Lo scrittore. Shpëtim Selmani: «Il mio Kosovo in lotta per la pace»

Si definisce «figlio della guerra» e nel suo ultimo romanzo “Ballata dello scarafaggio” intreccia vita quotidiana e violenza della storia
Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani

Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani – Blerta Hoçia/Crocetti

Quello dei Balcani è un passato che sembra non passare mai. Mentre non si sono ancora spenti gli echi del conflitto in Kosovo, che chiuse nel modo peggiore il XX secolo, c’è chi con quel terribile fardello è stato costretto a crescere e a diventare adulto. Lo scrittore e attore kosovaro Shpëtim Selmani si definisce «un figlio di quella guerra», che iniziò quando lui aveva appena dodici anni. Crescendo ha cercato di rielaborare quell’esperienza anche con l’aiuto della letteratura e del teatro. Ma ammette di non esserci riuscito. «Non ho ancora fatto pace con il mio passato. Spero di potermi almeno riconciliare con il futuro», confessa in questa intervista che ci ha rilasciato in occasione dell’uscita di Ballata dello scarafaggio (traduzione di Fatjona Lamce, Crocetti, pagine 160, euro 17,00), un libro in cui intreccia il suo quotidiano di scrittore, attore, padre e marito con la violenza della storia.

Nato a Pristina nel 1986, vincitore del premio dell’Unione Europea per la letteratura nel 2020, Selmani è autore di opere in prosa e in poesia già tradotte in molte lingue, nelle quali ha cercato di riflettere sul dolore e sull’umiliazione subita durante la guerra dalla sua famiglia e dal suo popolo. È lui lo scarafaggio del titolo, «piccolo ma carico di orgoglio e con una profonda dignità», tiene a precisare, sostenendo che «tutti i conflitti scoppiano laddove non c’è conoscenza, né comprensione nei confronti delle piccole nazioni». Con una lingua cruda e spigolosa che a tratti dà spazio a lirismi improvvisi (e può ricordare quella di un altro scrittore di origini balcaniche, il bosniaco Aleksandar Hemon), Selmani ricostruisce il proprio vissuto, le emozioni che ha provato in questi anni e il suo punto di vista sulla vita attraverso una serie di brevi paragrafi autobiografici.

Elenca storie, ricordi e aneddoti come pezzi di un mosaico, nel tentativo di ricomporre la sua anima violata e di confrontarsi con il proprio passato. I suoi traumi personali, le difficoltà del dopoguerra, la ricostruzione del suo Paese. Fino ad arrivare alla realtà odierna di un Paese che vede ancora divisioni profonde tra serbi e albanesi, politici corrotti e uomini d’affari senza scrupoli. La letteratura, però, può essere un antidoto a tanti mali, come spiega in una parte centrale del libro, dedicata al suo incontro con una giovane scrittrice serba intenta a negare il genocidio di Srebrenica.

La letteratura può essere anche uno strumento per combattere il negazionismo e il revisionismo?

Direi proprio di sì. Anzi penso che dovrebbe essere una delle ragioni principali della sua esistenza. Una vera letteratura deve essere raffinata, originale, autentica. E servire sempre il bene. Non può e non deve avere bisogno di mentire, di diffondere odio o propaganda. Potrebbe davvero essere il rimedio contro tanti mali del mondo, ad esempio favorendo una riflessione sulle identità collettive, anche se viviamo dentro una grande scatola politica nella quale la letteratura è come un luogo perduto, alla ricerca della propria vera funzione. In un’epoca come quella attuale, in cui le identità personali possono anche essere fluide, l’identità nazionale è sempre più forte. E da questo derivano molti dei problemi del mondo. La vera letteratura è fatta invece da identità universali ed è proprio per questo che spesso la politica si scontra con la letteratura. Penso inoltre che ci sia una linea molto sottile tra la letteratura e la vita. Poiché tutto ciò che è vissuto è letteratura.

