Cei. Ora di religione, in ascolto dei giovani

Ecco il testo del Messaggio diffuso dalla Presidenza della Conferenza episcopale italiana all’approssimarsi della scelta da parte delle famiglie e dei ragazzi di avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2019-2020.

Cari studenti e cari genitori,

si avvicina la scadenza per le iscrizioni al prossimo anno scolastico 2019-20, occasione nella quale sarete chiamati anche a scegliere se avvalervi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (Irc).
Frutto della revisione del Concordato del 1984, questo insegnamento si è ormai consolidato come apprezzata componente del curricolo scolastico ed è scelto da una maggioranza ancora cospicua di studenti e famiglie, che vi trovano risposta soprattutto in termini di formazione personale, di proposta educativa e di approfondimento culturale.
Nel cercare di rispondere sempre meglio a tali aspettative, gli insegnanti di religione cattolica potranno trovare ulteriori e importanti sollecitazioni dal Sinodo dei vescovi che si è concluso nelle scorse settimane e che è stato dedicato proprio ai giovani, cui la Chiesa intende rivolgere un’attenzione sempre maggiore.
Tra le numerose tematiche discusse, ci sembra importante evidenziare il richiamo legato alla domanda di ascolto che viene dal mondo giovanile. Scrivono infatti i vescovi: «I giovani sono chiamati a compiere continuamente scelte che orientano la loro esistenza; esprimono il desiderio di essere ascoltati, riconosciuti, accompagnati. Molti sperimentano come la loro voce non sia ritenuta interessante e utile in ambito sociale ed ecclesiale. In vari contesti si registra una scarsa attenzione al loro grido, in particolare a quello dei più poveri e sfruttati, e anche la mancanza di adulti disponibili e capaci di ascoltare» (Documento finale, 27 ottobre 2018, 7).
Tale richiamo può e deve interessare tutto il mondo della scuola, ma al suo interno l’Irc intende essere proprio un’occasione di ascolto delle domande più profonde e autentiche degli alunni, da quelle più ingenuamente radicali dei piccoli a quelle talora più impertinenti degli adolescenti. Le indicazioni didattiche in vigore per l’Irc danno ampio spazio a queste domande; a loro volta, gli insegnanti di religione cattolica sono preparati all’ascolto, presupposto per sviluppare un confronto serio e culturalmente fondato.
Il Sinodo ha anche constatato che, «se per molti giovani Dio, la religione e la Chiesa appaiono parole vuote, essi sono sensibili alla figura di Gesù, quando viene presentata in modo attraente ed efficace. In tanti modi anche i giovani di oggi ci dicono: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21), manifestando così quella sana inquietudine che caratterizza il cuore di ogni essere umano: l’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore» (50).
L’Irc è il luogo più specifico in cui, nel rigoroso rispetto delle finalità della scuola, si può affrontare un discorso su Gesù. Come insegna papa Francesco, non si tratta di fare proselitismo, ma di offrire un’occasione di confronto per lasciare che ognuno possa, nell’intimo della propria coscienza, trovare risposte convincenti.
Ci auguriamo che anche quest’anno siano numerosi gli alunni che continueranno a fruire di tale offerta educativa, finalizzata ad accompagnare e sostenere la loro piena formazione umana e culturale.

Roma, 18 dicembre 2018

La Presidenza della Conferenza episcopale italiana

da Avvenire

Incontro per docenti, dirigenti scolastici, genitori ed educatori L’EDUCAZIONE SECONDO PAPA FRANCESCO

Il tema dell’educazione rappresenta una costante del magistero di Papa Francesco; è al centro del suo pensiero e della sua azione. Non va dimenticato che Jorge Bergoglio è stato a lungo insegnante e anche nel suo ruolo di vescovo ha sempre avuto a cuore il mondo dell’educazione e della scuola.

La sua “ricetta educativa” – come l’ha definita il segretario della CEI mons. Nunzio Galantino – sarà illustrata venerdì 5 ottobre dal prof. Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università della Conferenza Episcopale Italiana, in un incontro che avrà luogo alle ore 16.30 a Reggio Emilia nella chiesa di Santo Spiridione, in via Nuova.

