Dischisacra Con Savall la “Passion” della polifonia di Victoria

«Come immaginare un’interpretazione che possa restare fedele all’idea del compositore e della pratica della sua epoca e allo stesso tempo trasmetterci tutta la sua bellezza e la sua spiritualità, senza dimenticarne la funzione liturgica?». È questa la domanda che Jordi Savall ha affidato alle note di copertina del cofanetto intitolato Passion, in cui ha riunito l’apparato musicale che Tomás Luis de Victoria (ca.1548- 1611) ha dedicato alle celebrazioni liturgiche della Settimana Santa. E la sua ipotesi di risposta apre stimolanti scenari di ascolto e di ricerca interiore: «In ultima istanza è l’essenza stessa della musica a consegnarci le chiavi del suo mistero». Proprio per ritrovare l’anima autentica dell’arte polifonica del compositore spagnolo Savall è partito dallo studio approfondito dell’edizione originale della celebre raccolta stampata a Roma nel 1585, con il titolo di Officium Hebdomadæ Sanctæ (Ufficio della Settimana Santa) della quale fanno parte alcuni dei più celebri capolavori firmati da Victoria: in primis le

Lamentationes Jeremiae Prophetae e l’Officium Tenebrarum, qui affiancati alle Passioni secondo Matteo e secondo Giovanni, allo splendido

Miserere e agli inni Tantum ergo, Vexilla Regis e Pange lingua. Con l’apporto del cantor Andrés Montilla-Acurero, del complesso vocale Capella Reial de Catalunya e di una versione ridotta dell’ensemble strumentale Hespèrion XXI, Savall conduce questa lunga colonna sonora della Passione di Cristo lungo i terreni artistici che gli sono più congeniali, calibrando sapientemente luci, ombre e un’infinita gamma di chiaroscuri che rivelano la tridimensionalità – sonora e spirituale – di queste composizioni. Musiche semplicemente sublimi, cariche di una bellezza immediata e di un significato che trascende la pura dimensione estetica per declinarsi in un’articolata sintassi del dolore, della riflessione e dell’introspezione, attingendo a un linguaggio tra i più alti e ispirati della storia della musica rinascimentale, e non solo.

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Tomás Luis de Victoria

Passion

Jordi Savall Alia Vox / Ducale. Euro 35,00 (tre cd)

Il direttore Jordi Savall

Chiesa & Diocesi RIFLESSIONE La musica sacra “è” liturgia

pianoforte

Sono rimasta piacevolmente sorpresa di come la lettera «Cantate, cantate al Signore!» dell’arcivescovo Delpini abbia suscitato un iniziale dibattito proprio sulla vexata quaestio della musica per la liturgia. Tutto ciò è segno della consapevolezza del valore e dell’importanza della musica nel celebrare cristiano per la partecipazione attiva dei fedeli. Desidero a tale proposito offrire ulteriori riflessioni, per mettere ancor più in luce la profondità e la complessità della questione, che non può risolversi semplicemente con l’uso di alcuni canti o strumenti al posto di altri.

Cosa dice il Concilio

Innanzitutto, è opportuno richiamare il dettato conciliare (ripreso anche dai Vescovi italiani nella Presentazione alla terza edizione italiana del Messale Romano, n. 3) sulla musica liturgica: «Il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne […] Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica» (SC 112).

La musica non è, quindi, una aggiunta alla liturgia semplicemente per renderla più festosa, gioiosa, per coinvolgere i fedeli, per risolvere il problema della eventuale “noia” causata dalla ripetitività rituale. Se la musica è parte integrante della liturgia, significa che essa stessa è liturgia, che non è qualcosa di esterno che si aggiunge al rito, ma che contribuisce alla realizzazione/manifestazione del Mistero della salvezza. La domanda che dovremmo porci è perché, a quasi 60 anni dal Concilio, consideriamo ancora la musica come qualche cosa di esterno alla liturgia, di accessorio, e quindi “meritevole” di poca attenzione.

Un’armonia fondamentale

Il Concilio mette in luce come la santità della musica dipenda dalla relazione con l’azione liturgica, cioè i canti, le melodie, ogni intervento cantato deve divenire un elemento integrante e autentico della celebrazione. Infatti, è di fondamentale importanza l’armonia tra i diversi linguaggi liturgici: musica, parola, gesto dovrebbero sostenersi a vicenda, suscitando i medesimi pensieri, sentimenti. La musica deve aderire ai testi, essere in consonanza con il tempo e il momento liturgico, corrispondere ai gesti liturgici. «I vari momenti liturgici esigono, infatti, una propria espressione musicale, atta di volta in volta a far emergere la natura propria di un determinato rito, ora proclamando le meraviglie di Dio, ora manifestando sentimenti di lode, di supplica o anche di mestizia per l’esperienza dell’umano dolore, un’esperienza tuttavia che la fede apre alla prospettiva della speranza cristiana». (Giovanni Paolo II, Chirografo per il centenario del Motu proprio “Tra le sollecitudini” sulla musica sacra (22 novembre 2003, n. 5).

