Le montagne sono fatte per unire i popoli
ALPINISMO
Le montagne restano inespugnabili ancora oggi malgrado i maledetti progressi compiuti dall’aviazione militare. La guerra talibana sui monti dell’Afganistan ha scacciato i Russi e sta rispedendo a casa anche la coalizione della Nato. La camera di scoppio del Lagazuoi è oggi destinata a un altro sforzo inutile, quello dell’alpinista. Ma stavolta l’aggettivo «inutile» ha un valore. L’alpinismo è il bel rischio festivo, affrancato in partenza dalla partita doppia dare/avere. La sua scalata alla bellezza è gratuita. Un navigatore arrivava per primo su un’isola, ci piantava la sua bandiera e l’annetteva al suo Paese. L’alpinista che arriva per primo su una cima vergine, non esercita alcun possesso e la bandiera che lascia tiene compagnia al vento. Angelo Di Bona, leggendaria guida alpina di Cortina del primo 1900, viene convocato dal comando italiano che ha appena occupato la città. Gli viene chiesto di scalare la Tofana di Rozes per scacciare dalla cima il reparto austriaco. Di Bona si rifiuta, lassù ci sono i suoi amici. Viene perciò arrestato.
Lassù ci sono i suoi amici: la guerra che infila casacche diverse alle varie gioventù può governare il fondovalle, non le cime. Lassù non ci sono nemici. I cartografi possono ben tracciare confini lungo le dorsali montuose, stabilire che un versante appartiene a una nazione e un versante a un’altra. L’alpinista che la scala dai due lati dimostra che una montagna unisce e non separa i popoli. Sulla cima calpesta la presuntuosa linea di demarcazione. Sia la guerra che l’alpinismo sono applicazioni opposte dell’ingegnosa mente umana. La fanteria alpina, oggi in gran parte smantellata, contiene la contraddizione tra la fraternità montanara e l’obbedienza alla regola di guerra. È stata per questo un corpo a parte dove i gradi della gerarchia erano meno separati dalla truppa, condividendo le medesime asprezze. Mio padre, napoletano arruolato nella seconda guerra mondiale col grado di sottufficiale degli Alpini, raggiunse la destinazione in montagna. Appena arrivato, gli fu assegnato dal tenente uno strano incarico: vegliare quella notte la mula che stava per partorire. Si sa che Alpini e muli hanno vissuto in simbiosi. Mio padre arrossisce, dice «Signorsì», poi aggiunge: «La ringrazio dell’onore di farmi assistere al miracolo». Il tenente sorride e gli dà il benvenuto. I muli sono incroci sterili. Di tutto quel tempo maledetto della sua gioventù, mio padre ha salvato una sua gratitudine per le montagne. Me l’ha trasmessa in eredità. Lassù i nostri sforzi rimangono felicemente inutili.