Quali sono i principali elementi di ispirazione per le sue opere?

Ne ho molti, a partire dalla mia vita, dal luogo in cui vivo. E anche dalle nostre identità. Molte cose della vita sono in armonia nel loro caos e talvolta è difficile comprenderle. I popoli, ad esempio, sono entità molto complesse. Non mi piace affatto che le persone siano felici a causa del loro potere. Un tema molto importante nel mio lavoro letterario è anche l’amore. Ma la vita mi fornisce molti spunti dei quali sono pronto a parlare con sincerità, per quello che posso.

Neanche con l’aiuto della letteratura è riuscito a far pace con il suo passato?

Purtroppo no. L’esperienza della guerra, che ho vissuto da bambino, ha determinato molte delle mie percezioni di adulto. Stiamo ancora lottando per trovare la pace ma pare ancora molto difficile, perché siamo un piccolo stato e siamo manipolati dal potere politico. Non possiamo costruire il nostro futuro senza il sostegno di Stati potenti. Certe narrazioni politiche hanno ricominciato a parlare della guerra ed è davvero assurdo che gli esseri umani possano ancora contemplare l’esistenza di qualcosa che è profondamente primitivo e stupido. Io posso riuscire a fare la pace almeno con il futuro. Questo, sì, credo sia fondamentale.
Cosa significa, per lei, resistere alla guerra? Essere un fanatico della pace. Odiare i confini. Amare gli esseri umani. Per rispettarli. Per proteggere l’amore. Pensare al mondo come a casa nostra. Comprendere gli altri e osteggiare sempre quei leader politici che sono capaci di solo di distruggere.

Lei è anche poeta e drammaturgo. Cos’è la scrittura per lei?

È stata un modo per rimanere in vita. Ma trovo molta difficoltà a spiegare cosa sia davvero per me. Scrivere è sempre stato un modo di comunicare con me stesso. È un modo per tenermi sotto controllo, di capire me stesso. Continuo a non capire perché lo faccio. È come una specie di autoriparazione. Ma anche una malattia, un impulso infantile, qualcosa di cui ho bisogno.

Quali sono i suoi sentimenti nel vedere i recenti scontri nel nord del Kosovo? È una sorta di storia che non finisce mai?

Un senso di incredulità. È pazzesco che dopo tanti anni esista ancora tutto questo odio. La storia non ci ha insegnato niente. Ma la gente comune è davvero molto stanca e non ne può proprio più del patriottismo, della propaganda, delle minacce, del sangue. Dobbiamo dare tutti il nostro contributo per creare un futuro privo di odio.

avvenire.it

 

Usa-Ue chiedono de-escalation senza condizioni in Kosovo

 © EPA

“L’Unione europea e gli Usa sono preoccupati per la persistente situazione di tensione nel nord del Kosovo e chiedono a tutti di esercitare la massima moderazione, e di agire immediatamente per una de-escalation senza condizioni, astenendosi da provocazioni, minacce o intimidazioni”.

Lo riporta una nota del servizio di azione esterna della Ue.

“Stiamo lavorando con il presidente Vučić e il primo ministro Kurti per trovare una soluzione politica al fine di disinnescare le tensioni e concordare la via da seguire nell’interesse della stabilità, della sicurezza e del benessere di tutte le comunità locali”, si legge nella nota. (ANSA).

Presidente serbo, sul Kosovo servono negoziati e compromessi

“La Serbia è pronta a rispettare tutti i trattati che ha firmato, vogliamo evitare ogni possibile escalation con la Nato: crediamo di non avere dato adito a nessuna provocazione”.

Lo ha detto il presidente serbo Aleksandar Vučić nel corso della conferenza stampa con Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, aggiungendo di non ritenere che esistano “rischi reali” di una “escalation” e accusando la leadership kosovara di “retorica politica”.

