Palermo. Borsellino e Falcone, Giusti contro la mafia

L'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice

L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice – Collaboratori

La Messa celebrata dall’arcivescovo nella chiesa in cui sono stati battezzati Paolo Borsellino, nel 1940, e don Pino Puglisi, nel 1937

Trentuno anni fa, il diciannove luglio del 1992, era una domenica di piena estate, a Palermo. Un’esplosione devastò il silenzio e la serenità del giorno. Il giudice Paolo Borsellino fu travolto dalla violenza della mafia. Con lui morirono coloro che avevano giurato di proteggerlo, la sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. L’autista Toni Vullo, unico sopravvissuto, si salvò. Ma le cicatrici e gli incubi di quella strage non passarono mai.

Trentuno anni dopo, ieri, Palermo ha vissuto un rito della memoria divisa, con due manifestazioni – la fiaccolata serale, una tradizione della destra, e un corteo di segno opposto – che hanno sfilato, in orari diversi, fino al luogo dell’eccidio. Ma c’è stata anche una città che si è riunita, senza bandiere e senza polemiche, per onorare il sacrificio dei suoi umanissimi eroi che non saranno mai statue. Una parte si è raccolta nella chiesa di Santa Maria della Pietà alla Kalsa per la messa celebrata dall’arcivescovo, monsignor Corrado Lorefice. «Quando i malvagi distruggono i fondamenti dell’umanità solo l’azione dei Giusti può evitare che il loro disegno perverso possa avere successo – ha detto l’arcivescovo nella sua omelia -. Chi uccide un uomo è come se uccidesse il mondo intero e chi salva un uomo è come se salvasse il mondo intero».

«Teniamo desta la memoria dei Giusti – ha aggiunto – di questi nostri memorabili e amabili Giusti, uccisi nella strage di via D’Amelio 31 anni fa, che hanno dato la vita per una Sicilia libera dal maledetto, nefasto e antievangelico potere mafioso. Oggi ci è chiesto di onorare questi nostri martiri della giustizia e della legalità con un rinnovato impulso di fedeltà corresponsabile di tutti agli impegni sanciti dalla nostra Costituzione. Lo dobbiamo anche ai familiari delle vittime».

L’appuntamento ha visto la presenza, tra gli altri, del presidente della Regione, Renato Schifani, del sindaco, Roberto Lagalla, del prefetto, Maria Teresa Cucinotta, del questore, Leopoldo Laricchia, del procuratore, Maurizio De Lucia, del presidente del Tribunale, Piergiorgio Morosini.

Nelle panche, accanto a quelle riservate alle autorità, c’erano i parenti delle vittime. L’arcivescovo Lorefice li ha abbracciati uno per uno.

C’è un particolare che ha reso ancora più preziosa la celebrazione di Santa Maria della Pietà alla Kalsa. In questa chiesa sono stati battezzati sia il giudice Paolo Borsellino che padre Pino Puglisi. Il parroco di Brancaccio fu battezzato il 21 ottobre 1937, il giudice Borsellino il 24 febbraio del 1940. Padre Giuseppe Di Giovanni, il parroco, ha ricordato: «La casa di Borsellino, in via Vetriera, è a poche centinaia di metri dalla chiesa. Nel passato, molte famiglie del quartiere di Romagnolo facevano riferimento alla parrocchia della Kalsa. Tra queste anche quella di padre Puglisi».

«Don Pino Puglisi – ha aggiunto don Di Giovanni – è stato mio professore di religione a scuola e poi mio padre spirituale. Ricordo la sua dolcezza e il suo modo inimitabile e profondamente umano di rapportarsi con il prossimo». Una targa, al fonte battesimale, sottolinea la circostanza. Nell’archivio della parrocchia sono conservati i certificati. Chi maneggia quei reperti di carta, li sfiora con commossa riverenza. Qui, due bambini che avrebbero seminato tanto bene a Palermo, si incrociarono, per un caso. E cominciarono un cammino di speranza.

avvenire.it

Palermo. Il messaggio di Mattarella: combattere indifferenza e zone grigie

Messaggio di Mattarella in ricordo della strage di via D'Amelio

Messaggio di Mattarella in ricordo della strage di via D’Amelio – Ansa

Il capo dello Stato: Falcone e Borsellino hanno dimostrato che la criminalità organizzata può essere sconfitta. L’omaggio della premier, che non parteciperà alla fiaccolata serale: “Ma non scappo”

