Cerchi lavoro? Ecco le aziende che assumono

imprese assumono maggio previsioni

AGI – Sono circa 467 mila i contratti di assunzione (di durata superiore ad un mese o a tempo indeterminato) programmati dalle imprese a maggio e oltre 1,5 milioni per il trimestre maggio-luglio, con un incremento di oltre 22 mila unità rispetto a maggio 2022 (+5,1%) e di 16 mila unità sul corrispondente trimestre (+1,1%). A delineare questo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

Dove la domanda di lavoro è più alta
L’industria nel suo complesso programma 132 mila entrate nel mese di maggio e oltre 400mila nel trimestre maggio-luglio, con una crescita rispettivamente del 33,1% (+33mila ingressi) e del 24,2% (+78mila) rispetto allo scorso anno. A maggio, Il manifatturiero è alla ricerca di 87 mila lavoratori che salgono a 268 mila nel trimestre. Ad offrire le maggiori opportunità lavorative sono la meccatronica (22 mila contratti da attivare nel mese e 66 mila nel trimestre), la metallurgia (18 mila nel mese e circa 53 mila nel trimestre), l’agroalimentare (11mila nel mese e circa 45mila nel trimestre) e la moda (circa 11 mila nel mese e 29 mila del trimestre). In crescita anche il comparto delle costruzioni che programma per il mese 45mila entrate (+35,9%) e circa 132mila nel trimestre maggio-luglio (+25,8%).

I servizi ricercano a maggio circa 335 mila lavoratori e oltre 1,1 milioni entro luglio, con una flessione rispettivamente del -3,0% (-10mila ingressi) e del -5,1% (-62mila ingressi) rispetto a un anno fa. Si mantiene molto elevata la domanda di lavoro delle imprese del turismo che programmano 107 mila contratti nel mese e 398 mila entro luglio. Molteplici anche le opportunità di lavoro offerte dal commercio con circa 58 mila ingressi previsti nel mese e circa 192mila nel trimestre. Seguono poi i servizi alle persone che, nonostante la flessione registrata rispetto a un anno fa (-27,2%), sono alla ricerca di circa 49 mila lavoratori a maggio che salgono a oltre 180 mila nel trimestre maggio-luglio.

I profili più difficili da trovare
Nel mese è difficile da reperire il 46,1% del personale ricercato dalle aziende (+7,8 p.p. rispetto a un anno fa), soprattutto a causa della mancanza di candidati. Tra le figure di più difficile reperimento il Borsino delle professioni del Sistema Informativo Excelsior segnala per le professioni tecniche e ad elevata specializzazione gli ingegneri e i tecnici in campo ingegneristico (rispettivamente 61,0% e 65,2%), i tecnici della salute (63,1%), i tecnici della gestione dei processi produttivi (63%) e i tecnici della distribuzione commerciale (58,7%); mentre tra le figure degli operai specializzati si distinguono gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (73,5%), i fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (72,2%), i meccanici artigianali, montatori, riparatori, manutentori macchine fisse/mobili (72,1%) e i fabbri ferrai costruttori di utensili (71,5%).

Si mantiene elevata la domanda di lavoratori immigrati con 91 mila ingressi programmati nel mese (+18 mila rispetto allo stesso periodo del 2022), pari al 19,5% del totale. A ricorrere maggiormente alla manodopera straniera sono i servizi operativi di supporto a imprese e persone (il 37,3% degli ingressi programmati sarà coperto da personale immigrato), i servizi di trasporto, logistica e magazzinaggio (28,7%), le costruzioni (23,9%), la metallurgia (23,2%) e l’alimentare (20,3%).

In aumento sia la previsione per i contratti a tempo indeterminato (+11,9 %) sia quella per i contratti a termine e stagionali (+ 5,7%), mentre diminuiscono i contratti di collaborazione (-18,7%) o a partita IVA (-13,1%).

A livello territoriale si evidenzia, infine, come il flusso delle entrate previste a maggio nelle regioni del Nord risulti in crescita rispetto allo stesso mese del 2022 (+14 mila unità per il Nord Ovest e + 18 mila per il Nord est), a fronte di una tendenza negativa per il Centro (-2 mila) e per il Sud e Isole (-7 mila entrate).

SAN GIUSEPPE, IL FALEGNAME SIMBOLO DELLA DIGNITÀ DEL LAVORO

È il patrono dei papà ma anche di falegnami, ebanisti e carpentieri. Si festeggia il 19 marzo ma Pio XII nel 1955 volle ricordare il patrono di artigiani e operai nel giorno della festa dei lavoratori. Nel Vangelo Gesù è chiamato “il figlio del carpentiere” e ricordare il Santo in questo giorno significa per la Chiesa riconoscere la dignità del lavoro umano come dovere dell’uomo e prolungamento dell’opera del Creatore

famigliacristiana.it

Primo Maggio. Lavoro, crescono gli occupati. Ma mancano la qualità e l’inclusione

Lavoratori

Se si guardasse solo all’aspetto quantitativo, il mercato del lavoro, anche in Italia (nonostante sia fanalino di coda in Europa per quota di occupati), sembrerebbe godere di discreta salute. Ma se un tasso di occupazione “accettabile” non colma le disparità e le diseguaglianze – precariato, salari bassi, categorie come giovani e donne penalizzate –, allora è evidente che anche questo Primo Maggio sarà un’occasione per riflettere sulle troppe criticità che permangono in un mondo del lavoro lontano dall’essere ricco, equo e inclusivo.

Per l’Italia, anche se l’occupazione è a livelli record, con 23,3 milioni di occupati e un tasso di disoccupazione all’8% (di gran lunga inferiore rispetto al 13% del 2013), se si fa un confronto con gli altri Paesi dell’Ue c’è ancora un gap ampio da colmare. Le ultime stime fornite dall’Eurostat indicano che nel 2022, il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni dell’Ue era occupato. Si parla cioè di 193,5 milioni di persone. Tra i Paesi dell’Unione, undici hanno visto tassi di occupazione superiori al 78% (uno dei tre obiettivi fissati nel piano d’azione 2030 del Pilastro europeo dei diritti sociali), con i Paesi Bassi (83%), la Svezia e l’Estonia (entrambi 82%) ai massimi. I tassi più bassi sono stati registrati appunto in Italia (64,8%), Grecia (66%) e Romania (69%).

Negli ultimi anni di lenta uscita dal tunnel del Covid, il lavoro è progressivamente aumentato. Il tasso di occupazione nell’Ue era sceso al 72% nel 2020 a causa della pandemia, ma è rimbalzata al 73% nel 2021 e ulteriormente salita di 2 punti percentuali nel 2022. Il 75% dello scorso anno è la quota più alta registrata dall’inizio delle serie temporali nel 2009. Al di là del numero di occupati in aumento, non si può ignorare che il mercato in Italia è ancora segnato da troppa precarietà, salari esigui per tanti lavoratori e da divari territoriali e di genere che continuano ad allargarsi. Non a caso proprio uno di studio di Confommercio diffuso ieri sottolinea che al Sud lavora meno di una donna su tre, con un tasso di occupazione del 28,9% contro il 52% del Nord. Dall’indagine risulta che il tasso di occupazione delle donne in Italia sia pari al 43,6%, contro una media europea del 54,1%, «un gap molto più ampio di quello relativo all’occupazione maschile: 60,3% in Italia, 64,7% in Europa».

Tra le criticità principali c’è la qualità del lavoro, che in Italia viaggia su due binari differenti. Promosse le aziende e i lavoratori al Centro Nord, restano indietro il Mezzogiorno, i giovani e le donne. Conferme arrivano dall’ultima indagine sulla “Qualità del lavoro” dell’Inapp che colloca il nostro Paese in una sorta di “terra di mezzo” tra quelli dove la qualità del lavoro è più elevata, come i paesi scandinavi ma anche Germania, Austria, Svizzera e i paesi dell’Est Europa che sono in fondo alla classifica soprattutto per una scarsa protezione nel mercato del lavoro e dell’ambiente lavorativo (Ocse). In particolare, il 24% dei lavoratori percepisce a rischio la propria salute sul posto di lavoro, questo aspetto risulta più preoccupante nel Mezzogiorno (28%) e tra i dipendenti pubblici (30%). Inoltre, più di un terzo dei lavoratori (37%) dichiara di non avere alcuna flessibilità rispetto all’orario, percentuale che sale al 42% tra le donne.

avvenire.it

Italia. Messaggio dei Vescovi per la Festa dei lavoratori (1° maggio 2023): “Giovani e lavoro per nutrire la speranza”

Pubblichiamo il Messaggio dei Vescovi per la Festa dei lavoratori (1° maggio 2023) dal titolo: “Giovani e lavoro per nutrire la speranza”.

I dati sull’occupazione in Italia mettono in luce un fatto assai preoccupante: circa un quarto della popolazione giovanile del nostro Paese non trova lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno. Il quadro ci deve interrogare su quanto la nostra società, le nostre istituzioni, le nostre comunità investono per dare prospettive di presente e di futuro ai giovani. Essi pagano anche il conto di un modello culturale che non promuove a sufficienza la formazione, fatica ad accompagnarli nei passi decisivi della vita e non riesce a offrire motivi di speranza. Come sottolinea papa Francesco nell’esortazione apostolica Christus vivit: «Il mondo del lavoro è un ambito in cui i giovani sperimentano forme di esclusione ed emarginazione. La prima e più grave è la disoccupazione giovanile, che in alcuni Paesi raggiunge livelli esorbitanti. Oltre a renderli poveri, la mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società» (n. 270). Conosciamo molto bene l’impatto sulla vita ordinaria di tale situazione: vengono rimandate le scelte di vita e si rimuove dall’orizzonte futuro la generazione di figli.
La crisi demografica in corso nel nostro Paese aggrava la situazione. I giovani diventano sempre più marginali. Le giovani donne conoscono un ulteriore peggioramento delle opportunità lavorative e sociali. Preoccupa anche il numero elevato di giovani che lasciano il Sud, le Isole e le aree interne per cercare fortuna nelle aree metropolitane del Nord Italia o che addirittura abbandonano per sempre la terra di origine. Un’attenzione particolare merita la situazione di precarietà lavorativa che vivono molti giovani: dove scarseggia la domanda di lavoro i giovani sono sottopagati, vedono frustrate le loro capacità e competenze e perciò interpellano la coscienza dei credenti in tutti gli ambiti lavorativi e professionali. Si avverte la fatica di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, per cui molte professionalità non trovano accoglienza nei giovani. Desta preoccupazione anche il tasso dei giovani che non studiano né lavorano (NEET), quelli che finiscono nelle reti della criminalità, del gioco d’azzardo, del lavoro nero e sfruttato, del mondo della droga e dell’alcolismo.
Papa Francesco, in relazione al tema dei giovani, ha più volte parlato di un’«unzione», di un dono di grazia, manifestazione dell’intrinseca dignità della persona, fonte e strumento di gratuità. Senza il lavoro non viene infatti a mancare solamente una fonte di reddito – peraltro importantissima – ma i giovani disoccupati «crescono senza dignità, perché non sono “unti” dal lavoro che è quello che dà la dignità» (Visita pastorale a Genova, Incontro con il mondo del lavoro, 27 maggio 2017).
Per porre rimedio a questa crisi epocale, nello spirito del Cammino sinodale, desideriamo condividere percorsi di vera dignità con tutti. Vorremmo che le comunità cristiane fossero sempre più luoghi di incontro e di ascolto, soprattutto dei giovani e delle loro aspirazioni, dei loro sogni, come anche delle difficoltà che essi si trovano ad affrontare. Ci impegniamo a condividere la bellezza e la fatica del lavoro, la gioia di poterci prendere davvero cura gli uni degli altri, la fatica dei momenti in cui gli ostacoli rischiano di far perdere la speranza, i legami profondi di chi collabora al bene in uno sforzo comune. Sollecitiamo la politica nazionale e territoriale a favorire l’occupazione giovanile e facciamo sì che il rapporto scuola-lavoro, garantito nella sua sicurezza, aiuti a frenare l’esodo e lo spopolamento, soprattutto nei territori con maggiore tasso di disoccupazione.
Su questo cammino ci mettiamo in dialogo e in ascolto di quelle esperienze cariche di novità e di speranza, come Economy of Francesco, il Progetto Policoro, le cooperative sociali, le Fondazioni di Comunità, le buone pratiche in campo economico, lavorativo e di microcredito, che sono state censite anche in occasione dell’ultima Settimana Sociale di Taranto.
Ascoltare questi giovani ci aiuta ad incontrarli, assieme a tanti altri che hanno sicuramente molto da dire, ai quali ci offriamo come compagni di viaggio. Vogliamo trovare il modo ed il tempo per sognare il loro stesso sogno di un’economia di pace e non di guerra; un’economia che si prende cura del creato, a servizio della persona, della famiglia e della vita; un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno. Desideriamo un’economia custode delle culture e delle tradizioni dei popoli, di tutte le specie viventi e delle risorse naturali della Terra, «un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme, riduce le diseguaglianze e sa dire, con Gesù e con Francesco, “beati i poveri”» (Patto tra il Papa e i giovani di Economy of Francesco, Assisi 24 settembre 2022).
Oggi siamo chiamati a condividere passi e contributi di tanti, perché questa «economia di Vangelo» non rimanga solamente un sogno. Prendiamo sul serio le aspirazioni dei giovani, le loro critiche all’esistente ed i loro progetti di futuro. Portiamo il nostro contributo ovunque si disegnino e si realizzino le politiche del lavoro, le contrattazioni collettive ed aziendali, le molteplici forme dell’imprenditorialità e della finanza. Una nuova visione dell’economia attenta al grido dei poveri e della Terra, dei giovani che rischiano di essere «impoveriti» del loro futuro, trovi spazio nel mondo culturale ed accademico, e alimenti le prospettive della politica a tutti i livelli. Valorizziamo anche i beni della Chiesa con lo scopo di favorire opportunità lavorative per i giovani nella logica dell’ecologia integrale di Laudato si’. Scommettiamo sulla capacità di futuro dei giovani. Abbiamo bisogno dell’alleanza tra l’economia, la finanza, la politica, la cultura per costruire reti di accompagnamento per i giovani.
Questi germogli saranno i segni sicuri di una nuova primavera fatta di relazioni buone tra le persone, di famiglie capaci di aprirsi alla vita con coraggiosa speranza, di una società della solidarietà e della cura reciproca. Siamo certi che l’azione dello Spirito sta suscitando nel mondo germogli di novità grazie anche alle future generazioni. Si sta già realizzando sotto i nostri occhi la profezia di Gioele: «Diventeranno profeti i vostri figli e le vostre figlie» (Gl 3,1).

