Gaza: accordo su cessate il fuoco questa sera alle 20

Una fonte israeliana – ha riportato Haaretz – ha confermato che i colloqui in corso tra le parti, mediati dall’Egitto, sulla guerra in corso a Gaza, prevedono un cessate il fuoco per questa sera, anche se i dettagli devono essere ancora finalizzati.

Fonti palestinesi citate da media internazionali hanno riferito che è stato raggiunto un accordo per le 20 (ora locale) di stesera.

(ANSA). 

Tensione. Raid israeliani contro la Jihad a Gaza: 15 morti, oltre cento feriti

Prosegue il lancio di razzi dalla Striscia verso le zone sud di Israele
Il fumo provocato dalle esplosioni dei raid israeliani nella Striscia di Gaza

Il fumo provocato dalle esplosioni dei raid israeliani nella Striscia di Gaza – Ansa

Fonte: Avvenire

È salito a 15 il bilancio dei morti a Gaza per gli attacchi israeliani; i feriti sono 125 (dato aggiornato sabato pomeriggio). Tra gli uccisi anche una donna di 23 anni che si trovava dentro casa a Khan Younis nel sud della Striscia: nello stesso episodio ferite 6 persone, tra cui 3 minori. Prosegue il lancio di razzi da parte della Jihad verso le zone del sud di Israele e in particolare nelle comunità ebraiche a ridosso della Striscia: un razzo ha colpito una casa a Sderot, ma non ci sarebbero feriti.

 

Un’operazione «per rimuovere una minaccia concreta nei confronti di cittadini israeliani e nelle zone vicino a Gaza». L’ha definito così, il premier israeliano Yair Lapid, l’intervento dell’esercito israeliano a Gaza contro la Jihad islamica, intervento definito “Breaking Dawn”, «l’arrivo di un nuovo giorno». Un’operazione che fa seguito all’arresto, avvenuto martedì scorso, di Bassen a-Saadi, leader della Jihad islamica in Cisgiordania, sorpreso da un’unità speciale israeliana durante una visita notturna alla famiglia, nel campo profughi di Jenin. Un altro leader della Jihad islamica, il comandante del nord della Striscia Taysir al-Jabari, è tra i 15 membri del gruppo armato rimasti uccisi ieri nei raid aerei israeliani. Secondo il ministero della Sanità di Hamas, che governa l’enclave palestinese, si contano invece sette morti, compresa una bambina di cinque anni, e almeno 40 feriti. Colpito anche un palazzo di dieci piani. Contemporaneamente, una «allerta speciale» è stata dichiarata sul fronte interno israeliano ed è stato deviato il traffico aereo. L’Iron dome, il sistema di difesa missilistico, è stato schierato per coprire fino a 80 chilometri all’interno di Israele, quindi comprese Tel Aviv e Modin.

«Il governo di Israele non permetterà ai terroristi di stabilire l’agenda nella Striscia di Gaza e minacciare i nostri cittadini. Chiunque cerchi di colpirci sappia che lo raggiungeremo», ha sottolineato il premier Lapid. «Noi non cerchiamo un conflitto, ma non esiteremo a difendere i nostri cittadini, se necessario», gli ha fatto eco il ministro della Difesa Benny Gantz. La replica della Jihad islamica non si è fatta attendere. «Tel Aviv e tutte le altre città israeliane sono nel nostro mirino», ha fatto sapere il leader politico del gruppo, Ziad Nahaleh. «Andremo in battaglia. In questa campagna non ci poniamo alcuna linea rossa. Tel Aviv sarà un nostro obiettivo. Colpiremo tutte le città degli occupanti. Nelle prossime ore essi vedranno la nostra reazione». Secondo Nahaleh tutte le fazioni armate dei palestinese devono unirsi in questo sforzo.

Dopo l’arresto, martedì, del 62enne Bassen a-Saadi, la tensione era andata crescendo. Da Gaza la reazione delle Brigate al-Quds, ala militare della Jihad islamica, era stata immediata: «Israele – ha avvertito – è responsabile della sua vita. Pagherà un duro prezzo se dovesse diventare un martire». Di conseguenza l’esercito israeliano aveva elevato lo stato di allerta nel territorio israeliano vicino a Gaza. A-Saadi era stato arrestato sette volte e aveva passato un quarto della sua vita in carcere. Tra i fondatori della Jihad islamica in Cisgiordania, secondo l’esercito israeliano era diventato un punto di riferimento nella organizzazione di attentati nella regione, in particolare nell’area di Jenin e Nablus.
Dopo il suo arresto, nel timore di ritorsioni dei gruppi radicali, da martedì Israele, che ha richiamato 25mila riservisti, aveva chiuso le strade intorno all’enclave palestinese. Altrettanto noto alle forze israeliane era Taysir al-Jabari, ucciso ieri, che era tra l’altro responsabile del coordinamento tra la Jihad islamica e Hamas. Secondo l’esercito israeliano, al-Jabari aveva ordinato il lancio di centinaia di razzi durante l’operazione Guardiano delle mura. «Esortiamo tutte le parti alla calma», ha sottolineato ieri un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa. Mentre Abu Mazen condanna i raid, Israele ha avvertito l’Egitto (che da domani inizierà a mediare tra Israele e i palestinesi di Gaza) che qualsiasi reazione di Hamas ai raid di ieri porterà a un’importante escalation militare. L’operazione di Israele, che ha anche avvertito di movimenti «sospetti» di Hezbollah al confine con il Libano, potrebbe essere solo all’inizio.

