fatto, il canone 296 prevede, come materia della convenzione con i laici, solo l’attività apostolica esterna, che poi viene sottoposta per l’approvazione all’Ordinario locale (canone 297).

Papa Francesco ha semplicemente ripreso e confermato il Codice di diritto canonico del 1983. La prelatura dell’Opus Dei non è una struttura gerarchica della Chiesa e quindi la sottopone al Dicastero per il clero, in quanto struttura fondamentalmente clericale.

L’Opus Dei, di conseguenza, lascia il posto che precedentemente aveva presso il Dicastero per i vescovi e, grazie a questo fatto, due suoi prelati erano stati nominati vescovi: Alvaro del Portillo (†1994), primo prelato ma vescovo solo dal 1990; Javier Echevarría (†2016), secondo prelato e vescovo dal 1995; Fernando Ocáriz, terzo prelato dal 2017, ma non insignito della dignità episcopale da papa Francesco.

Le eventuali questioni introdotte da questa modifica saranno trattate con il Dicastero per il clero e gli altri Dicasteri competenti della Curia romana.

(Ulteriori particolari al riguardo in G. Rocca, L’«Opus Dei». Appunti e documenti per una storia, Roma 1985, p. 111; e più recentemente G. Ghirlanda, Il diritto nella Chiesa mistero di comunione. Compendio di diritto ecclesiale, sesta edizione, Roma 2015, pp. 208-211. Per lo Schema del 1980 cf: Pontificia Commissio Codici iuris canonici recognoscendo, Schema Codicis iuris Canonici, Libreria Editrice Vaticana, 1980, pp. 80-81).

(b) Una relazione ogni anno
Papa Francesco all’articolo 2 del suo Motu proprio modifica quanto stabilito nella costituzione apostolica Ut sit del 1982, dove si stabiliva che l’Opus Dei come prelatura era obbligata a presentare una relazione sul suo stato di vita ogni cinque anni al Dicastero per i vescovi. Ora l’obbligo viene fissato a ogni anno.

Riguardo a questa decisione di papa Francesco, più d’un commentatore si è chiesto come sia stato il comportamento dell’Opus Dei, se cioè abbia regolarmente presentato le relazioni dovute per il periodo in cui era istituto secolare, cioè dal 1950 al 1982, e dal 1982 a oggi quando era alle dipendenze del Dicastero dei vescovi.

(c) Modifica degli statuti
Il terzo mutamento richiesto da papa Francesco riguarda gli Statuti propri della prelatura, che devono essere riformulati tenendo conto di questo ridimensionamento. L’Opus Dei aveva già subìto un cambiamento notevole proprio in riferimento ai laici e laiche associati.

Nel periodo in cui l’Opus Dei era istituto secolare, considerato anzi modello degli istituti secolari, i suoi membri – numerari e numerarie – avevano i tre classici voti, l’obbligo della vita comune, l’uso del cilicio, il circolo breve settimanale (una specie di capitolo delle colpe), il testamento prima dell’incorporazione definitiva, e diverse altre pratiche ascetiche che l’avvicinavano al mondo dei religiosi.

Si può qui notare che gli istituti secolari fondati da p. Agostino Gemelli, cioè i Missionari e le Missionarie della Regalità, non avevano l’obbligo della vita comune, e ugualmente l’istituto Cristo Re, fondato da Giuseppe Lazzati proprio in forza della loro secolarità.

Per giustificare questa sua posizione, l’Opus Dei, nelle parole di Alvaro del Portillo, scriveva che possono esserci istituti secolari che possono andare oltre il mininum previsto dalla Provida Mater, proprio per favorire una vita spirituale dei propri membri più solida e più profonda. Tutto ciò mutò nel 1982, quando l’Opus Dei divenne prelatura e fu costretto ad annullare l’incorporazione che numerari e numerarie avevano nell’Opus Dei come istituto secolare con i voti.

L’intervento di papa Francesco obbliga a un’altra chiarificazione: i laici non sono incorporati nella prelatura, ma hanno un rapporto pattizio che deve essere regolato negli statuti da rivedere dall’Opus Dei, che dovrà sottoporli all’autorità competente per l’approvazione.

