Papa Francesco a Guadalupe: “Qui nuova speranza per gli ultimi”

Nel suo terzo giorno in Messico, oggi papa Francesco lascia brevemente Città del Messico per trasferirsi in elicottero a Ecatepec, città-satellite di un milione 650 mila abitanti a circa 30 chilometri dalla capitale, sede di diocesi, scelta dal Pontefice perché tra quelle mai visitate prima nel Paese da un suo predecessore. Qui alle 11.30 locali (le 18.30 in Italia) il Papa celebrerà la messa nell’area del Centro di Studi Superiori, recitandovi poi l’Angelus. Dopo il pranzo con il seguito nel seminario diocesano, Bergoglio alle 16.45 (le 23.45 italiane) ripartirà in elicottero per rientrare a Città del Messico, dove alle 17.45 (le 00.45 di domani in Italia) andrà in visita all’ospedale pediatrico “Federico Gomez”, uno dei più importanti del Paese. Più di 8 mila pediatri messicani hanno ricevuto la loro formazione nell’ospedale che invia regolarmente decine di medici per specializzarsi all’estero. L’ospedale dispone di 212 posti letto distribuiti fra 30 specialità mediche e chirurgiche. San Giovanni Paolo II visitò la struttura durante il suo primo viaggio in Messico (1979). Bergoglio sarà accolto nell’ospedale dalla “primera dama”, Angelica Rivera, moglie del presidente messicano Enrique Pena Nieto. Dopo l’incontro nell’auditorium con i bambini, i genitori e il personale medico e paramedico, il Papa si recherà all’Unità di Emato-Oncologia (ludoteca e reparto di chemioterapia) al secondo piano e visiterà in forma privata i bambini degenti.

Guadalupe, qui nuova speranza per gli ultimi – Al santuario di Nostra Signora di Guadalupe, patrona delle Americhe, il più grande santuario mariano del mondo visitato da 20 milioni di pellegrini l’anno, il pensiero del Papa è andato “ai più piccoli, ai sofferenti, agli sfollati e agli emarginati, a tutti coloro che sentono di non avere un posto degno in queste terre”. Nella messa – presente il capo dello Stato Enrique Pena Nieto -, ricordando la nascita della tradizione di Guadalupe e le apparizioni mariane originarie, Francesco ha detto che “Maria, la donna del sì, ha voluto anche visitare gli abitanti di questa terra d’America nella persona dell’indio san Juan Diego”. “In quell’alba di dicembre del 1531 – ha sottolineato -, si compiva il primo miracolo che poi sarà la memoria vivente di tutto ciò che questo Santuario custodisce. In quell’alba, in quell’incontro, Dio risvegliò la speranza di suo figlio Juan, la speranza del suo Popolo”. In quell’alba, ha aggiunto, “Dio ha risvegliato e risveglia la speranza dei più piccoli, dei sofferenti, degli sfollati e degli emarginati, di tutti coloro che sentono di non avere un posto degno in queste terre”.

In quell’alba “Dio si è avvicinato e si avvicina al cuore sofferente ma resistente di tante madri, padri, nonni che hanno visto i loro figli partire, li hanno visti persi o addirittura strappati dalla criminalità”. Per il Pontefice, “nella costruzione dell’altro santuario, quello della vita, quello delle nostre comunità, società e culture, nessuno può essere lasciato fuori”. “Tutti siamo necessari – ha rimarcato -, soprattutto quelli che normalmente non contano perché non sono ‘all’altezza delle circostanze’ o non ‘apportano il capitale necessario’ per la costruzione delle stesse”.

