Annunciare il Vangelo in qualsiasi realtà, sia fisica che digitale

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Nel Messaggio per la 47° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Benedetto XVI esorta i cristiani a portare “la luce gentile della fede” nei moderni social network
Di Salvatore Cernuzio

CITTà DEL VATICANO, 24 Gennaio 2013 (Zenit.org) – Il Vangelo di Marco riporta il preciso compito che Gesù ha lasciato ad ogni cristiano: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Dopo più di duemila anni di evangelizzazione in tutti gli angoli del globo, si aggiunge oggi una nuova “terra” in cui portare l’annuncio di Cristo risorto: il web.

Un mondo non reale, dove però si sviluppano ogni giorno miliardi di reti sociali che mettono in comunicazione diretta i cittadini del mondo e che danno vita ad una nuova “agorà” in cui condividere idee, informazioni, opinioni, lasciando spazio alla libera espressione di sé stessi, ma anche a nuove sfide.

Su questi temi si è incentrato il messaggio di Benedetto XVI per la 47° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2013 dal titolo Reti sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione. Questi spazi – scrive il Papa – “quando sono valorizzati bene e con equilibrio, contribuiscono a favorire forme di dialogo e di dibattito”, e se realizzati con “rispetto, attenzione per la privacy, responsabilità e dedizione alla verità”, possono “promuovere efficacemente l’armonia della famiglia umana”.

La potenzialità dei social network è enorme. Di conseguenza, le persone che vi partecipano “devono sforzarsi di essere autentiche”, considerando che – sottolinea il Santo Padre – in essi “sono coinvolte nel costruire relazioni e trovare amicizia, nel cercare risposte alle loro domande, nel divertirsi, ma anche nell’essere stimolati intellettualmente e nel condividere competenze e conoscenze”.

“Le reti sociali sono alimentate da aspirazioni radicate nel cuore dell’uomo”, afferma il Pontefice, ma, proprio per la cultura e i cambiamenti nelle forme di comunicazione che implicano, producono “sfide impegnative” soprattutto per coloro che “vogliono parlare di verità e di valori”.

Spesso, infatti, come in ogni mezzo di comunicazione sociale, si antepone la popolarità di un contenuto alla sua “importanza e validità”. Scrive il Papa: “A volte, la voce discreta della ragione può essere sovrastata dal rumore delle eccessive informazioni, e non riesce a destare l’attenzione, che invece viene riservata a quanti si esprimono in maniera più suadente”.

Per questo – aggiunge – i social media necessitano “di persone che cercano di coltivare forme di discorso e di espressione che fanno appello alle più nobili aspirazioni di chi è coinvolto nel processo comunicativo”. Anche perché, “dialogo e dibattito possono fiorire e crescere anche quando si conversa e si prendono sul serio coloro che hanno idee diverse dalle nostre”.

L’altra sfida dei network sociali è, dunque, di essere “inclusivi”. Solo allora, rimarca il Santo Padre, “beneficeranno della piena partecipazione dei credenti che desiderano condividere il Messaggio di Gesù e i valori della dignità umana, che il suo insegnamento promuove”.

I credenti, infatti, avvertono sempre più che “se la Buona Notizia non è fatta conoscere anche nell’ambiente digitale”, potrebbe essere “assente” nella vita di tutte quelle persone per cui la rete “è parte della realtà quotidiana”, specialmente i giovani.

Secondo Benedetto XVI, quindi, l’intervento dei cristiani nel web è di primaria importanza. Essi sono chiamati a portare nei social network la “luce gentile della fede”, come diceva il Beato John Henry Newman.

Pertanto, si rende necessaria “la capacità di utilizzare i nuovi linguaggi”, non tanto “per essere al passo coi tempi”, piuttosto “per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare forme di espressione in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti”.

Nelle reti sociali, evidenzia il Papa, sono spesso presenti domande sui temi che più toccano l’animo umano: l’amore, la verità, il significato della vita. Domande che non sono altro che “dubbi” di persone in cerca di una risposta, una conferma, che tutto questo abbia un senso. E la risposta c’è afferma Benedetto XVI, “si trova nella persona di Gesù Cristo”: la risposta più “radicale” alle questioni umane.

Perciò “è naturale che chi ha la fede desideri, con rispetto e sensibilità, condividerla con coloro che incontra nell’ambiente digitale”. Tuttavia, ammonisce il Santo Padre, bisogna aver presente che qualora “la nostra condivisione del Vangelo è capace di dare buoni frutti”, è sempre “grazie alla forza propria della Parola di Dio di toccare i cuori”, che va al di là di ogni nostro sforzo.