Roma, 20 marzo 2023
Solennità di san Giuseppe

La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro,
la giustizia e la pace

La professione. Crearsi un lavoro con l’aiuto della Rete

In Italia sono oltre mezzo milione i lavoratori attivi nel network marketing. Cresce anche il coworking. Rifinanziato il Fondo nuove competenze. Opportunità di borse di studio e assunzioni
In Italia il network marketing è ancora vittima di pregiudizi

In Italia il network marketing è ancora vittima di pregiudizi – Archivio

Il mondo del lavoro, in questi ultimi due anni, è cambiato significativamente: dalla concezione di ufficio allo smart working, fino alla diversa gestione dei tempi e degli obiettivi da raggiungere, non c’è ambito professionale che non sia stato toccato dagli effetti sociali della pandemia. L’insieme di questi processi – il lavoro ibrido, la nuova concezione di ufficio e l’accelerazione della digitalizzazione – ha ridisegnato anche le dinamiche degli incontri professionali e le modalità di networking, che hanno assunto caratteristiche diverse rispetto a qualche anno fa, in un inedito mix tra on line, coworking e in presenza. È proprio nel nostro Paese, oltre mezzo milione di lavoratori attivi nel network marketing alzano un grido di protesta contro il mancato riconoscimento di questa professione come seria, dignitosa e ricca di opportunità. Nato nel 1934 in California, il network marketing risponde alla definizione di vendita diretta tramite distributori indipendenti, in cui i venditori propongono i prodotti direttamente alla clientela interessata. Dal punto di vista occupazionale e di fatturato, il network marketing rappresenta cifre non indifferenti. Si stima che, dal 2009 a oggi, le aziende che operano nel comparto abbiano guadagnato 1,5 trilioni di dollari, mentre in Italia il valore annuo è di 2,6 miliardi di dollari. Numeri rilevanti che, soprattutto in seguito al Covid, rappresentano anche un’opportunità sotto il profilo professionale e della meritocrazia. In prima file per la rivalutazione del network marketing c’è Elena Setzu, consulente e imprenditrice a capo dell’agenzia Diamond Coaching, 26 collaboratori in tutto il mondo e un fatturato superiore al milione di euro nel 2022. L’esperta spiega che «la cattiva reputazione del network marketing in Italia è legata a dinamiche vecchie, che nemmeno esistono più. La convinzione che si debba lavorare con chiamate a freddo, coinvolgendo amici e parenti nella prova di prodotti di scarsa qualità, è soltanto un vecchio mito già dissipato nel resto del mondo, ma che continua a perdurare in Italia. Associare il network marketing a sistemi piramidali, schemi Ponzi o catene di sant’Antonio è una concezione falsa e fuorviante. Questa professione si è molto evoluta negli ultimi anni, e i metodi sono molto cambiati, più orientati verso l’on line. A oggi esistono migliaia di aziende nel mondo estremamente valide; ciò non toglie che, come in tutti i settori, possano esserci delle realtà che non operano in buona fede. Un’esemplificazione classica di questo assunto sono le sponsorizzate social, che possono essere impiegate per portare all’attenzione del pubblico delle novità in maniera genuina, o dare vita a promesse false, poco etiche e fondate sul nulla». «Il network marketing – prosegue la consulente e imprenditrice – non è altro che una modalità di commercializzare i propri prodotti o servizi. Le aziende che se ne servono sono tantissime, esistono da anni, sono solide e generano lavoro. Alcune di esse hanno premi Nobel per la medicina all’interno del proprio staff, altre ancora sono riconosciute dai ministeri della Salute dei rispettivi Paesi, e promuovono uno stile di vita salutare grazie a superfood con determinate caratteristiche organolettiche o, per fare un altro esempio, si occupano di ringiovanimento cellulare. Il fatto che, per veicolare messaggi attraverso cui incrementare le vendite, vengano scelte persone normali, dovrebbe essere visto come un fattore molto positivo. Sempre più imprese sposano questo sistema di business perché intelligente e funzionale, basandosi sul passaparola e generando una dinamica molto simile a quella dell’influencer marketing». «Molte persone che hanno perso il lavoro e attraversato periodi di grande difficoltà in questi ultimi anni – sottolinea Setzu – hanno potuto reinventarsi grazie alla possibilità di crearsi un’entrata economica stabile. Inoltre più internet cresce, più il network marketing sarà destinato a evolversi in maniera capillare. Si tratta di un lavoro estremamente futuribile, ma che prima di essere visto come tale andrebbe considerato a livello sociale come una professione seria a tutti gli effetti, abbandonando dicerie, falsi miti e vecchie informazioni, ormai datate e che non rispecchiano più la realtà dei fatti. Questo settore non differisce in nulla dal lavoro a casa in smart working, facendo chiamate per conto di un’impresa o prendendo appuntamenti. Non è da sottovalutare anche la fascia di età e la presenza di entrambi i sessi coinvolta nel network marketing: oltre a coprire tutte le età, a cominciare dai giovanissimi, accoglie anche 50enni o 60enni che riescono a ricostruire la propria vita all’interno di un mercato di lavoro che spesso li ignora. E lo fanno in modo etico e meritocratico».

Dove va il networking secondo gli esperti
Tuttavia i fondatori di Zwap – la start up tutta italiana che sfrutta le potenzialità dell’intelligenza artificiale per aiutare i professionisti a fare rete – hanno delineato le cinque tendenze che caratterizzeranno il networking professionale.
1. Networking ibrido: i meeting one-to-one diventano sempre più strategici
«Fortunatamente abbiamo superato il distanziamento sociale, ma le priorità e le abitudini dei lavoratori sono state fortemente plasmate da questi due anni di pandemia, la presenza in ufficio non è più un obbligo, si preferisce ottimizzare i tempi e la ricerca del work-life balance è sempre più importante – precisa Federico Pedron –. Inevitabilmente, il potenziale dei mezzi di comunicazione digitale ricopre un ruolo sempre più importante ed è sempre più sfruttato: se prima si dava per scontato che un business meeting dovesse essere in presenza, ora si è consapevoli che anche i meeting online consentono di costruire rapporti basati sull’empatia e sull’affinità di intenti e ambizioni. Anche dalla nostra esperienza, possiamo dire che le videochiamate tra due persone si rivelano essere il mezzo di comunicazione digitale tramite il quale è più facile entrare in confidenza: sapere di avere del tempo a disposizione dedicato e di avere un interlocutore interessato porta le persone a sentirsi a proprio agio e a lasciarsi andare».

2. Ridefinizione della geografia del lavoro e degli incontri
«Con l’avvento dello smart working abbiamo imparato a collaborare da remoto, spesso scegliendo liberamente dove passare la nostra giornata lavorativa. La geografia degli spazi di lavoro si è così completamente ridisegnata: la distanza fisica ha ormai smesso di essere un ostacolo, per diventare un’opportunità. Questo paradosso fa sì che oggi sia possibile entrare in contatto con persone molto lontane con la stessa naturalezza con cui incontriamo chi prima incontravamo nel nostro luogo di lavoro – afferma Pedron –. L’abitudine che abbiamo sviluppato verso la comunicazione online ci permette di partecipare con disinvoltura a meeting, talk e altri eventi di networking online e di abbattere le barriere fisiche, così da cogliere possibilità che prima sarebbero state fuori dalla nostra portata. Il vero vantaggio competitivo per i professionisti del futuro sarà proprio quello di coltivare le capacità di costruire e mantenere nel tempo relazioni di valore sia on che offline».

3. L’importanza delle community verticali
«È e sarà sempre più importante entrare a far parte delle cosiddette community verticali, community più ristrette dove però è più facile per il professionista generare connessioni realmente autentiche e di valore all’interno di un ecosistema per lui rappresentativo – dichiara Pedron -. La vecchia generazione di social app si è concentrata sulla costruzione di reti le più ampie possibili e sulla generazione di competizione attraverso i follower e lo status: ora il paradigma, però, è cambiato. Ai numeri si preferisce la tipologia di contatti e di riscontri: la cultura ossessionata dal narcisismo e dall’apparenza ha lasciato – fortunatamente, dico io – il posto a una cultura basata sull’autenticità dei legami e all’inclusione».

4. Tecnologia sempre più protagonista
L’uso efficace degli strumenti entrati a far parte della quotidianità permette di trasformare le sfide portate dal lavoro da remoto e dalla carenza di eventi di networking in opportunità. «La trasformazione digitale che ha travolto il mondo del lavoro ha portato con sé un insieme di cambiamenti tecnologici, culturali, organizzativi, sociali e manageriali significativi. Questo processo integra e coinvolge l’intero ecosistema, portando trasparenza, condivisione e inclusione di tutti i partecipanti. Si tratta di uno strumento democratico, che porta maggiore efficienza, migliore operatività e riduzione dei costi», specifica Pedron.

5. Team e uffici diffusi: l’importanza del networking interno
«Ormai siamo tutti parte di team diffusi: entriamo in contatto con persone vicine e lontane con la stessa facilità, quello che prima era il nostro vicino di scrivania può essere diventato un nomade digitale trasferitosi dall’altra parte del mondo. Davanti al processo di dematerializzazione dello spazio fisico dell’ufficio inteso in senso classico, sarà sempre più importante mantenere e consolidare i rapporti con quei colleghi che ora si incontrano meno di frequente, almeno in presenza – evidenzia Pedron -. E così, la comunicazione interna spesso trascurata, attraverso l’utilizzo di tutti quegli strumenti tecnologici a disposizione delle aziende e dei professionisti, avrà un ruolo fondamentale per mantenere viva e ampliare la rete di contatti interni, tra dipendenti, manager e collaboratori».

Nasce Cowopro.it, l’agenzia diffusa dei coworker in tutta Italia
È il primo network digitale nazionale di professionisti. Il grande valore di questo progetto sta in particolare nel dare visibilità e opportunità anche a professionisti locati in piccoli centri periferici d’Italia. L’idea si sviluppa a partire dai coworking della rete Cowo, più di 100 diffusi in tutta Italia con degli spazi anche in Svizzera. Cowo fornisce così un servizio ai suoi associati e permette agli interessati di aderire. L’affidabilità dell’iniziativa viene così garantita dai coworking manager con cui si relazionano. che si appoggiano a uno dei coworking della rete. Sono ben 71, infatti, quelli locati fuori dalle grandi città. Non basta più solo una scrivania condivisa: il coworking deve proporre il network. Una tendenza che, secondo Massimo Carraro, fondatore della rete Cowo, distinguerà sempre di più gli spazi di lavoro condivisi nel prossimo futuro: «Più di tutto infatti a fare la differenza nella scelta di un coworking oggi è la capacità di offrire una rete potenziale di opportunità professionali agli abitanti dello spazio di lavoro. Per questo, dopo questi anni di pandemia e di rivoluzione profonda del modo di lavorare, abbiamo deciso di sviluppare ulteriormente con un’attività di comunicazione mirata il progetto Cowopro. Si tratta di una vera e propria vetrina gratuita per tutti gli affiliati al fine di favorire relazioni, diffusione delle competenze, occasioni di business capillarizzate in tutta Italia; anche nei piccoli centri: basta che vi sia lì ubicato un nostro coworking». Il coworking, insomma, diventa una rete di possibilità relazionali fisiche e digitali. Con lo sviluppo del nuovo trend della “città a 15 minuti” e dell’esigenza di prossimità del luogo di lavoro dalla propria abitazione, che solo gli spazi di lavoro condivisi sembrano poter soddisfare a pieno, sono diverse le professionalità che si incontrano in un coworking. Oltre ai freelance e alle start up, anche i dipendenti di aziende più strutturate manifestano il desiderio di ricevere nuovi stimoli e creatività evitando di lavorare da soli a casa e si avvalgono della possibilità di applicare il “near working”. Questo porta con sé opportunità nuove di condivisione, collaborazione professionale e contaminazione di idee vantaggioso per tutti. Il coworking diventa così un potenziale spazio professionale ad ampio spettro e di possibilità di collaborazioni non solo tra freelance, ma anche tra liberi professionisti e aziende disclocate in tutta Italia.

Fondo nuove competenze rifinanziato

In concomitanza con l’approvazione parlamentare della legge di conversione del Milleproroghe, che ha esteso al 2023 la possibilità da parte del Fnc-Fondo nuove competenze di finanziare accordi di rimodulazione dell’orario di lavoro finalizzati alla realizzazione di percorsi formativi, l’Anpal ha emanato il decreto di rifinanziamento del Fondo, per un ammontare pari a 180 milioni di euro. In tal modo si apre una prima finestra per il finanziamento di tali intese nell’ambito dell’avviso pubblico ancora aperto. La somma proviene dai residui della precedente edizione del Fondo dovute a rinunce, minori rendicontazioni ovvero tagli in sede istruttoria. Sono stati pertanto riaperti i termini di presentazione delle domande da parte dei datori di lavoro, portando la data finale al 27 marzo 2023. Il nuovo termine è stato fissato considerando le tempistiche legate all’ammissibilità delle spese (a valere sulla programmazione 2014-20 del Fondo sociale europeo) e ai tempi di realizzazione dei progetti. L’intera somma iniziale di un miliardo di euro, a disposizione di questa edizione del Fnc, è stata appena esaurita in sede di prenotazione con le domande finora presentate, ferme comunque restando le risultanze della fase istruttoria ancora in corso.

