Eutanasia. Società della cura o dell’indifferenza

La scelta di Fabio Ridolfi suona come un drammatico atto di accusa per una società che non è stata in grado di ‘salvargli’ la vita rendendogliela preferibile a una morte cercata e ottenuta…
Ridolfi, società della cura o dell'indifferenza

Ansa

La scelta di Fabio Ridolfi suona come un drammatico atto di accusa per una società che non è stata in grado di ‘salvargli’ la vita rendendogliela preferibile a una morte cercata e ottenuta attraverso le procedure previste dalla normativa in vigore sul fine vita. Ed è dunque bene che di fronte alla decisione di interrompere le cure prima di tutto ci si fermi a interrogarsi su ciò che manca oggi a pazienti nelle condizioni di Fabio per considerare la vita come la scelta più naturale anche se la patologia di cui soffrono è inguaribile. Una società che non sa prendersi cura dei suoi cittadini più fragili fino a metterli nelle condizioni di percepire ogni nuovo giorno come un peso intollerabile deve esaminare cosa va messo in campo come strutture, personale, protocolli, solidarietà, tempo, ascolto.

È una questione che non interessa solo il sistema sanitario, perché sofferenze estreme e solitudine interpellano tutti. Mostrare a questi pazienti (concittadini, fratelli) la morte a richiesta come sola alternativa al dolore fisico e psichico esprime una china disumana alla quale non possiamo rassegnarci. Di fronte a questo quadro, che reclama il risveglio di una società curante, suonano stonate le richieste di nuove leggi che agevolino la morte introducendo il suicidio assistito come percorso ordinario a disposizione di chi ‘non ce la fa più’.

Fabio ha annunciato le sue intenzioni appellandosi alla legge 217 sulle Disposizioni anticipate di trattamento che dal gennaio 2018 assimila la nutrizione assistita a una terapia, considerandola quindi sospendibile in ogni momento. Esercita un suo diritto a interrompere le cure, anche se il prezzo è la morte, alla quale giungerà nell’incoscienza della sedazione profonda. Lo Stato che ha dettato le regole ora deve considerare come evitare la morte a Fabio – anche in extremis – e ad altri come lui assai prima che agevolare la ‘via d’uscita’, secondo la pressante richiesta che si sente in queste ore. Da che parte vogliamo portare il nostro Paese? Verso l’irrilevanza etica della decisione per la vita o per la morte? O nella direzione di una capacità collettiva di inviare a chi soffre un messaggio chiaro e inequivoco come quello che ha scritto l’arcivescovo di Pesaro Salvucci: ‘Tu sei per me importante’?

Avvenire

Olanda. La «polvere dell’eutanasia» fa la prima vittima: è una 19enne

La giovane Ximena Knoll, uccisa dalla polvere eutanasica

La giovane Ximena Knoll, uccisa dalla polvere eutanasica

La polvere letale pubblicizzata da «Laatste wil» (Clw), la «Cooperativa ultima volontà », per il suicidio assistito ha mietuto la prima vittima, Ximena Knol: una dolcissima ragazza di 19 anni, di Uden, nel sud dell’Olanda, depressa a causa di un abuso sessuale che le aveva devastato il fisico, la mente e il cuore. Ximena non era sola, i suoi genitori l’amavano, era seguita da uno psicologo. Tempo fa un medico aveva rifiutato la sua richiesta di eutanasia. Forse ce l’avrebbe fatta se non avesse avuto l’immediata disponibilità della sostanza letale, un conservante che si vende anche via Internet.

Dopo averlo raffinato in una sottile polvere bianca, viene sciolto in un bicchiere d’acqua e la morte arriva, veloce ed indolore, nel giro di 20 minuti. Gli ordini del prodotto però non possono essere inferiori a 9 tonnellate, data la sua vera finalità, mentre per suicidarsi ne bastano 2 grammi. Clw ha pertanto consigliato ai suoi soci (passati dai 3mila del 2013 ai 22mila di oggi) di fare un unico acquisto da dividersi fra di loro, mettendo a disposizione una cassaforte dove conservare le dosi non utilizzate. Da mesi va avanti – invano – la protesta dei cittadini, per impedire l’orrore.

