Archeologia. Nuova sinagoga scoperta a Magdala

È la prima volta che si trovano due sinagoghe del tempo di Gesù nello stesso centro urbano
I banchi della nuova sinagoga recentemente scoperta

I banchi della nuova sinagoga recentemente scoperta – Università di Haifa

Avvenire

Vedere emergere dalla terra dei banchi di pietra lungo i lati di una stanza e realizzare rapidamente che si è di fronte, un’altra volta, alla scoperta di una sinagoga del primo secolo, il tempo di Gesù. È quanto è successo nei giorni scorsi a Dina Avshalom-Gorni, archeologa dell’Autorità Israeliana per le Antichità.

Siamo a Migdàl (in ebraico “torre”), la città da cui ha preso il nome Maria Maddalena, la discepola di Gesù di cui ci parlano i Vangeli. Già nel 2009 gli scavi nell’area archeologica tenuta dai Legionari di Cristo hanno portato alla luce una sinagoga del primo secolo. La scoperta generò un grande interesse da parte degli studiosi, soprattutto a causa di una pietra, finemente decorata, i cui motivi rimandano al tempio di Gerusalemme. Questa volta le circostanze sono fortuite, perché il ritrovamento è avvenuto in uno “scavo di salvataggio” dovuto al fatto che sono in corso dei lavori stradali. Prima di costruire si fanno sondaggi per verificare di non obliterare dei resti importanti, ed ecco che è emersa un’altra sinagoga con la stessa pianta di quella ritrovata una dozzina di anni fa.

La pietra di Magdala con la Menorà (candelabro a sette braccia)

La pietra di Magdala con la Menorà (candelabro a sette braccia) – Ministero del Turismo Israele

È la prima volta che si trovano due sinagoghe del tempo di Gesù nello stesso centro urbano e più in generale le sinagoghe di primo secolo si contano sulle dita delle mani o poco più. Questa volta l’impulso per gli studiosi è dato proprio dalla duplicazione; secondo il professor Adi Erlich, dell’Università di Haifa, che ha la responsabilità scientifica dello scavo: “La sinagoga che stiamo scavando adesso è vicina alla strada residenziale, mentre quella del 2009 era circondata da una zona industriale”. Magdala era un grande centro sul lago di Galilea. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio, esagerando con i numeri, parla di quarantamila abitanti e di duecentotrenta navi nel porto cittadino. Anche considerando numeri di molto inferiori siamo comunque di fronte a un centro importante. Due sinagoghe in due diverse aree dell’abitato dicono quanto la presenza di questa istituzione fosse pervasiva nella quotidianità degli ebrei al tempo di Gesù. Del resto leggiamo nei Vangeli, e l’archeologia lo ha confermato, dell’esistenza di sinagoghe anche in villaggi molto piccoli della Galilea. Possiamo chiederci il motivo di (almeno) due sinagoghe a Magdala: esigenze di spazio? Legame con il territorio fino al punto di avere sinagoghe di quartiere? Legame con le diverse realtà sociali che componevano il giudaismo del tempo? Tutte questioni su cui si concentreranno gli approfondimenti futuri e che sono stimolate da questo ritrovamento.

La sinagoga si presenta a pianta quadrata, con banchi di pietra su tutti i lati; il punto focale della sinagoga stava nel centro della sala. Al tempo di Gesù le sinagoghe erano spazi multifunzionali dove la gente poteva riunirsi. Sappiamo che tra le attività svolte in sinagoga c’erano la lettura e lo studio della legge, la Torà. Ma sappiamo anche che qui la comunità si radunava quando c’erano da prendere decisioni importanti, come avvenne a Tiberiade quando gli abitanti dovettero decidere quale atteggiamento tenere nella rivolta antiromana nel 66 d.C. Nella sinagoga si amministrava la giustizia, si raccoglievano contributi per opere di carità e in alcune era possibile accogliere gli stranieri.

Perché Natale è proprio oggi

Il Natale è la festa che nella tradizione cristiana celebra la nascita di Gesù, che però non nacque davvero il 25 dicembre. Le fonti storiche sulla vita di Gesù, cioè i Vangeli, non indicano una data precisa, e non sappiamo con certezza quando i cristiani abbiano cominciato a festeggiare il Natale: sicuramente almeno dal 336 d.C., come è indicato nel Cronografo del 354, una specie di calendario che è il primo documento a contenere un riferimento al Natale.

