Roma. Il Papa: la Messa con rito preconciliare solo con autorizzazione della Santa Sede

Il Papa: la Messa con rito preconciliare solo con autorizzazione della Santa Sede

Papa Francesco ribadisce in modo inequivocabile due punti precisi del motu proprio “Traditionis custodes”, il documento che nel luglio 2021 aveva riordinato le norme sull’uso del messale antico restituendo ai vescovi l’autorità su queste celebrazioni. Lo ha fatto con un rescritto collegato all’udienza concessa lunedì 20 febbraio al Prefetto del Dicastero per il Culto Divino, il cardinale Arthur Roche.

I due punti, che sono stati soggetti a interpretazioni diverse e a discussioni recenti anche sui media, riguardano: l’uso delle chiese parrocchiali e l’eventuale istituzione di parrocchie personali per i gruppi che celebrano secondo il messale del 1962, promulgato da Giovanni XXIII prima del Concilio Ecumenico Vaticano II; l’uso di questo messale da parte dei sacerdoti che sono stati ordinati dopo il 16 luglio 2021, cioè dopo la pubblicazione del motu proprio.

Era già sufficientemente chiaro, in realtà, il testo di “Traditionis custodes”: si tratta di due casi circoscritti per i quali il vescovo, prima di decidere, deve chiedere l’autorizzazione al Dicastero per il Culto Divino, che a norma del motu proprio esercita l’autorità della Santa Sede su questa materia.

Sarà dunque il Dicastero, a seconda delle circostanze, a dare l’eventuale via libera all’ordinario diocesano.

Dopo aver ribadito, senza più alcuna remota possibilità di equivoco, che i due casi in questione sono “dispense riservate in modo speciale alla Sede Apostolica”, e dunque i vescovi sono obbligati a chiedere l’autorizzazione alla Santa Sede, il rescritto di Papa Francesco afferma: “Qualora un vescovo diocesano avesse concesso dispense nelle due fattispecie sopra menzionate è obbligato ad informare il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti che valuterà i singoli casi”.

Dunque in presenza di concessioni di chiese parrocchiali, dell’istituzione di parrocchie personali e del nulla osta all’uso del messale antico a preti ordinati dopo il luglio 2021 che siano state stabilite dall’autorità diocesana senza il consenso di Roma, il vescovo dovrà obbligatoriamente compiere il passo che non aveva compiuto prima attenendosi alla risposta del Dicastero.

Infine, con il nuovo rescritto papale Francesco “conferma quanto stabilito” nelle risposte ai dubia emersi dopo la pubblicazione di “Traditionis custodes”, risposte pubblicate insieme ad alcune note esplicative il 4 dicembre 2021. (Vatican News)

Messa in Latino. Ecco le nuove regole più stringenti dettate da Papa Francesco

Con un Motu proprio il Pontefice stabilisce che siano i vescovi gli unici ad autorizzare le Messe con l Messale del 1962. Tuttavia non in chiese parrocchiali.
Ecco le nuove regole dettate da Papa Francesco
Avvenire

Il Papa ha stabilito nuove e più stringenti regole per le Messe celebrate con il Messale del 1962. E’ stato pubblicato oggi, venerdì 16 luglio il Motu proprio “Traditionis custodes”, che aggiorna le norme a suo tempo stabilite da Benedetto XVI. Tra le principali novità il ruolo esclusivo del vescovo nell’autorizzare l’uso del Messale precedente alla riforma liturgica del 1970, il divieto di erigere nuove parrocchie personali per questo scopo (e la valutazione, sempre a opera del vescovo diocesano circa l’opportunità di mantenere quelle già esistenti), l’indicazione di scegliere chiese non parrocchiali per queste celebrazioni, la designazione di un sacerdote, esperto nel “vecchio” Messale e fornito di una buona conoscenza del latino, per la cura pastorale di questi gruppi e il divieto di costituirne di nuovi. Le letture devono essere fatte nelle lingue moderne, quindi non in latino.

Le regole

Qui di seguito pubblichiamo le regole contenute nel Motu proprio, emesso dopo un’ampia consultazione svolta dalla Congregazione della Dottrina delle Fede presso i vescovi, nel 2020.