Ora finalmente il premier Rutte ha promesso di occuparsi «seriamente del caso». È stata aperta un’indagine per valutare la responsabilità diretta dell’associazione. Alcuni fornitori hanno sospeso la vendita del prodotto ai privati, a per la povera ragazza è troppo tardi. È stata la polizia a trovare il suo corpo ormai senza vita, allertata dallo psicologo dopo un suo preoccupante messaggio. Accanto a lei una lettera d’addio.

I genitori Randy e Caroline hanno inviato la notizia della morte a tutti i partiti, ritenendoli responsabili della scomparsa della figlia. «La nostra Ximena, affettuosa, socievole, sempre disposta ad aiutare tutti, poteva essere salvata» ha detto la mamma, distrutta dal dolore, in un programma tv. «La colpa è di una società impietosa e indifferente, e del governo, che ha sottovalutato il problema» noto da tempo.

da Avvenire

Tutti i dubbi della scienza sull’eutanasia legalizzata

Viene chiesta in questi giorni la calendarizzazione nel dibattito parlamentare di leggi che regolino l’eutanasia in Italia. I giornali affrontano l’argomento come se fosse il Paese, o addirittura la comunità scientifica, a chiedere di introdurre forme attive per porre fine alla vita; come se questo fosse «il vento ineluttabile della società moderna» cui non ci si può sottrarre, pena il bollino di retrogradi. Leggendo i giornali, insomma, sembra che l’eutanasia sia richiesta a gran voce da tutti e che ormai sia assodata l’equazione tra desiderio di morte e diritto di ottenerla. Il problema che ferma questo ingranaggio è che la comunità scientifica ha seri dubbi sull’utilità dell’introduzione dell’eutanasia, in particolare la comunità che cura i malati e che fa ricerca per trovare nuove cure. Insomma: tanto polverone per un’equazione che a livello scientifico non funziona. Vediamo perché.

La professoressa Gail Van Norman, sull’ultimo numero di Current Opinion in Anaesthesiology mette in guardia: «Suicidio assistito e eutanasia presentano rischi potenziali per depressi e disabili», elementi della società fragili, influenzabili e talora mal curati, che potrebbero trovare nella scorciatoia mortale una via impropria alla soluzione dei loro problemi. L’editoriale della rivista spiega: «Abbiamo la responsabilità di assicurare che né gli individui né la società abbraccino l’eutanasia come mezzo appropriato per trattare la sofferenza».

Anche l’International Journal of Epidemiology di febbraio – parlando di suicidio assistito – solleva il dubbio che «gruppi svantaggiati vadano a morire in questo modo più di altri gruppi»; per esempio chiedono di morire soprattutto le persone sole, i divorziati, quelli senza figli. Esaminando l’esperienza dell’Oregon – dove l’eutanasia è legale – la Van Norman conclude che quando si valutano le richieste di morte «poche consultazioni psichiatriche vengono fatte per valutare la depressione»; e significativo è lo studio pubblicato su Disability and Health journal, dal titolo significativo «Uccidendoci dolcemente: i rischi della legalizzazione del suicidio assistito», in cui si riporta come i disabili temano che il suicidio assistito se legalizzato porti ad un minor interesse per le cure delle persone con disabilità e ad aumentare i pregiudizi verso la disabilità.

Lo stesso giornale riporta in altra data le critiche alla legge sul suicidio assistito da parte dell’associazione di disabili significativamente chiamata «Non ancora Morti», in cui si lamenta che si crei di fronte al suicidio un doppio binario, che da una parte porta a prevenirlo e dall’altra a legalizzarlo, a scapito – dato che il suicidio assistito non è riservato solo a chi è in fin di vita – di chi è più fragile e che potrebbe invece essere aiutato altrimenti: anche un ampio studio (Health Psychology del 2007 ) mostra che i malati terminali che chiedono il suicidio assistito lo chiedono non per il dolore che provano, ma per essere caduti in depressione (malattia curabile) o perché si sentono un peso per gli altri, e se è per il dolore, quando questo viene curato a dovere cambiano idea. Insomma, eutanasia e suicidio, a parole introdotti per evitare un accanimento o una sofferenza insopportabili, sono così a rischio di travalicare questi scopi (che comunque si possono raggiungere per altra via) da esser guardati con scarsa fiducia da buona parte della comunità scientifica.