(d) La questione del vescovo
Papa Francesco aggiunge che, essendo le insegne episcopali riservate ai vescovi, il prelato dell’Opus Dei, essendo la sua prelatura un’istituzione non gerarchica e sottoposta al Dicastero per il clero, non può aspirarvi; anzi, papa Francesco sancisce che nemmeno in futuro il prelato potrà godere dell’ordine episcopale.

La storia delle onorificenze pontificie richieste dall’Opus Dei sin dalle sue origini è stata già trattata e qui se ne riassumono gli elementi principali.

(Ulteriori particolari in G. Rocca, L’Opus Dei… cit., e Id., «Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer. Note di lettura», in Revue d’Histoire Ecclésiatique 2017, pp. 244-266, in particolare pp. 252-254).

Si sa che i tentativi di far accedere Escrivá alla dignità episcopale sono stati numerosi. Il primo già nel 1942, quando Escrivá aveva 40 anni, e al generalissimo Franco egli era stato presentato come persona dalla concezione morale molto buona, totalmente aderente al Movimento e simpatizzante con il Partito.

La questione venne ripresa nel 1945, questa volta con la motivazione – sempre rivolta al generalissimo Franco – che Escrivá sarebbe stato un ottimo vescovo castrense. Non se ne fece nulla, ma la candidatura a vescovo ritornò nel 1950, questa volta per una sede residenziale, quella di Vitoria. Ancora una volta non se ne fece nulla.

Poi, dopo il 1955, una nota segnalava che tra i vari «varones ilustres» meritevoli di essere insigniti della dignità vescovile figurava ancora Escrivá, e si diceva allora che egli era il superiore del primo istituto secolare approvato nella Chiesa. E ancora una volta la proposta cadde.

Che ci fosse una forte opposizione della Santa Sede alla nomina di Escrivá a vescovo risulta chiaramente da una lettera che il ministro degli Affari Esteri della Spagna scrisse nel 1956, da Madrid, all’ambasciatore di Spagna presso la S. Sede a Roma, Fernando M. Castiella.

Il ministro, dopo aver parlato con l’allora segretario generale dell’Opus Dei, Antonio Pérez, riferiva che i responsabili dell’Opus Dei si erano ormai convinti che non sarebbe stato possibile per Escrivá essere promosso alla dignità episcopale, ed erano passati a proporre la nomina a vescovo almeno di Alvaro del Portillo.

A quanto sin qui esposto si può aggiungere un altro tassello, non conosciuto quando erano stati pubblicati gli studi sopra indicati per la non accessibilità degli archivi vaticani.

Il nuovo tassello riguarda la proposta avanzata nel settembre del 1948 dai vescovi delle diocesi spagnole di Tuy e di Madrid-Alcalá, che proponevano alla S. Sede la nomina di Escrivá a vescovo come molto conveniente per la sua persona e per l’opera che egli dirigeva.

La pratica, però, si chiuse allora con un «Non expedire» con la precisazione che una tale nomina non sarebbe stata utile per l’Opus Dei e, come sopra documentato, l’opposizione della S. Sede alla nomina di Escrivá a vescovo fu mantenuta.

(e) Una guida basata sulla fedeltà al carisma
Coerentemente con questa impostazione, papa Francesco chiarisce che, per dirigere l’Opus Dei, non occorre un vescovo, ma tutto può rientrare nella linea di una fedeltà al carisma che tutti gli istituti devono ricercare.

In pratica, senza dirlo, papa Francesco stabilisce un’analogia con il carisma proprio dei singoli istituti religiosi o secolari o società di vita apostolica, che devono verificare le proprie opere e il proprio governo non sulla base di un’autorità gerarchica, ma della fedeltà alle aspirazioni e direttive del loro fondatore sotto la guida della Chiesa.

(f) Il titolo concesso
Il titolo ora concesso al prelato dell’Opus Dei («Protonotario apostolico» e «Reverendo Monsignore») fa parte delle buone norme di etichetta vaticana. Esse trovavano riscontro anche presso gli istituti religiosi, e coloro che conoscono la corrispondenza antica tra i religiosi sanno che – ancora alla fine dell’Ottocento – al superiore generale spettava il titolo di «Reverendissimo», al provinciale e al procuratore generale quello di «Molto reverendo»; di «Reverendo» ai superiori locali, mentre quello di «padre» andava rivolto ai semplici sacerdoti, e «fratello» a quelli che non lo erano.