L’iniziativa è promossa da AIMC, UCIIM, AGe, FIDAE, FISM, Istituto San Vincenzo de’ Paoli, Servizio di Pastorale Scolastica, Servizio Diocesano per l’Insegnamento della Religione Cattolica, Osservatorio per l’Educazione e sarà introdotta dal prof. Luciano Bonacini, dirigente scolastico dell’Istituto San Vincenzo de’ Paoli.

Il prof. Ernesto Diaco, insegnante e pubblicista, ha ricoperto diversi ruoli nell’Azione Cattolica Italiana a livello diocesano e nazionale. Dal 2007 al 2015 è stato vice responsabile del Servizio nazionale della CEI per il progetto culturale. Dal 2015 è direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per l’educazione, la scuola e l’università.

Recentemente ha curato la pubblicazione degli Atti della X Giornata pedagogica del Centro studi per la scuola cattolica, che hanno affrontato una lettura, sotto diverse angolature, del magistero di Papa Francesco in campo educativo e della sua costante attenzione per le giovani generazioni.

Secondo il gesuita Antonio Spadaro, “la sfida educativa è al centro dello sguardo di Papa Francesco”.

L’incontro è rivolto a docenti, dirigenti scolastici, genitori ed educatori.

Nella foto: Papa Francesco con Ernesto Diaco e mons. Nunzio Galantino.

 

CONVEGNO CEI Scuola: don Sala, “è un mondo missionario, luogo in cui si incontrano i giovani”

“Mondo missionario, Chiesa in uscita, luogo in cui si incontrano i giovani, quelli vicini e quelli lontani”. Così don Rossano Sala, segretario speciale del Sinodo, ha definito la scuola che “a volte è anche l’unica esperienza di chiesa che i ragazzi fanno entrando in contatto con persone che hanno un mandato come gli insegnanti di religione”. “La scuola è il primo ambiente citato dai giovani come luogo di incontro, perché è lì che passano la maggior parte del loro tempo”, ha spiegato facendo riferimento alle risposte al questionario inviate come contributo al documento preparatorio del Sinodo. “I giovani chiedono alla Chiesa una svolta relazionale, in quanto la mancanza di relazioni induce a fuggire”, ha detto don Sala intervenendo al Convegno nazionale dei responsabili diocesani e regionali della pastorale della scuola e dell’Irc. “La Chiesa – ha scandito – è sollecitata ad offrire una controcultura profetica della buona relazione”. E su questa frontiera, ha osservato il sacerdote, “gli insegnanti di religione sono in prima linea”. “I ragazzi – ha aggiunto – chiedono una qualità degli adulti, ci dicono che non sono le dottrine a cambiarli, ma narrazioni di vita vissuta: per questo chiedono un confronto con persone credibili”. Secondo don Sala, dunque, occorre “prendere coscienza della distanza, fare un ponte, costruire legami, fare il primo passo, senza aspettare che sia l’altro a venire da noi”. “C’è bisogno – ha concluso – non di una Chiesa ospitale, ma che sappia andare e in questo senso la scuola è un mondo missionario, è Chiesa in uscita”.

sir

Scuola / Insegnamento religioso il pluralismo da difendere

Sulla scia di un Convegno dedicato al rapporto tra scuola e religione, organizzato dal Centro Piero Calamandrei di Torino, si è tornati a proporre l’introduzione, sotto diverse forme nella scuola pubblica, dello studio della storia delle religioni, del fatto religioso, o con altre formule, sostenendo che questa ‘svolta’ gioverebbe alla laicità dello Stato e della scuola. Se ci si fermasse a quest’indicazione, all’auspicio che tra i giovani cresca la conoscenza delle religioni, specie in un’epoca di globalizzazione, non si potrebbe che essere d’accordo. Ma essa ha un punto focale ulteriore, che getta una luce diversa sulla proposta complessiva: voler di fatto procedere alla liquidazione (più o meno immediata, parziale o totale) dell’insegnamento della religione cattolica previsto dal Concordato del 1984, regolato da un’Intesa con la Cei che ne ha arricchito il carattere culturale e pluralista. Questo è il punto di non ritorno: la proposta formulata interpreta l’insegnamento religioso attuale, effettuato su base di una libera scelta, come una sorta d’indottrinamento da parte di una Chiesa, a scapito della libera formazione della coscienza dei giovani, come qualcosa che va eliminato per lasciare il posto a insegnamenti statali presuntivamente neutrali in materia di religione.

