Mattarella, compito Istituzioni garantire stampa indipendente

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“Creare e garantire le condizioni per una stampa indipendente è compito che interpella le istituzioni, la società civile nelle sue diverse articolazioni, l’industria dei media, la coscienza professionale di ciascun giornalista.
Una società economicamente sana propone una industria editoriale capace di affermare con forza la propria funzione, non orientata a interessi di parte, ma diretta a inverare la previsione della Carta costituzionale che ribadisce il diritto dei cittadini a una informazione libera”.
Così il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un messaggio inviato al 29/o Congresso FNSI. (ANSA).

Delitto mediatico. La scure delle tariffe postali, a rischio decine di testate.

Delitto mediatico. La scure delle tariffe postali, a rischio decine di testate. UNA QUESTIONE DI DEMOCRAZIA E DI EQUITÀ.  C’È IN GIOCO LA VERA LIBERTÀ DI STAMPA

FRANCESCO OGNIBENE  – avvenire 18 luglio 2010


 C’
è un modo semplice e devastante per mettere il bavaglio – vero e letale – alla stampa libera in Italia. È un sistema che non sta su­scitando dibattiti nelle aule parlamentari e nelle piazze, né può essere contrastato a colpi di post–it. Arriva dritto alle radici e zac, taglia l’albe­ro fino a renderlo instabile, pericolante e a farlo cadere. Non è un’ipote­si, è già realtà. Lo è da quasi quattro mesi. Da quando cioè si è deciso di sopprimere, con un tratto di penna, le tariffe postali agevolate per l’edi­toria, facendo male a un settore già in seria difficoltà, ferendo testate im­portanti (anche la nostra, non lo nascondiamo di certo) e soprattutto i­potecando drammaticamente il futuro di quasi 200 testate locali che so­no voce indipendente e talora scomoda delle diocesi italiane, da Bolza­no a Noto: le loro copie – come quelle di decine di altre pubblicazioni minacciate dallo stesso, sciagurato decreto interministeriale del 1° apri­le – viaggiano perlopiù in abbonamento. Lo fanno in molti casi da oltre un secolo, coprendo quasi tutta Italia con un reticolo d’informazione ‘del territorio’ che parla ogni settimana a 5 milioni di lettori. E dunque chi è intervenuto non poteva ignorare l’effetto perverso che quell’azio­ne superficiale e rozza avrebbe sortito su un bene sensibile, un diritto pri­mario garantito dalla Costituzione, un’area di libertà e pluralismo au­tentico, vitale, che la Chiesa che è in Italia da sempre coltiva con spirito profetico, passione per il bene di tutti, coraggio esemplare.
  Perché, allora, colpire questo punto così sensibile della nostra democra­zia con la precisione di chi prende la mira? Una risposta ancora non l’ab­biamo trovata, e ci stiamo convincendo che neppure esista. Una rispo­sta ragionevole, intendiamo. Perché aumentare fino a oltre il doppio l’e­sborso necessario per esercitare il basilare diritto-dovere di diffondere ogni settimana informazione in ogni angolo del Paese significa perseguire uno scopo tanto preciso quanto irragionevole: lo strangolamento lento, inesorabile, di voci serie e libere. Molte di queste presenze storiche, au­tonome, radicalmente alternative per valori, parole, idee dovranno in­fatti arrendersi ai costi eccessivi, e dopo aver ridimensionato tutto quel­lo che è ridimensionabile saranno costrette ad alzare bandiera bianca. Non è forse questo il vero bavaglio imposto alla stampa italiana?
  Non stiamo parlando di astrazioni, né gridiamo vanamente al lupo: qui si contano già le vittime, e nessuno pare curarsene. Dove siete colleghi giornalisti della grande stampa? Dove siete signori parlamentari di mag­gioranza e di opposizione? Dove siete signori del governo? Il colpo di ma­glio delle nuove tariffe postali – già pesantemente operative, lo ripetia­mo, da quasi quattro mesi – è calato come una mannaia su piani edito­riali e progetti, quasi sempre allestiti sulle fondamenta di campagne ab­bonamenti appena concluse in base a costi noti e consolidati. Su conti che non tornano è impossibile costruire: non resta che contrarre ogni pos­sibile spesa sperando che la struttura non ceda. Ma a volte non basta nem­meno ridurre la frequenza e il numero delle uscite, sospendere le pub­blicazioni per l’estate, rinunciare a un quarto o alla metà della foliazio­ne, fare a meno delle pagine a colori, domandare a redattori e collabo­ratori la disponibilità a tirare la cinghia su retribuzioni già ai minimi, ac­crescere a dismisura il ‘volontariato’… Tutto questo si sta già facendo, mentre si chiede ai lettori la comprensione per rinunce gravi e dolorose. Ma quanto ancora potranno reggere testate che hanno resistito a guer­re e repressioni, sfidato il fascismo e – prima e dopo la dittatura – anche aspre ostilità politiche locali? Testate che ora guardano negli occhi il re­lativismo che insidia le radici stesse della nostra società, ma che vengo­no costrette a sottostare a gabelle irragionevoli e punitive? Di quale di­ritto all’informazione parliamo se si spegne anche solo una di queste vo­ci che per vivere non chiedono altro che di poter contare su servizi es­senziali
a costi equi?
Chi ha la responsabilità di riesaminare una decisione che già sta consu­mando effetti irreparabili non esiti oltre: ne va della libertà di stampa. Ma davvero.