“Da 180 giorni ci accusano di preparare azioni militari ma non è accaduto nulla. Abbiamo bisogno di un approccio razionale, di negoziati, di trovare compromessi. E noi siamo pronti”. (ANSA).

La nuova disputa. I Balcani, l’altro fronte di Putin

Una disputa sulle targhe delle auto e documenti d’identità riaccende la tensione fra la Serbia, sostenuta dalla Russia, e il Kosovo.La Nato: «Pronti a intervenire se è a rischio la stabilità»
Una pattuglia della Kfor sorveglia la rimozione del blocco stradale a Zupce,in Kosovo

Una pattuglia della Kfor sorveglia la rimozione del blocco stradale a Zupce,in Kosovo – Reuters

Dopo quasi 24 ore di blocco stradale, la minoranza serba del Kosovo ha smantellato le barricate erette nel Nord del Paese. Una notte di tensione, con alcuni serbi «fuori legge» che – riferisce la polizia kosovara – avevano aperto il fuoco contro degli agenti senza colpirli. Incidente sfiorato, ma la crisi sembra per ora solo rimandata: per il presidente serbo Aleksandar Vucic «mai la situazione è stata così difficile» da quando il Kosovo si è dichiarato indipendente nel 2008. E la missione Nato in Kosovo (Kfor), dopo aver monitorato con delle pattuglie in elicottero la riapertura dei blocchi stradali, ha informato di star «monitorando da vicino la situazione nel nord del Kosovo» con le organizzazioni di sicurezza locali e di «essere pronta ad intervenire se a rischio la stabilità».
È la guerra dei Balcani che, come un fiume carsico, riemerge dopo oltre un decennio e riapre vecchie incomprensioni tra Russia e Occidente in quello che potrebbe diventare un “fronte parallelo” rispetto alla guerra in Ucraina. Ieri pomeriggio tuttavia, secondo alcune testimonianze, il ponte vicino al confine di Bernjak era ancora istruito e il valico di confine non ancora aperto mentre il giorno prima si segnalavano spostamenti di truppe.
Tutto è iniziato domenica pomeriggio quando la popolazione serba del Kosovo aveva bloccato le strade che conducono ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak, obbligando le autorità a chiuderli. Le proteste sono contro nuove leggi sui documenti di identità e targhe automobilistiche, che avrebbero dovuto entrare in vigore il primo agosto. I manifestanti protestavano contro la decisione di Pristina di imporre anche ai serbi che vivono in Kosovo l’uso esclusivo di carte d’identità e targhe kosovare. Dalla guerra del 1999, il Kosovo aveva tollerato l’uso di targhe emesse dalle istituzioni serbe in quattro municipalità del nord del Paese dove sono presenti maggioranze serbe. La nuova legge rende invece obbligatorio l’uso di targhe con l’acronimo «Rks», cioè Repubblica del Kosovo. Ai proprietari di automobili era dato tempo fino alla fine di settembre per effettuare il cambiamento. Le nuove norme prevedono anche che chiunque entri in Kosovo con una carta d’identità serba abbia un documento temporaneo, con validità di tre mesi, mentre si trova nel Paese. Il premier del Kosovo, Albin Kurti, ha spiegato che si tratta di una misura di reciprocità, in quanto la Serbia – che non riconosce l’indipendenza della sua ex provincia a maggioranza albanese proclamata nel 2008 – chiede lo stesso ai kosovari che entrano nel suo territorio. La diatriba su targhe e documenti, che aveva già provocato in passato delle rimostranze, ha così riacutizzato sopite tensioni internazionali. La Serbia, spalleggiata da Russia e Cina, non riconosce l’indipendenza del Kosovo, né il suo diritto di imporre regole e regolamenti come la registrazione di automobili e camion mentre il governo del Kosovo è riconosciuto dalla maggior parte dei Paesi Ue.
Così domenica notte era giunto il minaccioso monito del Cremlino: «Tutti i diritti dei serbi in Kosovo devono essere rispettati», aveva dichiarato il portavoce Dmitry Peskov. Poi, dopo una mattina di consultazioni lo stesso Peskov, dopo aver ribadito di sostenere «assolutamente» la posizione della Serbia, chiedeva che tutte le parti «agiscano in modo ragionevole» perché riteneva «assolutamente infondati» le richieste delle autorità del Kosovo. Mentre la rappresentante dell’Onu in Kosovo, Caroline Ziadeh, lanciava un appello «alla calma, al ripristino della libertà di movimento» dall’Ue giungeva un chiaro altolà a Belgrado chiedendo di evitare «ogni azione non coordinata e unilaterale che mette in discussione la stabilità e la sicurezza». L’Ue ha poi invitato le autorità serbe e quelle kosovare a Bruxelles per risolvere i contrasti.