Quella del 25 dicembre alla fine fu scelta come data simbolica per ricordare la nascita di Gesù e cristianizzare le feste pagane che si celebravano nell’Impero Romano, i Saturnali e la festa del cosiddetto “Sole Invitto”.

Cos’erano i Saturnali, cioè il Natale prima del Natale
I Saturnali, Saturnalia in latino, si celebravano dal 17 al 23 dicembre in onore del dio Saturno, il corrispettivo del greco Crono. Come nelle antiche feste che nel tempo si sono trasformate nel Carnevale, durante i Saturnali le comuni regole sociali venivano invertite: tra le altre cose, capitava che i padroni servissero a tavola i loro schiavi. Come molte persone oggi pensano che il Natale sia il giorno più bello dell’anno, così pensava il poeta Catullo del 17 dicembre.

Molte tradizioni dei Saturnali si sono trasmesse al Natale cristiano: tra queste lo scambio dei regali, che quindi è più antico delle tradizioni cristiane. Avveniva il 19 dicembre, cioè il Sigillaria. Si donavano e si ricevevano cose semplici, simboliche, dato che scambiare oggetti di valore sarebbe stato contrario allo spirito della festa. Ai bambini venivano regalate statuette di pasta dolce – i sigilla – a forma di bambole e animali.

Alla fine del Terzo secolo il calendario civile romano indicava come solstizio d’inverno il 25 dicembre. In tutte le antiche culture dell’emisfero boreale il solstizio d’inverno viene festeggiato perché è il giorno dopo il quale le giornate ricominciano ad allungarsi, e per questo è legato alle divinità solari.

Sempre nel Terzo secolo, il 25 dicembre nell’Impero Romano si festeggiava anche il dio del Sole Invitto, che riuniva in sé vari dei solari di diverse religioni: il greco Helios, il siriano El-Gabal e il persiano Mitra.

Negli ultimi secoli dell’Impero Romano, prima che il cristianesimo diventasse la religione ufficiale, non erano rari questi culti che sovrapponevano varie divinità creando nuove religioni molto aperte. In particolare la religione del Sole Invitto era una di quelle che già prima dell’affermarsi del cristianesimo si avvicinava al monoteismo.

Il 25 dicembre fu scelto come giorno della nascita di Gesù – dopo aver preso in considerazione date come il 18 novembre, il 28 marzo e il 20 maggio – per “coprire” la festa del Sole Invitto e avere un’ulteriore argomentazione per convincere i pagani a convertirsi: non avrebbero perso la loro festa una volta diventati cristiani. La figura di Gesù era proposta a questi pagani come quella del “vero” Sole.

Le altre tradizioni natalizie
Nel corso del tempo e con la diffusione del cristianesimo, il Natale si è arricchito di molte altre tradizioni a loro volta provenienti da altre celebrazioni del solstizio d’inverno.

L’albero di Natale, per esempio, arriva dalla tradizione germanica della festa del solstizio d’inverno, chiamata Yule; nelle lingue scandinave il periodo del Natale si indica tuttora con espressioni che derivano chiaramente da questo termine, “jul” in svedese, danese e norvegese, “Jól” in islandese. Altri elementi tradizionali pagani sono passati alla festa di Capodanno, invece che al Natale: tra questi i fuochi e i falò che venivano accesi per il solstizio.

La storia dietro Babbo Natale invece è più complessa. L’Enciclopedia Britannica spiega che questa figura è nata a partire da quella di San Nicola di Bari – anche noto come San Nicola di Myra, città nell’attuale Turchia in cui era vescovo; il suo corpo fu portato a Bari dopo la morte – che si celebra il 6 dicembre. Il culto di questo santo è sempre stato legato all’idea dei doni recapitati ai bambini, e nel tempo la sua figura si è evoluta in quella di Babbo Natale, passando per il Sinterklaas olandese, portato nella colonia americana di New Amsterdam, poi diventata New York, e lì trasformatosi in Santa Claus.