(Ulteriori particolari in questo senso in E. Boaga, «Titoli onorifici», in Dizionario degli istituti di perfezione 9 (1997), pp. 1177-1181).

(g) La risposta dell’Opus Dei
In una lettera emessa subito dopo il motu proprio di papa Francesco, il prelato dell’Opus Dei, Fernando Ocáriz, dichiarava di accettare totalmente quanto disposto da papa Francesco, come rispondente al carisma dell’Opus Dei, che si augurava di poter sempre più sviluppare grazie alle indicazioni di papa Francesco e all’impegno di tutti i membri dell’Opus Dei.

Don Giancarlo Rocca, della Società di San Paolo, direttore (dal 1969) del Dizionario degli istituti di perfezione. Laureato in teologia con specializzazione in Mariologia presso il Marianum. Già docente universitario, ora responsabile del settore «Ordini religiosi» in Vaticano. 

Opus Dei: più carisma, meno «zucchetti»

di: Giancarlo Rocca
Dopo la pubblicazione della costituzione apostolica Praedicate Evangelium del 19 marzo 2022, che riorganizzava la Curia romana, era inevitabile attendersi un intervento sull’Opus Dei. Si trattava solo di sapere quando sarebbe avvenuto. Di fatto, nella Praedicate Evangelium si diceva esplicitamente, all’articolo 117, che il Dicastero per il Clero avrebbe avuto competenza sulle Prelature personali, e l’unica attualmente esistente è quella dell’Opus Dei.

L’intervento di papa Francesco può essere esaminato da diversi punti di vista.

La prelatura struttura gerarchica?
A parte la premessa iniziale di papa Francesco, che convalida la missione dell’Opus Dei di diffondere la chiamata alla santità attraverso la santificazione del lavoro e degli impegni di famiglia, la questione di base è se la prelatura dell’Opus Dei sia una struttura gerarchica della Chiesa o invece una particolare istituzione della Chiesa, una Prelatura, con compiti specifici. Conviene quindi ripercorrere, sia pure brevemente, questa storia.

Il Concilio Vaticano II accenna, nel decreto del 1965 Presbyterorum ordinis 10, alle prelature personali, nel quadro di una miglior distribuzione del clero e per iniziative apostoliche particolari, e ugualmente nel decreto, ancora del 1965, Ad Gentes 20 e 27, ma mai il Concilio parla della possibilità di incorporare dei laici in una prelatura personale. Parecchie spiegazioni in più sulle prelature personali si hanno nel motu proprio Ecclesiae sanctae (I, 4), del 1966, con particolari circa la formazione del clero della prelatura in appositi seminari nazionali o internazionali, e ancora una volta si precisa che i laici, celibi o coniugati, non sono incorporati nella prelatura, ma possono collaborare alla sua missione tramite apposite convenzioni.

Un totale cambiamento di prospettiva e un deciso allontanamento dalle idee del Concilio Vaticano II si ha nello Schema di preparazione al Codice di diritto canonico. Il testo, del 1980, inserisce le prelature personali tra le strutture gerarchiche della Chiesa (Pontefice, Vescovi ecc.), nel canone 335 § 2 le prelature personali sono equiparate a quelle territoriali, e nel canone 337 le prelature personali sono presentate cum populo proprio.

Il Codice di diritto canonico del 1983, però, non ha recepito le indicazioni dello Schema, non ha più inserito le prelature personali tra le strutture gerarchiche della Chiesa (Sezione II), ma semplicemente nel libro II. De populo Dei, e specificamente nella prima parte che tratta dei fedeli.

Di qui la questione, subito emersa, se la prelatura personale dell’Opus Dei fosse da inserire tra le strutture gerarchiche. La formulazione più coerente, in realtà, è quella del Codice di diritto canonico del 1983, che ne parla ai canoni 294-297, e precisa che i sacerdoti e i diaconi sono incardinati nella prelatura, mentre i laici possono collaborare alle sue opere con particolari convenzioni da precisarsi negli statuti. Pertanto i laici non sono membri della prelatura, conservano la propria diocesi, il proprio vescovo, la propria parrocchia. Si può anche aggiungere che l’unione giuridica pattizia dei laici con la prelatura è inferiore alla incorporazione a un istituto religioso o società di vita apostolica o istituto secolare. Di fatto, il canone 296 prevede, come materia della convenzione con i laici, solo l’attività apostolica esterna, che poi viene sottoposta per l’approvazione all’Ordinario locale (canone 297).