Opportunità di borse di studio e di assunzioni nel digitale, nel retail e nel turismo

Firmati due decreti ministeriali che assicurano 18.770 borse di dottorato, per un finanziamento di oltre 726 milioni di euro. Le borse di dottorato di ricerca saranno bandite per il prossimo anno accademico 2023-2024. Lo ha detto la ministra dell’Università e la Ricerca Anna Maria Bernini rispondendo al question time in aula al Senato. «Al tempo stesso – ha proseguito la ministra – stiamo lavorando per accrescere l’attrattività di questi percorsi in relazione alle prospettive occupazionali, mettendoli in stretta relazione con il mondo produttivo. In questa direzione, con il decreto legge numero 13 del 2023, sono stati introdotti benefici contributivi a favore delle imprese che partecipano al cofinanziamento delle borse di dottorato innovativo, e che puntano a un innalzamento delle qualifiche del personale. Potranno infatti giovarsi del taglio del cuneo fiscale per l’assunzione di dottori di ricerca, per un investimento complessivo pari a 150 milioni di euro, messi a disposizione dal Pnrr, per agevolare un totale di 20mila assunzioni. Sono numeri reali. L’obiettivo è creare un circolo virtuoso, che abbia a monte esperienze di cofinanziamento tra pubblico e privato e, a valle, incentivi all’assunzione di personale altamente qualificato. È così che puntiamo a far emergere il legame imprescindibile tra ricerca e impresa. Investire nel capitale umano, creare un sistema nazionale della ricerca basato sulla capacità di fare rete tra Università, enti di ricerca e imprese: sarà nostro compito, con il vostro aiuto, fare in modo che non vi siano più occasioni mancate, e che l’Italia si allinei agli standard degli altri Paesi europei». Mentre sono dieci le borse di studio per donne disoccupate o inoccupate per avviare un percorso professionale nella sicurezza informatica. È il progetto Women in Cyber realizzato con Talent Garden e promosso in occasione dell’8 marzo da Groupama Assicurazioni e Softlab. Le dieci figure di cybersecurity analyst, attraverso il programma Deep – Cybersecurity Bootcamp potranno essere subito impiegate in lavori di base sulla sicurezza informatica. Il percorso formativo, che avrà inizio il 5 giugno, consiste in una full immersion di 13 settimane, per acquisire conoscenze pratiche e teoriche attraverso demo, tech-case del mondo reale, video, infografiche, quiz e giochi. Le iscrizioni sono aperte e per accedere alla selezione è necessario completare l’application al sito lp.deepcybersecurity/womenincyber. Le candidate selezionate saranno invitate a un colloquio tecnico e motivazionale per valutarne competenze e prospettive. Manpower Academy, in collaborazione con Aruba Academy, organizza invece un corso gratuito per formare addetti Facility Operation Center. Il corso si terrà presso il Global Cloud Data Center di Ponte San Pietro (Bergamo) e prevede attività teoriche in aula e on the job per un totale di 56 ore. La data di partenza del progetto formativo è il 3 aprile e si rivolge a persone non occupate, siano essi giovani alla prima esperienza o lavoratori in cerca di un nuovo lavoro e con la necessità di formazione per un riposizionamento professionale. Ai candidati è richiesto diploma di scuola superiore e passione per il mondo della manutenzione. I corsisti acquisiranno competenze relative agli impianti elettrici, elettronici, termici, speciali, acquisendo importanti e valide conoscenze sugli impianti tecnologici, costruendo le basi di una professionalità tra le più richieste del settore. Al termine dell’Academy, le persone formate che avranno superato con successo il corso entreranno a far parte dell’azienda, dove saranno inserite in un percorso di formazione ed apprendimento continuo. Per candidarsi: http://aru.ba/academycorsofoc. Minsait punta ad assumere più di 300 nuovi professionisti in Italia e un totale di 12mila in tutto il mondo entro il 2023 per continuare con i suoi piani di crescita ed espansione. Minsait si rivolge principalmente a laureati in Ingegneria Informatica, Telecomunicazioni e Matematica e di formazione professionale intermedia e avanzata, per soddisfare un’offerta tecnologica innovativa legata all’intelligenza artificiale (AI), agli Advanced Analytics, al metaverso, ai profili Sap o al low code. Minsait è tra i punti di riferimento per accelerare la transizione di aziende e istituzioni italiane verso modelli digitali più avanzati e sostenibili, con progetti ad alto impatto di portata globale e una visione innovativa dei nuovi formati di business, con un focus sul mondo phygital e sul metaverso. L’azienda si è inoltre posizionata nel campo dei servizi finanziari e dei mezzi di pagamento attraverso la sua controllata Minsait Payments, che elabora oltre 220 milioni di carte in tutto il mondo. Ha inoltre siglato accordi con Google Cloud, Amazon web services e Microsoft per far evolvere e trasformare le aziende attraverso progetti di migrazione al cloud pubblico, sfruttando le potenzialità dell’AI e dei big data, con una particolare attenzione alla cybersecurity. Codemotion ha aperto la caccia a 50 nuovi talenti, profili da inserire nelle sedi di Italia e Spagna per proseguire la crescita nazionale e acquisire le competenze necessarie a rafforzare la presenza nel mercato spagnolo. Le figure richieste sono soprattutto nel settore delle vendite, ma anche profili It, come sviluppatori front end e back end e developer specializzati in architettura dati, professionisti della formazione nel mondo tech, community manager, product specialist e addetti alla creazione di contenuti per i canali dell’azienda. Acquaworld, l’unico parco acquatico al coperto e all’aperto d’Italia, annuncia l’inizio della campagna di reclutamento del personale per la stagione 2023. Un programma ricchissimo di eventi, l’ampliamento dell’orario del Parco e la riapertura dell’area esterna richiedono, come ogni anno, il potenziamento della squadra di Acquaworld. Sono infatti circa 50 le nuove posizioni attualmente ricercate: 25 addetti alla ristorazione, 15 assistenti bagnanti, cinque persone dedicate all’accoglienza e tre manutentori. Le assunzioni richiedono per tutte le figure professionali alcuni requisiti di base: la residenza o il domicilio in zone limitrofe al Parco, un’ottima predisposizione a lavorare con il pubblico, un’attitudine al lavoro di squadra e la disponibilità a lavorare durante il periodo estivo. Le selezioni sono aperte e gli annunci sono rivolti a entrambi i sessi. Per candidarsi è possibile visitare il sito ufficiale del Parco alla pagina “Lavora con noi” (https://acquaworld.it/it/lavora-con-noi), dove sono elencate le offerte di lavoro attive. Opportunità nelle tre aziende della Digital Company – Studio Cappello, Adviva e Wmrh – per un totale di circa 20 posizioni aperte. Il link dove visionarle tutte è: https://inrecruiting.intervieweb.it/studiocappello/it/career. I ruoli attualmente prioritari a livello di ricerca sono:

· Digital Content Specialist Senior;

· Marketing PR & Communication Manager.

Oltre ad: Addetto/a alla Segreteria Generale, Digital Graphic Designer, Web Tracking Specialist, Digital Business Developer Manager, Seo Specialist, Digital Advertising Specialist, Web Developer, Revenue Specialist. Inoltre sono sempre attivi percorsi formativi di stage/tirocini. Mentre Retail Capital è alla ricerca di persone che hanno esperienza nel settore dell’intimo come responsabili vendite; è richiesta la conoscenza della lingua inglese. Successivamente, l’azienda si occuperà attivamente della parte di formazione del personale integrando la formazione da “commessa/store manager” con tutte le competenze che servono per la gestione digitale delle vendite, delle spedizioni e dei resi online; verranno, infatti, istituiti accordi di cooperazione con i marchi e operazione in co-branding e organizzate sessioni di formazione sul prodotto con le aziende per formare al meglio il personale degli store e offrire un approccio tailor-made e studiato su “misura” sulle specifiche esigenze del cliente finale. Inoltre, Retail Capital sta cercando tre addetti marketing (un content creator, un graphic designer e un digital marketing) che si occuperanno anche dei canali social. La selezione si basa sull’esperienza nel settore del Fashion & Retail; i contratti sono a tempo determinato, per poi passare a contratti a tempo indeterminato. Le candidature possono essere inviate alla mail: info@retailcapital.com. Infine Utravel, la corporate start up di viaggi dedicata ai giovani under30 del Gruppo Alpitour, ha deciso di rafforzare il proprio organico aprendo dieci nuove posizioni a coloro che vogliono investire in un modello di turismo creato da giovani per i giovani:

● Resident Guru (Marocco, Djerba, Grecia, Repubblica Dominicana, Egitto, Zanzibar e Messico): figure che saranno presenti in destinazione in maniera continuativa (dai due ai sei mesi) e si occuperanno sia del coinvolgimento, assistenza e consigli ai partecipanti, sia della ricerca di esperienze autentiche in loco da proporre ai viaggiatori ciascuno per il proprio paese di riferimento. Requisiti richiesti: il candidato ideale deve essere appassionato di viaggi, solare, intraprendente, motivato, flessibile e avere una buona capacità di problem solving. È richiesta la conoscenza della lingua inglese (scritto e orale livello B2) e di una seconda lingua, preferibilmente spagnolo o francese (livello B2). La persona deve essere inoltre munita di patente di guida B. È considerata un plus la conoscenza approfondita di una delle destinazioni sopra indicate e un’esperienza pregressa in animazione e/o assistenza.

● Graphic designer: questa figura lavorerà a stretto contatto con tutto il Team Utravel e si occuperà della gestione dei progetti creativi in tutte le loro fasi: dall’ideazione all’esecuzione. Nello specifico, sarà di supporto alla definizione della strategia e creerà grafiche statiche e dinamiche per social, sito, app, campagne digital e iniziative offline. L’inquadramento della persona scelta dipenderà dall’esperienza pregressa. Questa posizione è in smart working flessibile/ibrido, con possibili trasferte a Torino, sede di Utravel. Requisiti richiesti: il candidato ideale dovrà essere creativo, proattivo, preciso, e avere dimestichezza con tutti gli strumenti necessari per creare contenuti grafici: Creative Suite Adobe, app e software di video editing e motion graphic, Canva e Powerpoint.

● Copywriter: questa risorsa deve essere in grado di coinvolgere con le proprie parole e le proprie idee creative i viaggiatori. Nel dettaglio, la persona sarà di supporto alla strategia creativa, dovrà ideare e scrivere testi per il sito, la newsletter, i social, i video e per tutte le iniziative online e offline e sarà chiamato a contribuire alla stesura delle linee guida e dell’aggiornamento del tone of voice del brand. L’inquadramento della persona scelta dipenderà dall’esperienza pregressa. Questa posizione è in smart working flessibile/ibrido, con possibili trasferte a Torino, sede di Utravel. Requisiti richiesti: il candidato deve avere un’ottima capacità di scrittura, tanta creatività, curiosità e precisione. Attraverso lo storytelling deve essere capace di comunicare in maniera efficace e coinvolgente idee, concept e progetti. Deve inoltre saper ideare, interpretare e sviluppare il tone of voice di un brand in modo coerente e iconico; è richiesta inoltre una buona conoscenza della lingua inglese e la cura nel linguaggio inclusivo.

● Ui/Ux Designer: la figura, che farà parte del team Tech, verrà coinvolta nella creazione di interfacce e contenuti per il sito e altre piattaforme online. Sarà di supporto alla definizione dei progetti UI/UX e al design di piattaforme di Backoffice. Si occuperà inoltre della creazione di prototipi interattivi, della Landing Page e in generale della manutenzione del sito e del bug fixing settimanale. La persona scelta verrà inserita in stage curricolare. Requisiti richiesti: sono richieste competenze in Figma, la conoscenza di benchmarking, flussi utenti, wireframe e creazione di mockup e prototipi, uso di WordPress, conoscenza base dei linguaggi di programmazione Html e Css e dei principali software di grafica (Adobe Photoshop, Adobe Illustrator, Adobe Indesign, Canva). Per candidarsi: https://utravel.it/lavora-con-noi/.
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Tendenze. Così si attirano i talenti in azienda

Oltre otto lavoratori su dieci (82%) si dicono più propensi a scegliere un datore che offra opportunità di formazione e sviluppo costanti. Il nuovo Patto per il lavoro della Regione Toscana
Un premio a chi attira giovani talenti