“Il santuario di Dio è la vita dei suoi figli – ha ribadito -, di tutti e in tutte le condizioni, in particolare dei giovani senza futuro esposti a una infinità di situazioni dolorose, a rischio, e quella degli anziani senza riconoscimento, dimenticati in tanti angoli. Il santuario di Dio sono le nostre famiglie che hanno bisogno del minimo necessario per potersi formare e sostenere”. Al termine, Bergoglio ha richiamato le opere di misericordia, cui ha dedicato il Giubileo. La Vergine di Guadalupe, mentre ci consola delle sofferenze, ha spiegato, “sii mio messaggero – ci dice – dando da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, dà un posto ai bisognosi, vesti chi è nudo e visita i malati. Soccorri i prigionieri, perdona chi ti ha fatto del male, consola chi è triste, abbi pazienza con gli altri e, soprattutto, implora e prega il nostro Dio”. A fine omelia Francesco è rimasto in preghiera e venerazione, rivolto verso l’immagine della Vergine, ritenuta miracolosa.

Poi, finita la messa, è andato nel cosiddetto “Camarin” e vi ha sostato in preghiera da solo davanti all’immagine mariana per circa venti minuti. All’inizio, nell’abbracciare una bambina che gli portava dei fiori, il Pontefice, forse per un momento di stanchezza, ha perso per un attimo l’equilibrio, cadendo a sedere sulla sedia che aveva alle spalle, subito aiutato dalle persone circostanti. La messa si è svolta nella parte moderna del santuario, gremita dai fedeli mentre anche la piazza antistante era affollata da decine di migliaia di persone. Un vero bagno di folla, cominciato già lungo il percorso di 16 chilometri in ‘papamobile’ tra due ali di fedeli con bandierine e palloncini bianchi e gialli, i colori del Vaticano.

“Combattere i narcos” – “Vi prego di non sottovalutare la sfida etica e anti-civica che il narcotraffico rappresenta per l’intera società messicana, compresa la Chiesa”, ha detto il Papa ai vescovi del Messico. “Le proporzioni del fenomeno, la complessità delle sue cause, l’immensità della sua estensione come metastasi che divora, la gravità della violenza che disgrega e delle sue sconvolte connessioni, non permettono a noi, Pastori della Chiesa, di rifugiarci in condanne generiche, bensì esigono un coraggio profetico e un serio e qualificato progetto pastorale”.
Questo, ha detto il Pontefice, “per contribuire, gradualmente, a tessere quella delicata rete umana, senza la quale tutti saremmo fin dall’inizio distrutti da tale insidiosa minaccia”. Con parole molto forti contro il fenomeno narcos, Francesco ha detto che “in particolare mi preoccupano tanti che, sedotti dalla vuota potenza del mondo, esaltano le chimere e si rivestono dei loro macabri simboli per commercializzare la morte in cambio di monete che alla fine tarme e ruggine consumano e per cui i ladri scassinano e rubano (cfr Mt 6,20)”. Ed esortando i vescovi ha aggiunto: “Solo cominciando dalle famiglie; avvicinandoci e abbracciando la periferia umana ed esistenziale dei territori desolati delle nostre città; coinvolgendo le comunità parrocchiali, le scuole, le istituzioni comunitarie, la comunità politica, le strutture di sicurezza; solo così si potrà liberare totalmente dalle acque in cui purtroppo annegano tante vite, sia quella di chi muore come vittima, sia quella di chi davanti a Dio avrà sempre le mani macchiate di sangue, per quanto abbia il portafoglio pieno di denaro sporco e la coscienza anestetizzata”.

 

A Cuba storico incontro con il patriarca Kirill – Con Kirill è stata una conversazione di fratelli. Abbiamo parlato con tutta franchezza. Sono rimasto felice”. Sentir raccontare lo storico colloquio col patriarca di Mosca e di tutte le Russie direttamente dalla voce del Papa: tale la gioia e l’entusiasmo di Francesco per l’avvenuto incontro, che il Pontefice ne ha voluto fare partecipi i giornalisti subito dopo, durante il volo che dall’Avana lo ha portato a Città del Messico.