Favorire e non allontanare

Per questo motivo bisogna anche guardarsi da quei canti eccessivamente “invadenti”, carichi a livello emotivo, che invece di favorire la preghiera, allontanano dal senso del gesto a cui corrispondono.

A tale proposito è di fondamentale importanza considerare come la musica porti con sé i contesti in cui viene ascoltata; le melodie utilizzate nella liturgia e soprattutto il modo con cui vengono suonate e cantate, non devono richiamare esperienze lontane dall’orizzonte liturgico. Cosa vive un giovane quando nella preghiera si utilizzano melodie e modalità esecutive molto simili a quelle di cantautori contemporanei, alla musica utilizzata in altri contesti? I canti e la musica nella liturgia, relativamente ai testi, alle melodie, alla modalità esecutiva (è molto diverso suonare la chitarra arpeggiando dal suonare “zappando” con forza sulle corde) devono mantenere una “differenza” rispetto all’utilizzo della musica in altri contesti (questo non significa che non debbano intercettare la sensibilità culturale ed ecclesiale dei fedeli). Pensiamo al modo di cantare il salmo responsoriale: la voce non deve essere impostata come nella lirica, deve essere modulata in modo da servire la Parola, per favorire la meditazione dei fedeli e non per mostrare le doti del salmista.

L’importanza della formazione

Ridare attenzione alla musica per la liturgia significa non cedere alla tentazione dei risultati immediati, scegliendo quello che piace di più o che sembra coinvolgere maggiormente al momento, ma percorrere la via lunga della formazione liturgico musicale.

L’assenza delle giovani generazioni (e non solo) alla celebrazione eucaristica domenicale è dovuta, oltre al contesto in cui viviamo, anche alla presenza troppo marginale di una solida formazione liturgica (e liturgico – musicale) nei cammini di iniziazione cristiana e nella pastorale giovanile.

Non si entra nella liturgia cambiandola a nostra “immagine e somiglianza”, lasciandoci guidare nella scelta dei canti dal criterio del “mi piace” o “non mi piace”, ma attraverso una educazione graduale e progressiva alla liturgia.

Spesso, nell’illusione di sostenere la partecipazione dei fedeli, ci siamo orientati verso musiche e testi banali; ma la liturgia richiede una musica che sia “vera arte”, perché solo così potrà esprimere il Mistero che si celebra. Questo non significa che dobbiamo assumere un repertorio complesso, difficile, che non intercetti la sensibilità culturale ed ecclesiale dei fedeli; sono molte le composizioni liturgiche contemporanee semplici, adatte alle nostre assemblee, alla capacità degli strumentisti, dei coristi, ma che allo stesso tempo possiedono il senso della preghiera, della dignità e della bellezza (Paolo VI, Discorso ai partecipanti all’assemblea generale dell’Associazione Italiana Santa Cecilia, 18 settembre 1968, in Insegnamenti VI, 1968, 479).

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Lo “Stabat Mater” siciliano di Sollima abbraccia la Croce e Gesù Bambino

Fa uno strano effetto, non c’è dubbio, sentir risuonare sulla soglia del Natale lo Stabat Mater, il racconto in parole (e musica) del dolore di Maria sotto la croce. Succede a Catania dove ieri sera (replica oggi alle 17.30) è stato eseguito in prima assoluta al Teatro Bellini (che lo ha commissionato) lo Stabat Mater di Giovanni Sollima modellato non sul latino della sequenza che la tradizione attribuisce a Jacopone da Todi, ma su un testo in siciliano scritto appositamente da Filippo Arriva. «Madunnuzza, Madunnuzza, anneja lacrimi l’armuzza. A la cruci ’ncugnata di lu figgjio ca poinneva » canta il coro in un siciliano pastoso e denso che traduce il celeberrimo incipit latino «Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat Filus». La scena del Calvario, di Maria sotto la croce. Passaggio essenziale per la Pasqua di Resurrezione che non potrebbe compiersi se non ci fosse il Natale, se non ci fosse l’Incarnazione. Tanto più che, lo hanno fatto notare in molti, il legno della mangiatoia dove Maria pone Gesù Bambino non può non richiamare il legno della croce.