Un premio a chi attira giovani talenti – Radar Academy

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L’attuale contesto storico che vede l’economia italiana in fase post-Covid, con l’inflazione in aumento e la prospettiva di una ulteriore flessione economica, spinge molte aziende a preservare il proprio personale, anche a causa della carenza di nuovi talenti in molti settori e del blocco delle assunzioni. In questo scenario in cui molte imprese tentano di sopravvivere e non sono in grado di aumentare i salari ai loro dipendenti per far fronte al caro-vita, investire in attività di formazione potrebbe essere tra i migliori strumenti per fidelizzare e trattenere le persone, generando un ritorno positivo, come rivela la ricerca condotta da Docebo. In particolare, in Italia oltre otto lavoratori su dieci (82%) si dicono più propensi a scegliere un datore che offra opportunità di formazione e sviluppo costanti. Inoltre, sei lavoratori su dieci (61%) dichiarano di essere disposti a cambiare il proprio lavoro entro 12 mesi, se l’attuale datore di lavoro tagliasse (o non offrisse) opportunità di apprendimento o di formazione essenziali per la crescita e lo sviluppo della loro carriera. Complessivamente, alle domande relative alle possibili motivazioni per le quali sarebbero disposti ad abbandonare l’attuale posto di lavoro, i dipendenti hanno indicato come principali cause: la retribuzione insufficiente (78%), una cattiva gestione aziendale (52%) e le scarse opportunità di crescita professionale (45%). Se, da un lato, la retribuzione resta un fattore fondamentale, dall’altro, la mancanza di manager preparati, la carenza di nuovi talenti e la conseguente insufficienza di personale mettono sotto pressione i team, portando a possibili fughe dall’azienda. Inoltre, un quarto dei lavoratori intervistati (25%) ha indicato la “cultura aziendale debole” come ulteriore fattore che li spingerebbe a cambiare lavoro. Implementare, quindi, una cultura aziendale basata sulla formazione continua potrebbe essere una valida strategia per ridurre il turnover del personale, anche quando l’aumento salariale non è possibile. Dalla ricerca, inoltre, emerge che i millennial siano molto attenti alle politiche formative: otto intervistati su dieci (83%) affermano di essere più propensi a scegliere un datore di lavoro che offra opportunità di sviluppo e apprendimento continue, rispetto al 79% dei Gen z. Un altro dato interessante è la risposta dei Gen z (per il 66%) e dei millennial (per il 65%) che si dichiarano maggiormente favorevoli, rispetto ai lavoratori baby boomer (per il 55%), a prendere in considerazione il licenziamento nel caso in cui il datore di lavoro tagliasse gli investimenti in formazione. Anche secondo la III edizione della ricerca Global Workforce of the Future di The Adecco Group, oltre un quarto (27%) dei lavoratori cercherà di cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi. Tra le cause di questo fenomeno, lo stipendio rappresenta il principale motivo per cui i lavoratori decidono di cambiare occupazione. In Italia, il 61% dei dipendenti ritiene infatti che il proprio salario non sia sufficiente per affrontare l’aumento dei prezzi dettato dall’inflazione. Una situazione comune in tutto il mondo, che comporta, in diversi casi, il ricorso ai pagamenti in nero (35%), la ricerca di un secondo lavoro (51%) o di un nuovo lavoro che abbia uno stipendio più alto (49%). Per trattenere i talenti nel 2023 e oltre, però, lo stipendio da solo non basta: le aziende devono mettere al centro le persone e garantire regimi di lavoro flessibili, offrendo ai lavoratori un equilibrio più sano tra lavoro e vita privata. I dipendenti italiani, in particolare, sono propensi a rimanere in azienda quando si sentono soddisfatti del proprio lavoro (40%), percepiscono una certa stabilità (38%) o un buon equilibrio tra vita lavorativa e privata (35%). Infatti, a svolgere un ruolo importante anche nella ricerca di un nuovo lavoro è proprio la richiesta di maggiore benessere: il 75% dei rispondenti predilige datori di lavoro interessati a questo aspetto. I dati dell’analisi hanno inoltre evidenziato che, tra chi prevede di mantenere il proprio impiego, quasi la metà lo farebbe a patto di ottenere una progressione di carriera. Malgrado ciò, quasi un quarto della forza lavoro (il 23%) non ha mai ottenuto un confronto su questo tema con il proprio datore di lavoro. L’indagine evidenzia anche l’ascesa dei quitfluencer. Più di due terzi dei lavoratori (70%) prendono in considerazione l’idea di licenziarsi se vedono altri farlo, mentre il 50% si dimette effettivamente. Tali iniziative permetterebbero, inoltre, di contenere il cosiddetto “effetto domino” che colpisce in maggior misura le giovani generazioni, che hanno il 25% di probabilità in più di essere influenzate dai colleghi ad abbandonare il posto di lavoro. Le aziende devono perciò concentrarsi sempre di più su soluzioni valide di fronte a questa situazione di forte instabilità: investire in iniziative di formazione e avviare percorsi di upskilling e reskilling diventa importante per incrementare la competitività sul mercato e, al contempo, favorire la crescita professionale dei dipendenti, contenendo così il tasso di dimissioni. Le grandi dimissioni hanno portato alla luce anche il fenomeno del quiet quitting, letteralmente, in italiano, “dimissioni silenziose”, un’espressione diventata virale sui social network che sta a indicare il distacco mentale ed emotivo dal proprio lavoro. Il quiet quitting, la scelta consapevole di fare il minimo sindacale, non compare in alcuna statistica relativa ai tassi di abbandono del posto di lavoro, ma se non viene individuato può alimentare una cultura tossica in cui i lavoratori sentono di non potersi esprimere liberamente e, quindi, scelgono di non impegnarsi. Le aziende devono prestare attenzione a questa tendenza, creando una cultura proattiva basata sulla fiducia e sul dialogo e fornendo alle proprie persone spazi e strumenti adeguati grazie a cui sentirsi realmente ascoltati e coinvolti. Processi mirati, coaching e incentivi sono necessari per creare una cultura aziendale aperta all’ascolto e proattiva nei confronti della salute mentale e del benessere: solo attraverso conversazioni frequenti sarà possibile prevenire questo fenomeno. La necessità di incentivare questi sistemi di formazione e aggiornamento professionale nel nostro Paese è resa ancora più evidente dal fatto che, rispetto al 61% della media globale, solo il 46% della forza lavoro ritiene di essere in grado di trovare un nuovo impiego nell’arco di sei mesi. Siamo penultimi in questa statistica, molto lontani anche dagli altri Paesi europei: in Germania sono al 70%, in Spagna al 55% e in Francia al 53%. In questo senso il McKinsey Global Institute ha identificato tre strategie ottimali con cui le aziende possono coltivare i talenti:

1. Non trascurare le persone all’interno dell’organizzazione che hanno le potenzialità per un salto di qualità.

Le persone che vogliono reinventarsi spesso devono andare in un nuovo ambiente di lavoro per poterlo fare. Rispetto a coloro che già ricoprono ruoli tech, i lavoratori con un background non tech hanno quasi il 30% di probabilità in più di lasciare il loro attuale datore di lavoro per diventare system software developer. Dato che le aziende di solito pagano un premio per i talenti esterni e non possono sempre sapere se un candidato sarà adatto alla propria cultura interno, è ragionevole eseguire un reale inventario delle capacità già disponibili internamente, prima di cercare candidati esterni. I datori di lavoro possono trarre vantaggio da spostamenti più fluidi all’interno delle loro organizzazioni. Il posto migliore dove cercare persone con aspirazioni e potenziale non sfruttato è spesso all’interno. Investire in opportunità di apprendimento e sviluppo per persone che già conoscono l’azienda e che hanno dimostrato di essere brillanti e affidabili può essere una scommessa più sicura. L’elemento più importante è aiutare le persone ad acquisire un’esperienza più varia e creare una mobilità interna che consenta ai dipendenti di aggiungere nuove competenze e di cambiare rotta, così da mantenerne intatto l’entusiasmo e arginare il fenomeno del logoramento.

2. Avere più coraggio nelle assunzioni

È comune che le persone che assumono ruoli tech per la prima volta espandano il proprio set di competenze del 50%, per questo i datori di lavoro devono saper selezionare i candidati in base al loro potenziale, oltre che al loro passato. Dal momento che le competenze tecniche possono essere insegnate, ha senso ricercare il tipo di mentalità e le soft skills richieste dal ruolo. Gli strumenti digitali, comprese le opzioni gamificate per i test pre-assunzione, possono aiutare in questo tipo di valutazioni. I datori di lavoro possono anche utilizzare i dati sui predittori di successo, compresi i fattori che vanno oltre l’attuale lavoro del candidato. L’analisi dei profili dei candidati in relazione alla performance può aiutare un’organizzazione a perfezionare i criteri di assunzione.

3. Formare per trattenere talenti

Data la mobilità dei lavoratori del settore tecnologico, i datori di lavoro devono valutare la totalità di ciò che offrono ai dipendenti, e una delle componenti più importanti è l’opportunità di imparare. Approfondire ed espandere le competenze digitali dell’intera forza lavoro si traduce in produttività, innovazione e fidelizzazione. L’apprendimento può assumere la forma di corsi strutturati in presenza, adattati a specifiche gruppi di dipendenti, o di moduli di contenuti digitali a cui i dipendenti possono accedere autonomamente.

Partendo da queste considerazioni, la business school Radar Academy ha deciso di istituire il premio Company for generation Z per dare risalto alle aziende che stanno investendo attraverso politiche e pratiche a favore dei giovani della generazione Z. Lo scorso 21 ottobre sono state premiate a Milano le prime 47 aziende (classificate prima, seconda e terza per ciascuna della categorie individuate) che si sono distinte per aver realizzato piani concreti di valorizzazione dei giovani in dieci ambiti: il numero di assunzioni di giovani nati dopo il 1995; numero di stage attivati; percorsi e prospettive di carriera; welfare aziendale e benessere della persona; smart working e lavoro ibrido; percorsi di formazione; politiche di talent retaining; progetti con scuole, Università e business school; diversità e inclusione; responsabilità sociale e sostenibilità.

Il nuovo Patto per il lavoro della Regione Toscana

La Regione Toscana vara il nuovo Patto per il lavoro da 53,8 milioni di euro. Un pacchetto di nove misure di politica attiva finalizzate a favorire l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro, oltre che nuova occupazione: dagli assegni per l’impiego ad azioni a sostegno della fase di start up di impresa e voucher di conciliazione, da misure destinate a lavoratrici e lavoratori coinvolti in crisi aziendali a veri e propri incentivi all’occupazione. Questo pacchetto di misure è stato predisposto attraverso il metodo della concertazione, ampia e approfondita, con le parti sociali regionali e i soggetti presenti nella Commissione regionale permanente tripartita (organismo di rappresentanza previsto dalla legge regionale 32/2002). Il confronto si è inoltre allargato ai territori, attraverso tavoli provinciali che hanno visto il coinvolgimento delle parti sociali e la presenza del presidente di ciascuna Provincia. Il Patto fa tesoro della precedente esperienza del Piano Integrato per l’Occupazione, si integra con Gol – Garanzia Occupabilità Lavoratori – il programma nazionale di riforma delle politiche attive, ed il Piano Nuove Competenze, previsti dal Pnrr, con il Pon “Giovani Donne e Lavoro” e con la programmazione regionale Fse+ 2021/2027, ampliando quindi i possibili strumenti di politica attiva e le tipologie di destinatari raggiungibili. Le destinatarie e i destinatari degli strumenti previsti nel Patto sono prevalentemente persone iscritte allo stato di disoccupazione, residenti in tutto il territorio toscano, ed una particolare attenzione è stata rivolte a donne, giovani e soggetti vulnerabili, coloro che, in questa crisi, rischiano di restare ancora più indietro sul fronte occupazionale. Il piano include anche specifici interventi per alcune tipologie di occupati. La Regione punta a coinvolgere almeno 10mila persone. Entro la fine di dicembre sarà emanato il primo avviso che riguarderà gli incentivi per l’occupazione. Il Patto prevede di ripartire e assegnare risorse ad ogni territorio su base provinciale, tenendo conto della situazione economica, sociale e occupazionale dei territori e dell’eventuale presenza di aree di crisi complessa e non complessa e delle aree interne, secondo un modello definito da Irpet. Alle aree di crisi industriale complessa (Livorno e Piombino), non complessa (Massa Carrara) e regionale è stata assegnata una quota di risorse pari complessivamente al 25% dell’intero budget. In prima battuta è previsto lo stanziamento del 50% delle risorse totali disponibili, per consentire monitoraggi e valutazioni su riparti territoriali ed efficacia delle misure. Una sorta, quindi, di prima fase di sperimentazione, durante la quale assessorato al lavoro e Commissione regionale permanente tripartita potranno mettere in campo, se necessario, eventuali correttivi, superare, implementare o introdurre altre misure, anche alla luce dell’attuazione degli strumenti previsti dal Pnrr, della nuova programmazione Fse+ 2021/2027 e del mutato scenario socio-economico.

Digital Recruiting Week, pubblicato il calendario 2023

Pubblicato il 𝒄𝒂𝒍𝒆𝒏𝒅𝒂𝒓𝒊𝒐 𝟐𝟎𝟐𝟑 di 𝑫𝒊𝒈𝒊𝒕𝒂𝒍 𝑹𝒆𝒄𝒓𝒖𝒊𝒕𝒊𝒏𝒈 𝑾𝒆𝒆𝒌: i migliori eventi di recruiting ed employer branding per incontrare i giovani talenti a target dalle Università di tutta Italia. Sono tornati anche gli 𝙚𝙫𝙚𝙣𝙩𝙞 𝙞𝙣 𝙥𝙧𝙚𝙨𝙚𝙣𝙯𝙖, garantendo così un mix flessibile ed efficace per raggiungere gli obiettivi Hr.

Ecco gli eventi in presenza:

Milano: 22 marzo
Padova: 19 aprile
Napoli: 10 maggio
Roma Sapienza: 11 ottobre
Bologna: 8 novembre

E quelli digitali:

· Digital Recruiting Week Sales&Marketing: 6-10 marzo, 2-6 ottobre

· Digital Recruiting Week STEM: 20-24 marzo, 6-10 novembre

· Coding Challenge Week: 27-31 marzo, 3-7 luglio, 4-8 dicembre

· Coding Challenge Week SENIOR: 3-7 aprile, 10-14 luglio, 11-15 dicembre

· Digital Diversity Week: 17-21 aprile, 27 novembre-1 dicembre

· Digital Recruiting Week ENGINEERING: 22-26 maggio, 20-24 novembre

· Digital Recruiting Week LEGAL: 5-9 giugno

· Digital Recruiting Week EMPOWER GIRLS: STEM 19-23 giugno, open 23-27 ottobre.

Banca Ifis e Coni, borse di studio a giovani talenti

Per il secondo anno consecutivo Banca Ifis è a fianco del Coni per sostenere il percorso di crescita dei giovani campioni dello sport azzurro attraverso la donazione di borse di studio per un valore complessivo pari a 160mila euro. «Tutto nasce da un rapporto personale tra me e il presidente Ernesto Fürstenberg Fassio: è incredibile la sua attenzione verso il mondo dello sport. Ricordo ancora la sua chiamata dello scorso anno, mi chiese cosa avremmo potuto fare insieme avendo a disposizione dei fondi per lo
sport. Nacque l’idea di dare una borsa di studio a tutte le atlete e agli atleti che hanno vinto una medaglia mondiale under 18. Potrebbe sembrare la cosa più ovvia, ma non ci aveva mai pensato nessuno. Ernesto ha accolto con grande entusiasmo l’idea. Quest’anno la borsa di studio è di poco inferiore, un pochino mi spiace ma la ragione è semplice: nel 2022 abbiamo vinto più medaglie. Credo che tutte le ragazze e i ragazzi debbano essere grati per questa iniziativa: grazie Banca Ifis, da parte
nostra c’è riconoscenza assoluta», ha dichiarato il presidente del Coni Giovanni Malagò. «Siamo felici di proseguire il percorso iniziato lo scorso anno a fianco del Coni a sostegno dello sport italiano, aiutando i giovani atleti nel coniugare al meglio gli aspetti formativi e agonistici. Lo sport rappresenta un tratto distintivo del Dna di Banca Ifis che ci porta a sostenere iniziative meritevoli, sia in campo professionistico che amatoriale e giovanile. Proprio per questo motivo, consapevoli del nostro ruolo all’interno delle comunità in cui operiamo, abbiamo voluto presentare un approfondimento del nostro Osservatorio sullo Sport System italiano, che fa luce sulla straordinaria capacità che il settore giovanile ha di creare valore, economico e sociale, per il nostro Paese. Un futuro più sostenibile passa soprattutto dai giovani ed è nostro dovere sostenerli, insieme, attraverso partnership come queste in grado
di coinvolgere con successo realtà pubbliche e private», ha concluso Ernesto Fürstenberg Fassio, presidente di Banca Ifis.

