«Il coraggio viene dalla somma di quello che leggi negli occhi di chi ami. Ed è quando leggi affetto che ti viene voglia di addormentarti sperando di vedere un altro giorno»

Con la mia famiglia, sulla salita più dura della vita

Avvenire

In tutta onestà non so dire se venti o trenta anni fa, se fossi stato nelle condizioni in cui mi trovo oggi, sarei ancora vivo. Non lo so perché quella che mi sta consumando è una malattia molto “personalizzata”, nel senso che non esistono due casi identici; ognuno reagisce a modo suo, o almeno credo che sia così.

Non alle cure, perché non ne esistono, ma a tutti quegli aiuti che ogni tanto saltano fuori dalla ricerca per alleviare i sintomi, che siano integratori specifici o effetti collaterali di farmaci nati per curare altre malattie.

In realtà due farmaci mirati per la mia malattia, la Sla, esistono: il Riluzolo e il Radicut. Non la curano, servono però ad allungare di un paio di mesi la speranza di vivere. Ma il primo non lo sopportavo, mi sballava il fegato, e il secondo l’ho rifiutato perché le modalità di somministrazione, e i possibili effetti collaterali, erano talmente pesanti che non ne valeva la pena.

Quel che invece so di sicuro è che anche solo dieci anni fa (forse anche meno) non esisteva la tecnologia che mi permette di comunicare via computer col mondo dalla stanza in cui sono confinato. Se non potessi scrivere e parlare attraverso gli occhi – la sola parte di me che ancora si muove – sarei già da un pezzo impazzito.

In questa situazione non so se la qualità della mia vita possa essere considerata “dignitosa”. Credo che per molti non lo sarebbe. Io stesso mi chiedo spesso se lo sia. E qualche volta anch’io penso che non lo sia, lo confesso. Perché vivere così è faticoso, molto. Lo è per me, certamente. Ma soprattutto, dal mio punto di vista, lo è per la mia famiglia, che deve supplire alle tante inadempienze dell’assistenza pubblica, che deve ogni giorno lottare contro le pastoie di una burocrazia che sa essere perfino crudele nella sua ottusità, che ha la vita stravolta. Di quanto io pesi su mia moglie e sulle nostre figlie sono perfettamente consapevole, ma mai una volta le ho sentite lamentarsi, o protestare, o imprecare. Questo, sempre dal mio punto di vista, è quello che fa la differenza.

In tanti mi dicono che sono coraggioso, che è quasi eroico il modo in cui sto affrontando la disgrazia che mi è capitata. Ma non è così. Ho sempre detto che il coraggio, quello vero, viene dalla somma di quello che leggi negli occhi delle persone che ami. Ed è quando leggi amore, attenzione, premure, protezione (che specie in questi tempi di pandemia è fondamentale), è quando vedi che le mani tese verso di te non ti vogliono strappare via dalla vita, ma aiutarti ad affrontarla così come è, con tutti i suoi limiti attuali, è allora che ti viene la voglia di lottare, di addormentarti sperando di vedere un altro giorno. Perché la vita è relazione, nessuno basta a se stesso; ha bisogno di moglie, figlie, sorelle, cognati e amici veri, che non ti lascino solo, che non si dileguino, che ti accompagnino lungo la tua strada più difficile.

Io ho avuto questa fortuna, e davvero la considero una fortuna. So anche però che non tutti possono dire la stessa cosa. Perché la Sla ti isola, ti mette completamente a nudo, ti fa vergognare di esistere, e molto facilmente disgrega famiglie e relazioni, come immagino facciano altre disabilità molto serie. Per chi è solo, o non ha sostegni, la Sla, prima che il fisico, rischia di uccidere la mente, strappa la voglia di vivere, fa apparire la morte come una liberazione; dal dolore, certo, ma anche dall’angolo senza uscita in cui sei costretto, dalle ristrettezze economiche, dalla bolla in cui vivi. È questo, alla fine, che porta a chiedere: per favore, aiutatemi a farla finita.

Ho conosciuto, da quando sono malato, qualcuno che l’ha chiesto. E anche qualcuno che l’ha fatto, come una mia amica pochi giorni prima di Natale. Non mi sento di giudicare. Ma quando sento parlare di “diritto a una morte dignitosa” un po’ sono perplesso. Perché prima bisognerebbe garantire a tutti quelli che sono nella mia stessa situazione, totalmente dipendenti da macchine e assistenza, il “diritto a una vita dignitosa”.