Papa Francesco ha semplicemente ripreso e confermato il Codice di diritto canonico del 1983. La prelatura dell’Opus Dei non è una struttura gerarchica della Chiesa e quindi la sottopone al Dicastero per il Clero, in quanto struttura fondamentalmente clericale. L’Opus Dei, di conseguenza, lascia il posto che precedentemente aveva presso il Dicastero per i vescovi, grazie al fatto che due suoi prelati erano stati nominati vescovi: Alvaro del Portillo (†1994), primo prelato ma vescovo solo dal 1990; Javier Echevarría (†2016), secondo prelato e vescovo dal 1995; Fernando Ocáriz, terzo prelato dal 2017, ma non insignito della dignità episcopale da papa Francesco. Le eventuali questioni introdotte da questa modifica saranno trattate con il Dicastero per il clero e gli altri Dicasteri competenti della Curia romana.

(Ulteriori particolari al riguardo in G. Rocca, L’«Opus Dei». Appunti e documenti per una storia, Roma 1985, p. 111; e più recentemente G. Ghirlanda, Il diritto nella Chiesa mistero di comunione. Compendio di diritto ecclesiale, sesta edizione, Roma 2015, pp. 208-211. Per lo Schema del 1980 cf: Pontificia Commissio Codici iuris canonici recognoscendo, Schema Codicis iuris Canonici, Libreria Editrice Vaticana 1980, pp. 80-81).

Una relazione ogni anno
Papa Francesco all’articolo 2 del suo motu proprio modifica quanto stabilito nella costituzione apostolica Ut sit del 1982, dove si stabiliva che l’Opus Dei come prelatura era obbligata a presentare una relazione sul suo stato di vita ogni cinque anni al Dicastero per i Vescovi. Ora l’obbligo viene fissato a ogni anno. Riguardo a questa decisione di papa Francesco più d’un commentatore si è chiesto come sia stato il comportamento dell’Opus Dei, se cioè abbia regolarmente presentato le relazioni dovute per il periodo in cui era istituto secolare, cioè dal 1950 al 1982, e dal 1982 a oggi quando era alle dipendenze del Dicastero dei Vescovi.

Modifica degli statuti
Il terzo mutamento richiesto da papa Francesco riguarda gli Statuti propri della prelatura, che devono essere riformulati tenendo conto di questo ridimensionamento. L’Opus Dei aveva già subito un cambiamento notevole proprio in riferimento ai laici e laiche associati. Nel periodo in cui l’Opus Dei era istituto secolare, considerato anzi modello degli istituti secolari, i suoi membri – numerari e numerarie – avevano i tre classici voti, l’obbligo della vita comune, l’uso del cilicio, il circolo breve settimanale (una specie di capitolo delle colpe), il testamento prima dell’incorporazione definitiva, e diverse altre pratiche ascetiche che l’avvicinavano al mondo dei religiosi.

Si può qui notare che gli istituti secolari fondati da p. Agostino Gemelli, cioè i Missionari e le Missionarie della Regalità, non avevano l’obbligo della vita comune, e ugualmente l’istituto Cristo Re, fondato da Giuseppe Lazzati proprio in forza della loro secolarità.

Per giustificare questa sua posizione l’Opus Dei, nelle parole di Alvaro del Portillo, scriveva che possono esserci istituti secolari che possono andare oltre il mininum previsto dalla Provida mater, proprio per favorire una vita spirituale dei propri membri più solida e più profonda. Tutto ciò mutò nel 1982, quando l’Opus Dei divenne prelatura e fu costretto ad annullare l’incorporazione che numerari e numerarie avevano nell’Opus Dei come istituto secolare con i voti.

L’intervento di papa Francesco obbliga a un’altra chiarificazione: i laici non sono incorporati nella prelatura, ma hanno un rapporto pattizio che deve essere regolato negli statuti da rivedere dall’Opus Dei, che dovrà sottoporli all’autorità competente per l’approvazione.