“Voglio dirvi i miei sentimenti – ha esordito Bergoglio -. Prima di tutto i sentimenti di accoglienza e disponibilità del presidente Raul Castro”. Il Papa ha rivelato anche un retroscena della preparazione dell’incontro con Kirill. “Io avevo parlato col presidente Castro di questo incontro l’altra volta (nella sua visita dello scorso settembre, ndr) ed era disposto a fare tutto – ha raccontato -. E lo abbiamo visto: ha preparato tutto per bene. Per questo vorrei ringraziarlo”.

Narcos sudamericani e mafia italiana. La scrittrice incontra gli studenti. Cynthia Rodriguez dai ragazzi di Iti e Filippo Re

di Jacopo Della Porta
fonte: gazzettadireggio

REGGIO EMILIA (18 dicembre 2011) – Nelle scuole reggiane per parlare di cosa succede quando un Paese cade vittima dei trafficanti di droga. Cynthia Rodriguez, giornalista e scrittrice messicana, ha incontrato venerdì alcune classi IV e V della Filippo Re e del Nobili, in due momenti distinti, negli istituti di via Trento e Trieste a Reggio. La Rodriguez ha parlato della sanguinosa guerra in atto nel suo Paese, dove dal 2007 ad oggi sono morte 60mila persone, in una escalation d’orrore fatta di omicidi, torture e sequestri.
La scrittrice è stata invitata nell’ambito del progetto “Percorsi di cittadinanza e legalità”, curati da Rosa Frammartino , consulente educational del Consorzio Oscar Romero, presieduto da Mauro Ponzi .
Cynthia, ha, mostrato anche alcune immagini che testimoniano quello che sta avvenendo in Messico e i ragazzi si sono mostrati molto interessati. Nello stato centroamericano i narcos sono sempre più potenti a causa del grande consumo di droga dei vicini Stati Uniti: cocaina, cannabis e metanfetamine vanno a nord e in cambio i trafficanti ottengono miliardi di dollari e armi da guerra.  Si è innescata così una spirale perversa di denaro, armi, droga e morte, di cui restano vittime soprattutto i cittadini normali, che non possono più condurre un’esistenza tranquilla.
Tutta questa storia ci riguarda perché i narcos colombiani e messicani da tempo hanno spostato le loro attenzioni al mercato europeo, dopo aver saturato quello americano. E per aprire nuove rotte i cartelli hanno stretto legami con la ’ndrangheta calabrese, che è così diventata la mafia che gestisce a livello mondiale il traffico di cocaina. La Rodriguez ha scritto un libro proprio sui rapporti tra il cartello de “Los Zetas” e la ’ndrangheta.
Quello del Messico è una caso di scuola per spiegare cosa significhi il traffico di droga ai tempi della globalizzazione. I trafficanti infatti sono in grado di infettare gli stati meno solidi da un punto di vista democratico, fino a farli sprofondare nell’anarchia o addirittura impossessarsene. Nel Golfo di Guinea in Africa i narcos sudamericani hanno da tempo piazzato le loro basi, diventando di fatto i padroni della Guinea Bissau, da dove partono i corrieri con gli ovuli nella pancia che arrivano anche a Reggio. Un altro esempio è il vicino Kosovo, nato recentemente dalla separazione dalla Serbia, dove passa l’eroina dell’Afghanistan ed altri traffici illegali verso l’Europa.
Il traffico di droga ai tempi della globalizzazione significa che, oggi più che mai, nulla di quello che accade in qualsiasi parte del mondo è privo di implicazioni per le restanti aree. Lo abbiamo imparato a nostre spese con la crisi finanziaria, che poi si è trasformata in recessione economica, ed è così per tutte le questioni di portata mondiale. Il consumo di droga in Europa, come negli Stati Uniti, contribuisce a far sprofondare alcuni stati nell’abisso della violenza.

