MANCHESTER, ESPLOSIONE A CONCERTO: 19 MORTI E 50 FERITI

POLIZIA: E’ TERRORISMO. MAY: ATTACCO ORRENDO. FORSE KAMIKAZE Almeno 19 persone sono morte e 50 rimaste ferite in una esplosione ieri sera durante il concerto della pop star Ariana Grande all’Arena di Manchester. La polizia indaga per terrorismo. Fonti non confermate parlano di un kamikaze. La premier May definisce quanto accaduto “un attacco orrendo”. Sospesa la campagna elettorale; convocati per oggi il Cdm e il comitato d’emergenza Cobra.

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Turchia: attacco in night club a Istanbul, 39 morti e 69 feriti. Tra le vittime 15 stranieri

Aggressori sparano a caso sulla folla vestiti da Babbo Natale. Farnesina verifica eventuale presenza di italiani. Un assaltiore ancora in fuga. Ombra dell’Isis

Il terrorismo colpisce la Turchia nella notte di Capodanno: è di almeno 39 morti e 69 feriti l’ultimo bilancio ufficiale di un attacco avvenuto in una famosa e affollatissima discoteca di Istanbul, non ancora rivendicato ma le cui caratteristiche fanno pensare a un attentato a firma Isis. Tra le vittime anche 15 stranieri.

L’attacco è avvenuto verso l’1:30 ora locale, le 23:30 in Italia. Sul numero degli assalitori, vestiti con costumi da Babbo Natale, ancora non c’è certezza: solo uno, secondo fonti ufficiali; fino a tre, secondo testimoni e media locali. E il ministero dell’Interno turco afferma che l’assalitore sarebbe ancora in fuga. Il locale preso di mira è il ‘Reina’: un rinomato nightclub sulle rive del Bosforo posto nel quartiere di Ortakoy nel distretto di Besiktas, parte europea di Istanbul. Al momento dell’attacco, nel night ci sarebbero state tra le 500 e le 600 persone. L’attentatore avrebbe prima ucciso un poliziotto e una guardia giurata all’ingresso, per poi entrare nel locale e iniziare a sparare a caso sulla folla. Molti si sarebbero perfino gettati nelle acque gelide dello stretto per sfuggire alla morte. Circa 60 le ambulanze accorse sul posto.

Condanna dell’attacco e solidarietà alla Turchia da parte di Stati Uniti, Ue e Nato: la Casa Bianca ha offerto ad Ankara l’aiuto degli Usa, mentre il dipartimento di Stato ha espresso solidarietà “all’alleato turco”; l’alto rappresentante europeo per gli Affari esteri Federica Mogherini ha sottolineato come si debba “lavorare per prevenire tali tragedie”; il segretario generale dell’alleanza atlantica Jens Stoltenberg ha parlato di “tragico attacco”.

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Vescovo di Aleppo: una guerra con troppi interessi internazionali

In Siria importante vittoria della coalizione arabo-curda contro i jihadisti dello Stato Islamico. Strappata agli uomini del sedicente califfato la città di Manbij, al confine con la Turchia. Salvi i duemila civili usati come scudi umani dai jihadisti in fuga verso nord per ripararsi dai bombardamenti.  Intanto si combatte ancora ad Aleppo, in violazione del cessate il fuoco annunciato dalla Russia: continuano i raid, i bombardamenti sugli ospedali e sui mercati e l’emergenza umanitaria. Alcuni camion carichi di cibo sono riusciti ad arrivare nella parte controllata dai governativi. Ascoltiamo il vescovo caldeo di Aleppo mons. Antoine Audo, al microfono di Luca Collodi:

R. – C’è una novità: la strada che abbiamo usato negli ultimi tempi adesso è chiusa. Ci sono combattimenti duri; è stata aperta un’altra strada dove la gente cerca di uscire e tornare ad Aleppo e si può di nuovo comunicare; ma si aspetta sempre la battaglia tra i due gruppi.

D. – Questa strada è una sorta di corridoio umanitario aperta dall’esercito di Assad?

R. – Sì. Questa è la parte conquistata negli ultimi tempi: la Via del Castello adesso è aperta e quindi c’è la possibilità di comunicare e di  uscire verso Homs e Damasco.

D. – Ora c’è la possibilità di far arrivare aiuti umanitari per la popolazione…

R. – Sì, sembra che adesso le cose vadano meglio. Ma è un problema enorme e la Caritas lavora molto bene per dare aiuto ai poveri.

D. – Ad Aleppo è tornata acqua e luce elettrica?

R. – Sì, l’acqua è tornata; c’è meno elettricità, meno ore di servizio, ma così la vita è di nuovo tornata.

D. – Sul piano militare si parla di uso di gas chimici. A lei risulta?

R. – È veramente una cosa molto complicata. Fino ad ora si accusavano a vicenda circa l’utilizzo di armi chimiche. Non sono in grado di dare un mio giudizio.