Art. 1. I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.
Art. 2. Al vescovo diocesano, quale moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa particolare a lui affidata,[5] spetta regolare le celebrazioni liturgiche nella propria diocesi.[6] Pertanto, è sua esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica.
Art. 3. Il vescovo, nelle diocesi in cui finora vi è la presenza di uno o più gruppi che celebrano secondo il Messale antecedente alla riforma del 1970:
§ 1. accerti che tali gruppi non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici;
§ 2. indichi, uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi possano radunarsi per la celebrazione eucaristica (non però nelle chiese parrocchiali e senza erigere nuove parrocchie personali);
§ 3. stabilisca nel luogo indicato i giorni in cui sono consentite le celebrazioni eucaristiche con l’uso del Messale Romano promulgato da san Giovanni XXIII nel 1962.[7] In queste celebrazioni le letture siano proclamate in lingua vernacola, usando le traduzioni della sacra Scrittura per l’uso liturgico, approvate dalle rispettive Conferenze Episcopali;
§ 4. nomini, un sacerdote che, come delegato del vescovo, sia incaricato delle celebrazioni e della cura pastorale di tali gruppi di fedeli. Il sacerdote sia idoneo a tale incarico, sia competente in ordine all’utilizzo del Missale Romanum antecedente alla riforma del 1970, abbia una conoscenza della lingua latina tale che gli consenta di comprendere pienamente le rubriche e i testi liturgici, sia animato da una viva carità pastorale, e da un senso di comunione ecclesiale. È infatti necessario che il sacerdote incaricato abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli.
§ 5. proceda, nelle parrocchie personali canonicamente erette a beneficio di questi fedeli, a una congrua verifica in ordine alla effettiva utilità per la crescita spirituale, e valuti se mantenerle o meno.
§ 6. avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi.
Art. 4. I presbiteri ordinati dopo la pubblicazione del presente Motu proprio, che intendono celebrare con il Missale Romanum del 1962, devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica.
Art. 5. I presbiteri i quali già celebrano secondo il Missale Romanum del 1962, richiederanno al Vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare ad avvalersi della facoltà.
Art. 6. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei passano sotto la competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
Art. 7. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, per le materie di loro competenza, eserciteranno l’autorità della Santa Sede, vigilando sull’osservanza di queste disposizioni.
Art. 8. Le norme, istruzioni, concessioni e consuetudini precedenti, che risultino non conformi con quanto disposto dal presente Motu Proprio, sono abrogate.

Il Motu proprio entrerà in vigore immediatamente a partire dalla sua pubblicazione sull’Osservatore Romano.

Le motivazioni

Qual è la ratio dei cambiamenti introdotti ieri dal Papa in merito alla celebrazione con il messale del 1962? A spiegarlo, in una Lettera inviata a tutti i vescovi del mondo, contemporaneamente alla pubblicazione del motu proprio Traditionis custodes è lo stesso Francesco. Il Pontefice innanzitutto ricorda le ragioni «che avevano mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la celebrazione del Sacrificio eucaristico». In particolare, come egli stesso sottolinea, «la volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da monsignor Lefebvre».
Tuttavia a 14 anni di distanza dalla pubblicazione del motu proprio di papa Ratzinger, Summorum Pontificum la prassi ha fatto intravedere notevoli criticità. Quella possibilità, scrive il Papa, «è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni».
A tal proposito, Francesco, rifacendosi proprio a quanto scrisse a suo tempo Benedetto XVI, si dice addolorato allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia. E perciò stigmatizza che «in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile».
Ma non di meno rattrista il Pontefice «un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”». E invece, ribadisce il Papa «dubitare del Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa». Vagheggiare la “vera Chiesa” è dunque «un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione – «Io sono di Paolo; io invece sono di Apollo; io sono di Cefa; io sono di Cristo» –, contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo». Per questo Francesco conclude: «Per difendere l’unità del Corpo di Cristo mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la Messa con il Missale Romanum del 1962».

La prima Bibbia con testo latino-italiano

La Libreria editrice vaticana ha appena pubblicato, per la prima volta, un’edizione bilingue italiano-latino de ‘La Sacra Bibbia’, Antico e Nuovo testamento, con testo a fronte su due colonne allineate per ogni facciata. La grande opera (anche da un punto di vista quantitativo, con le sue ben 4.480 pagine) è stata curata da monsignor Fortunato Frezza canonico vaticano e dottore in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, già sottosegretario del Sinodo dei vescovi.
Avvenire lo ha intervistato.

Monsignore, come è nata l’idea di affrontare questa opera?
Nella storia della trasmissione delle Sacre Scritture c’è una lunga tradizione di Bibbie poliglotte. Da parte mia ho voluto comporre insieme la Nova Vulgata latina del 1998 e riedita nel 2005, e la versione italiana della Cei del 2008. Due testi che sono dei veri e propri ‘monumenti’ di grandissimo valore storico, letterario, spirituale ed ecclesiale, essendo il frutto di un lavoro voluto dal Concilio Vaticano II.

In che senso?
Furono le esigenze di rinnovamento liturgico indicate dal Concilio che condussero Paolo VI a istituire una Commissione per la compilazione di una nuova edizione della Vulgata che risaliva al 1592. Così se quella vulgata, detta clementina, fu il frutto del Concilio di Trento, quella emanata nel 1979 da Giovanni Paolo II – papa Montini purtroppo non fece in tempo a vedere i frutti della Commissione da lui istituita – è stata il frutto del Vaticano II.