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approfondimento tratto

da http://www.agenziastampaitalia.it

Cynthia Rodriguez è nata a Città del Messico nel 1972. Si occupa di giornalismo da quando aveva 16 anni; da quattro anni vive nel nostro Paese e collabora cpon varie testate. Nel 2009 ha pubblicato, ancora inedito in Italia, Contacto en Italia – el pacto entre Los Zetas y la ‘Ndrangheta.

Cynthia Rodriguez
la giornalista messicana Cynthia Rodriguez

Com’è la vita dei giornalisti messicani che si dedicano alle inchieste?

La vita dei giornalisti messicani è sempre stata difficile; mancano gli strumenti per approfondire le questioni. Il sistema messicano non vuole che si arrivi a conoscere determinate verità. C’è un grosso problema legato alla corruzione ed in più servono molto mezzi e molte risorse. Oggi con la scusa della crisi ai giornalisti vengono fatti mancare importanti fondi.

 Cosa rappresentano i “giornalisti a piedi”?

Inizialmente era un gruppo composto da sole donne preoccupate perché l’informazione legata ai grandi temi sociali veniva sminuita e taciuta, spesso perfino messa da parte. Oggi le loro inchieste si sono allargate anche ad altri temi; è rimasta però la volontà di dar voce ai problemi ignorati. Attualmente molti di questi si dedicano alle problematiche legate al commercio della droga ed al ruolo dei narcotrafficanti.

In Italia ormai il giornalismo sembra aver perso la propria autonomia e appare troppo dipendente dalla parte politica di riferimento. In Messico com’è il rapporto con i poteri forti?

In Messico se una notizia finisce sul giornale è per favorire il governo, anche quando può sembrare che la notizia vada contro la maggioranza e viene presentata in modo molto diversa. Manca l’onestà.

Da alcuni vive in Italia. Che idea si è fatta del nostro Paese?

In Italia c’è molta lentezza nell’erogare i servizi. Quando sono arrivata a Roma da Città del Messico ho dovuto aspettare tre mesi prima di avere la connessione ad internet. Prima pensavo che il Messico fosse il Paese più corrotto del mondo, poi ho scoperto che questo problema è presente anche da voi. La differenza è che in Messico si cerca di negare questa realtà. Sempre in Messico si tende a minimizzare il problema legato alla criminalità mentre qui se ne ha una maggiore conoscenza e consapevolezza. A livello giornalistico poi qui non solo si fanno più inchieste, ma per di più le si fanno anche su aspetti che a prima vista potrebbero apparire secondari ma che in realtà non lo sono affatto.

In Messico la popolazione che percezione ha dei narcotrafficanti?

Dipende dalle zone.

Al nord se ne ha una maggiore informazione anche perché in quelle zone il problema è presente da più anni. Nel resto del Paese ci sono altri problemi e di conseguenza la consapevolezza di questo è minima. Ora però a livello nazionale è diventata la problematica principale e nelle persone cresce la voglia di essere informati su questo tema. L’informazione però è moderata dal governo che preferisce dare notizie eclatanti, sequestri e arresti, tacendo però su corruzione e rapporti tra poteri forti e criminalità.

È stato difficile reperire le informazioni necessarie per il suo libro?

No, anche se mi sono dovuta impegnare molto. Praticamente ho bussato a tutte le porte possibili. Per la parte istituzionale è stato molto facile; più difficile poi quando mi sono spostata sul campo nel sud Italia. Ho dovuto fare molti viaggi, alla fine però ho trovato varie strade che confermavano quanto avevo appreso in precedenza.

Il suo libro si apre con una citazione del giudice Paolo Borsellino. Come mai questa scelta?

Conoscevo già la sua storia. Ho scelto quella in particolare perché quando ho iniziato a raccogliere materiale avevo paura. Venire in Italia e lasciare tutti gli affetti in Messico non è stato facile. Mi sono accorta che il valore che si da alla vita è minimo. Avevo paura, ma scrivere un libro come questo mi ha cambiata, volevo che la gente capisse che non è sbagliato avere paura. L’importante è utilizzare questa paura per provare a cambiare le cose.