Costa infinitamente di più, è vero. Favorire il suicidio, o l’eutanasia, è praticamente gratis, per dare tutto quel che servirebbe per vivere dignitosamente ci vorrebbero almeno un paio di miliardi di euro ogni anno. Certo non sono noccioline, sono però il prezzo che si dovrebbe pagare per dirsi “civili” .

Ma chi si batte per questo? In vita mia non ho mai visto gazebo e banchi in mezzo alla strada dove si invitassero i passanti a firmare per aumentare i fondi a sostegno dei “fragili”, né ho sentito molti politici spendersi per questa causa. Dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso la sanità pubblica è stata fatta a pezzi, e la pandemia ci ha mostrato le conseguenze di questo vero e proprio suicidio nazionale; e con i finanziamenti sempre più magri, i primi tagli sono stati fatti ai danni del sostegno ai disabili. E se un dirigente di una Asl riesce a risparmiare qualcosa su quei pochi soldi, a fine anno si becca anche una gratifica. Sulla nostra pelle. Sulla mia.

Giovedì 11 febbraio si celebra la 24^ Giornata Mondiale del Malato

Questa edizione ha per tema «Affidarsi a Gesù misericordioso come Maria: Qualsiasi cosa vi dica, fatela (Gv 2,5)».

La celebrazione diocesana è prevista alle 18.30 presso la chiesa della Madonna dell’Uliveto a Montericco di Albinea. Presiederà la Messa il Vicario generale monsignor Alberto Nicelli in occasione della festa della Beata Vergine di Lourdes.

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Proseguiamo nella pubblicazione delle schede teologico-pastorali preparate dall’Ufficio diocesano di Pastorale della Salute e tratte dall’analogo documento predisposto dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute della Cei. Questa settimana proponiamo le schede numero 3,4 e 5; la sequenza si concluderà nel prossimo numero (ricordiamo che le precedenti uscite sono su La Libertà del 23 e del 30 gennaio 2016). Queste schede costituiscono un aiuto nel prepararsi alla celebrazione diocesana della Giornata del Malato presieduta dal Vicario generale in occasione della festa della Beata Vergine di Lourdes, l’11 febbraio alle 18.30 nella chiesa dell’Hospice a Montericco.

Schede teologico-pastorali Gesù, il volto umano-divino della misericordia di Dio

“Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio” (Bolla, 1). Egli l’ha narrata vivendola nel suo corpo, “facendola” nelle sue azioni, piegandosi amorevolmente su ogni forma di miseria umana, verso tutti coloro che fisicamente o moralmente avevano bisogno di pietà, di compassione, di presenza, di aiuto, di sostegno, di comprensione, di perdono. La misericordia di Gesù è stata globale e radicale, offerta prima ancora che richiesta, poiché è proprio dell’amore misericordioso fare il primo passo, come ricorda sovente papa Francesco con l’espressione primerear. “I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in lui parla di misericordia e nulla è privo di compassione … ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero” (Bolla, 8).

laliberta.info

Giornata del malato 2010 – Domenica 16 Maggio

Alle ore 15,30 inizierà la Celebrazione eucaristica presieduta da S. E. Mons Lorenzo Ghizzoni che prevede dopo l’omelia l’amministrazione del sacramento della Unzione degli infermi. I canti saranno animati dal coro Isicoro di Rivalta diretto dal Maestro Francesco Trapani. Alle ore 17 è previsto un buffet nel Chiostro della Basilica offerto dall’Ufficio Diocesano di Pastorale della salute. La diocesi si stringe attorno ai suoi figli più fragili, gli ammalati nel corpo e nello spirito, per testimoniare che la Chiesa è un mistero di comunione degli uomini con Dio Padre e tra loro in Cristo per mezzo dello Spirito Santo. Giovanni Paolo II cosi si esprimeva nella lettera apostolica "Novo millennio ineunte . "Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo. Che cosa significa questo in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gi operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi,e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusione: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita" (n. 43). ). Il Signore ci aiuti a fare di questa domenica una esperienza di comunione utile per la nostra crescita umana e cristiana. Ci aiuti a vedere con lo sguardo di Dio che siamo amati da lui, che ogni uomo ci appartiene, è della nostra famiglia e siamo chiamati con impegno e sacrificio ad amarlo sempre, superando ogni forma di egoismo.