Con il diffondersi della cultura americana nel mondo, dopo la Seconda guerra mondiale, Babbo Natale è diventato popolare anche in Italia, dove nella maggior parte delle regioni ha preso il posto di Gesù Bambino, Santa Lucia o San Nicola nel portare i doni ai bambini.

Il Post

Gesù secondo i Vangeli

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Settimana News

«La gente, chi dice che io sia?» (Mc 8,27). Questa domanda di Gesù ai discepoli – ogni volta così necessaria anche alla nostra coscienza, per non dimenticare certi valori fondamentali legati al messaggio cristiano –, questa domanda può essere presa come base della lettura del nuovo libro del card. Ravasi: Biografia di Gesù secondo i Vangeli (Raffaello Cortina editore, Milano 2021, pp. 256, € 19,00).

Come leggere i Vangeli

Noi non conosciamo il Vangelo. Crediamo di conoscerlo, perché ne ascoltiamo i passi durante la liturgia; ma non lo conosciamo, non ne comprendiamo la bellezza, l’arte dei rimandi o la dolcezza della parola di Gesù, semplice e alta, che gli stessi discepoli, a volte, non comprendevano.

Il Vangelo va letto interamente, come qualsiasi altro libro: una parola dopo l’altra, una riga dopo l’altra, una pagina dopo l’altra, un capitolo dopo l’altro; lentamente e attentamente, chiudendo la porta del cuore e della mente a ciò che è esterno, nel silenzio interiore ed esteriore. Una lettura così, è già preghiera, per la quale occorre la stessa disposizione interiore raccomandata da Gesù: «Quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt, 6, 6).

Ma il Vangelo contiene anche dei punti oscuri, all’interpretazione dei quali il cardinal Ravasi ha dedicato già un libro: Le pietre di inciampo del Vangelo [Mondadori, Milano, 2015]. La parola della croce, infatti, «è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano […] è potenza di Dio» (1Cor, 1,18); è una parola che “scandalizza”, la «pietra di inciampo che fa incespicare e cadere» (pag. 4).

Ora, con questo nuovo libro teologicamente denso, ma chiaro e accessibile, Ravasi ci viene incontro nella lettura e nella meditazione di questa parola. Il libro è anche una breve storia dei Vangeli, della loro formazione, delle comunità cristiane a cui sono rivolti, delle loro fonti e dei loro autori. Ravasi ne delinea il contesto in cui si collocano, ne traccia la trama per tematiche, per quadri, per movimenti (pur con i necessari tagli), fornendo anche dati archeologici, e richiami alle arti che in vario modo li hanno interpretati. In questo contesto deve essere inserita la figura di Gesù: la sua nascita, i suoi discorsi, le sue preghiere, il suo rapporto con il potere politico e religioso, ecc.

Gesù, fede e storia

Il Gesù dei Vangeli è, indubbiamente, il Gesù della storia, che percorre le strade predicando il Regno di Dio, circondato da folle immense di gente povera e di malati con ogni sorta di malattie; che parla loro con il linguaggio del loro mondo, «fatto di terreni aridi, di semi e seminatori, di erbacce e di messi, di vigne e di fichi, di pecore e di pastori, di cagnolini, di uccelli, di gigli, di cardi, di senape, di pesci, di scorpioni, serpi, avvoltoi, tarli, di venti, scirocco e tramontane, di lampi balenanti e piogge o arsure» (p. 163).

E la sua parola – sdegnosa verso i ricchi, verso il potere politico e religioso, verso quelli che mercanteggiano nella casa del Padre, verso l’apparenza e l’ipocrisia – reca a quelle folle gioia e conforto. Quale cuore non consolano queste dolcissime parole: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt, 11,28-30)!

Quali parole più rivoluzionarie di quelle del “discorso sul monte”! Quale racconto più bello di quello delle parabole! E chi, almeno una volta, non ha recitato quella umanissima preghiera che lui stesso ci ha insegnato! I Vangeli sono scritti stupendi, che infondono gioia e conforto a tutti, di ogni credo e ideologia, perché «la persona di Gesù non è un mito o un simbolo o un’idea che ha mosso un gruppo di adepti, bensì una figura storica» (p. 97), vero uomo tra gli uomini.