Si pensi che contro l’eutanasia, in particolare quella dei bambini, insorgono i medici che curano i malati, e che vedono le stesse patologie che loro curano essere oggetto per decidere di far morire. Ad esempio dei neurochirurghi olandesi sottolineano che nel caso della malattia detta “spina bifida”, che dà alterazioni al midollo spinale e che è invocata come ragione di eutanasia, la malattia non sia affatto insopportabile e dolorosa senza speranza, come riporta su Child Nervous System del 2008 il dr de Jong; e sul Journal of Perinatal Medicine del 2009 si riporta come il protocollo di Groningen sull’eutanasia sia da respingere sia per motivi etici che per motivi medici.

Come pensare che la “dolce morte” sia in linea con chi cura bene la depressione e vede invece che gente con depressione va a farsi suicidare o chiede la morte mentre ben sanno che la depressione resta sottostimata e sotto diagnosticata, come spiega il Journal of Clinical Psychiatry del 2010? O il dolore. Addirittura il Journal of Clinical Oncology di maggio riporta che ben il 33% dei pazienti oncologici che necessitano un trattamento contro il dolore, o non lo ricevono in modo adeguato o non lo ricevono affatto. Per non parlare di chi studia in profondità le persone in stato vegetativo e ritrova segni chiari che mostrano un’interazione con l’ambiente, altro che “vegetali”: i pazienti in stato vegetativo riescono addirittura a valutare il linguaggio di chi gli sta intorno, come mostrano studi fatti con la risonanza magnetica (vedi per esempio Brain del 2007 o Brain Injury del 2008); come pensare che sia nel loro interesse morire, se il presupposto per farlo è che ormai non sentirebbero più nulla?

Dunque è davvero l’eutanasia una soluzione razionalmente medica? Uno studio sulla rivistaHematology del 2008 mostra che «la richiesta dei parenti o del paziente di affrettare la morte è un modo di esprimere la richiesta di maggiore comunicazione, miglior controllo dei sintomi. È raro che rappresenti la necessità per il paziente di controllare ora, luogo e modalità della morte». Insomma: la medicina chiede di aprire di più alla terapia; e i ricercatori sanno quanto ci sia ancora da fare in campo di lotta al dolore, alla depressione e alla solitudine sociale; altro che aprire i cancelli alla morte!

Eppure le riviste inglesi come Lancet riportano che certe categorie di malati – come ad esempio i disabili mentali – sono oggi «invisibili» al sistema sanitario nazionale, quasi non esistessero. Certo, bisogna evitare di accanirsi su chi è incurabile, ma un conto è non insistere in cure inutili un conto è l’eutanasia. Allora dobbiamo decidere dove dirigere gli sforzi: se verso la morte agevolata – facendo credere che il vero diritto sia morire e non essere curati meglio – o verso un miglior trattamento per tutti. Aprire al fine vita volontario sembra proprio una scorciatoia per non affrontare i veri problemi della medicina e della società: la scarsa cura del dolore, l’abbandono, l’accesso di tutti alle cure, la umanizzazione degli ospedali. Troppo facile aprire alla morte e lasciare tutti questi punti senza una risposta.

 

Carlo Bellieni – avvenire.it

Eutanasia, un video choc «La morte non sia oggetto di propaganda»

Una reazione di «angoscia e smarrimento: di fronte alle persone che hanno paura di soffrire e che pensano a farla finita, il richiamo alla morte cercata appare come l’ultima resa di un umanesimo ormai sconfitto. Non è questa la risposta»: così Paola Ricci Sindoni, vicepresidente vicario dell’associazione Scienza&Vitacommenta il video-choc sull’eutanasia diffuso oggi dai Radicali, insieme all’annuncio di una  raccolta firme per una legge che legalizzi l’eutanasia in Italia.
«Non si può spettacolarizzare il dolore per fini ideologici. Occorre invece restituire dignità al malato, sostenendolo con le cure palliative, con l’accompagnamento dei familiari, la cui speranza è che il proprio caro affronti il momento del distacco non sentendosi mai solo».

Nelle immagini in cui è protagonista, una malata terminale che dall’Italia ricorre all’eutanasia in Svizzera, «il messaggio che viene lanciato è colmo di abbandono e di resa, può apparire anche lesivo della dignità di coloro che ogni giorno affrontano con coraggio e speranza una patologia degenerativa o una diagnosi inguaribile – per Scienza&Vita -. La storia raccontata nel video è la storia di chi vuole uscire sconfitto dalla vita e che non riesce più a tollerare la paura. Scoraggiante appare chi sfigura questa vicenda di dolore in arma politica».