Dedagroup Digital Academy, al via la Cyber & Operative Systems Edition​​

Si amplia l’offerta formativa della Dedagroup Digital Academy, la scuola di impresa rivolta a giovani di talento con età massima di 28 anni, creata da Dedagroup, polo di aggregazione delle eccellenze italiane del Software e delle Soluzioni As a Service (SaaS). Sono aperte le iscrizioni alla prima edizione della Cyber & Operative Systems Edition, programma pensato per favorire lo sviluppo dei professionisti di domani in ambito IT e Cloud, preparando i partecipanti ad affrontare con competenza e visione il sempre più strategico segmento della cybersecurity aziendale. Secondo il Clusit, l’Associazione italiana per la sicurezza informatica, nei primi sei mesi del 2022 sono stati oltre 1.100 gli attacchi cyber gravi, in crescita del’8,4% rispetto all’anno precedente per una media complessiva di 190 attacchi al mese – uno ogni quattro ore – e con un picco di 225 attacchi a marzo (conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina), il valore più alto mai verificato. Un problema questo, acuito anche dall’importante carenza di professionisti della cybersecurity. Secondo l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, infatti, a fronte di una grande richiesta da parte delle imprese, in Italia mancano 100.000 esperti. Da qui la volontà di Dedagroup di rispondere alle nuove esigenze del mercato, ampliando il proprio programma di Academy con un percorso di studi verticalizzato sui temi della Cybersecurity e degli Operative Systems. Cyber & Operative Systems Edition è un percorso di formazione full time e di training on the job della durata complessiva di sei mesi, rivolto a diplomati, laureandi e neolaureati in percorsi tecnico-scientifici o informatici con un buon livello di conoscenza della lingua inglese. Il programma, che prenderà il via il 9 gennaio 2023 e che offre ai partecipanti una concreta opportunità di inserimento all’interno del Gruppo, è declinato su aree specifiche – sicurezza informatica e sistemi operativi – e ha l’obiettivo di formare due figure professionali: i Cybersecurity Engineer, che supporteranno la costruzione e il perfezionamento della strategia di sicurezza, per instaurare un ciclo di azioni continuative per il suo miglioramento e per ottimizzare gli investimenti, e i System Engineer, che affronteranno temi relativi ai servizi, al supporto per la gestione, al monitoraggio, all’ottimizzazione dei sistemi IT infrastrutturali e dei principali database, sistemi operativi e virtual machine. La formazione in aula – erogata sia in modalità digital che fisica – sarà suddivisa in due fasi: la prima comune a tutti i partecipanti con focus legati al Project Management, alle Soft Skills e agli Economics aziendali. La seconda vedrà Cybersecurity Engineer e System Engineer coinvolti in due diversi percorsi di specializzazione professionale nei mondi del Networking e della Security By Design e nell’ambito dei sistemi operativi, come Windows Server e Linux. Cuore e valore aggiunto della Dedagroup Digital Academy è il percorso di training on the job, durante il quale i partecipanti potranno sperimentare sul campo la realtà lavorativa, interagendo con i colleghi nel quotidiano e scoprendo come nascono e si sviluppano le soluzioni software e i servizi Made in Italy di Dedagroup. Un ruolo chiave, in questo percorso, è svolto dalle Deda People che saranno coinvolte sia durante le sessioni teoriche, sia in qualità di coach nella fase di training on the job, promuovendo il trasferimento di know-how e la diffusione di valori, cultura ed esperienze: tutti elementi importanti per conoscere al meglio il proprio ruolo e assolverlo con passione, perché il successo di un’organizzazione si misura anche sulla soddisfazione delle sue risorse. I giovani che prenderanno parte alla Dedagroup Digital Academy – Cyber & Operative Systems Edition entreranno infatti a fare parte di un Gruppo che, oltre alla crescita delle proprie persone, ha a cuore il loro benessere e che è consapevole del proprio ruolo nel migliorare la società in cui opera. Durante il suo percorso di sviluppo, Dedagroup ha perseguito l’obiettivo dell’impegno sociale, proprio nella convinzione che la competitività si debba indissolubilmente accompagnare alla sensibilità etica e alla crescita sostenibile: principi, questi, che fanno saldamente parte della sua cultura aziendale. Recentemente, Dedagroup ha ottenuto la certificazione etica SA8000, la prima norma riconosciuta a livello mondiale che attesta l’implementazione di un’efficace Sistema di Gestione della Responsabilità Sociale nell’ambito dei diritti dei lavoratori e del loro benessere in azienda. Il Gruppo si impegna così a rispettare i più rigorosi standard di condotta etica e professionale nei confronti dei propri dipendenti, collaboratori e di tutti i referenti.

Censis: ecco l’Italia di oggi, malinconica e con la paura della guerra

rapporto censis italiani guerra inflazione bollette

AGI – Un’Italia malinconica, agitata dalla paura della guerra e dall’inflazione, che costringe a erodere i risparmi e pagare le bollette in ritardo. Questo il ritratto che emerge dal cinquantaseiesimo rapporto Censis sulla situazione sociale di un Paese che, si legge nel testo, “vive in uno stato di latenza”.

“Il nostro Paese, nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà, non regredisce grazie allo sforzo individuale, ma non matura”, sottolinea l’istituto, osservando che “l’Italia non cresce abbastanza o non cresce affatto” e “la macchina amministrativa pubblica è andata fuori giri e così non sarà in grado di trainare la ripresa”.

Un italiano su quattro a rischio povertà o esclusione

Nel 2021 gli individui soggetti al rischio di povertà o di esclusione sociale sono pari al 25,4% della popolazione, ovvero oltre uno su quattro. Gli individui a rischio di povertà o esclusione sociale sono per il 41,2% residenti nel Mezzogiorno (a fronte del 21% nel Centro, del 17,1% nel Nord-Ovest e del 14,2% nel Nord-Est), per il 33,9% sono appartenenti a famiglie in cui il reddito principale è quello pensionistico (a fronte del 18,4% e del 22,4% appartenenti a famiglie con reddito principale da lavoro dipendente o da lavoro autonomo) e per il 64,3% sono membri di famiglie che percepiscono ‘altri redditi’, dei quali 56,6% si qualifica anche come individuo a bassa intensità lavorativa.

Infine viene nuovamente superata la soglia del 40% nel caso di individui appartenenti a famiglie dove almeno un componente non è italiano (42,2%) o dove vivono tre o più minori (41,6%).

Nel 2021 le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,5% del totale: un milione in più rispetto al 2019.

L’inflazione aumenta le disuguaglianze

Gli italiani temono la corsa dell’inflazione: oltre il 64% sta già mettendo mano ai risparmi per far fronte all’impatto dei rincari dei prezzi.

La quasi totalità degli italiani, il 92,7%, è convinta che l’accelerata dell’inflazione durerà a lungo e che bisogna pensare subito a come difendersi. Il 76,4% pensa che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari nel prossimo anno, il 69,3% teme che nei prossimi mesi il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi) e ben il 64,4% sta ricorrendo ai risparmi per fronteggiare l’inflazione.

L’indice armonizzato dei prezzi al consumo, ricorda il Censis, è aumentato nel primo semestre del 2022 del 6,7% rispetto al primo semestre del 2021. Nello stesso periodo, le retribuzioni contrattuali del lavoro dipendente a tempo pieno sono aumentate solo dello 0,7%. Ma l’inflazione non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali: le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8%, mentre per le famiglie più agiate l’aumento è del 6,1%, quasi 4 punti percentuali in meno.

Questo divario discende dalla diversa dinamica dei prezzi dei beni (alimentari e per la casa su tutti) che pesano in particolare sul carrello della spesa delle famiglie meno abbienti. Nell’ultimo periodo, tra il 2012 e il 2021, l’andamento dei prezzi riflette le conseguenze di una fase tendenzialmente deflattiva per l’Italia (in media 0,7% annuo), caratterizzata soprattutto da una moderazione salariale che ha di fatto rimosso qualsiasi rischio di innesco della spirale prezzi-salari. Ma, secondo il Censis, gli attuali livelli di inflazione – con punte di rialzo dei prezzi dei beni alimentari intorno all’11%, senza contare gli incrementi del 50% dei beni energetici – potrebbero incidere profondamente sul potere d’acquisto delle famiglie.

Lo spettro della crisi energetica

La crisi energetica è la principale fonte di preoccupazione per le famiglie italiane, emerge ancora dal rapporto: per il 33,4%, e la percentuale arriva al 43% tra le famiglie in una bassa condizione socio-economica, le più colpite dall’aumento dei costi incomprimibili.

Il 6,5% delle famiglie italiane era in ritardo con il pagamento delle bollette (dato in linea con la media europea) nel 2021. Ancora più numerosi sono coloro che affermano di non riuscire a riscaldare adeguatamente la propria abitazione: l’8,1% delle famiglie, un dato superiore di 1,2 punti percentuali al dato europeo.

Il timore di una guerra mondiale

Il 61,1% degli italiani teme che possa scoppiare un conflitto mondiale e il 57,7% che l’Italia possa entrare in guerra, si legge nel rapporto, secondo il quale il 66,5% degli italiani, 10 punti percentuali in più rispetto al 2019 pre-Covid, si sente insicuro.

I principali rischi globali percepiti sono: per il 46,2% la guerra, per il 45,0% la crisi economica, per il 37,7% virus letali e nuove minacce biologiche alla salute, per il 26,6% l’instabilità dei mercati internazionali, dalla scarsità delle materie prime al boom dei prezzi dell’energia, per il 24,5% gli eventi atmosferici catastrofici, come temperature torride e precipitazioni intense, per il 9,4% gli attacchi informatici su vasta scala.

“Finita l’era delle sicurezze, prevale il nichilismo”

“La malinconia definisce il carattere degli italiani, il nichilismo. E’ la fine dell’era dell’abbondanza e delle sicurezze”, ha detto Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, nel corso della presentazione del rapporto. Una malinconia, ha spiegato, che “corrisponde alla coscienza della fine del dominio dell’Io sugli eventi del mondo, l’Io che è costretto a confrontarsi con i propri limiti quando è costretto a relazionarsi con il mondo”. Situazione che deriva da questi ultimi 3 anni “straordinari” che hanno visto eventi eccezionali che vanno dalla pandemia alla siccità fino al caro bollette e alla guerra, “i grandi eventi della storia che si è rimessa in moto e con cui dobbiamo relazionarci”.

“Se quella del 2020 non sembra un’Italia sull’orlo di una crisi di nervi – ha concluso – oggi invece si paga un prezzo dell’irruzione della storia nelle nostre piccole storie e quei meccanismi proiettivi hanno perso presa sulla società e forza di orientamento nei comportamenti collettivi”.

Paese di Neet, non di laureati Italia più distante dall’Europa

In Italia i giovani che non studiano e non lavorano, i Neet, aumentano a un ritmo maggiore rispetto ai laureati.

E questo alimenta il circolo vizioso della povertà educativa che diventa anche povertà economica. L’allarme sul futuro delle nuove generazioni, peraltro non nuovo, è stato rilanciato ieri da Save the children e Fondazione Agnelli, che hanno presentato i dati di “Uno sguardo sull’istruzione” elaborati dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che comprende 38 Paesi.

Fra il 2000 e il 2021, in Italia il tasso di laureati tra la popolazione fra i 25 e i 34 anni è passato dal 10 al 28% (+18%), avanzando più lentamente rispetto alla media Ocse del 21%. Il nostro resta, quindi, uno dei 12 Paesi dell’Organizzazione in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia d’età.

Invece, complice anche la pandemia, la quota di Neet è cresciuta a ritmi vertiginosi, passando dal 31,7% del 2020 al 34,6% del 2021. In pratica, in Italia oltre un adulto su tre, fra i 25 e i 29 anni, non ha un lavoro e non è nemmeno inserito in un percorso scolastico o formativo in generale. Rischiando, annota l’Ocse, «di avere risultati economici e sociali negativi a breve come a lungo termine». Ecco perché, come osservato dal direttore della Fondazione Agnelli, An-drea Gavosto, «studiare conviene per avere un lavoro e retribuzioni migliori», ma anche per assicurarsi «una maggiore partecipazione alla vita civile e capacità di comprendere l’altro». Un vantaggio che, ancora una volta, in Italia è comunque minore rispetto alla media Ocse. Mentre negli altri Paesi sviluppati, un laureato, nel corso della vita lavorativa, guadagna il doppio di chi non ha un titolo di studio terziario, da noi questo vantaggio, che in ogni caso rimane, si riduce però al 76% in più.

Anche per far crescere il numero di laureati e comprimere quello dei Neet, è necessario investire di più in istruzione. Mentre in media i Paesi Ocse, nel 2019, hanno investito nella scuola (dalla primaria all’università) il 4,9% del Pil, da noi questa quota è ferma al 3,8%. In generale, mentre in Italia la spesa pubblica per l’istruzione è pari al 7,4% del totale, la media Ocse è del 10,6%. «Sono questi i temi che dovranno essere messi in agenda dal prossimo governo», ha sottolineato la direttrice Programmi Italia-Europa di Save the children, Raffaela Milano, evidenziando la «drammatica crescita dei giovani Neet».

Secondo il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, «il punto più delicato sono le medie». Tema che l’esecutivo aveva messo in agenda «ma avevo bisogno di altri sei mesi», è il rimpianto del (quasi) ex-titolare di viale Trastevere.

Tra tanti punti deboli, l’Ocse nel suo rapporto annuale, mette in luce anche un lato positivo del pianeta scuola in Italia. Fra questi, primo fra tutti l’elevata percentuale di bimbi fra i 3 e i 5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia (92%), un dato che colloca il nostro Paese al di sopra della media Ocse, anche se bisogna ricordare che il monte ore di insegnamento dell’Italia è inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1.071 ore), con una minore offerta oraria nelle regioni meridionali. Uno svantaggio territoriale osservato anche per quanto riguarda l’offerta di tempo pieno alle scuole primarie, «con le regioni del Sud in netto svantaggio rispetto a quelle del Nord».

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In 20 anni i laureati sono cresciuti del 18%. In un solo anno gli adulti che non studiano e non lavorano sono passati dal 31,7 al 34,6%: uno su tre

Nell’intreccio delle storie dei “vecchi” e “nuovi” poveri, il lavoro – perso, da trovare, da mantenere – occupa comprensibilmente un posto centrale

Uno dei paradossi del mercato del lavoro attuale è che se, da una parte, non manca l’offerta di lavoro qualificato, dall’altra, coloro che cercano lavoro non hanno le competenze minime necessarie per poter accedere ai lavori offerti.