Un gelato per Gaza

Ha riaperto, in sincronia con la stagione estiva, la prima gelateria artigianale e sociale di Gaza, un locale dai colori allegri, pieno di luce e, soprattutto, di gelati fatti con frutta vera, a chilometro zero, e offerti «in sospeso» (come il caffè a Napoli) a chi non può permetterseli. Il negozio era stato inaugurato a fine ottobre 2019, ma il rischio pandemia e la chiusura precauzionale da marzo a maggio di tutti i locali avevano messo a repentaglio un progetto che era ancora agli esordi.

L’iniziativa, promossa da una ong italiana Vento di Terra e una ong palestinese del campo profughi di Al Burej, è stata salvata dai palestinesi della striscia di Gaza. Senza aiuti esterni — dato che il confine è sigillato da marzo anche per i cooperanti stranieri, causa covid-19 — gelatai, agricoltori e trasportatori hanno continuato a mandare avanti l’attività senza ricevere nessuno compenso, con gelati d’asporto e gelati offerti soprattutto nelle scuole.

Il “marchio” si è diffuso, consentendo alla gelateria di Nasser street, in piena Gaza City, di riaccogliere una clientela consolidata anche nei tempi di chiusura forzata per il coronavirus. Chiariamoci: nella Striscia, nonostante guerre e povertà, i gelati esistono da sempre, ma sono gli ice-cream confezionati o preparati con polverine di latte e di vari gusti artificiali, e rappresentano un lusso non alla portata di tutti. «Gelato di Gaza, gelateria sociale» (sull’insegna del locale è scritto proprio così, in italiano e senza troppe leziosità) utilizza invece i prodotti dei contadini della Striscia ed ha come obiettivo non solo quello di garantire a tutti il diritto piacevolissimo di un gelato, ma anche — se le cose si metteranno bene — di investire i guadagni in altre attività per aiutare la popolazione.

L’iniziativa, finanziata inizialmente dall’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, si articola su una piccola rete di strutture operative: la prima è la gelateria stessa, dove tre giovani camerieri servono coppette e coni e gli avventori possono lasciare offerte e aiuti. Su una parete del locale, il giorno dell’inaugurazione, è stata appesa una grande bacheca, a prima vista una specie di quadro astratto: si tratta delle forme e dei volumi dei contenitori per i gelati in sospeso, disegnati dai primi degustatori, i bambini del villaggio beduino di Um al Nasser, uno dei luoghi più vulnerabili e disastrati della striscia.

La seconda struttura operativa è formata da una ventina di contadini locali che si occupano del rifornimento di frutta fresca e latte. A preparare e impastare creme e gusti ci pensano due palestinesi gelatai professionisti, formati da maestri italiani, in un laboratorio di pasticceria nel campo profughi di Al Burej. A tutto ciò bisogna poi aggiungere un elemento fondamentale, il tuktuk, un furgoncino che porta i gelati negli angoli più remoti e poveri. I tuktuk sono ormai diventati un simbolo di Gaza: consegnano acqua, cibo, merci e prodotti di tutti i generi, senza fermarsi mai, neanche nei periodi di guerra. Il furgone dei gelati non passa certo inosservato: coni, ghiaccioli, coppette e frutta di ogni tipo, dipinti su uno sfondo giallo, coprono ogni centimetro della carrozzeria. Il tuktuk, guidato da un’autista impiegato nell’impresa, è sempre in giro: gelati nelle scuole, gelati in “sospeso”, gelati venduti per la strada, sul lungomare.

«Il gelato attrae e piace tantissimo; il fatto di essere preparato secondo la scuola italiana gli dà un fascino particolare. I palestinesi sono veramente bravi. In molti sono pronti a giurare che il gelato artigianale di Gaza sia persino più buono di quello fatto in Italia», ci racconta Maria Stella Jacopino, attuale responsabile di Vento di Terra in Terra Santa, bloccata a Gerusalemme in queste settimane dalla seconda ondata della pandemia. «Nella striscia, almeno per il momento, la situazione è più sotto controllo. Il blocco degli ingressi e delle uscite ha limitato il contagio». La gelateria — spiega — è sostenuta soprattutto dalla generosità dei palestinesi di Gaza: «Anche se i soldi sono pochi, nella striscia è normale, quando si compra un gelato, lasciare una piccola somma per offrirlo a chi non ha nulla. Le persone più abbienti acquistano poi volentieri gelati per i bambini di un’intera scuola o per eventi e feste di comunità».