Il Gesù della storia, però, non può essere separato dal Gesù della fede; il Gesù dal Cristo, che solo la fede può farci conoscere veramente. In Gesù-Cristo, “divinità” e “umanità” è una sola realtà. Se, infatti, nell’angoscia del Getsèmani e nella morte egli si rivela pienamente uomo, risorgendo è il Dio vittorioso sulla morte.

«Il realismo della crocifissione, per i Vangeli, è una forte prova dell’incarnazione: Cristo passa attraverso il terreno proprio dell’uomo, quello del limite, della morte, della finitudine, divenendo fratello di tutti gli uomini e di tutte le donne» (p. 227). Incarnazione e Resurrezione (i misteri della fede) sono, in fondo, uno solo; in essi solamente si rivela le vera identità di Gesù. I Vangeli non trascurano la storia, ma la rielaborano teologicamente, trasformando i dati reali in segni d’una realtà che li trascende. Essi sono legati alla storia e alla fede: due realtà indivisibili.

Quando, infatti, li leggiamo, il Gesù storico non dico che ci sfugge, ma è talmente fuso con il Cristo, che non distinguiamo più l’uno dall’altro. E non capiremo quei due grandi misteri, se non ci lasciamo travolgere dalla sua parola umile e alta, umana e divina. Se, infatti, le sue parole sono profondamente umane, com’è profonda la sua preghiera prima della passione, o le sue parole d’addio (Gv, cc. 14 e 17)!

Senza la fede, non possiamo ri-conoscere Cristo, per il quale occorre uno sguardo diverso, più profondo.

Dentro la Trinità il volto dell’uomo

La professione di fede del credente – il Credo – nella sua parte centrale (la più lunga) riassume questo Gesù tra storia e fede. E con quali versi di stupefacente profondità teologica e fervore di credente, Dante, nell’ultimo canto del Paradiso ci ha lasciato un’immagine viva dell’umanità e divinità di Cristo: «O luce etterna che sola in te sidi, | sola t’intendi, e da te intelletta | e intendente te ami e arridi! || Quella circulazion che sì concetta | pareva in te come lume reflesso, | da li occhi miei alquanto circunspetta, || dentro da sé, del suo colore stesso, | mi parve pinta de la nostra effige».

Commenta Carlo Ossola: «L’epifania della Trinità ha, al proprio centro, il nostro volto: nel cuore del mistero stesso risiede un nucleo a noi noto; paradossalmente il lungo cammino verso l’essenza della Trinità ci restituisce a noi stessi» [Dante, La Divina Commedia; a cura di Carlo Ossola; Marsilio editori, Venezia, 2021; pag. XV].

In un bellissimo commento al verso 108 del canto XXXI del Paradiso, relativo al pellegrino che finalmente può vedere il volto di Cristo impresso nel lino, J.L. Borges (L’artefice, 1960) dice: «Se davvero sapessimo come fu, possederemmo la chiave delle parabole e sapremmo se il figlio del falegname fu anche figlio di Dio […]. Abbiamo perduto quei lineamenti […]. Possiamo scorgerli e non riconoscerli. Il profilo di un ebreo nella galleria sotterranea è forse quello di Cristo; le mani che ci porgono alcune monete a uno sportello forse ripetono quelle che i soldati, un giorno, inchiodarono alla croce. Forse un tratto del volto crocifisso si cela in ogni specchio; forse il volto morì, si cancellò, affinché Dio sia tutti».

Alle donne che, due giorni dopo la morte di Gesù, si recano al sepolcro e lo trovano vuoto, due uomini dicono: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc, 24, 5). Ecco: il Gesù-Cristo non cerchiamolo tra i morti, perché egli è vivo; e se non possiamo conoscerne il volto, possiamo almeno vederlo riflesso nei poveri che abbiamo sempre con noi, e presente nell’eucaristia.

Il suo messaggio di pace e d’amore non offende nessuno, perché è un messaggio umano che tutti comprendono, come comprendono il dolore, perché egli è “l’uomo dei dolori”; e il dolore unisce, forse, più dell’amore, perché è identico a tutti.