“La fiducia nella potenza dell’azione di Dio deve superare sempre ogni sicurezza posta sull’utilizzo dei mezzi umani”, ribadisce il Papa. E “anche nell’ambiente digitale – aggiunge – dove è facile che si levino voci dai toni troppo accesi e conflittuali, e dove a volte il sensazionalismo rischia di prevalere, siamo chiamati a un attento discernimento”.

Secondo il Pontefice, inoltre, “i social network, oltre che strumento di evangelizzazione, possono essere fattore di sviluppo umano”. Basti pensare al fatto che “in alcuni contesti geografici e culturali dove i cristiani si sentono isolati, le reti sociali possono rafforzare il senso della loro effettiva unità con la comunità universale dei credenti”.

O anche alla capacità degli ambienti digitali di offrire all’uomo moderno “occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio”, tanto che – informa il Papa – “molte persone stanno scoprendo, grazie a un contatto avvenuto inizialmente on line, l’importanza dell’incontro diretto, di esperienze di comunità o anche di pellegrinaggio, elementi sempre importanti nel cammino di fede”.

Le ultime righe del Messaggio si rivolgono ai fedeli, che Benedetto XVI esorta affinché non ci sia mai “mancanza di coerenza o di unità nell’espressione della fede e nella testimonianza del Vangelo”, in qualsiasi realtà siano essi chiamati a vivere, sia fisica, che digitale.

A Milano le «cellule» dell’annuncio

propongono una nuova forma di evangelizzazione nelle comunità locali

DA MILANO ANNALISA GUGLIELMINO – avvenire.it

«Un nuovo stile di collabora­zione tra laici e sacerdoti proietta le par­rocchie verso nuove fron­tiere di evangelizzazione, dona slancio missionario a entrambi, rinnovandoli nel profondo e preparandoli a spendersi insieme per il Vangelo». È da queste paro­le di Benedetto XVI che prende le mosse il 21° semi­nario internazionale delle Cellule parrocchiali di e­vangelizzazione, da oggi fi­no a domenica a Milano. Nella città ambrosiana è la basilica di Sant’Eustorgio a sperimentare, da ormai 23 anni, la forma delle Cellule, una «collaborazione» tra sa­cerdoti e fedeli che già Pao­lo VI indicava come mezzo per rinnovare le comunità parrocchiali. Un anno fa, il 29 maggio 2009, la parroc­chia guidata da don Pier Giorgio (Pigi) Perini ha rice­vuto su mandato del Papa il Riconoscimento vaticano. «Un apprezzamento della Chiesa cattolica per il me­todo di evangelizzazione qui sperimentato – dice la parrocchia ambrosiana – e la volontà di vederlo prose­guire, quale proposta in gra­do di rinnovare la comunità in senso missionario». Nel 1986 don Pigi «importò» a Milano l’esperienza delle «cellule» vissuta in una par­rocchia della Florida: la cel­lula parrocchiale è un pic­colo gruppo, legato da vin­coli familiari o di amicizia. Operando nei diversi am­bienti del quotidiano ogni cellula s’ingrandisce fino a originarne una nuova. Oggi alle centinaia di cellule mi­lanesi si aggiungono quelle sparse in tutto il mondo. E il seminario che parte og­gi illustrerà agli oltre 400 i­scritti, di cui 70 sacerdoti, come possa svilupparsi l’e­vangelizzazione della par­rocchia e come i laici pos­sano riscoprire il loro ruolo preminente nella vita della Chiesa. «I laici sono coloro grazie ai quali ho superato molte difficoltà della mia vi­ta spirituale e sacerdotale – racconta don Perini, oggi ot­tantunenne, parroco a Sant’Eustorgio dal 1977 –. Sono stati loro, nei momenti di scoraggiamento, a darmi la spinta per continuare. È grazie all’affetto e alla cura reciproci che questo pro­getto è andato avanti fino a ottenere, un anno fa, il Ri­conoscimento vaticano». Nel quadro dell’Anno sa­cerdotale, aggiunge il sacer­dote, «è quanto mai attuale chiedersi in cosa consista il nuovo stile di collaborazio­ne tra sacerdoti e laici, già evocato dal Concilio Vatica­no II, in merito alla vita e al­la missione della Chiesa».