«A Gaza — osserva ancora — è molto forte il senso del volontariato, dell’aiutarsi l’uno con l’altro». Del resto, i sacrifici fatti dai dipendenti nei tempi duri della chiusura forzata hanno consentito all’impresa, praticamente in fasce, di sopravvivere. Se la gelateria artigianale riuscirà ora a consolidarsi e a decollare, i profitti andranno in altri progetti sociali.

Dal tuktuk dei gelati si passerà ad un secondo tuktuk che stavolta porterà libri ai bambini e agli adolescenti più poveri. Fiabe, racconti, avventure. Per sognare, magari mangiando un gelato alla fragola. Sembra che sia il gusto più popolare nella striscia.

di Elisa Pinna / Osservatore Romano

GAZA, SBLOCCATA VICENDA CARABINIERI RIFUGIATISI IN SEDE ONU

ansa

ASSEDIO DI HAMAS FINO ALL’ACCERTAMENTO D’IDENTITA’ ITALIANA Si è sbloccata la vicenda dei tre carabinieri rifugiatisi ieri nella sede dell’Onu a Gaza: secondo i media palestinesi e israeliani, Hamas ha tolto l’assedio dopo aver accertato la loro identità di italiani e non di israeliani come sospettato in precedenza. Oggi con la riapertura del valico di Eretz i carabinieri dovrebbero poter fare ritorno a Gerusalemme.

Israele-Gaza. Sangue sulla Marcia del ritorno: 16 palestinesi uccisi, 1.400 feriti

Gli scontri alla barriera di confine tra Israele e la Striscia di Gaza (LaPresse)

Gli scontri alla barriera di confine tra Israele e la Striscia di Gaza (LaPresse)

È cominciata nel sangue la Grande marcia del Ritorno organizzata da Hamas nel 70° anniversario dell’esproprio delle terre arabe per creare lo Stato di Israele. Negli scontri con l’esercito lungo la barriera di confine con la Striscia di Gaza, secondo il quotidiano israeliano Haaretz sedici palestinesi sono rimasti uccisi e almeno 1.400 feriti.
L’esercito israeliano ha fatto sapere di aver sventato “un tentativo di attacco a colpi di arma da fuoco da una parte di una cellula del terrore” nel nord della Striscia. “Durante l’attacco – ha spiegato un portavoce dell’esercito – due terroristi si sono avvicinati alla barriera di sicurezza e hanno sparato verso i soldati israeliani”.

Secondo stime dell’esercito israeliano, sono circa 30mila i palestinesi che manifestano «bruciando pneumatici, lanciando bombe molotov e pietre». In diversi punti del confine sono stati allestiti accampamenti, in vista del protrarsi della Marcia. Le manifestazioni dovrebbero concludersi il 15 maggio, anniversario della Nakva, la “catastrofe” ovvero l’inizio dell’esodo di centinaia di migliaia di palestinesi dai territori espropriati agli arabi e assegnati al nascente stato di Israele nel 1948.

Un palestinese ferito (Ansa)

Un palestinese ferito (Ansa)

«Una bambina mandata contro i soldati»

«Le forze armate israeliane stanno rispondendo con misure di dispersione dei disordini e sparando a vari istigatori chiave» fa sapere l’esercito in una nota diffusa dal Jerusalem Post. I militari, prosegue il comunicato, «si erano preparati ad agire in vari scenari». «Non consentiremo alcuna violazione o danno alla sovranità israeliana – si legge nel comunicato – o a infrastrutture difensive come la barriera di confine». Per la prima volta sono stati utilizzati anche droni, pilotati a distanza, per lanciare lacrimogeni allo scopo di disperdere la folla.

Per le forze armate dello Stato ebraico, «l’organizzazione terrorista Hamas sta mettendo in pericolo gli abitanti della Striscia di Gaza e li sta usando come copertura per azioni terroriste. Hamas è responsabile di tutti i fatti e delle loro conseguenze». Stando a un comunicato dell’esercito, «una bambina palestinese di sette anni è stata mandata da Hamas verso la barriera del confine, di fronte ai soldati israeliani». «Le forze dell’Idf – prosegue il comunicato – si sono immediatamente rese conto che si trattava di una bambina e si sono assicurate che fosse riportata al sicuro dai familiari».

Questa mattina il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Liberman, aveva scritto un messaggio in arabo su Twitter avvertendo gli abitanti di Gaza a non avvicinarsi al confine: «Chi si avvicina oggi al confine si mette in pericolo. Invito a procedere con la propria vita senza farsi coinvolgere in provocazioni».

