RETE DISARMO: «MENO ARMI, PIÙ MEDICI E DOCENTI, BASTA FINANZIARIE “MILITARIZZATE”»

«Non basta riempire gli arsenali per garantire la pace. Nonostante la spesa militare globale sia quasi raddoppiata in questo secolo (con il record di 2.240 miliardi di dollari nel 2022) secondo il Global Peace Index negli ultimi 15 anni il pianeta ha registrato un aumento dei conflitti del 14%». Francesco Vignarca, della Rete italiana pace e disarmo, contesta l’antico detto si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra). Lo fa in un editoriale che Famiglia Cristiana pubblica nel numero da domani in edicola.

«Purtroppo», osserva Vignarca, «l’unica risposta dei leader mondiali alle crisi globali sembra essere quella dell’aumento delle spese per eserciti e armi. Così anche a Vilnius, dove si è svolto l’ultimo summit Nato. La crescita è impressionante soprattutto in Europa (la stessa Alleanza Atlantica prevede un +20% quest’anno, dopo che si era già registrato un +13% tra il 2021 e il 2022). Stiamo tornando a livelli di militarizzazione da Guerra Fredda. L’Unione europea, nata come progetto di pace, ha per esempio deciso di utilizzare per la prima volta propri fondi a sostegno della produzione di armi: 500 milioni di euro in via urgente per munizioni d’artiglieria e missili».

«In Italia già si palesano le avvisaglie di un piano di riarmo che i Capi di Stato maggiore avevano presentato al Parlamento nei mesi scorsi: un conto iniziale da 25 miliardi di euro alle spese per sistemi d’arma già presenti, passate da circa di 4,7 a 8,2 miliardi annui in meno di un lustro. Il primo acquisto “pesante” sarà quello di centinaia di carri armati tedeschi Leopard 2, con un costo stimato dai 4 ai 6 miliardi di euro».

«Ci possiamo permettere tutto questo?», conclude Francesco Vignarca. «A nostro avviso no, viste le gravi situazioni economiche in cui versano molte famiglie italiane e la necessità di affrontare tutta una serie di problemi. Per questo Rete Pace Disarmo, Sbilanciamoci e Greenpeace hanno messo di nuovo sul piatto in questi giorni proposte che vanno in altra direzione, a partire da scuola, sanità, assistenza, difesa dell’ambiente. Da tempo diciamo che al costo di un solo cacciabombardiere F-35 (almeno 135 milioni, dipende dai modelli) potrebbero essere costruiti 910 alloggi di edilizia popolare o una novantina di asili nido pubblici o la messa in sicurezza di 380 scuole, oppure, infine, quasi 29.000 pannelli fotovoltaici per abitazioni».

Famiglia Cristiana

L’Orologio dell’Apocalisse, ‘a soli 90 secondi dalla mezzanotte’ Bollettino degli scienziati atomici in inglese, ucraino e russo

 © EPA

Il mondo è più vicino all’Armageddon.

L’Orologio dell’Apocalisse è a soli 90 secondi alla mezzanotte, ovvero dalla catastrofe.

Lo rende noto il Bollettino degli Scienziati Atomici che annualmente tiene il polso dei pericoli di un olocausto nucleare, pubblicando per la prima volta il comunicato stampa con la sua decisione in inglese, russo e ucraino. (ANSA).

Presidente serbo, sul Kosovo servono negoziati e compromessi

“La Serbia è pronta a rispettare tutti i trattati che ha firmato, vogliamo evitare ogni possibile escalation con la Nato: crediamo di non avere dato adito a nessuna provocazione”.

Lo ha detto il presidente serbo Aleksandar Vučić nel corso della conferenza stampa con Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, aggiungendo di non ritenere che esistano “rischi reali” di una “escalation” e accusando la leadership kosovara di “retorica politica”.

“Da 180 giorni ci accusano di preparare azioni militari ma non è accaduto nulla. Abbiamo bisogno di un approccio razionale, di negoziati, di trovare compromessi. E noi siamo pronti”. (ANSA).

La nuova disputa. I Balcani, l’altro fronte di Putin

Una disputa sulle targhe delle auto e documenti d’identità riaccende la tensione fra la Serbia, sostenuta dalla Russia, e il Kosovo.La Nato: «Pronti a intervenire se è a rischio la stabilità»
Una pattuglia della Kfor sorveglia la rimozione del blocco stradale a Zupce,in Kosovo

Una pattuglia della Kfor sorveglia la rimozione del blocco stradale a Zupce,in Kosovo – Reuters