Lo status del Kosovo

La Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, proclamata unilateralmente nel 2008, dopo che nel 1999 la risoluzione 1244 dell’Onu autorizzava una presenza internazionale civile e militare in Kosovo, la Kfor a guida Nato ed ora forte di 3.500 uomini. L’indipendenza di Pristina è stata riconosciuta da 113 dei 193 membri Onu tra cui la maggior parte dei Paesi Ue, mentre Russia e Cina, alleate della Serbia, no. Negli anni passati Bruxelles ha cercato di mediare un dialogo tra i due vicini, ma finora gli sforzi non sono riusciti a raggiungere una normalizzazione dei rapporti. Il premier kosovaro Kurti ha affermato che il Kosovo presenterà formalmente domanda per diventare membro dei Ventisette entro la fine del 2022, nonostante le preoccupazioni per le tensioni con la Serbia, anch’essa aspirante membro Ue. Ma è sulla Nato che la spaccatura fra Mosca e l’Occidente si riverbera pericolosamente nei Balcani. Kurti ha infatti lanciato un appello per essere ammesso nella Nato insieme alla Bosnia. Una richiesta avanzata in maggio chiaramente in chiave anti-serba, mentre la crisi in Ucraina era già in atto.

Alta tensione a confine Serbia-Kosovo, monito di Vucic

 © ANSA
Le autorità del Kosovo hanno chiuso questa sera due valichi di confine con la Serbia per i blocchi stradali messi in atto da dimostranti kosovari di etnia serba per protestare contro nuove leggi approvate dal governo su documenti di identità e targhe automobilistiche, in vigore domani.

La disputa ha riacceso le tensioni tra Pristina e Belgrado, che non riconosce l’indipendenza del Kosovo.

Media internazionali riferiscono che il presidente serbo Aleksandr Vucic, in un discorso televisivo, ha mostrato una cartina del Kosovo coperto dalla bandiera serba e ha avvertito che se i serbi saranno minacciati, la Serbia ne uscirà vittoriosa.
(ANSA).

“Manifesta” a Pristina: l’arte insegna dialogo

Si è aperta a Pristina, capitale del Kosovo, la quattordicesima edizione di Manifesta, una kermesse di arte, installazioni, performance e interventi sul patrimonio monumentale che durerà cento giorni. Manifesta è una iniziativa creata da una istituzione olandese che ha come obiettivo l’idea di un’arte nomade che movimenti il panorama europeo e sia occasione di animazione e attenzione per le città in cui si svolge. L’ultima, quattro anni fa, era stata organizzata a Palermo e aveva coinvolto artisti locali, istituzioni e fatto conoscere a un vasto pubblico parecchi palazzi e monumenti fino ad allora chiusi al pubblico. Per quanto leggermente coloniale e pervasa da un senso molto ingenuo e un po’ provinciale – di un provincialismo tutto olandese – Manifesta ha avuto il merito di attirare un vastissimo pubblico internazionale e di essere spesso un volano turistico e di promozione molto forte.