Haniyeh (Hamas): il popolo palestinese è unito contro l’occupazione

Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha arringato la folla assicurando che la Marcia sarà «l’inizio del ritorno di tutti i palestinesi». «Il popolo palestinese ha provato varie volte a prendere l’iniziativa e fare grandi cose», ha detto il capo del movimento islamico, ripreso dal quotidiano Haaretz, sottolineando che «questa marcia manda un messaggio: il popolo palestinese è unito contro l’occupazione, contro il blocco (di Gaza, ndr), contro le concessioni e gli accordi sospetti». Per Haniyeh, non ci sarà una soluzione al conflitto israelo-palestinese senza il ritorno «all’intera terra di Palestina».

Scontri anche in Cisgiordania

A fine mattinata scontri con la polizia israeliana sono scoppiati anche in Cisgiordania, all’ingresso di Ramallah e nel quartiere di Baba-Zawiya a Hebron. Decine di manifestanti palestinesi hanno dato fuoco a pneumatici e lanciato pietre. Le forze dell’ordine hanno risposto, cercando di disperderli.

da Avvenire

Mondo \ Medio Oriente Gaza: per Pasqua i cristiani potranno recarsi a Gerusalemme

In vista della Pasqua le autorità israeliane hanno rilasciato le autorizzazioni ai cristiani di Gaza per poter uscire dalla Striscia e partecipare alle celebrazioni della festa; i permessi riguardano il 95% dei richiedenti, che hanno così ricevuto il via libera governativo. A confermare lo sviluppo positivo nell’annosa questione dei permessi – in passato Israele aveva più volte respinto le richieste – è il Patriarcato latino di Gerusalemme, secondo cui “per la prima volta” la Chiesa Cattolica si è occupata “direttamente” della vicenda.

Entusiasmo tra i fedeli per la concessione dei permessi
In passato era la Chiesa ortodossa a occuparsi della questione: in occasione delle feste di Natale e Pasqua le autorità militari di Israele, cui spetta il controllo in ingresso e uscita dal check-point di Erez, valutano la concessione di permessi per motivi religiosi. Tuttavia il più delle volte le richieste erano respinte, in particolare per i giovani al di sotto dei 35 anni.  La notizia del rilascio dei permessi ha generato entusiasmo e soddisfazione fra i fedeli della Striscia di Gaza, che potranno beneficiare della possibilità di entrare in Israele per i prossimi 45 giorni. In molti in queste ore, racconta il sito del Patriarcato, stanno pubblicando “con orgoglio” sui social network la foto del “prezioso documento”. In realtà questa reazione è emblematica della condizione di frustrazione, sconforto e disperazione che da anni anima la comunità cristiana di Gaza e, in particolar modo, i più giovani. Per molti il permesso di ingresso equivale alla realizzazione del sogno di uscire dal carcere.

La Caritas definisce la Striscia di Gaza “una prigione a cielo aperto”
L’agenzia AsiaNews nei mesi scorsi aveva intervistato padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Gerusalemme, il quale aveva definito la Striscia “la più grande prigione a cielo aperto al mondo: due milioni di persone sotto la soglia della sopravvivenza, disoccupazione al 60%, povertà all’80%. E lo stesso vale per le famiglie cristiane, circa 350 in tutta la Striscia (1300 persone in totale), il 34% delle quali senza fonte di reddito alcuna”.

Molti i giovani che hanno ottenuto il permesso
Tuttavia, oggi per i cristiani è una giornata di festa anche se restano da risolvere i problemi logistici – costo del viaggio e alloggio – e pastorali. Padre Mario da Silva, brasiliano e responsabile della parrocchia latina della Sacra Famiglia, l’unica della Striscia, racconta: “Avevamo un solo giorno per presentare la richiesta”. Il 20 febbraio scorso si sono presentate “890 persone a registrarsi per chiedere il permesso”. Molti di questi erano giovani che “senza molta speranza” stavano chiedendo per l’ennesima volta “il permesso di uscita”. “In una decina di persone – aggiunge il parroco – abbiamo lavorato, dalla mattina alla sera tardi, per preparare tutti i documenti necessari”.

Accolti il 95% dei permessi
​“Non sapevamo – sottolinea padre Mario – quanti permessi sarebbero stati concessi e, con nostra grande sorpresa, nei giorni scorsi abbiamo appreso che sono stati approvati 822 nominativi, e altri 25 sono stati aggiunti in un secondo momento. Quindi il 95%”. La cosa più importante, conclude il sacerdote brasiliano, è che “la maggioranza dei giovani cristiani ha ottenuto l’autorizzazione. Alcuni di loro non possono uscire da almeno otto anni”. (R.P.)

Radio Vaticana