Dopo quasi 24 ore di blocco stradale, la minoranza serba del Kosovo ha smantellato le barricate erette nel Nord del Paese. Una notte di tensione, con alcuni serbi «fuori legge» che – riferisce la polizia kosovara – avevano aperto il fuoco contro degli agenti senza colpirli. Incidente sfiorato, ma la crisi sembra per ora solo rimandata: per il presidente serbo Aleksandar Vucic «mai la situazione è stata così difficile» da quando il Kosovo si è dichiarato indipendente nel 2008. E la missione Nato in Kosovo (Kfor), dopo aver monitorato con delle pattuglie in elicottero la riapertura dei blocchi stradali, ha informato di star «monitorando da vicino la situazione nel nord del Kosovo» con le organizzazioni di sicurezza locali e di «essere pronta ad intervenire se a rischio la stabilità».
È la guerra dei Balcani che, come un fiume carsico, riemerge dopo oltre un decennio e riapre vecchie incomprensioni tra Russia e Occidente in quello che potrebbe diventare un “fronte parallelo” rispetto alla guerra in Ucraina. Ieri pomeriggio tuttavia, secondo alcune testimonianze, il ponte vicino al confine di Bernjak era ancora istruito e il valico di confine non ancora aperto mentre il giorno prima si segnalavano spostamenti di truppe.
Tutto è iniziato domenica pomeriggio quando la popolazione serba del Kosovo aveva bloccato le strade che conducono ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak, obbligando le autorità a chiuderli. Le proteste sono contro nuove leggi sui documenti di identità e targhe automobilistiche, che avrebbero dovuto entrare in vigore il primo agosto. I manifestanti protestavano contro la decisione di Pristina di imporre anche ai serbi che vivono in Kosovo l’uso esclusivo di carte d’identità e targhe kosovare. Dalla guerra del 1999, il Kosovo aveva tollerato l’uso di targhe emesse dalle istituzioni serbe in quattro municipalità del nord del Paese dove sono presenti maggioranze serbe. La nuova legge rende invece obbligatorio l’uso di targhe con l’acronimo «Rks», cioè Repubblica del Kosovo. Ai proprietari di automobili era dato tempo fino alla fine di settembre per effettuare il cambiamento. Le nuove norme prevedono anche che chiunque entri in Kosovo con una carta d’identità serba abbia un documento temporaneo, con validità di tre mesi, mentre si trova nel Paese. Il premier del Kosovo, Albin Kurti, ha spiegato che si tratta di una misura di reciprocità, in quanto la Serbia – che non riconosce l’indipendenza della sua ex provincia a maggioranza albanese proclamata nel 2008 – chiede lo stesso ai kosovari che entrano nel suo territorio. La diatriba su targhe e documenti, che aveva già provocato in passato delle rimostranze, ha così riacutizzato sopite tensioni internazionali. La Serbia, spalleggiata da Russia e Cina, non riconosce l’indipendenza del Kosovo, né il suo diritto di imporre regole e regolamenti come la registrazione di automobili e camion mentre il governo del Kosovo è riconosciuto dalla maggior parte dei Paesi Ue.
Così domenica notte era giunto il minaccioso monito del Cremlino: «Tutti i diritti dei serbi in Kosovo devono essere rispettati», aveva dichiarato il portavoce Dmitry Peskov. Poi, dopo una mattina di consultazioni lo stesso Peskov, dopo aver ribadito di sostenere «assolutamente» la posizione della Serbia, chiedeva che tutte le parti «agiscano in modo ragionevole» perché riteneva «assolutamente infondati» le richieste delle autorità del Kosovo. Mentre la rappresentante dell’Onu in Kosovo, Caroline Ziadeh, lanciava un appello «alla calma, al ripristino della libertà di movimento» dall’Ue giungeva un chiaro altolà a Belgrado chiedendo di evitare «ogni azione non coordinata e unilaterale che mette in discussione la stabilità e la sicurezza». L’Ue ha poi invitato le autorità serbe e quelle kosovare a Bruxelles per risolvere i contrasti.

Lo status del Kosovo

La Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, proclamata unilateralmente nel 2008, dopo che nel 1999 la risoluzione 1244 dell’Onu autorizzava una presenza internazionale civile e militare in Kosovo, la Kfor a guida Nato ed ora forte di 3.500 uomini. L’indipendenza di Pristina è stata riconosciuta da 113 dei 193 membri Onu tra cui la maggior parte dei Paesi Ue, mentre Russia e Cina, alleate della Serbia, no. Negli anni passati Bruxelles ha cercato di mediare un dialogo tra i due vicini, ma finora gli sforzi non sono riusciti a raggiungere una normalizzazione dei rapporti. Il premier kosovaro Kurti ha affermato che il Kosovo presenterà formalmente domanda per diventare membro dei Ventisette entro la fine del 2022, nonostante le preoccupazioni per le tensioni con la Serbia, anch’essa aspirante membro Ue. Ma è sulla Nato che la spaccatura fra Mosca e l’Occidente si riverbera pericolosamente nei Balcani. Kurti ha infatti lanciato un appello per essere ammesso nella Nato insieme alla Bosnia. Una richiesta avanzata in maggio chiaramente in chiave anti-serba, mentre la crisi in Ucraina era già in atto.