Che accoglienza ha avuto in patria il suo libro inchiesta?

È stato accolto con entusiasmo. C’erano molte aspettative, la mafia italiana da noi si conosce per film come “il padrino” e si pensa quasi che sia una società estranea al contesto civile.

Adesso sta lavorando a qualche nuova inchiesta?

Si, sto completando il discorso avviato con Contacto en Italia. Mi sto concentrando in special modo sulla parte che riguarda il Messico che è il Paese che più mi preoccupa; da noi manca il ruolo che ha in Italia l’agenzia anti mafia.

http://www.agenziastampaitalia.it

Diciassette giovani uccisi nell'irruzione di un commando armato in un locale di Torreón Messico, terra di stragi

Città del Messico, 19. Anche l’ultimo fine settimana è stato segnato in Messico da nuove stragi perpetrate dai gruppi criminali che gestiscono il traffico degli stupefacenti e che sono impegnati da anni in una vera e propria guerra per il controllo sul territorio. L’episodio più grave è accaduto a Torreón, nello Stato di Coahuila, a ridosso della frontiera con il Texas, dove un commando armato ha ucciso almeno 17 persone, tutti fra i 20 e i 30 anni, facendo irruzione in un locale durante una festa organizzata da un gruppo di giovani. I feriti sono 17, molti del quali versano in condizioni critiche negli ospedali della zona. L’attacco è avvenuto all’una e trenta del mattino di domenica in un centro residenziale chiamato Quinta Italia Inn. Gli investigatori hanno accertato che il commando è arrivato sul posto a bordo di cinque veicoli e ha subito incominciato a sparare all’impazzata, secondo quanto riferito da Adrian Olivas Jurado, della procura della città, che ha raccolto le testimonianze delle persone uscite illese dalla festa. Olivas Jurado ha aggiunto che i sicari avevano armi pesanti – Ar-15 e Ak-47, i fucili automatici preferiti dai narcotrafficanti messicani – e che sul posto sono stati trovati i bossoli di circa duecento pallottole. Il massacro dei partecipanti alla festa nel Quinta Italia Inn ha avuto luogo poche ore dopo una vera e propria battaglia tra narcotrafficanti ed esercito nella città di Nuevo Laredo – anch’essa non lontana dal confine con il Texas – concluso con un bilancio particolarmente pesante di 12 morti e 21 feriti, tra cui tre bambini in gravi condizioni. La strage di ieri notte a Torreón è la sesta di questo tipo avvenuta nel 2010, a conferma di un’intensificazione delle violenze dei cartelli del narcotraffico. Il primo caso del genere, quest’anno, era avvenuto in gennaio a Ciudad Juárez, la città dove si registrano più uccisioni al mondo, escludendo le zone teatro di guerre dichiarate. In quell’occasione furono quindici i giovani uccisi in un’irruzione di sicari in un locale, nell’ambito del conflitto tra i cartelli narcotrafficanti di La Linea e di Sinaloa. Proprio Ciudad Juárez è stata teatro, tre giorni fa, di un attentato per il quale i narcotrafficanti hanno usato un’autobomba, a conferma di un’escalation della violenza anche sul piano delle modalità di esecuzione, oltre che su quello quantitativo. In proposito, i dati riferiti venerdì scorso dal procuratore generale messicano, Arturo Chávez, non lasciano dubbi. Dall’inizio dell’anno sono state già più di settemila le persone uccise nelle sparatorie, negli attentati e nelle altre violenze legate al narcotraffico. In tutto il 2009 c’erano stati novemila morti. A partire dal dicembre 2006, quando il presidente Felipe Calderón si è insediato al potere e ha deciso l’impiego dell’esercito contro i narcotrafficanti, i morti sono stati più di 25.000, numeri che sembrano raccontare più una situazione di guerra che un contesto di sia pur difficile lotta alla criminalità. (©L’Osservatore Romano – 19-20 luglio 2010)