Le donne che studiano di nascosto nella Kabul dei taleban

Chiuse in casa, anche tante adolescenti si sono ora iscritte a corsi di alfabetizzazione. Due terzi non sanno leggere né scrivere

Inviata a Kabul

La lavagna è un foglio magnetico appeso sulla credenza. La cattedra un tavolino di plastica. L’unica sedia è quella dell’insegnante, Leyla, 23 anni, studentessa di legge. Al posto dei banchi c’è un grande tappeto rosso.

Don Serge de Beaurecueil, quando il Vangelo affascinò Kabul

«Quel che è certo è che io amo questo Paese e che mi sento a casa come non mi capita da nessun altra parte». Kabul, 1962. Padre Serge de Beaurecueil, domenicano francese, verga queste parole mentre sta intraprendendo una ‘missione impossibile’: essere, e restare, per ben 20 anni l’unico sacerdote cattolico stabilmente residente in Afghanistan, uno dei pochi Stati al mondo che praticamente non aveva, e nemmeno oggi ha, una locale presenza cristiana.

Ma come ci era arrivato questo domenicano nell’islamica Kabul, un prete che si innamorò, ricambiato, del popolo afghano, nelle sue varie etnie (pashtun, hazara, …) tanto da accogliere in casa propria, nel corso degli anni, decine di piccoli orfani, tra cui molti disabili (per uno di essi pregò il terziario domenicano Giorgio La Pira)?

Nella vocazione all’Oriente di de Beaurecueil – di cui quest’anno ricorrono i 10 anni della morte (5 marzo): era nato nel 1917 da una nobile famiglia parigina – si intrecciano alcuni dei grandi pensatori e uomini di Chiesa del Novecento. Già nel 1926 il filosofo Etienne Gilson aveva consigliato al suo amico domenicano Marie- Dominique Chenu che era ora di studiare i filosofi arabi del Medioevo. Lo sosteneva da medievalista, ben conscio dei debiti intellettuali che i pensatori cristiani occidentali avevano verso i loro colleghi arabi. De Beaurecueil, frequentando il convento di Saulchoir, in Belgio, fucina della nouvelle théologie, si forma alla scuola dello stesso Chenu e di Yves Congar. E proprio Chenu è all’origine della creazione (1953) dell’Istituto domenicano di studi orientali (Ideo) al Cairo, fondato da de Beaurecueil insieme al confratello Georges Anawati. Anche qui si incrocia un grande domenicano: a dare origine alla casa dell’Ordine nella capitale egiziana era stato padre Marie-Joseph Lagrange, l’iniziatore della celebre Ecole biblique di Gerusalemme. E ad ispirare l’Ideo ci aveva pensato anche l’idea centrale del famoso islamologo Louis Massignon: «La manifestazione di Cristo nell’islam». Ovvero, no a falsi proselitismi o concordanze sincretiste, sì ad un’ammirazione e uno studio assiduo della religione coranica per intuire anche lì la salvezza cristiana. A dare la spinta decisiva per la nascita dell’Ideo ci pensa il cardinale Eugène Tisserant, segretario di Propaganda Fide.

De Beaurecueil si immerge nell’impresa fino al midollo: da un lato – come racconta Jean-Jacques Pèrennés nell’appassionante biografia
Passion Kabul (Cerf, pp. 356, euro 24, da poco uscita in Francia) – de Beaurecueil affinava il suo arabo conversando nei caffè del Cairo, dall’altro entra nel mondo islamico tramite la figura e gli scritti di Abdallah Ansari (1006 – 1089), celebre pensatore sufi di Herat, Afghanistan. Affrontare Ansari per de Beaurecueil diventa un modo preciso di ottemperare ad un’indicazione del suo maestro Chenu: «Non studiare le dottrine, studia gli uomini che le hanno concepite, nel loro ambiente e nella loro epoca. Altrimenti rischi di non capire niente».

Ed è proprio Ansari, e il dedicarsi ai suoi scritti, che conducono de Beaurecueil all’incredibile esperienza di essere per due decenni l’unico prete residente in un Paese «tagliato fuori dal mondo», come spiegava lui stesso in una lettera a Chenu dall’Afghanistan. Vi giunge per la prima volta nel 1955, per un convegno dedicato ad Ansari (sul quale poi discuterà una tesi di dottorato alla Sorbona nel 1971). Sarà lo Stato afghano a stampare la sua biografia del pensatore sufi, attestazione culturale di indubbio significato verso lo studioso francese. In seguito, lo stesso governo di Kabul, riconosciuti i meriti accademici di questo straniero verso un proprio esponente culturale, offre al domenicano parigino la cattedra in storia del sufismo all’università statale nella capitale.

E così dal 1963 al 1983 – quando padre Serge è costretto a lasciare l’Afghanistan a causa delle pressioni del nuovo governo filo-sovietico, che lo accusano di essere una spia: i russi avevano invaso il Paese nel ’79 – brillano come un’avventura nell’avventura di questo missionario sui generis. Già nel 1969 Morcelliana aveva tradotto il suo Sacerdote per i non cristiani, mentre il precedente Abbiamo condiviso il pane e il sale, giunto in Italia nel 1968, era diventato così celebre in Francia da meritarsi una trasposizione in tv.

De Beaurecueil fu un missionario più unico che raro, capace di concepire già nel 1961, mentre era ancora al Cairo, un ritiro tri-spirituale, per giovani cristiani (di diverse confessioni), ebrei e musulmani incentrati su Abramo, figura comune ai tre grandi monoteismi. Un’intuizione spirituale che fece sobbalzare di entusiasmo
Jean Mohamed Ab del-Jalil, un frate francescano marocchino, in precedenza musulmano, giunto a Cristo sotto la guida di Massignon, il quale volle sapere tutti i dettagli di un’iniziativa che considerava assolutamente profetica.

Dalla sua cattedra al liceo francese di Kabul padre Serge contribuì a formare anche un certo Massoud, negli anni a seguire diventato celebre come comandante Massoud, leader della resistenza armata anti-sovietici (fu assassinato qualche giorno prima l’11 settembre 2001). Quando, il 4 aprile dello stesso anno, Massoud tenne una conferenza a Parigi, saputo della presenza in sala del suo ex insegnante, lo volle a tutti i costi al proprio fianco, segno di una stima e di un affetto durati negli anni. Padre Serge fu anche insegnante di un altro personaggio diventato poi noto, il regista Atiq Rahimi, premio Goncourt nel 2008.

Personalità poliedrica e incatalogabile, padre de Beaurecueil chiude i suoi giorni in Francia nel 2005 dopo un periodo di malattia. E sulla propria tomba chiede venga apposta una frase del sufi Ansari: «Caro amico, se ti stupisci perché vedi questa tomba che danza, non dimenticare che la tristezza non siede al banchetto di Dio». Una saggezza che già un mullah gli aveva trasmesso quando era andato a trovarlo nella sua casa a Kabul: «Persona estremamente aperta. Dopo aver visitato la cappella mi ha detto: Quelli che si dirigono verso Dio sono diversi, ma l’obiettivo è unico».