Scrive Salvatore Natoli in L’uomo dei dolori [EDB, Bologna, 2020, p. 24]: «Nell’immagine dell’uomo dei dolori vi è qualcosa che può attrarre anche chi non crede poiché nella mitezza di quel volto si può scorgere la superiore sapienza di chi non risponde al male con il male – s’intende quello inflitto – perché replicarlo vorrebbe dire mantenerlo in circolo, mentre non rispondervi significa neutralizzarlo svelandone la vanità. “L’uomo dei dolori” […] è un’immagine della pietà fatta per spezzare la “durezza del cuore”».

In questo periodo di Avvento e di preparazione al Natale, consiglierei a tutti – credenti e non – la lettura di questa splendida biografia, perché tutti possano conoscere meglio questa figura che, comunque si voglia considerare, ha rivoluzionato la storia e il pensiero, e i credenti, almeno, possano riscoprire il vero significato della sua Natività.

  • Gianfranco RavasiBiografia di Gesù secondo i Vangeli, Raffaello Cortina editore, Milano 2021, pp. 256, € 19,00.

Natale, i miracoli di Gesù (nella sabbia). La mostra è stata inaugurata a Jesolo dal patriarca Moraglia. Scultori in arrivo da tutto il mondo

Jesolo ( Venezia)

Monumentale, all’apparenza granitico, indistruttibile. In realtà costruito con il più effimero e impalpabile dei materiali, la sabbia. Anche quest’anno a Jesolo i più geniali scultori di sabbia sono giunti da tutto il mondo per dare forma al ‘Sand Nativity 2021’, dodici gigantesche composizioni dedicate al Natale e – in questa edizione particolare – ai miracoli di guarigione compiuti da Cristo: dal servo del centurione alla resurrezione di Lazzaro, dal lebbroso al sordomuto, dall’indemoniato al nato cieco… Dodici capolavori, che solo pochi giorni fa erano altrettanti ammassi informi di sabbia scaricati dai Tir nella centrale piazza Trieste. È lì che gli artisti, selezionati in Europa e in America dal direttore artistico, lo statunitense Righard Varano, hanno scolpito per giorni le mille tonnellate di sabbia dorata, la stessa che in estate rende tanto famoso il litorale adriatico.

La storia è affascinante a partire dalla sabbia stessa, nata 25 milioni di anni fa dalle Dolomiti che emersero dal mare, poi nel corso delle ere geologiche i sedimenti marini si compattarono sotto il loro stesso peso e si trasformarono nei Monti Candidi, una roccia unica al mondo per bellezza e colore. La dolòmia nei millenni si sgretolò in ghiaia e viaggiò trasportata dai fiumi fino al mare, diventando sabbia finissima dalle caratteristiche uniche al mondo. «Visti al microscopio, i granelli hanno la forma di triangolini aguzzi estremamente piccoli, che una volta compressi insieme all’acqua si incastrano tra loro marmorizzandosi – spiega Massimo Ambrosin, fin dalla prima edizione del 2002 organizzatore dell’evento –: allo sguardo danno l’impressione di una roccia solida, ma restano sabbia e guai sfidare le leggi della fisica, gli scultori lo sanno bene». Altezze ardite, figure imponenti, elementi architettonici e naturalistici, non manca nulla, ma il tutto è tenuto insieme esclusivamente da acqua e abilità artistica, non una sola goccia di colla viene usata. Eppure i grandi quadri resteranno intatti fino al 6 gennaio, quando le ruspe aggrediranno le sculture facendole franare di nuovo in un milione di chili di sabbia, da ripulire e riutilizzare il prossimo Natale.