La questione del vescovo
Papa Francesco aggiunge che, essendo le insegne episcopali riservate ai vescovi, il prelato dell’Opus Dei, essendo la sua prelatura un’istituzione non gerarchica e sottoposta al Dicastero per il clero, non può aspirarvi; anzi, papa Francesco sancisce che nemmeno in futuro il prelato potrà godere dell’ordine episcopale.

La storia delle onorificenze pontificie richieste dall’Opus Dei sin dalle sue origini è stata già trattata e qui se ne riassumono gli elementi principali (ulteriori particolari si trovano in G. Rocca, L’«Opus Dei», cit., e Id., «Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer. Note di lettura», in Revue d’Histoire Ecclésiatique 2017, pp. 244-266, in particolare pp. 252-254).

Si sa che i tentativi di far accedere Escrivá alla dignità episcopale sono stati numerosi. Il primo già nel 1942, quando Escrivá aveva 40 anni, e al generalissimo Franco egli era stato presentato come persona dalla concezione morale molto buona, totalmente aderente al Movimento e simpatizzante con il Partito.

La questione venne ripresa nel 1945, questa volta con la motivazione − sempre rivolta al generalissimo Franco − che Escrivá sarebbe stato un ottimo vescovo castrense. Non se ne fece nulla, ma la candidatura a vescovo ritornò nel 1950, questa volta per una sede residenziale, quella di Vitoria. Ancora una volta non se ne fece nulla.

Poi, dopo il 1955, una nota segnalava che tra i vari «varones ilustres» meritevoli di essere insigniti della dignità vescovile figurava ancora Escrivá, e si diceva allora che egli era il superiore del primo istituto secolare approvato nella Chiesa. E ancora una volta la proposta cadde.

Che ci fosse una forte opposizione della Santa Sede alla nomina di Escrivá a vescovo risulta chiaramente da una lettera che il ministro degli Affari Esteri della Spagna scrisse nel 1956, da Madrid, all’ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede a Roma, Fernando M. Castiella. Il ministro, dopo aver parlato con l’allora segretario generale dell’Opus Dei, Antonio Pérez, riferiva che i responsabili dell’Opus Dei si erano ormai convinti che non sarebbe stato possibile per Escrivá essere promosso alla dignità episcopale, ed erano passati a proporre la nomina a vescovo almeno di Alvaro del Portillo.

A quanto sin qui esposto si può aggiungere un altro tassello, non conosciuto quando erano stati pubblicati gli studi sopra indicati per la non accessibilità agli archivi vaticani. Il nuovo tassello riguarda la proposta avanzata nel settembre del 1948 dai vescovi delle diocesi spagnole di Tuy e di Madrid-Alcalá, che proponevano alla Santa Sede la nomina di Escrivá a vescovo come molto conveniente per la sua persona e per l’opera che egli dirigeva. La pratica, però, si chiuse allora con un «Non expedire» con la precisazione che una tale nomina non sarebbe stata utile per l’Opus Dei, e, come sopra documentato, l’opposizione della Santa Sede alla nomina di Escrivá a vescovo fu mantenuta.

Una guida basata sulla fedeltà al carisma
Coerentemente con questa impostazione, papa Francesco chiarisce che per dirigere l’Opus Dei non occorre un vescovo, ma tutto può rientrare nella linea di una fedeltà al carisma che tutti gli istituti devono ricercare. In pratica, senza dirlo, papa Francesco stabilisce un’analogia con il carisma proprio dei singoli istituti religiosi, o secolari, o società di vita apostolica, che devono verificare le proprie opere e il proprio governo non sulla base di una autorità gerarchica, ma della fedeltà alle aspirazioni e direttive del loro fondatore sotto la guida della Chiesa.

Il titolo
Il titolo che ora viene concesso al Prelato dell’Opus Dei («Protonotario apostolico» e «Reverendo Monsignore») fa parte delle buone norme di etichetta vaticana. Esse trovavano riscontro anche presso gli istituti religiosi, e coloro che conoscono la corrispondenza antica tra i religiosi sanno che − ancora alla fine dell’Ottocento − al superiore generale spettava il titolo di «Reverendissimo», al provinciale e al procuratore generale quello di «Molto reverendo»; di «Reverendo» ai superiori locali, mentre quello di «padre» andava rivolto ai semplici sacerdoti, e «fratello» a quelli che non lo erano.