D. – Cosa fare per la pace?

R. – Il problema è molto complicato. Abbiamo detto e ripetuto con il Santo Padre, con tutti, che la soluzione è di carattere politico e deve venire dall’interno della Siria. I Paesi della regione non devono interferire: i Paesi del Golfo e la Turchia hanno interessi. È chiaro che ci sono poteri che vogliono sostenere certi gruppi con i petroldollari. Dietro c’è il commercio delle armi e come il Santo Padre ha detto: “Parlano della pace e vendono armi per interessi economici”.

D. – Chi sono i ribelli che in questo momento controllano una parte di Aleppo?

R. – Sono gruppi islamici estremisti. Da una parte c’è questo Daesh che porta avanti una guerra in nome della sharia. Inoltre ci sono mercenari ben pagati per fare questa guerra per interessi regionali e internazionali.

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Dacca. Una nuova chiesa cattolica per combattere l’odio

In Bangladesh il dolore si trasforma in speranza. La famiglia di Simona Monti, morta nell’attentato di Dacca del primo luglio scorso insieme ad altre 19 persone, aiuterà a costruire una chiesa nel Paese per sostenere la piccola comunità cristiana. Il nuovo tempio sorgerà nel villaggio di Haritana, dove ci sono un centinaio di cattolici. Si tratta di un progetto promosso da Aiuto alal Chiesa che Soffre. Gioia Tagliente ha intervistatodon Luca Monti, fratello di Simona (radio vaticana)

R. – E’ stata una scelta familiare che abbiamo fatto per concretizzare questa esperienza di sofferenza che abbiamo vissuto, in uno stile di preghiera e di speranza cristiana. Vogliamo, come famiglia, che in memoria di Simona la comunità cristiana in Bangladesh, per quanto una piccola minoranza, non si senta smarrita e possa ricevere così un incentivo attraverso il nostro aiuto, perché possa crescere come comunità e soprattutto crescere anche nel dialogo e nell’incontro con le altre religioni.

D. – Qual è il messaggio che si vuole lanciare con questo progetto?

R. – C’è una frase del Vangelo che noi stiamo vivendo e che certamente ci accompagna anche in questi momenti di naturale smarrimento e di sofferenza, ed è questa Parola del Signore: “Non abbiate paura: io ho vinto il mondo”. L’augurio è quello che facciamo ai cristiani in Bangladesh: quello di potere accrescere la fiducia sulla Parola del Vangelo, e celebrando l’Eucaristia veramente possano sentire forte la presenza del Signore che già è il vittorioso Re della Pace.

D. – In Bangladesh come i cristiani vivono la propria fede, dopo l’attentato?

R. – Suppongo che stiano attraversando un momento di smarrimento e di paura. Questo è normale, perché ho visto che anche noi uomini occidentali siamo piuttosto smarriti. Tuttavia, in questi giorni ho avuto modo di incoraggiare tantissime persone trasformando l’ovvio dolore in una testimonianza cristiana. A chi mi chiedeva se è necessario conoscere il Corano per non morire, mi è sembrato opportuno rispondere: “E’ meglio conoscere il Vangelo per essere testimoni di un messaggio di amore, di riconciliazione e di speranza”.

D. – Perché costruire una chiesa proprio nel villaggio di Aritana?

R. – Era uno dei progetti proposto dall’Associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Mi è sembrato opportuno scegliere questo progetto, forse per il nome di San Michele a cui sarà dedicata questa chiesa: è colui che davanti a Dio tiene in mano la spada della giustizia misericordiosa del Signore; è il protettore della Chiesa, è colui che negli ultimi tempi vincerà sul male, soprattutto sul male con la “m” maiuscola. Ed è anche un testimone di speranza, l’arcangelo Michele. Credo che questa sia una bella testimonianza. E poi, c’è forse un fatto anche più affettivo e familiare, considerando che il bambino di mia sorella si sarebbe chiamato Michelangelo, proprio in memoria del Santo arcangelo Michele.

D. – Diverse le donazioni arrivate: quanto ancora vi occorre per partire con la costruzione?

R. – Io questo non lo so. Noi abbiamo devoluto una somma di 5 mila euro, e altre piccole somme invece le abbiamo destinate ad altre associazioni caritative: penso a Medici Senza Frontiere, anche questo avrebbe reso molto contenta mia sorella.

D. – Cosa vuole dire in onore delle vittime?

R. – Credo che noi siamo allo stesso tempo vittime di un sistema che, purtroppo, ci lega all’emotività, e passata l’onda emotiva siamo veramente condannati e dimenticare sempre tutto. Il sangue di queste vittime non è semplicemente il sangue di una disgrazia, di una tragedia; io ho interpretato questo avvenimento tremendo come un versamento di sangue di testimonianza e quindi parlo di martirio. Perché non si dimentichi questo martirio, occorre che ci impegniamo tutti, proprio in memoria di queste vittime, per un mondo migliore. E vorrei che ogni cristiano possa imprimere nella propria coscienza le parole del Signore: “Venga il Tuo Regno, che è un Regno di giustizia e di pace”. Possiamo essere costruttori tutti di un mondo più giusto e fraterno.