E di «obbedienza conciliare», come da lei scritto nella nota introduttiva all’opera, è anche il testo italiano della Cei…

Infatti, secondo le indicazioni del Vaticano II, risponde all’urgenza pastorale di nutrire la fede della Chiesa attraverso il messaggio biblico tradotto dalle lingue originali nelle lingue nazionali. La Cei già nell’immediato postconcilio, curò per la liturgia, nel 1971, una prima versione italiana della Sacra Scrittura, procedendo a una sua revisione già nel 1974. Nel 2008, dopo lunga e qualificata elaborazione, è arrivata una terza edizione che è quella affiancata alla Nova Vulgata in questa Bibbia bilingue della Libreria editrice vaticana.

A chi si rivolge questo testo?

È rivolto agli specialisti ma non solo. Anche chi conosce poco le lingue classiche potrà più facilmente apprezzare la versione latina che continua ad essere quella normativa per tutta la Chiesa per quanto riguarda l’uso liturgico. A questo proposito mi piace associare questa pubblicazione a quella curata dalla Università pontificia Salesiana, di un messalino latino-italiano, in tre volumi, feriale e festivo, destinato all’assemblea dei fedeli.

Ha avuto modo di presentare la sua fatica a Papa Francesco?

Sì, è successo venerdì scorso dopo la Messa mattutina a Santa Marta. Al Papa è stata offerta in un cofanetto e finemente rilegata in pelle bianca, come è uso fare con i pontefici. A questo breve incontro erano presenti anche il direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa, insieme al coordinatore editoriale padre Edmondo Caruana. È stato un momento particolarmente commovente anche perché il Papa ha mostrato di apprezzare questo atto d’amore verso la Sacra Scrittura.

avvenire

 

Rubrica in Latino… De amicitia quae censuerit Cicero

Dopo il felice esperimento dell’anno precedente, anche quest’anno alla ripresa di settembre nelle nostre pagine culturali diamo spazio a una rubrica in latino. Passatismo? Voglia di difendere una lingua morta? Niente affatto. Lo testimonia il boom di attenzione che la lingua latina ottiene oggi in tutto il mondo. Del resto, da sempre il nostro giornale è attento alla valorizzazione delle lingue classiche: la rubrica vuole poi essere un’occasione per riflettere sui nostri giorni alla luce della sapienza che gli antichi scrittori, classici e cristiani, elaborarono nel passato. È questo lo scopo degli articoli che appariranno, a cadenza settimanale, ogni martedì, nella rubrica «Laelius». Al martedì successivo, oltre al nuovo testo in latino, apparirà anche la traduzione del testo precedente. Autore della rubrica è Luigi Castagna, docente di Letteratura latina e di Storia della lingua latina all’Università Cattolica di Milano, che succede a don Roberto Spataro, professore di Letteratura cristiana antica presso la Facoltà di lettere cristiane e classiche dell’Università Pontificia Salesiana, il quale ha tenuto la rubrica dal settembre 2012 al luglio 2013.

Anno sexagesimo secundo aetatis suae Cicero, hortante Attico suo, de amicitia libellum conscripsit. Sententias suas non ipse voce sua expressit sed graeco more verba sua ornate divisit ad modum colloquii, et in scaenam induxit Laelium illum, qui Sapiens nuncupatur. Laelius omnem vitam degerat una cum delectissimo suo Scipione Aemiliano, quem multi vocant Africanum Minorem. Cicero fingit id evenisse colloquium inter Laelium duosque adulescentes, doctos quidem et nobili loco natos, brevi tempore post Africani minoris mortem. Adulescentes cum Laelium vidissent aeque pati luctum suum, eum interrogarunt quomodo tantum dolorem posset ferre. “Mortuum amicum non lugeo: de se ipse plorat qui putat se de amico amisso plorare”. Nam qui perfecerit tempus vitae suae omnibus peractis rebus
quae in animo habuisset, nullis incommodis angi potest: nec tantum dico de gloria militari vel de triumphis, aut de auctoritate quam meruit in officiis civilibus pro re publica exercendis, sed fuit ille in primis amicus fidelis erga bonos cives et in se amicitiam bonorum attraxit. An censemus Scipionem Aemilianum sperasse vel optasse immortalem fieri? Amicitia est enim privilegium quoddam, ut ita dicam, inter bonos homines et ad virtutem deditos. Valde errant qui putent amicitias curandas esse quia utilitati possint esse. Non utilitas quidem sed vera virtus quasi mater et nutrix amicitiae est, nam amicitia ad virtutem impellimur et meliores evadimus quam antea fueramus. Nuper diximus de amicitiis quae inter doctos et sapientes germinant, at interdum aliae reperiuntur amicitiae quae non ad virtutem spectant sed quasi ad secretam conscientiam vitiorum. Plures amicitiae inter pares coniunguntur sed quid si amici differant aetate vel dignitate ordinis? Adhibeant amici tantulum prudentiae et omnis difficultas honeste solvebitur. Quibus in rebus humanis ceterum prudentia adhibenda non est, addito insuper quodam grano salis?

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