Ecco il filo rosso, i rimandi che rendono “natalizia” una pagina tipicamente pasquale che Sollima ha scritto per controtenore, coro, theremin e orchestra. Il compositore e violoncellista siciliano sarà sul podio di orchestra e coro del Teatro Bellini, Lina Gervasi al theramin mentre a dare voce al dolore di Maria, un dolore che trasfigurato dalla musica si fa universale, sarà il controtenore Raffaele Pe. «Ho fatto leggere il testo del mio Stabat Mater siciliano a Riccardo Muti e lui mi ha indirizzato da Giovanni Sollima» racconta Filippo Arriva, catanese, classe 1952, giornalista, scrittore, autore televisivo e radiofonico. Una partitura commissionata a Sollima dal Teatro Bellini. «Un impegno qualificante per il nostro teatro che promuove la commissione di nuove opere a prestigiosi autori siciliani, affidandone l’esecuzione alle proprie formazioni orchestrali e corali» spiegano il commissario straordinario Daniela Lo Cascio e il sovrintendente Giovanni Cultrera.

«Il dolore è una forma espressiva estremamente forte in musica. Noi abbiamo bisogno di raccontarlo dandogli una forma atemporale, universale. Nella scrittura, nel mettere in musica il testo siciliano mi sono mosso tra il rituale e i tanti risvolti di un dolore, evitando ogni forma di folklore» racconta Sollima. Una partitura in otto movimenti, frammentati a loro volta in più segmenti nei quali vengono esplorate diverse vocalità. «La scrittura è visionaria, febbrile per assecondare il testo che è interamente in siciliano anche arcaico. Io ho cercato diverse forme di vocalità che vanno dalla voce incredibile del controtenore Raffaele Pe al theremin che si fa voce tra le voci fino ad arrivare a un uso molto particolare delle percussioni » spiega il compositore. «Figghiu me picciriddum’arricogghi lu pinseri cuannu scausu currevi bambineddu n’da sti vrazza» immagine poetica e potente di una madre che, tenendo tra le braccia il corpo del figlio morto, ricorda quando da piccolo lo abbracciava. La canta Raffaele Pe. «Mi sono emozionato a leggere il testo di questo Stabat Mater. Credo che questo siciliano in cui è stato scritto abbia davvero qualcosa da dire e ce lo dica in maniera diretta e profonda: questa lingua ci avvicina al senso profondo del dolore della madre e al tempo stesso lo sublima, lo rende sostenibile perché lo fa apparire familiare» spiega il controtenore lodigiano impegnato in una parte «notevole per le mille sfaccettature espressive: il pianto della madre, lo sconvolgimento della natura, il disfacimento del figlio» racconta Pe che dà «voce a questa immagine di dolore straziante e bellissima allo stesso tempo». Un dolore che, spiega Filippo Arriva, «è proiettato verso un desiderio di pace». E le note che chiudono la partitura di Sollima sono note dolci. «Ninna nanna ninna ò, chistu figghiu s’addurmò. Ninna nanna ninna ò, di la mammuzza so ca lu teni strittu strittu» intona la voce del controtenore contrappuntata dal coro. Note di una ninna nanna cantata da una madre che ai piedi della croce tiene tra le braccia il figlio morto. Quasi lo culla. Così l’immagine della Pietà si trasfigura in quella natalizia di Maria che nella grotta di Betlemme tiene tra le braccia Gesù Bambino.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Al “Bellini” di Catania il debutto della toccante composizione dell’autore palermitano con il testo di Filippo Arriva «Nel musicare questa opera mi sono mosso tra il rituale e i tanti risvolti di un dolore, evitando ogni forma di folklore»

Via a Padova il Festival musica sacra

Prende il via oggi la quinta edizione della rassegna di musica sacra “In Principio” nata dalla collaborazione tra l’Orchestra di Padova e del Veneto, l’Ufficio per la Liturgia della Diocesi di Padova e le parrocchie del centro storico. Ad aprire questa edizione sarà questa maattina alle ore 9.30, al Teatro del Seminario vescovile, una conferenza-conversazione sul tema del canto e della musica per la liturgia, dal titolo “Concordia Discors”, che vede la partecipazione straordinaria di mons. Giuseppe Liberto, maestro emerito della Cappella musicale pontificia Sistina (1997-2010). Quale musica per accompagnare la liturgia? Come l’arte aiuta la Chiesa a trasmettere il messaggio divino attraverso le note e le forme del visibile? Sono solo alcune delle domande sul tavolo dei relatori. Alla lectio magistralis di mons. Giuseppe Liberto sul tema “Concordia Discors” e all’intervento del maestro Marco Angius, direttore musicale e artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto sul tema Musica, modernità e sacro, seguirà l’esecuzione, in prima assoluta, di Echi dalla memoria di una lettera – per archi e mezzosoprano – del compositore contemporaneo Christian Cassinelli (presente in sala) con la partecipazione dell’Orchestra di Padova e del Veneto e del mezzosoprano Chiara Osella. Dirige Cesare Della Sciucca.

Domani un altrettanto atteso appuntamento, alle ore 21 nel Salone della Ragione, Musiche per il Paradiso di Dante di Salvatore Sciarrino, con la partecipazione della compagnia Anagoor.

Basilica di S.Antonio a Padova