«Nell’anniversario della strage di via D’Amelio la Repubblica si inchina alla memoria di Paolo Borsellino, magistrato di straordinario valore e coraggio, e degli agenti della sua scorta – Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina – che con lui morirono nel servizio alle istituzioni democratiche». Lo scrive il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in una dichiarazione aggiungendo che «quel barbaro eccidio, compiuto con disumana ferocia, colpì l’intero popolo italiano e resta incancellabile nella coscienza civile». «Il nome di Paolo Borsellino, al pari di quello di Giovanni Falcone, mantiene inalterabile forza di richiamo ed è legato ai successi investigativi e processuali che misero allo scoperto per la prima volta l’organizzazione mafiosa e ancor di più è connesso al moto di dignità con cui la comunità nazionale reagì per liberare il Paese dal giogo oppressivo delle mafie. Loro «avevano dimostrato che la mafia poteva essere sconfitta. Il loro esempio ci invita a vincere l’indifferenza, a combattere le zone grigie della complicità con la stessa fermezza con cui si contrasta l’illegalità».

Intanto la premier Giorgia Meloni è arrivata nella caserma Lungaro per la cerimonia in memoria dei cinque agenti di scorta assassinati nella strage di via D’Amelio, dove 31 anni fa fu ucciso il giudice Paolo Borsellino. L’ingresso non è consentito ai giornalisti come comunicato ieri sera dalla questura. Meloni deporrà una corona sulla lapide in ricordo dei poliziotti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Poi si è recata nei luoghi in cui sono sepolti Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, al cimitero di Santa Maria di Gesù e nella chiesa di San Domenico. Subito dopo in Prefettura per presiedere il Comitato per l’ordine e la sicurezza. Meloni non sarà presente questa sera alla tradizionale fiaccolata organizzata da Fdi «per altri impegni concomitanti». «La strage di Via D’Amelio, dove Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta vennero uccisi dalla mafia, è stato il motivo per il quale ho iniziato a fare politica. La data del 19 luglio 1992 rappresenta una ferita ancora aperta per chi crede in un’Italia giusta». Lo scrive in un post su Facebook la presidente del Consiglio. «Paolo sfidò il sistema mafioso senza mai temere la morte, insegnandoci a non restare a guardare e a non voltarci mai dall’altra parte. Il suo coraggio e la sua integrità sono doni che ci ha lasciato e che tanti giovani hanno deciso di raccogliere per affermare due valori imprescindibili: la legalità e la giustizia», prosegue la premier. «Oggi, a 31 anni di distanza da quel terribile attentato, ricordiamo tutti quegli eroi che non ebbero paura di denunciare al mondo il vero volto della criminalità organizzata e che servirono lo Stato fino all’ultimo. Nel loro esempio portiamo avanti il nostro impegno quotidiano per estirpare questo male dalla nostra Nazione: solo così – continua Meloni – il loro sacrificio non sarà mai vano».

Intercettata dai cronisti durante la visita mattutina a Palermo, la premier ha risposto sulla mancata partecipazione al corteo serale: «Chi fa queste polemiche non aiuta le istituzioni. Mi ha stupito quello che ho letto sui quotidiani: una polemica inventata sul fatto che avrei scelto di non partecipare alla manifestazione per paura di essere contestata. Chi mi può contestare? La mafia? La mafia può contestare un governo che ha fatto tutto quello che andava fatto sul contrasto alla criminalità organizzata. Ma io non sono mai scappata in tutta la mia vita. Io sono un persona che si permette sempre di camminare a testa alta. Sono qui oggi e sarò qui sempre per combattere la mafia», afferma la premier al margine delle commemorazioni di Palermo.

avvenire.it

“La forza mite che unì il pool anti-mafia”. Pietro Grasso ricorda Antonino Caponnetto

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AGI – “Conobbi personalmente Antonino Caponnetto quando, studiando le carte del maxiprocesso, lo incontrai nella sua stanza. Mi dette un buffetto sulla guancia, che somigliava più ad una carezza e mi disse ‘fatti forza ragazzo, vai avanti a schiena dritta e testa alta e segui soltanto la voce della tua coscienza’. Ancora oggi, in mezzo alle difficoltà, quelle parole mi permettono di affrontare situazioni anche spiacevoli“.