(Ulteriori particolari in questo senso in E. Boaga, Titoli onorifici, in Dizionario degli istituti di perfezione 9 (1997), pp. 1177-1181).

La risposta dell’Opus Dei
In una lettera emessa subito dopo il motu proprio di papa Francesco, il prelato dell’Opus Dei, Fernando Ocáriz, dichiarava di accettare totalmente quanto disposto da papa Francesco, come rispondente al carisma dell’Opus Dei, che si augurava di poter sempre più sviluppare grazie alle indicazioni di papa Francesco e all’impegno di tutti i membri dell’Opus Dei.
Settimana News

Il cardinale Parolin ha ordinato ventinove sacerdoti dell’Opus Dei

La celebrazione nella basilica romana di Sant’Eugenio

Vita, semplicità e missione. Su queste tre parole ha sviluppato il suo pensiero il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nell’omelia tenuta durante il rito di ordinazione sacerdotale di 29 membri della Prelatura personale dell’Opus Dei. La celebrazione si è svolta sabato mattina, 5 settembre, nella basilica romana di Sant’Eugenio. I 29 candidati provenivano da Italia, Spagna, Messico, Guatemala, Cile, Uruguay, Costa d’Avorio, Slovacchia, Argentina, Costa Rica, Olanda, Uganda, e Perú.

Nella sua riflessione il cardinale ha ripreso le letture della liturgia, commentando le parole di Gesù che si proclama il Buon pastore. «È piuttosto radicata l’idea — ha osservato — che il pastore designi esclusivamente la conduzione del gregge». Certamente, il pastore è «colui che guida il gregge». Tuttavia, nel Vangelo emerge «una prospettiva più ampia» e si nota «la differenza che Gesù fa tra il pastore e il mercenario».

Il primo, ha sottolineato il porporato, «non riveste prima di tutto un ruolo, ma assume uno stile di vita». Il pastore infatti, soprattutto ai tempi di Gesù, «non veniva inteso come qualcuno che aveva una mansione da svolgere» ma come uno che «condivideva ogni cosa con il proprio gregge»; non viveva «come voleva, ma come era meglio per il gregge»; non si fermava dove «desiderava, ma dove stava il gregge». In effetti, «si spostava con le pecore e trascorreva il giorno e la notte in loro compagnia». Più che condurre il gregge «ci viveva immerso».

Dunque, l’immagine del pastore sembra riferirsi non anzitutto «al governo, ma alla vita». Difatti, ha aggiunto il segretario di Stato, «non a caso Gesù caratterizza il pastore come colui che dà la propria vita per le pecore». Da qui l’invito a considerare il ministero sacerdotale come «una questione di vita». Perché i preti, «assimilati al Buon pastore immerso nel suo gregge», non sono «in primo luogo chiamati a fare qualcosa» — magari neppure quella per cui si sentono più portati — ma «a dare e a condividere la vita». Così potranno «realizzare in pienezza la chiamata ad agire in persona Christi che caratterizza il sacramento dell’ordine». E questo «non solo nell’amministrazione dei sacramenti, ma incarnando lo stile di Gesù». Così come scrisse san José María Escrivá de Balaguer, «il sacerdote, chiunque egli sia, è sempre un altro Cristo».

Si comprende perciò la ragione per cui la vita del sacerdote è «una chiamata a testimoniare la gioia nell’incontro tra Dio e noi, la gioia che Dio prova nell’usarci misericordia». Essere pastori oggi, ha fatto notare il porporato, «significa, soprattutto, diventare testimoni di misericordia». E il tempo della misericordia è proprio quello che «ha proclamato il Papa nell’imminenza dell’apertura dello scorso giubileo». La grazia dell’oggi ecclesiale e le esistenze dei sacerdoti si incontrano così «nel segno del pastore misericordioso che dà la vita per il suo gregge».

Il cardinale ha poi fatto riferimento ad alcune conseguenze pratiche che derivano dall’esempio del Buon pastore, mettendo in risalto le parole e il perdono «che devono caratterizzare la vita del prete». Rivolgendosi agli ordinandi, il porporato ha raccomandato: «Le parole con cui predicherete e userete dovranno essere parole di vita». La predicazione, ha aggiunto, «ha sempre al centro il kerygma, la novità perenne e risanante della morte e risurrezione di Cristo per noi, ed è il fondamento dell’annuncio». Da qui l’invito ai nuovi sacerdoti, affinché ricordino che nella predicazione «prima di esortare va sempre proclamata la bellezza della salvezza». Infatti è «da questa bellezza che noi siamo attratti per vivere di conseguenza, per avere una vita morale all’altezza di questa chiamata».