Le politiche di welfare messe in campo nell’ultimo decennio – dal SIA (Sostegno all’inclusione attiva) al Reddito di cittadinanza – si sono basate sul buon proposito di indirizzare i sussidi in una prospettiva di avviamento al lavoro, collegandoli in forma quasi sinallagmatica alla ricerca attiva del lavoro o, quantomeno, a qualche forma di lavoro di pubblica utilità.

Ai buoni propositi non hanno fatto seguito misure e strumenti adeguati, riducendo i sussidi a mere misure assistenziali, con le storture e le truffe a corollario, tanto che, nell’opinione pubblica, prevale la convinzione che essi si siano trasformati di fatto in incentivi a rifiutare offerte lavorative.

I limiti di questo approccio sono stati ancora più evidenti sulle persone in condizioni di fragilità per vicende familiari (lutti, separazioni, violenze), di salute fisica e psichica, dipendenze, assenza/perdita del permesso di soggiorno ecc. che vanno a sommarsi all’assenza di competenze professionali di base, alla non padronanza della lingua italiana – non solo negli stranieri, ma anche negli autoctoni a bassa scolarizzazione –, assenza di conoscenze informatiche, destinate a una marginalità difficilmente recuperabile in un mercato del lavoro caratterizzato da selettività e produttività.

Se a queste si aggiungono anche la condizione di “senzafissadimora” (i dormitori sono aperti dalla sera alle 19 al mattino alle 9, lasciando alla strada, all’alcol e al resto le ore diurne in strada) o di persone in uscita dal carcere o da comunità terapeutiche il numero di quanti “non ce la possono fare” aumenta sensibilmente.

Una ricerca su traiettorie di vita, relazioni e lavoro nella coop Sammartini
È per supportare queste persone che è nata nel 1989 la cooperativa Sammartini, che dal 1990 opera in un capannone a Crevalcore (BO), dove vengono fatte le lavorazioni più complesse che richiedono l’uso dei macchinari e, dal 2002, ha aperto una succursale presso la parrocchia di Sant’Antonio alla Dozza a Bologna dove vengono eseguite lavorazioni più semplici, impiegando 11 dipendenti e circa 25 tirocinanti.

Ed è alle persone che operano all’interno della sede bolognese della coop che è rivolta l’osservazione del gruppo di ricerca Insight che ne ha raccolto gli esiti nel volume “In bilico. Una ricerca su traiettorie di vita, relazioni e lavoro” edito da Zikkaron[2].

L’osservazione è stata condotta da un gruppo di ricerca nato all’interno dell’Associazione Insight che si propone “di osservare, studiare, interrogare e dialogare, incontrare e coinvolgere realtà umane e sociali, con un’attenzione particolare ai contesti liminali e periferici”.

L’interesse dei ricercatori, come esplicitato già nel titolo, non è rivolto a valutare l’efficacia degli inserimenti lavorativi utilizzando dati quantitativi sulla produttività o indicatori di risultato quali gli inserimenti effettuati all’interno o all’esterno ecc., ma sceglie deliberatamente di raccogliere le storie di vita delle persone, con “la metodologia dell’ascolto attivo e in dialogo costante con le persone, i luoghi, le situazioni”.

L’osservazione nei luoghi di lavoro, sin dalle ricerche pionieristiche di Mayo degli anno ’20 del secolo scorso, non è esente dal cd ”effetto Hawthorne” (l’osservazione interagisce con la motivazione alla produttività), ma gli obiettivi, le metodologie e le relazioni intrecciate in un anno di osservazione partecipante del gruppo di ricerca – alcuni di essi hanno lavorato come volontari nella coop – sono state rivolte al vissuto delle persone intervistate e ci restituiscono un luogo di lavoro sentito come “riabilitante”, che aiuta a rammentare ferite e fratture, ad accettare i limiti propri e altrui.

Quel che emerge dalla ricerca è la combinazione di una serie di ingredienti (un atteggiamento “datoriale” paziente e benevolo, più di servizio che di comando, ma comunque sentito come autorevole, attento ai bisogni e alle difficoltà; offrire momenti di convivialità e attività ricreative e culturali nel tempo libero, il supporto nel rapporto con i servizi, nella ricerca di casa, la tolleranza verso discontinuità, la mediazione dei conflitti…), che rendono l’ambiente di lavoro un ambiente sentito come vitale, dove spesso si procede per tentativi ed errori, successi e fallimenti, ma comunque capace di cura e di attenzione a tutte e a tutti, cogliendone le difficoltà e orientandole verso forme e tempi di lavoro compatibili con le fragilità di ciascuna e ciascuno, incidendo positivamente, in alcuni casi in maniera significativa, sulle traiettorie di vita e sulle relazioni dentro e fuori l’ambito lavorativo.

Sia detto, per inciso, che la cooperativa ha come committenti anche imprese industriali importanti e la produttività intesa come qualità delle lavorazioni e rispetto dei tempi di consegna viene miracolosamente raggiunta e garantita in un contesto apparentemente poco produttivo.

Virtù teologali in contesto
Fabrizio Mandreoli, che ha coordinato la ricerca con Giorgio Marcello, nel ripercorrerne metodologie e strumenti, introduce alcune riflessioni di “teologia contestuale” che scaturiscono dall’osservazione, arricchendola di un punto di vista insolito, ma non peregrino, che mette in «connessione la vicenda delle persone che vivono in contesti marginali, non visibili e lo sguardo teologico sulla realtà».

Raccogliendo questa “provocazione”, si potrebbe provare a rileggere la ricerca alla luce delle classiche virtù teologali.

Che cosa c’entra la fede? Anche se resta sullo sfondo, cionondimeno emerge qua e là la matrice religiosa della cooperativa, come pure dell’associazione Insight, ed è interessante rilevare che, nella cooperativa come nel gruppo di ricerca, sono presenti cattolici, cristiani di altre chiese, musulmani e non credenti. Ha qualche rilevanza questa matrice sul modus operandi e nelle relazioni delle persone raccolte intorno alla cooperativa e che essa sia “espressione di una comunità monastica dove il Vangelo, e più in generale le Sacre Scritture, sono asse portante”?

È noto il rilevante ruolo sussidiario che le articolazioni caritative della Chiesa e delle congregazioni religiose, come pure il variegato mondo dell’associazionismo cattolico, hanno svolto e svolgono a supporto degli interventi sociali pubblici, soprattutto nel farsi carico degli ultimi fra gli ultimi, di quelle fragilità per le quali la multidimensionalità delle “sfighe” rende difficoltose e scarsamente adeguate le prestazioni standard offerte dal welfare istituzionale.

Dalle storie raccolte emergono invii dai servizi alla cooperativa di persone che, per varie vicende, risultano refrattarie agli interventi socio-assistenziali erogabili e non hanno i requisiti, le forze per l’avviamento al mercato del lavoro.

E, in questo, sicuramente c’entra molto la carità. La carità libera da ogni incrostazione caricaturale che l’hanno resa pelosa, la carità che non si limita a nutrire i poveri – anche se la storia del cristianesimo è ricca di donne e uomini che hanno “sperperato” i propri beni per soccorrere i poveri – ma che supporta tutte le persone perché ne riconosce la dignità e il valore di creature.

Ed è questo supplemento d’anima che rende possibile costruire e sperare un ambiente vitale alternativo a quello dei modelli di welfare anche avanzati e che diventa, nella pratica, critica dei modelli assistenziali e delle “capacitazioni” alla produttività e alla competitività.

È la carità che non si rallegra dell’ingiustizia, che tutto sopporta, non come rassegnazione passiva alle ingiustizie e alle diseguaglianze esistenti, ma perché animata dalla speranza in un regno di giustizia che si prende cura di tutte le creature, con le loro fragilità, le ferite, le miserie ed errori, le inabilità fisiche e psichiche e a ciascuna provvede con un salario svincolato da orari e produttività.

«Un giorno qualcuno ha detto “i poveri li avrete sempre con voi” non certo per rassegnarsi al peggio, ma per “inventare” con umana attenzione e dedizione, qualcosa che aiuti a vivere, a respirare, a sperare; perché ci si possa guardare in faccia senza paura, senza vergogna, senza sottintesi amari, ma con quella volontà di bene che è in definitiva espressione dell’unica resistente e convincente e coraggiosa speranza».

Questo “inno alla speranza” di Paolino Serra Zanetti, prete bolognese amico dei poveri, potrebbe essere la descrizione sintetica delle esperienze promosse e sviluppate e delle aspirazioni di quanti operano e vivono nella cooperativa Sammartini.

[1] http://www.settimananews.it/teologia/per-una-teologia-dal-basso/

[2] https://www.zikkaron.com/
Settimana News

LA TENDENZA Il boom degli imprenditori 70enni

Studio Unioncamere-Infocamere: sono sempre meno i giovani ai vertici delle imprese

Nell’Italia che invecchia anche ai vertici delle imprese ci sono sempre più anziani e meno giovani. Da un’indagine sulle “persone con cariche” nelle imprese realizzata Unioncamere e Infocamere emerge che tra il 2012 e il 2021 le persone con più di 70 anni che ricoprono ruoli centrali nelle aziende (titolari, soci, amministratori o altre cariche di alto livello) sono aumentate del 27,4%, passando da circa 1 milione a quasi 1,3 milioni. Anche la classe di età successiva, quella dei 50-60enni, è in crescita ai vertici aziendali: il sistema delle Camere di commercio registra un aumento del 17,1%, a 4,3 milioni di persone. Crollano invece le generazioni più giovani. Le persone con cariche di età compresa tra i 30 e i 49 anni tra il 2012 e il 2021 sono diminuite del 28%, da 4,4 a 3,2 milioni, mentre quelle con meno di 30 anni segnano un -25,9%, scivolando da 500mila a 370mila persone. Stabile la presenza femminile tra le ‘persone con cariche’: le donne erano il 27% nel 2012 e sono salite appena, al 27,8%, nel 2021. Il numero complessivo di persone coinvolte nei vertici aziendali secondo i dati dell’indagine è di poco superiore ai 9 milioni (dentro ci sono ovviamente tutti gli autonomi, che fanno il ‘grosso’ del gruppo).

Colpisce come questa dinamica di invecchiamente non riguardino solo le posizioni più di rappresentanza, come quella del titolare o socio di un’impresa, che non è tenuto a lavorare a pieno ritmo per l’azienda. Tra gli amministratori, che hanno la gestione operativa delle società, l’invecchiamento è anche più rapido. Alla fine dei dieci anni analizzati dall’indagine, l’Italia si trova con 200mila amministratori d’impresa in più con un’età superiore ai 70 anni: sono 613mila e sono aumentati del 45,9%. Gli amministratori più giovani, con meno di 30 anni, sono solo 50mila (42,8%) mentre i 30-40enni sono 1,2 milioni, in calo del 23,4% tra il 2012 e il 2021. Aumentano, invece, gli amministratori 50-60enni, che passano da 1,5 a 1,9 milioni (+24,3%).

Unioncamere non nasconde che la situazione è allarmante. «Il forte calo di giovani alla guida delle imprese, causato anche dall’invecchiamento della popolazione, pone un serio problema di passaggio generazionale dell’imprenditoria italiana che va affrontato in modo deciso» avverte il presidente Andrea Prete, che spiega: avere pochi giovani ai vertici «rischia di rallentare il processo di modernizzazione in corso del modo di fare impresa in Italia cogliendo i vantaggi legati alla transizione 4.0». (P. Sac.)

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L’allarme del presidente Prete: «Viviamo un serio problema di passaggio generazionale»

I consigli. Ecco come investire su di sé e sulla propria carriera

Formazione continua, competenze “soft” e trasferibili, fare esperienze internazionali, farsi notare da Hr, gestire la paura del cambiamento. Un manuale per imparare l’autopromozione
La formazione è necessaria per migliorare la propria carriera

La formazione è necessaria per migliorare la propria carriera – Archivio

da Avvenire

L’estate è anche l’occasione utile per stilare un bilancio sulle proprie competenze, sul proprio lavoro e sulle prospettive di crescita personali e professionali. Fare carriera, oltre a una solida motivazione e alla giusta dose di ambizione, richiede la costruzione di un percorso che tenga conto di diversi aspetti. Non si tratta, infatti, solo di prefigurare i vari passaggi in termini di obiettivi e tempi in cui raggiungerli. La pianificazione deve includere aspetti da sviluppare nel tempo per arricchire il bagaglio professionale, esperienziale e di conoscenze. Wyser, brand globale di Gi Group Holding che si occupa di ricerca e selezione di profili di middle e senior management, ha stilato un vademecum di cinque consigli per dare uno sviluppo alla carriera. Eccoli:
1. Crescere senza invecchiare: il segreto è la formazione continua
Il luogo comune secondo cui “nella vita non si smette mai di imparare” si potrebbe tradurre in una sorta di imperativo per quella professionale: “nel percorso di carriera non si deve mai smettere di imparare”. La transizione al digitale, l’applicazione in generale di nuove tecnologie trasversalmente a tutti i settori, modificano il modo di lavorare e le competenze richieste per moltissime figure o addirittura fanno emergere lavori e ruoli nuovi. Curiosità e aggiornamento continuo sono vantaggi competitivi per restare attrattivi sul mercato del lavoro.
2. Competenze “soft” e trasferibili: un passepartout per opportunità in tutti i settori
In un mercato del lavoro caratterizzato da un forte skill-shortage, le aziende tendono ad attingere anche a settori differenti da quello del proprio business per trovare risorse. Abbiamo già accennato alle abilità digitali, che sono un ibrido tra hard e soft skill, come competenze trasversali e oggi ormai richieste in tutti i settori. Allo stesso modo, sono considerate trasferibili e quindi sfruttabili in diversi ambiti, anche tutte quelle le competenze meno “hard” e più marcatamente manageriali – time management, comunicazione efficace, qualità di leadership e gestione del team, saper lavorare per obiettivi, capacità di “far accadere le cose”. È più complesso sintetizzare le soft skill all’interno del proprio cv, mentre è opportuno valorizzarle in fase di colloquio attraverso esempi di scenari in cui si è chiaramente dimostrato di possedere le abilità in questione.
3. Fare un’esperienza in un contesto internazionale
Padroneggiare una lingua differente dalla propria e la conoscenza di un mercato estero sono certamente vantaggi competitivi sul mercato del lavoro. Ma fare un’esperienza professionale in un contesto internazionale e multiculturale offre soprattutto la possibilità di allargare i propri orizzonti entrando in contatto con culture del lavoro differenti e di mettere alla prova la capacità di adattamento, diventando poi promotori di cambiamento.
4. Curare il network e farsi notare da Hr e head hunter
Costruire una rete di relazioni professionali solide, basate sulla stima e il rispetto reciproco, consente di avere un sostegno quando si presenta una candidatura per fare carriera all’interno della propria azienda, ma anche di poter contare su referenze qualificate quando si affronta un colloquio per una nuova posizione.
Il networking non deve però limitarsi a colleghi e clienti, ma includere anche i professionisti che si occupano della ricerca e selezione. Essere nella rete di relazioni professionali di responsabili delle risorse umane e head hunter, aiuta ad essere sempre informati sulle opportunità emergenti e, talvolta, ad essere presi in considerazione per ruoli di responsabilità anche a prescindere da una candidatura specifica.
5. Gestire la paura del cambiamento
Se da un lato un’opportunità nella direzione della crescita professionale è uno stimolo positivo, l’altra faccia della medaglia è la paura dei cambiamenti che questa comporta: le responsabilità di cui ci si carica, il necessario riassetto delle abitudini e dell’equilibrio vita-lavoro, un nuovo ambiente e team di lavoro, talvolta persino il cambio del settore di cui ci si occupa oppure città o Paese in cui si vive. É, perciò, necessario gestire la parte emotiva per evitare che preoccupazioni e paure sovrastino le spinte positive necessarie ad abbracciare il cambiamento, ricordando sempre che questo è parte integrante della nostra vita, sia professionale sia personale.
«La costruzione di un futuro di successo richiede il giusto mix tra pianificazione razionale dei vari step e gestione dei propri desideri e ambizioni – commenta Carlo Caporale, ad di Wyser –. La possibilità, per i manager di contare su una figura esperta che li guidi attraverso opportunità e cambiamenti che possono anche spaventare, può fare la differenza. Per questo in Wyser, consapevoli dell’impatto che il nostro lavoro ha sulla vita delle persone e delle organizzazioni, adottiamo una strategia di collaborazione orientata a relazioni di lunga durata, sia con i candidati, sia con le aziende. L’obiettivo finale è quello della creazione di valore per entrambi, oltre che per il mercato del lavoro».