Nel giorno del ventennale dalla morte del giudice Antonino Caponnetto, è il presidente Pietro Grasso a tratteggiarne all’AGI il ricordo ed a spiegare il suo “rigore morale, la spina dorsale d’acciaio, che gli italiani impararono a conoscere dopo le stragi, quando la sua corazza per un attimo si abbasso’, con la frase ‘è tutto finito'”.

Caponnetto arrivò a capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo il 9 novembre 1983. Tre mesi e mezzo prima, il 29 luglio, era stato ucciso il Consigliere Rocco Chinnici. Proseguì l’idea di Chinnici di dare organicità alla lotta alla mafia, creando il famoso pool che istruì il Maxiprocesso. Pietro Grasso, giudice a latere del Maxi ed amico personale di Caponnetto, ne ricorda il contributo professionale e morale.

“Prima ancora di incontrarlo, nel novembre 1985, potei apprezzare il contributo giuridico che aveva dato. È sempre stato misconociuto, era un grande giurista, oltre che un magistrato d’azione. Non fu un notaio, o un grande sacerdote del rito del Maxi, ma si vide subito la sua autorevolezza, un’opera nascosta, certosina, con la quale riuscì a tenere ben saldo il pool, creando un clima di armonia, di affiatamento nel lavoro, supportando i loro sacrifici e facendo da scudo per le polemiche che già nascevano. Diede lui il collante”.

Eppure Caponnetto “aveva una naturale ritrosia – spiega Grasso – a mettere in evidenza il suo contributo personale, solo dopo tempo si è compreso quanto le decisioni prese dal pool portassero il suo contributo, la sua sensibilità“.

Tornando a quelle parole che Caponnetto pronunziò con volto disperato per la morte di Falcone prima e Borsellino poi, Grasso spiega: “Quella frase la rinnego’ subito dopo, con il suo discorso in Chiesa, con cui diede dignità civile ad un sentimento di speranza presente nella societa’ e testimoniato anche dallo sdegno dei palermitani onesti. Lo fece subito dopo, e’ importante ricordarlo”.

Poi ci fu una “vita successiva” per Caponnetto, quella nelle scuole, quella dedicata ai giovani. “Lui ha offerto il suo volto spendibile, pulito, spingeva i ragazzi a mantenere un costante rapporto con le Istituzioni“. Ed ancora l’esperienza dei vertici antimafia, quelli di Campi Bisenzio, nati da una sua intuizione, in cui metteva insieme le intelligenze migliori della società.

“Creò un osservatorio privilegiato, con la cartolina precetto, metteva insieme le migliori forze intellettuali del Paese, per fare il punto sulla situazione e sui diversi fronti della lotta alla mafia. Poi – spiega Grasso – per lui era centrale la ‘questione morale’, soprattutto in politica, sempre particolarmente attuale. Si era reso conto da tempo che la via della repressione non bastava”.

Ed ancora “cercava di ricucire il rapporto tra politica e magistratura, continuava a dire che nei momenti difficili il Paese dovesse stare unito. Rifiutò qualsiasi incarico e fu una vera spinta per i movimenti antimafia“. Il ricordo finale? “Per me è un punto di riferimento, lo è sempre stato, per questo continuo a parlarne nelle scuole”.

Infine forse il ricordo più dolce, quello del rapporto con la moglie, per tutti “nonna Betta”, ovvero la signora Elisabetta. Un amore vero che si poggiava su basi solide. Un’intesa che si è protratta, oltre la vita terrena del marito. “Lei era dolcissima con lui e condivideva appieno il suo impegno, i suoi ideali, i suoi valori. Avevano un’affinità elettiva straordinaria. E lei ha continuato nella sua opera, persino con i precetti nei vertici antimafia” e nella Fondazione che porta il suo nome, Antonino Caponnetto.

Saviano annulla gli incontri con gli studenti a Reggio Emilia: “Troppo odio”

Il sindaco Luca Vecchi: “Resisti Roberto, i ragazzi che avresti dovuto incontrare hanno bisogno del tuo pensiero, delle tue parole, del tuo impegno”

Saviano annulla gli incontri con gli studenti a Reggio Emilia: "Troppo odio"

Roberto Saviano ha annullato i due incontri con gli studenti previsti il 27 e il 28 novembre a Reggio Emilia, dove avrebbe dovuto presentare al Teatro Valli il suo libro su Giovanni Falcone “Solo è il coraggio”. Il motivo, spiega lo scrittore, sono il clima di odio nei suoi confronti e lo “squadrismo quotidiano che i giornali di estrema destra, in alcuni casi pagati direttamente da esponenti della maggioranza parlamentare, stanno facendo”. Saviano si vede “sulle loro prime pagine ogni giorno, attaccato nella maniera più bassa e vile”.