Titolo della mostra di quest’anno è ‘I miracoli di sabbia’, dedicati alla pandemia e trasformati in preghiera per la salvezza dell’umanità dal Covid. A inaugurare l’opera è stato il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, che l’8 dicembre l’ha benedetta. Era stato proprio il patriarca ad ottenere che il presepe del Papa a Roma nel 2018 fosse la ‘Sand Nativity’ partita da Jesolo a bordo di numerosi Tir e scolpita in piazza San Pietro dagli stessi scultori ingaggiati da Richard Varano. «La sabbia è qualcosa di evanescente e portentoso», aveva commentato allora Moraglia, «immaginare che per alcune settimane il Mistero eterno vivrà effigiato proprio in miliardi di granelli di sabbia…». Un miracolo d’arte che si ripete anche quest’anno. C’è tutta l’imponenza di Gesù che, severo, guarisce l’orecchio del servo del grande sacerdote, ferito da Pietro durante l’arresto del Messia. C’è la devozione del centurione, che tanto aveva creduto. La pietà per il sordomuto e per il paralitico destano la stessa meraviglia nel pubblico di sabbia, che fa corona ai due scenari, e nel pubblico vero. Un intero scorcio architettonico incornicia la perfezione della ‘Guarigione dell’emorroissa’, impressionante per maestosità e realismo. I drappi e le vesti sembrano vera stoffa nel quadro della ‘Suocera di Simone’ e nel cieco guarito, ma spettacolare è ‘L’indemoniato’ che si contorce negli spasimi mentre i diavoli lo tormentano e Gesù li costringe a una furiosa resa. Di sabbia sono anche le bende che coprono le membra deformi del lebbroso. Infine – e qui hanno lavorato non uno ma tre artisti insieme – al centro della piazza c’è la Natività, capace con la sabbia di sprigionare una luce accecante. Tutto ciò che è ritratto attorno alla Sacra Famiglia raggiunge l’apice del virtuosismo descrittivo, dalla paglia che accoglie la neo mamma al manto dell’asino e del bue, dal vello delle pecore ai volti dei Magi, dal volto innamorato e stanco per il parto di Maria, alla paterna devozione di Giuseppe che bacia la mano del neonato.

Chiude la serie, eccezionalmente, la scultura dedicata a medici, infermieri e forze dell’ordine che in questi due anni tanto hanno fatto per noi contro la pandemia. E, per la prima volta, c’è anche l’angelo monumentale fatto da Marco Martalar, che si definisce ‘scultore del legno e artista del bosco’, con gli abeti abbattuti dalla tempesta ‘Vaia’: «Anche quei legni arrivano da lassù come la sabbia, è l’incontro tra la montagna e il mare». In 18 edizioni (l’anno scorso causa Covid non si è potuto) grazie alle offerte libere dei milioni di visitatori si sono raccolti 750mila euro, interamente devoluti in concrete opere di solidarietà nel mondo povero. Ma per Jesolo il Presepe di Sabbia rappresenta anche un grande investimento sociale: «Una cittadina che viveva solo in estate, ora si risveglia in inverno e attrae un tale numero di visitatori che in quei giorni gli esercenti hanno incassi persino maggiori che nel periodo estivo », commenta il funzionario comunale. Il che in periodo di grande crisi si traduce in posti di lavoro e giovani che ‘la stagione’ la fanno al mare. Il mare d’inverno.

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Dalla guarigione dell’emorroissa alla resurrezione di Lazzaro, la vita di Cristo in piccoli grandi capolavori

La guarigione dell’emorroissa

Gesù modello d’empatia integrale

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L’empatia di Gesù è evidente e presente in molti passaggi del Nuovo Testamento. è riscontrabile in maniera chiara nella narrazione della guarigione dei due ciechi di Gerico (Mt 20,29-34). In tale circostanza l’empatia autentica di Gesù davanti ai due uomini che implorano la guarigione, è percepibile nelle sue azioni e parole. Pertanto, è fondamentale, per il nostro cammino di crescita come credenti, comprendere e riconoscere come Gesù possa essere modello di empatia integrale: cioè di empatia cognitiva, affettiva, compassionevole, prosociale, salvatrice e spirituale.

Empatia cognitiva: Gesù comprende profondamente la difficile situazione sociale in cui versano i malati emarginati che si rivolgono a lui per essere sollevati dalle loro sofferenze e guarire dalle loro malattie. Perciò, Gesù vede e si rende conto del dolore dei due ciechi di Gerico che soffrono per il rifiuto e l’intolleranza della «folla che li rimproverava» (v. 31). Gesù “si mette nei loro panni”. Pertanto, al loro grido (v. 30), sceglie di fermarsi e di porsi in ascolto delle loro sofferenze (v. 32).

Empatia emotiva: Gesù accoglie con empatia i malati. Egli sente con le sue emozioni e i suoi sentimenti la loro sofferenza. Pertanto, con la sua domanda: «Che cosa volete che io faccia per voi?» (v. 32), Gesù dimostra un’accoglienza incondizionata e un ascolto empatico, lasciandosi toccare il cuore dal grido di disperazione e dall’angoscia di questi uomini: «Signore, che i nostri occhi si aprano!» (v. 33).