Un manuale per imparare il personal branding

Cosa significa fare personal branding? Sbaglia chi pensa che sia un tema lontano dal quotidiano: ognuno di noi fa autopromozione ogni giorno, cioè si presenta e comunica chi è e cosa fa a colleghi, amici, superiori, familiari e, in questo modo, crea i ricordi che gli altri avranno di lui o di lei, le informazioni che richiameranno alla mente quando, per esempio, dovranno decidere a chi affidare un determinato incarico. Davide Caiazzo, “imprenditore seriale”, nonché il più seguito su LinkedIn in Italia, docente di LinkedIn e personal branding, spiega con un linguaggio sempre chiaro, diretto e molti esempi pratici, come prendere il controllo della propria immagine o di quella della propria azienda per migliorarla, farla emergere e farla ricordare nel modo più efficace. In poche parole: per attrarre business e lavoro. I segreti del personal branding è un manuale fondamentale per chiunque voglia crescere professionalmente mettendo a punto il proprio personal brand e imparando a comunicarlo nel modo più efficace: imprenditori, free lance, dipendenti. Che si vogliano aumentare i clienti, cambiare o trovare lavoro o migliorare in generale la propria reputazione professionale, il punto di partenza è definire e investire tempo e pensieri sul proprio personal brand. I social network, poi, moltiplicano enormemente la possibilità di mettere in evidenza il personal brand, le competenze, i talenti e le specificità di ciascuno: se comunicati in modo corretto, si trasformeranno in una sicura fonte di crescita e di successo. Il personal branding è un processo di sviluppo personale che consiste nel mettere a fuoco le qualità specifiche e uniche di ciascuno, puntando sulla verticalità: più sarà specifico il know how e il servizio offerto, unico e chiaro da capire, maggiore sarà il successo perché chi ha quella necessità si rivolgerà naturalmente a chi ha maggiore competenza. Nel libro Caiazzo insegna a trasformare questa specificità in valore: un approccio che deve essere sviluppato, promosso, trasmesso, curato per ottenere il massimo successo possibile.

I consigli. Ecco come trovare lavoro in estate

Prima di tutto serve una meticolosa preparazione per affrontare il colloquio. I modelli di orientamento efficaci. Quasi 40mila studenti e universitari raggiunti dalle iniziative di Gi Group
Per affrontare il colloquio serve la preparazione

Per affrontare il colloquio serve la preparazione – Archivio

In media, per ogni annuncio di lavoro che viene pubblicato sono oltre 250 i pretendenti che si candidano, ma solo sei di questi riusciranno poi ad accedere alla selezione finale. L’ultimo scoglio è rappresentato dal colloquio. Non ci sono particolari segreti per superarlo e farsi assumere. Basta un solo ingrediente: la preparazione. Anzi, una meticolosa preparazione. Questo è il consiglio principe degli esperti di Oliver James, la società che ha sviluppato un approccio alla ricerca del personale con al centro persone e dati. «Con l’arrivo dei mesi estivi, in particolare a partire da luglio, ma anche in agosto, si scatena nei lavoratori – spiega Pietro Novelli, Country manager Italia di Oliver James – la voglia di cambiare lavoro. Ma cercare un nuovo impiego è già un lavoro, che comporta una particolare attenzione se si vuole non solo emergere tra i tanti curriculum che la persona deputata alla selezione riceve quotidianamente, ma anche e soprattutto essere selezionati per il colloquio. E questa particolare attenzione si traduce in una sola parola che riunisce tutto quello che bisogna fare, ovvero essere preparati a tutto e in tutto». Andando con ordine, prima di iniziare la ricerca di un nuovo lavoro, bisogna assicurarsi di fare due azioni essenziali, banali e scontate, ma nonostante tutto quasi il 25% dei candidati le fa in modo incompleto: aggiornare il profilo Linkedin nonché il proprio cv con tutte le competenze, esperienze e qualifiche pertinenti. Importante che siano indicazioni precise e concise per non superare le 2-3 pagine di curriculum. «Per essere sempre pronti all’azione – consiglia Novelli – è bene aggiornare il curriculum ogni 3-6 mesi, questo è essenziale, anche se non si sta attivamente cercando lavoro per non farsi trovare impreparati a cogliere l’attimo in cui il lavoro dei nostri sogni bussi alla nostra porta». Sistemata la parte “documentale”, è il momento di passare al concreto con la ricerca di una nuova opportunità di lavoro, consultando gli annunci, e soprattutto leggendo bene le job description (sempre che non ci si affidi alle conoscenze e competenze di un professionista del recruiting). Una buona descrizione dovrebbe, innanzitutto, suscitare interesse, fornire la panoramica di base delle responsabilità lavorative e lasciar desiderare di saperne di più; continuando a leggerla, si dovrebbe capire la posizione lavorativa che si andrebbe a coprire, nonché lo stipendio e con chi si andrà a lavorare. «In caso queste informazioni non siano così chiare, meglio avvicinarsi con cautela all’impiego scelto. Occhio anche ai vari cliché che potete trovare in molte descrizioni dei lavori. È importante guardare più in profondità le richieste e tenere le antenne alzate davanti ad alcune parole civetta come “auto-avviamento”, “funzioni varie” o “stipendio competitivo”. «Una volta trovato l’annuncio che fa per noi e letto nei dettagli il ruolo richiesto, è il momento di personalizzare il curriculum – continua l’esperto – utilizzando le parole chiave che sono state messe in evidenza nell’annuncio, ovviamente dovranno essere coerenti con le proprie esperienze accademiche e professionali. Questo piccolo, ma davvero rilevante, accorgimento dimostrerà che il candidato ha prestato la massima attenzione nella lettura delle richieste e renderà più facile ottenere un colloquio, poiché i reclutatori e i responsabili delle assunzioni hanno pochi secondi per determinare se un candidato ha le competenze adeguate e un cv personalizzato non farà che aiutarli nella selezione». Adesso che si è riusciti a farsi selezionare per il colloquio, la maggior parte dei candidati pensa che il grosso del lavoro sia stato fatto e che la parte difficile sia finita. Niente di più sbagliato. Infatti, è proprio la mancanza di preparazione nel sostenere un colloquio che fa perdere l’occasione di essere scelti per un nuovo impiego. «La fase del colloquio – sottolinea Novelli – è il momento cruciale che separa il candidato dall’ottenere il lavoro che desidera. Al di là dei soliti consigli che si possono dare in questo caso, un’ottima idea è quella di fare una ricerca pre-colloquio dell’azienda per cui si vuole andare a lavorare. Non solo è importante conoscere la mission, la vision e i valori del potenziale datore di lavoro, ma anche controllare tutti i risultati chiave, come le informazioni finanziarie e le notizie più rilevanti che potrebbero essere utili per costruire un rapporto con l’intervistatore. Un altro consiglio tattico è quello, sempre che si conosca il nominativo del selezionatore, di controllare il suo profilo LinkedIn. Questo aiuterà a fare due chiacchiere iniziali per rompere il ghiaccio e aiuterà anche a distinguersi dalla concorrenza. Ma potrebbe essere anche un valido modo per “farsi largo” tra gli altri candidati, creando un contatto più diretto che funzionerebbe anche come memo. La stessa cosa la si può fare con la pagina LinkedIn dell’azienda, così da ottenere maggiori informazioni anche sulla cultura e sull’ambiente aziendale». Durante il colloquio, è necessario anche essere in grado di dimostrare di avere le giuste capacità che possano soddisfare i requisiti del lavoro. Importante assicurarsi di fare riferimento a come la propria esperienza e abilità si adattino alle specifiche del lavoro per cui ci si sta applicando, fornendo esempi chiari e specifici. Inoltre, la pandemia non solo ha sdoganato il lavoro da remoto, ma anche il colloquio in streaming, che è diventato ormai parte integrante del processo di selezione in molti casi. Per fare in modo che anche con questa modalità di selezione abbia successo, ci sono una serie di dettagli da prendere in considerazione. «Tre su tutti: prima di tutto – consiglia l’esperto – il luogo, che sia tranquillo, con sfondo neutro e con una bella illuminazione di luce naturale, se possibile. Poi, è davvero indispensabile il look. Il consiglio è quello di prepararsi come se si stesse andando a un colloquio faccia a faccia. Ancora meglio se si riesce a documentarsi sull’abbigliamento che si porta in azienda e adeguarsi di conseguenza. In alternativa, un abbigliamento sobrio e formale è sempre una scelta vincente. Last but not least, parlare direttamente alla fotocamera, così da creare un forte contatto visivo con il proprio interlocutore e dimostrare sicurezza». Che sia di persona o con una video intervista, per prepararsi al meglio al colloquio si possono organizzare anche delle interviste di prova con i propri amici o famigliari e, perché no, anche con un vero headhunter con cui confrontarsi per svolgere delle quanto più realistiche prove di colloquio ed essere più sicuri di sé durante quello con l’azienda.

Orientamento e modelli efficaci

L’orientamento è un anello di congiunzione fondamentale tra la scuola e l’Università e tra la scuola e il lavoro, ma non funziona bene come dovrebbe. Nel 2020, secondo i dati AlmaDiploma, solo il 9,8% dei liceali che hanno partecipato ad attività di orientamento organizzate dalle scuole ha definito decisamente adeguate le informazioni ricevute, e tale percentuale arriva al massimo al 24,7% e al 36,4% nel caso di istituti tecnici e professionali. Una discreta quota di studenti (tra il 22 e il 29%, in base al tipo di istituto superiore), inoltre, ha detto di aver scelto il percorso post-scolastico influenzato dai genitori, mentre meno del 20% ha giudicato rilevante il ruolo degli insegnanti nel processo decisionale. Come nota il Tortuga Brief Reports 2021 su Neet e Orientamento, la verità è che troppo spesso ai giovani non vengono forniti strumenti adeguati per compiere autonomamente la scelta del percorso di studi e di lavoro. Ciò si traduce in un aumento del rischio di abbandono scolastico, dei Neet (ovvero i giovani che non studiano né lavorano, che in Italia nel 2020 erano il 23,3%) e del livello di insoddisfazione e smarrimento dovuti a una scelta che si rivela non in linea con le reali aspirazioni dell’individuo. Secondo un’indagine Sodexo, ben il 38% degli studenti italiani non era soddisfatto della propria vita e il 46% non era felice del percorso accademico intrapreso. Sempre un rapporto di AlmaDiploma del 2018 dice inoltre che il 45% degli studenti italiani pensa di avere sbagliato la scelta della scuola superiore. Alcune scuole hanno sperimentato software che, tramite algoritmi predittivi, suggeriscono agli studenti un percorso di carriera sulla base di presunte preferenze e abilità, ma è un’opzione che ha limiti e criticità ed è ben lontana dall’essere una soluzione al problema. Il Governo stesso sta attualmente lavorando, all’interno del Pnrr, a una riforma dell’orientamento. «Il punto è allenare i giovani a scegliere – commenta Pietro Cattorini, co-fondatore di Discerno, studio indipendente di orientamento alla scelta in ambito professionale e formativo -. Viviamo in una società in cui abbiamo una possibilità di accesso alle informazioni senza precedenti. Bastano pochi minuti per conoscere quali sono le migliori facoltà di legge o le migliori cucine in cui posso fare esperienza come chef… Eppure, la stragrande maggioranza delle proposte di orientamento che vengono dalle scuole sono comunque di tipo informativo o magari di matching tramite test. Fornire informazioni qualificate è ovviamente importate, ma allo stesso tempo va notato che, pur aumentando l’accesso a questi dati, i numeri di Neet e abbandono scolastico non cambiano». Da qui l’idea alla base di Discerno: strutturare una proposta di orientamento radicalmente diversa. Non di tipo informativo, «ma che alleni la facoltà di conoscere sé stessi, di mettere a fuoco cosa piace e non piace, di riconoscere e argomentare la propria visione del mondo e il proprio punto di vista… Tutte cose che, in un mondo del lavoro che cambia, costituiscono una cassetta degli attrezzi necessaria per compiere anche in futuro scelte coerenti con se stessi e non spinti dai trend o dalle aspettative degli altri». Nato nel 2022 a Milano, Discerno è formato da una equipe interdisciplinare di psicoterapeuti, studiosi e specialisti di orientamento che sta integrando i modelli più validati nel campo della psicologia dinamica, dell’etica filosofica e della vocational psychology. Il percorso individuale proposto, che si basa su un approccio scientifico e interdisciplinare e consiste in 6-10 incontri in presenza oppure online, ha lo scopo di allenare la capacità del soggetto di riconoscere le proprie caratteristiche peculiari, il proprio sistema di valori e aspirazioni più autentiche, e di usare questa consapevolezza come bussola per orientarsi nelle scelte della vita. «Il percorso che proponiamo è abbastanza strutturato e breve, ma ha al centro una relazione maieutica. Quindi con un’impostazione molto più legata alle tradizioni personalistiche del pensiero umanistico europeo piuttosto che alla standardizzazione dei modelli americani di orientamento», conclude Cattorini.