Dunque “rinuncio, in queste settimane di attacchi continui, per timore di esporvi, di esporre chi mi ospita: responsabilità, questa, che sento gravosissima”. Ma “l’esposizione fisica preoccupa me e chi mi sta attorno perché l’odio è tangibile e non esiste alcuno scudo”.
Gli attacchi ricevuti, precisa Saviano in una lunga nota, sarebbero riconducibili al processo in cui è accusato di diffamazione nei confronti dell’attuale presidente del consiglio, Giorgia Meloni, che si è aperto lo scorso 15 novembre. I fatti risalgono al dicembre 2020 quando in una trasmissione televisiva si scagliò contro chi porta avanti le campagne anti-immigrazione, paragonando il mancato soccorso in mare come a una ambulanza che non interviene per i feriti in strada e usando l’appellativo “bastardi”, riferito a Giorgia Meloni, allora parlamentare di Fratelli d’Italia e a Matteo Salvini (che per questo episodio si è costituito parte civile pur non avendo querelato all’epoca) per il loro contrasto alle ong.

La fondazione I Teatri di Reggio Emilia, per bocca del direttore Paolo Cantù, esprime “solidarietà e grande dispiacere per essere costretta a rinviare un appuntamento, da molto tempo atteso e voluto per dare alla città e agli studenti la possibilità di sentire parlare di criminalità organizzata da uno dei giornalisti e scrittori italiani più esperti in materia”. Continua Cantù: “ci dispiace che l’attualità politica abbia preso il sopravvento e stiamo già cercando una data alternativa, il prima possibile, per riuscire ad avere Roberto Saviano con noi, per continuare ad esercitare fino in fondo la nostra funzione di spazio e presidio pubblico di pensiero e dialogo”.

“Caro Roberto, resisti”

In una lettera aperta, il sindaco e presidente della fondazione Luca Vecchi dice: “Caro Roberto Saviano, mi preme dirti che non sei solo: l’amministrazione comunale e la città sono al fianco di chi si impegna in prima persona contro la criminalità organizzata, per la legalità e la sicurezza, sin dai tempi in cui il prefetto Antonella de Miro cominciò, in questa terra, a operare sul fronte del contrasto alle mafie economiche.
Qui stiamo e qui ci troverai, sempre”. Dunque, “sono sono fiducioso che questo sia, per noi, solo un arrivederci”, continua vecchi. “Lascio a te, caro roberto, l’autonomia di una riflessione e di una decisione definitiva sulla tua partecipazione in futuro al nostro incontro. Voglio solo dirti che quei ragazzi pronti a riempire il teatro municipale Romolo Valli hanno bisogno del tuo pensiero, delle tue parole, del tuo impegno. Resisti Roberto. Ti aspettiamo in città al più presto”, conclude il primo cittadino.

Bonaccini: “Un forte abbraccio”

“Esprimo vicinanza e solidarietà a Roberto Saviano, a nome mio personale, della Regione e di tutta la comunità emiliano-romagnola. Che ritenga di dove rinunciare a partecipare a due incontri previsti al Teatro Valli di Reggio Emilia anche per non esporre i presenti a pericoli è un monito che non può essere sottovalutato”. Così il presidente della Regione, Stefano Bonaccini. “Una rinuncia che fa ancora più male – prosegue- in una terra dove valori comuni e condivisi di libertà e civica convivenza ci vedono lavorare insieme, istituzioni, società civile, associazioni, penso in particolare a Libera e ad Avviso Pubblico, contro le mafie e l’infiltrazione della criminalità organizzata. A partire dalla prevenzione nelle scuole fino alla collaborazione costante e continua con magistratura, inquirenti, tutte le forze dell’ordine, che ringrazio per l’attività incessante e quotidiana che portano avanti. Grazie a loro si sono svolte e si stanno svolgendo inchieste rilevanti, a partire da Aemilia, il cui processo come Regione abbiamo voluto si potesse svolgere proprio qui, in Emilia-Romagna”. “A Roberto Saviano – conclude Bonaccini – va un forte abbraccio: abbiamo bisogno della sua voce e della sua testimonianza, per un impegno che deve essere anche di tutti noi”.

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