Il direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, Adriano Pessina, parla di un atteggiamento «a metà strada tra l’apologia e l’istigazione al suicidio» da parte dell’Associazione Luca Coscioni: «Non si può accettare che in un Paese civile la disperazione di una donna sia utilizzata per una campagna a favore dell’eutanasia camuffata sotto il tema delle libertà individuali. Piera, da presunta protagonista, diventa duplicemente vittima, della sua malattia e dello sfruttamento mediatico dei radicali». Mentre il nostro Paese «si sta meritoriamente impegnando nella promozione delle terapie del dolore, nell’assistenza domiciliare, nel sostegno clinico ed esistenziale dei malati terminali – prosegue il docente – i radicali italiani costruiscono a tavolino una campagna mediatica che, con la pretesa di introdurre un inesistente diritto di morire, fornisce semplicemente un cinico contributo alla razionalizzazione delle spese di cura. La morte è la cessazione di ogni diritto e come tale non può mai essere posta come una conquista di civiltà».

«È inaccettabile che venga strumentalizzata l’angoscia di una donna malata per condurre una campagna a favore dell’eutanasia»: questo il commento del presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, Carlo Costalli. «La vita va difesa e tutelata ad ogni costo, in particolare quando è debole. Deve essere messa al riparo da manovre orientate, da opportunismi e da ideologie. Ci sono crinali che, se superati, non permettono più un ritorno».​

Sconcerto hanno innescato anche le parole di Carlo Troilo, dell’associazione Coscioni, secondo cui sarebbero «80-90 mila i malati terminali che muoiono ogni anno, soprattutto di cancro: il 62% muore grazie all’aiuto dei medici con eutanasia clandestina»: l’attivista attribuisce i numeri all‘Istituto Mario Negri, che si affretta a precisare: i dati sono stati riportati in maniera distorta e scorretta. «È frutto di ignoranza, di superficialità o peggio di malafede – scrive l’istituto di ricerche farmacologiche – porre sullo stesso piano l’eutanasia e la desistenza da cure inappropriate per eccesso, come purtroppo si è visto fare in queste ore. Questa campagna di grave disinformazione non solo è lesiva di un comportamento virtuoso da parte di tanti medici intensivisti, ma impedisce lo sviluppo di una corretta discussione su temi tanto delicati e sensibili all’interno della società civile».

Per la parlamentare Eugenia Roccella «quando oggi si parla, come fanno i radicali, di eutanasia, non si parla di un nuovo diritto, ma di un problema antichissimo, quello del suicidio. Dobbiamo decidere come il singolo e la comunità si pongono davanti a qualcuno che, per qualunque motivo, vuole porre fine alla propria vita. Fino ad oggi, “aiutare” l’aspirante suicida voleva dire cercare di trattenerlo in vita, aiutarlo a sopravvivere alla propria sofferenza grazie alla solidarietà e al sostegno concreto. Oggi rischia di voler dire aiutarlo a morire, magari in modo burocratico, sottoponendolo a un questionario, verificando che entri nella casistica prevista e porgendogli un bicchiere (che però deve bere da solo, per assumersene la responsabilità personale). In questo modo passiamo da una società che cerca di farsi carico di ogni persona, ad una che si libera della responsabilità morale e materiale dell’altrui sofferenza, e si limita a porgere una bevanda di morte.L’eutanasia torna a colpire la pubblica opinione e sono sempre i radicali a proporla». «Su questi temi vigileremo sempre con la massima attenzione», ha dichiarato la parlamentare Paola Binetti, che denuncia «il tempismo perfetto con l’inizio della nuova legislatura e soprattutto con l’insediamento del nuovo governo».
«L’Udc – per bocca del senatore Antonio De Poli – condanna senza mezzi termini il video choc lanciato dai radicali. Si tratta di un’iniziativa che offende la sensibilità di molti italiani. Rispettiamo il dolore di chi soffre ma non si può disprezzare il valore della vita sino a banalizzarlo, rappresentandolo con un semplice bicchiere d’acqua che si porta via il dono più bello che abbiamo». Per il deputato di Scelta civica Gian Luigi Gigli «è inaccettabile che, anche ora che reggono il ministero degli Esteri i radicali, invece di lavorare per dare nuova speranza a un Paese in difficoltà, pensino solo a organizzare i viaggi all’estero dei malati che chiedono di morire».

avvenire.it