Il segretario di Stato ha poi ricordato il pensiero di san Paolo contenuto nella seconda lettura, laddove l’apostolo ricorda «l’imprescindibilità del perdono». In questa chiave, ha invitato i nuovi preti a essere «ambasciatori di misericordia, portatori del perdono che risolleva l’esistenza, sacerdoti che amano disporre i fratelli e le sorelle a lasciarsi riconciliare con Dio». Nasce da qui il bisogno di prestare molta attenzione al sacramento della confessione. Perché è lì che i presbiteri hanno modo di essere «dispensatori di quelle grazie, di quel perdono cui il mondo di oggi ha estremo bisogno».

La seconda parola indicata dal cardinale per descrivere la figura del pastore è stata la semplicità. «Pensiamo — ha detto — ai pastori presenti alla nascita di Gesù: non rappresentavano certamente il vertice culturale del popolo e non erano l’espressione compiuta della purezza rituale». Eppure, ha aggiunto, «furono i primi chiamati ad accogliere il Messia apparso in terra». In particolare il porporato ha ricordato il giovane Davide, che «in quanto pastorello non era stato annoverato dal padre tra i figli idonei a essere consacrati». Ma il Signore, ha fatto notare, «guarda il cuore, ama i piccoli e cerca i semplici». A questo proposito, il celebrante ha invitato a guardare all’esempio di santa Teresa di Calcutta, di cui ricorreva la memoria liturgica. «Conoscete il cammino semplice che delineò — ha detto — tratteggiando in poche parole il tragitto essenziale del credente». Quindi ha ricordato una sua frase: «Il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è fede, il frutto della fede è l’amore, il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace». Si tratta di «parole semplici per collegare i poli dell’esistenza: Dio e gli altri». Infatti, «il primo e decisivo passo suggerito è trovare ogni giorno tempo per fare silenzio ed entrare nella preghiera». Questa dimensione «costitutiva del credente» è «fondamento dell’edificio spirituale», così come la definiva il fondatore dell’Opus Dei, «non mancando di ricordare che essa è sempre feconda». Poi, rivolgendosi agli ordinandi, ha assicurato che questa dimensione «rappresenterà un vero e proprio opus da esercitare fedelmente per l’intero popolo di Dio».

Il cardinale ha inoltre sottolineato come «la semplicità che nasce dalla trasparenza della preghiera comporta anche scelte concrete per andare all’essenziale del ministero». In proposito ha ricordato che madre Teresa chiedeva per prima cosa quante ore pregassero ogni giorno. Quindi, ricordando le parole di san Escrivá de Balaguer, ha detto che per essere pastori «occorre anzitutto avere una vita ben ordinata; e ciò significa non lasciarsi ingolfare da mille cose, pena il rischio di smarrire la semplicità di un cuore pienamente dedito al Signore».

Infine, il segretario di Stato non ha mancato di far notare come i 29 ordinandi ricevano il sacramento dell’ordine alla missione del sacerdote durante questo pontificato di Francesco, che, «oltre alla priorità della misericordia vissuta e al richiamo alla semplicità evangelica», sta insistendo sulla «esigenza non più rimandabile della missione, quale vocazione principale della Chiesa». Essere Chiesa in uscita, ha sottolineato il cardinale Parolin, «significa non concepirsi più come fine , ma come mezzo, per portare non noi stessi, ma il Signore che salva».