Le iniziative di Gi Group

Sono stati 556 gli eventi creati da Gi Group che hanno raggiunto circa 40mila studenti e universitari con attività di orientamento e formazione nell’anno scolastico 2021-2022. Gi Group è da sempre impegnata nell’accompagnare e orientare studenti e universitari alla scoperta del mondo del lavoro, affiancandoli nella scelta del percorso professionale e favorendo l’incontro con le Aziende che cercano talenti per lo sviluppo dei propri team e il dialogo tra scuola e impresa. Un ruolo sempre più cruciale in un Paese come l’Italia, oggi fanalino di coda in Europa per il tasso di Neet: un giovane su quattro. A fronte però di un mismatch tra domanda e offerta di lavoro che cresce e oggi è pari circa al 40% (media nazionale). Per coinvolgere maggiormente le nuove generazioni Gi Group ha sviluppato una serie di iniziative, oltre ai tradizionali Career Day:

Orientation Day
Lezioni interattive e simulazioni per imparare a muovere i primi passi nella ricerca del lavoro. Attraverso i singoli moduli di orientamento gli studenti vengono supportati nel loro percorso con incontri strutturati in aula e virtuali.

Technical Gi Day
Giornate di orientamento che alternano interventi di aziende a momenti di gaming, workshop e colloqui sia in presenza che su piattaforme virtuali.

Work Master
Laboratori pratici che permettono di acquisire, in maniera modulare, competenze propedeutiche al mondo del lavoro: dal digitale alle lingue, dalla ricerca attiva alla sicurezza.

Inoltre, quest’anno, Gi Group si è avvalsa della partnership con Stepsconnect.com, piattaforma digitale interattiva che utilizza la gamification e permette di seguire percorsi di orientamento e formazione e di accedere a veri e propri vivai aziendali, mentre ancora si sta studiando. E a tal proposito nel 2022 Gi Group si è misurata con il mondo degli eSports lanciando il progetto Good Game, Boosta il tuo futuro, organizzato in partnership con 2WATCH, un’esperienza a 360° per avvicinare la GenZ e i gamer al mondo del lavoro. Non solo puro gaming, l’esperienza di gioco diventa uno strumento di espressione e consente ai più giovani di sviluppare una serie di competenze che possono fare la differenza anche nel mondo del lavoro. Tra le altre partnership per supportare gli studenti in procinto di conseguire il diploma di maturità, anche quelle con La Fabbrica, leader nell’ideazione e nello sviluppo di percorsi di comunicazione educativa e formativa, e Skuola.net, il media e piattaforma edtech leader per audience fra gli studenti italiani, con cui Gi Group ha pensato una livechat per approfondire il mondo degli Its e Ifts, illustrare le valide alternative al percorso universitario e orientare migliaia di diplomandi nella scelta del proprio futuro in maniera consapevole. Infine, anche quest’anno ha riproposto il format #GiWorkOut, degli allenamenti attraverso interviste e webinar con i protagonisti dello sport italiano. Durante i webinar, i partecipanti hanno potuto approfondire, attraverso la metafora dello sport, le competenze più richieste dalle aziende, i metodi di crescita e i valori fondamentali sul campo così come nel lavoro. Inoltre, hanno ricevuto numerosi suggerimenti su come affrontare in maniera consapevole la fatidica scelta da prendere alla fine del percorso di studi. 

1 maggio. Scarso, incerto e sempre più fragile: il lavoro fa festa tra mille problemi

I sindacati tornano in piazza ad Assisi dopo due anni di eventi annullati per la pandemia. Nel frattempo è arrivata la guerra, nuova minaccia sulle prospettive di chi lavora
Scarso, incerto e sempre più fragile: il lavoro fa festa tra mille problemi

I sindacati tornano in piazza per la festa del lavoro dopo due anni di assenza per cause di forza maggiore. Due anni in cui molte cose sono cambiate e purtroppo in peggio: la pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo hanno aperto una crisi profonda nel sistema economico e occupazionale. Il lavoro è diventato sempre più fragile, con la precarietà e la flessibilità diventate l’unica porta d’accesso per i giovani e le donne, e sempre più povero con l’inflazione che erode i salari di operai ed impiegati. Nel frattempo anche le modalità sono cambiate con l’introduzione massiccia dello smart working e la necessità di bilanciare presenza e competenze digitali.I confederali si sono dati appuntamento ad Assisi per lanciare un messaggio di speranza per la popolazione ucraina – lo slogan della manifestazione è «Al lavoro per la pace» –, ma anche per ribadire che occorrono interventi immediati per ri-dare dignità al lavoro. Il primo passo è un aumento dei salari, con il rinnovo dei contratti nazionali scaduti per sette milioni di persone, la lotta alla precarietà e interventi mirati sulla sicurezza. Dal palco i tre segretari generali, Luigi Sbarra della Cisl, Maurizio Landini della Cgil e Pierpaolo Bombardieri della Uil chiederanno al governo di dare risposte chiare in tempi brevi per evitare una nuova ondata di povertà. Anche alla luce della frenata dell’economia nel primo trimestre dell’anno con il Pil in retromarcia (-0,2%) sul trimestre precedente e una revisione al ribasso delle stime di crescita per l’anno in corso.

L’ultimo rapporto Eurostat relativo al 2021 conferma il considerevole ritardo dell’Italia (penultima dopo la Grecia) in termini di occupazione complessiva (58,2%) e soprattutto femminile (49,4%) con un divario di 14 punti rispetto alla medio europea. Gli inattivi sono il 34% della popolazione e un giovane su quattro al di sotto dei 25 anni è disoccupato. La ripresa dell’occupazione che pure c’è stata dopo la frattura del 2020 è stata trainata quasi esclusivamente dai contratti a termine. I lavoratori a tempo determinato sono 3,2 milioni (650mila in più rispetto a dieci anni fa) e rappresentano il 14% del totale. Altra stortura del sistema la diffusione del part-time, spesso involontario, che è salita al 19,8%.Ma il dato che preoccupa di più è in questo momento l’effetto dell’inflazione che corre ad un ritmo vertiginoso e manda in fumo il potere d’acquisto delle famiglie. Censis e Ugl proprio in occasione del 1 maggio hanno fotografato l’evoluzione degli ultimi dieci anni calcolando che il valore reale delle retribuzioni in Italia è crollato dell’8,3%. Alla categoria dei “working poors” appartengono il 13,3% degli operai e il 7,6% degli indipendenti. Il 30% dei giovani è sottopagato (vale a dire ha una busta paga inferiore ai 953 euro per il full-time e ai 533 per il part-time). Il Paese è attraversato da divari che si fanno sempre più profondi oltre a quello di genere con le donne che guadagnano il 37% in meno dei colleghi e a quello generazionale, altrettanto marcato, c’è la questione geografica con il Mezzogiorno in forte ritardo.

Avvenire

La classifica. Ecco i migliori posti dove lavorare in Italia

Eletti da oltre 94mila dipendenti. Le 60 aziende sono state suddivise in quattro categorie in base al numero di collaboratori
La classifica dei migliori posti di lavoro in Italia

La classifica dei migliori posti di lavoro in Italia – Great Place to Work Italia

Sono 60. Sono state elette dai propri collaboratori. Per arrivare alla stesura della classifica dei migliori posti di lavoro sono state analizzate per un anno 210 aziende, ascoltate 94mila persone e raccolti 70mila commenti: questi sono solo alcuni dei numeri che contraddistinguono l’operato di Great Place to Work Italia, che lancia per il 21esimo anno consecutivo la classifica delle imprese nominate Best Workplaces Italia 2022, consultabile sul sito Greatplacetowork.it. A tal proposito emerge l’incremento del Trust Index, valore relazionato alla fiducia dei singoli collaboratori, che sale dell’1% rispetto a un anno fa. Restando sempre in ottica Trust, le aziende italiane si pongono al di sopra della media europea (85%), dietro solo GermaniaOlandaFinlandia e Danimarca. E ancora, le imprese intervistate, comprese quelle non entrate in classifica, hanno comunque registrato una media di Trust Index intorno al 70% con un salto del +2,5% rispetto al 2021. La parola crescita non riguarda solo la fiducia, ma anche il fatturatonegli ultimi dieci anni, infatti, si registra un incremento annuo pari quasi al 13% per le organizzazioni che sono entrate nella classifica dei Best Workplaces. Entrando ancora più nel dettaglio, la classifica è stato suddivisa e organizzata in quattro categorie differenti sulla base del numero di collaboratori: imprese con oltre 500 collaboratori, con un numero di dipendenti compreso tra 150 e 499, tra 50 e 149 e tra 10 e 49.

«La classifica è il risultato di un lungo percorso fatto di ricerca e analisi – spiega Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia –. Confrontando i risultati ottenuti con quanto raccolto un anno fa, emergono numerosi scenari positivi: i singoli collaboratori registrano meno casi di favoritismo e più situazioni in cui emerge un trattamento imparziale a prescindere dall’età. Inoltre, cresce il numero di responsabili che coinvolgono il proprio team sulle scelte che influiscono poi dal punto vista organizzativo. I settori traino, invece, sono quelli dell’information technology, del manufacturing, dei servizi professionalifinanziari e della farmaceutica. D’altra parte, scarseggiano alcuni settori chiave dell’economia italiana come fashionretail e food. Per noi professionisti dell’employer branding, il benessere organizzativo è fondamentale perché è la base fondante di un clima aziendale sano e, soprattutto, produttivo per tutti i collaboratori presenti all’interno dei singoli workplace».

La classifica legata alla categoria con oltre 500 collaboratori vede al primo posto Micron Semiconductor Italia, multinazionale del settore informatico. Seguono American Express Italia, servizi bancari, e in terza posizione Abb Vie Italia, realtà dell’asset biofarmaceutico. Il podio della categoria con un numero di collaboratori compreso tra 150 e 499 è composto interamente da imprese del settore informatico: il gradino più alto è occupato, per il settimo anno consecutivo, da Cisco Systems Italy. Seguono Bending Spoons Salesforce, la quale conferma la terza posizione di un anno fa. Tra le imprese costituite da un numero di persone compreso tra 50 e 149, mantiene il primo posto Biogen Italia, (biotecnologie e prodotti farmaceutici), seguita da Sidea Group (information technology e consulenza IT) e da Insight Technology Solutions (servizi ed assistenza per computer). Infine, tra le aziende con un numero di collaboratori compreso tra dieci e 49 si registra la prima posizione guadagnata da Fluentify, realtà specializzata nell’ambito istruzione e formazione, il secondo posto di Nebulab (settore informatico e consulenza It) e la medaglia di bronzo ottenuta da Storeis, società di consulenza ecommerce e retail.

Avvenire

Lavoro, in Italia sono oltre 7 milioni le donne ‘inattive’

Randstad Research, rappresentano il 43% nella fascia 30-69 anni. Il tasso di inattività è fermo dal 1990 ad oggi e riguarda soprattutto il Sud con il 58% delle donne inattive

 © ANSA

In Italia le donne inattive tra i 30 e i 69 anni sono oltre 7 milioni. Un numero troppo alto, se si considera che rappresentano il 43% delle donne in questa fascia d’età, mentre nella media Ue le donne che non lavorano né cercano occupazione sono il 32%, in Germania il 24% e in Svezia 19%.

Troppe se rapportate al numero di poco più di 20 milioni di occupati.

E un numero notevole sia a livello sociale che economico: la maternità comporta conseguenze sulla scelta ma l’inattività si prolunga oltre il periodo in cui scelgono di concentrarsi sulla famiglia, per l’assenza di supporti. E’ quanto risulta in una ricerca di Randstad Research.

Si tratta nel complesso di “un fenomeno apparentemente immutabile, se si considera che a livello aggregato il tasso di attività è rimasto fermo dal 1990 ad oggi, che colpisce soprattutto il Sud e le isole, dove più di una donna su due (il 58%) è inattiva, mentre al Nord tre su dieci. Nella fascia di età 30-69 anni le donne inattive sono in stragrande maggioranza casalinghe a tempo pieno (4,5 milioni), per scelta o “obbligate”, come conseguenza di scoraggiamento per le barriere all’ingresso e al reingresso nel mercato del lavoro. E poi pensionate (2,5 milioni, tra pensioni di anzianità, sociali e di invalidità), con una prospettiva della terza età più incerta degli uomini, a causa di pensioni inferiori, raggiunte in età più giovane. Il tasso di inattività femminile è fortemente legato all’età: dal 70,6% delle donne attive tra i 35 e i 44 anni si scende al 47,4% tra i 55 e i 64 anni. Quali soluzioni? In un paese in cui la spesa pubblica in asili nido è solo lo 0,08% del Pil, tra le più basse d’Europa, l’investimento da 4,6 miliardi di euro previsto dal PNRR per aumentare di quasi 265 mila posti i servizi della prima infanzia va nella giusta direzione. Ma per completare lo sforzo, servirebbero congedi parentali meglio distribuiti e un sistema fiscale che non penalizzi il lavoro del secondo lavoratore della famiglia. L’uguaglianza di genere nella cura dei bambini può essere promossa attraverso il diritto individuale a un congedo non trasferibile, ben remunerato e di uguale durata per donne e uomini. Un altro ambito in cui investire è quello della formazione. Anche perché per le donne, il livello di istruzione sembra avere un’importanza particolarmente alta, più che per gli uomini, a discapito dell’esperienza e di altri fattori che possono contribuire all’occupabilità.
ansa 

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