Empatia compassionevole: La comprensione empatica, cognitiva e affettiva della sofferenza dei ciechi commuove profondamente Gesù fin “nelle sue viscere”. Tale sentimento scatena in lui una compassione e una motivazione viscerale per dare un senso e una speranza alla loro vita. Pertanto, l’espressione «Gesù ne ebbe compassione» (v. 34), che si ritrova anche in altri passaggi del Nuovo Testamento, rivela in maniera chiara questa empatia compassionevole di Gesù.

Empatia salvatrice, spirituale e prosociale: La compassione di Gesù lo porta a compiere azioni e gesti autenticamente empatici, volti a sollevare questi uomini dalla loro sofferenza; ma anche per dare testimonianza della salvezza del regno del Padre celeste. Perciò, nel caso dei due ciechi, l’empatia salvatrice, spirituale, prosociale di Gesù si manifesta nell’atto di guarigione: «Toccò loro gli occhi ed essi all’istante ricuperarono la vista e lo seguirono» (v. 34).

L’empatia integrale di Gesù diventa quindi un modello ispirante per la praxis morale del discepolo di Cristo. Infatti, ci invita integrare sempre di più l’empatia cristiana, interiorizzando i valori del Vangelo e dell’amore-carità che contribuiscono allo sviluppo del nostro giudizio morale. Dobbiamo essere anche convinti che l’empatia di Gesù curi e guarisca le nostre ferite personali e relazionali. Così, davanti alle fragilità dei nostri fratelli e sorelle, arricchiti e fortificati da questa crescita umana e spirituale, potremo anche noi essere testimoni dell’empatia integrale di Gesù e della sua Speranza salvatrice.

Mario Boies, C.Ss.R., M.Ps. – (Fonte: alfonziana.org)

The Chosen: una serie su Gesù che esiste grazie alla Rete

Nelle rassegne stampa l’udienza generale di Francesco dell’11 agosto scorso è stata molto citata anche a motivo di un “fuori programma”: il cellulare acceso passato al Papa per rispondere a una chiamata urgente. Dalle testate specializzate di area anglofona si è appreso invece un altro dettaglio: l’incontro, a fine udienza, tra Francesco e «nientemeno che “Gesù”», come scrive il “National Catholic Reporter” ( bit.ly/3yIJSr0 ), ovvero l’attore Jonathan Rumie, che interpreta il Cristo nella serie tv “The Chosen”. Rumie, che è cattolico, insieme al regista e coautore Dallas Jenkins, che è evangelicale, e al distributore Neal Harmon, che è mormone, era a Roma per promuovere la fiction. Della quale non ho potuto vedere che pochi fotogrammi, ma che, stando ai dati, piace: giunta alla seconda stagione sulle sette previste dichiara già, complessivamente, 300 milioni di visualizzazioni. Anche don Mauro Leonardi, in un recente post sul suo blog “Come Gesù” ( bit.ly/3DHtWJ9 ), e il professor Armando Fumagalli, che ne ha scritto il 31 luglio su “Vita e Pensiero Plus” ( bit.ly/3gWE4nD ), danno un giudizio tutto sommato positivo della serie (per quanto mostrato sinora), pur evidenziandone gli inevitabili limiti. Quello che si può sottolineare anche senza conoscerla è che questa fiction esiste e viene vista grazie alla Rete. È attraverso la Rete che la distributrice, Angel Studio, ha reperito, con un grande e riuscito crowdfunding, i finanziamenti necessari (10 milioni di dollari per stagione), sfuggendo così ai condizionamenti dei grandi distributori internazionali. Ed è attraverso la Rete che la si può vedere: sulla pagina Facebook e sul canale YouTube (con abbondanti materiali di contorno), sul sito ( bit.ly/3zEAKox ) e persino attraverso una app dedicata. Se, come scrive Fumagalli, “ The Chosen” «sta crescendo come un’onda montante», mostrando che «c’è oggi spazio per progetti internazionali che rispettino davvero la sensibilità dei credenti», è anche merito della Rete.

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