Mentre nel caso di Palermo si trattava di una città molto connotata e conosciuta, per Pristina l’operazione ha un particolare valore sperimentale. Il Kosovo, una giovanissima repubblica ha proclamato la sua indipendenza nel 2008 e a tutt’oggi è riconosciuta solo da una parte dei paesi che convergono nelle Nazioni Unite. La guerra del Kosovo, che ha provocato 13mila vittime, enormi distruzioni di città, chiese, moschee, monumenti è stata scatenata dai processi di pulizia etnica seguiti alla dissoluzione della Jugoslavia. A una prima resistenza kosovara nonviolenta in vista di una indipendenza dalla Serbia è seguita nel 1998-99 una feroce repressione e una resistenza armata da parte kosovara. La guerra ha provocato un intervento della Nato volto ad arrestare la pulizia etnica. La Serbia ha dovuto accettare l’indipendenza del Kosovo anche se alcuni paesi delle Nazioni Unite, come Spagna, Russia e Cina continuano a rifiutarla. Oggi il paese è difeso da una presenza stabile delle forze della Nato e faticosamente sta ricostruendo infrastrutture e istituzioni. Ha adottato l’euro ma ai suoi abitanti viene ancora negata una mobilità verso l’Europa. Questo il contesto complesso che rende altamente simbolica l’edizione del 2022 di Manifesta.

Il paese è abitato da una popolazione per buona parte di origine e lingua albanese e da una minoranza slava e serba. Ci si stupisce andando in giro per questa giovane repubblica della compresenza di moschee, chiese ortodosse e cattoliche. Le ferite dell’odio etnico e religioso sono però tutte presenti a rammentare quanto oggi nazionalismo, religione ed etnia producano una miscela pericolosa. Manifesta sta contribuendo a restaurare alcuni luoghi simbolici, tra cui una scuola clandestina in montagna dove i bambini potevano continuare a parlare e studiare l’albanese, mentre il governo serbo ne proibiva l’insegnamento. Durante la guerra venne bombardata. Nelle aule distrutte video degli insegnanti e degli ex studenti raccontano la difficile storia. Tutto ciò è terribilmente attuale, la pretesa serba di cancellare ogni altra lingua ed etnia ricorda la follia putiniana nei confronti dell’Ucraina e ci ricorda l’origine dei mali che affliggono l’Europa. Il 60% degli artisti invitati a Manifesta sono kosovari, giovani e giovanissimi. La sera Pristina ha una movida che fa invidia a quella di Barcellona e una scena musicale straordinaria.

L’impossibilità di andare in Europa viene compensata dalla attenzione con cui i giovani seguono quello che accade altrove, dalla pratica delle lingue, inglese e italiano soprattutto. Un’opera dell’artista albanese Adrian Paci, esposta nell’affascinante e diruto Grand Hotel che ospita nei suoi 13 piani buona parte dei lavori degli artisti locali e internazionali, rappresenta in maniera efficace e profonda la situazione di questo paese. Adrian Paci ha filmato nella sua Albania la gente che cammina a piedi per le strade, in montagna, in pianura, sulla costa, in autostrada accompagnata spesso da animali. E’ un fenomeno visibile anche qui in Kosovo, dappertutto c’è gente che cammina lungo le strade, spesso nel mezzo del nulla, lontano dai centri abitati. Ieri due donne camminavano addossate al guardrail centrale dell’autostrada Pristina Tirana. Lo sguardo di Adrian Paci racconta un paese in movimento, ma soprattutto un abitare il territorio, un legame stretto tra paesaggio e popolazione, la pratica secolare di percorrerne i sentieri. Sui due schermi dell’istallazione gente di ogni tipo misura con il proprio passo un mondo che riporta il senso di un paese alla sua dimensione uno a uno. Manifesta 14 porta in primo piano l’importanza e l’effetto che l’arte può avere nel lanciare legami tra mondi distanti, tra paesi divisi da conflitti. In un mondo sempre più complicato da presunte identità contrapposte questa è una lezione che dobbiamo sempre di più imparare.

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