Si intravede, così, dietro una terminologia appena ritoccata, un vecchio (direi antico) disegno di voler espungere dalla scuola pubblica l’insegnamento religioso cattolico, e con esso una strutturazione pluralista della formazione dei giovani che abbiamo conquistato e realizzato con la nostra Costituzione democratica, per lasciare spazio a forme d’insegnamento laicista che attraverso la storia delle religioni possono far passare contenuti deformati o arbitrari. Ricordiamo in primo luogo che la scuola italiana è assai più pluralista di quanto si voglia far credere, proprio in materia di religione. Non solo perché esiste la previsione concordataria dell’insegnamento della religione cattolica, con un’Intesa che concepisce tale insegnamento in termini culturali e con un’apertura ad altre religioni e al dialogo interreligioso che deriva dal grande orizzonte del Concilio Vaticano II. Ma perché esistono diverse norme di accordi con altri culti, in base alle quali la scuola risponde alle richieste dei ragazzi e delle famiglie, o degli organi scolastici, per lo «studio del fatto religioso» (Intesa Valdese, Avventista, Pentecostale, Luterana, Battista, Buddista, ecc.), o per lo «studio dell’ebraismo». Inoltre, sia all’interno dei programmi di alcune discipline (storia, e materie umanistiche), sia in virtù dell’autonomia scolastica che prevede l’organizzazione di attività formative specifiche, possono darsi (e si danno) studi e approfondimenti della religione sotto diversi aspetti, storico, culturale, artistico.

Tanto questo è vero che la sentenza con la quale la Grande Chambre di Strasburgo nel 2011 ha legittimato la presenza del Crocifisso nelle scuola italiane ha avuto tra le sue motivazioni principali proprio il carattere pluralista della scuola italiana, aperta a diverse presenze religiose, che garantisce i giovani da condizionamenti confessionali: un solenne e prezioso riconoscimento che supera polemiche pretestuose. Dunque, in Italia (come nella stragrande maggioranza dei Paesi europei) non esiste una scuola chiusa, o disattenta, verso la religione, la sua evoluzione storica, le sue diverse espressioni. C’è invece un caso in Europa nel quale l’incomunicabilità tra scuola e religione s’è fatta aspra, con qualche grave conseguenza. È il caso della Francia dove, dopo la Loi de séparation del 1905, non s’è più dato insegnamento religioso, e anzi la scuola pubblica è sottoposta a una stretta laicista così forte che ha infine escluso ogni simbolo religioso, anche indossato privatamente da giovani e adulti; e dove (come già ricordato su ‘Avvenire’) un Rapporto commissionato dal Governo e realizzato da Philippe Joutard nel 1989, ha rivelato qualcosa di sconcertante: che nella visita al Louvre di classi di scolaresche, a volte i ragazzi chiedono all’insegnante di spiegare loro chi sono tutte quelle baby-sitter che in tanti quadri tengono in braccio un bambino! O che, di fronte alle opere di Mantegna su San Sebastiano interpretano le frecce disseminate sul suo corpo come frecce degli indiani d’America. L’assenza d’ogni riferimento alla religione crea una desertificazione culturale che ferisce i giovani.

Questo accade in Francia, ed è il risultato di una laicizzazione drastica e prolungata della scuola pubblica, che inizia proprio quando, magari proclamandosi portabandiera del pluralismo, si vuole in realtà espungere dall’ambiente scolastico la conoscenza della religione che è tra i fondamenti delle nostre identità nazionale ed europea. Allora, quel nucleo di verità, per la quale è giusto che vi sia nella scuola una circolarità di conoscenza delle religioni, della loro storia ed evoluzione, non deve stravolgere quanto di positivo già esiste nel nostro ordinamento scolastico, e in quello di tanti Paesi europei, cioè la presenza libera, culturale, di insegnamenti religiosi che offrono un quadro di apprendimento, di crescita, di riflessione, su una dimensione decisiva per la vita individuale e collettiva. È giusto migliorare, nel nostro e in altri Paesi, il pluralismo scolastico, adeguarlo all’orizzonte di una globalizzazione che sta portando tra noi tradizioni e religioni poco conosciute; ma occorre tener ferme quelle conquiste di libertà e di presenza religiosa pienamente rispondenti ai principi della nostra Costituzione, e a quella laicità aperta e positiva che caratterizza il nostro ordinamento.

Avvenire