I santi di oggi 26 giugno 2013

San JOSEMARIA ESCRIVá DE BALAGUER   Sacerdote, Fondatore dell’Opus Dei
Barbastro, Spagna, 9 gennaio 1902 – Roma, 26 giugno 1975
Josemaría Escrivá nacque a Barbastro (Spagna) il 9 gennaio 1902. Fu ordinato sacerdote nel 1925. Nel 1927 iniziò a Madrid un instancabile lavoro sacerdotale de…
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Santi GIOVANNI E PAOLO   Martiri di Roma
† Roma, 26 giugno 362
I santi Giovanni e Paolo, vissuti nel IV secolo, furono fratelli di fede oltre che di fatto. Le informazioni su di loro sono discordanti e risalgono soprattutto ad una “Passio” in …
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San VIGILIO   Vescovo e martire
Trento, secolo IV – Trento, anno 400 o 405
È un trentino di origine romana, vissuto tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, terzo vescovo di Trento. Su suggerimento di Ambrogio, vescovo di Milano, Vigilio affida a tre p…
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San RODOLFO   Vescovo
Gubbio (Perugia), 1034 – 26 giugno 1064
Rodolfo appare fra i partecipanti al Concilio romano del 1059 come vescovo di Gubbio. È il primo di tre vescovi santi della cittadina umbra in un secolo: dopo di lui c’è san Giovan…
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San JOSE MARIA ROBLES HURTADO   Martire Messicano
Mascota, Jalisco (Tepic), 3 maggio 1888 – Quila, Jalisco, (Messico) 26 giugno 1927
Naque a Mascota, Jalisco (Diocesi di Tepic) il 3 maggio 1888. Parroco di Tecolotlán, Jalisco e fondatore della Congregazione religiosa Sorelle del Cuore di Gesù Sacramentato. Fervi…
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Sant’ ANTELMO DI CHIGNIN   Monaco e vescovo di Belley
Chignin (Francia), 1107 – Belley (Francia), 26 giugno 1178
Nacque nel 1107 nel Castello di Chignin, in Savoia. Segretario prima della chiesa di Ginevra, poi del vescovo di Belley, da questo fu ordinato sacerdote. Affascinato dalla vita cer…
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San MEDICO   Martire venerato a Otricoli
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San DAVIDE DI SALONICCO   Eremita
L’eremita San Davide visse per circa 80 anni recluso in una cella fuori delle mura della città di Salonicco, odierna Tessalonica in Macedonia.
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San DEODATO DI NOLA   Vescovo
m. 26 giugno 473
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San MASENZIO (MASSENZIO)   Abate
m. 515 circa
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Santi SALVIO E SUPERIO   Martiri
sec. VIII
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San PELAGIO DI CORDOVA   Martire
m. 925
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San GIUSEPPE MA TAISHUN   Martire
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Beato ANDREA GIACINTO LONGHIN   Vescovo cappuccino
Fiumicello di Campodarsego, Padova, 23 novembre 1863 – 26 giugno 1936
Nasce il 23 novembre 1863 a Fiumicello di Campodarsego (PD) da una famiglia di contadini affittuari. Seguendo la sua vocazione al sacerdozio nel 1879 inizia il noviziato nell’Ordin…
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Beate MARIA MADDALENA FONTAINE E 3 COMPAGNE   Vergini e martiri
m. Cambrai (Francia), 26 giugno 1794
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Beati NICOLA (MYCOLA) KONRAD E VLADIMIRO (VOLODYMYR) PRYJMA   Martiri ucraini
+ Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941
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Beato ANDREA (ANDRIJ) ISCAK   Sacerdote e martire
Mykolayiv, Ucraina, 23 settembre 1887 – Sykhiv, Ucraina, 26 giugno 1941
Il beato Andrea Iscak, al tempo del regime avverso a Dio fu ucciso per la fede di Cristo nel villaggio di Sykhiv, sempre presso Leopoli. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 g…
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Beato RAIMONDO PETINIAUD DE JOURGNAC   Martire
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Beato GIACOMO DA GHAZIR (KHALIL AL-HADDAD)   Sacerdote cappuccino, Fondatore
Ghazir, Libano, 1° febbraio 1875 – Beirut, Libano, 26 giugno 1954
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Beato SEBASTIANO DE BURGHERRE   Mercedario
Saldo della fede, il religioso mercedario del convento di Montpellier (Francia), Beato Sebastiano de Burgherre, venne mandato in Africa per redimere. Ad Algeri rimase in ostaggio p…
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Beata MARIA GIUSEPPINA DI GESù CROCIFISSO   Carmelitana
Napoli, 18 febbraio 1894 – Napoli, 14 marzo 1948
Giuseppina Catanea, detta Pinella, nasce a Napoli il 18 febbraio 1896. Dopo gli studi commerciali, nel 1918 entra nella Comunità carmelitana di Santa Maria ai Ponti Rossi, s…
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