Santo del giorno 17 agosto 2022

Da sempre gli eremiti per la Chiesa rappresentano delle ‘sentinelle’, voci profetiche che ricordano alla comunità il percorso che porta a Dio

Ritirati dal mondo, essi sono un segno per il mondo, proprio come fu per la sua terra san Nicola Politi. Nato ad Adernò, oggi Adrano (Catania), nel 1117 da una famiglia nobile, fin da ragazzo si sentiva attratto dalla vita religiosa. Ignorando questo desiderio, la famiglia organizzò per lui un matrimonio, ma il giorno delle nozze egli riuscì a fuggire, ritirandosi a vita eremitica. Divenne quindi monaco laico nel Monastero basiliano del Rogato, vivendo fino alla fine in una grotta: da qui, per un sentiero impervio, raggiungeva il monastero ogni sabato per la Messa e la confessione. La tradizione gli attribuisce fin dagli anni della gioventù diversi segni miracolosi: scacciava i lupi che assalivano gli ovili oppure pregava e intercedeva per la guarigione dei malati. Arrivò anche a predire la data della propria morte, che gli fu anticipata da un angelo il 12 agosto 1167. Come annunciato, si spense all’alba del 17 agosto seguente stringendo a sé la croce.

Altri santi. San Mirone di Cizico, martire (250); santa Chiara di Montefalco, monaca (1268-1308).

Letture. Romano. Ez 34,1-11; Sal 22; Mt 20,1-16.

Ambrosiano. 2Cr 8,17-9,12; Sal 71 (72); Lc 11,31-36.

Bizantino. 2Cor 3,4-11; Mt 23,29-39. t.me/santoavvenire

Lettera sinodale dall’eremo

di: Lorenzo Prezzi

Il testo del dicastero per i religiosi sulla vita eremitica era da poco in libreria (vedi qui) quando una parte significativa degli eremiti e delle eremite italiani si ritrovava in sinodo a Lucca (25-28 aprile). Una cinquantina di uomini e di donne che vivono come singoli o in piccoli gruppi la vita eremitica ha ascoltato la presentazione de La forma della vita eremitica nella Chiesa locale da parte di p. Pierluigi Nava, sottosegretario del dicastero romano per la vita consacrata, e di mons. Paolo Giulietti, vescovo di Lucca, su «La comunità diocesana e gli eremiti».

Dopo un precedente incontro (novembre 2021) al santuario dell’Addolorata di Castelpetroso (Molise), con il patrocinio di mons. Giancarlo Maria Bregantini, gli eremiti e le eremite hanno portato a termine la stesura di una breve e intensa lettera indirizzata alla Chiesa italiana come loro contributo in ordine al sinodo.

Giulietti e Bregantini sono considerati i vescovi più vicini a loro, mentre l’anima di collegamento sono il presbitero eremita ambrosiano Raffaele Busnelli e la sorella Cristina Scelta.

eremiti

Basilica Santuario di Maria Santissima Addolorata – Castelpetroso

Lettera sinodale

Alla Chiesa di Dio che è in Italia,

grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore nostro Gesù Cristo (cf. Ap 1,4 e 1Cor 1,1-2).

Ci rivolgiamo a voi, fratelli e sorelle e pastori tutti, figli e figlie della Chiesa in Cristo, per rendervi partecipi della nostra gioia di aver ricevuto la vocazione eremitica.

Nelle diversità che ci caratterizzano: tutti, battezzati e battezzate, sacerdoti e laici, consacrati e consacrate, viviamo questa forma di vita contemplativa nella libertà e nell’essenzialità evangeliche che le sono proprie.

Radunati in questo Sinodo, prendiamo atto che lo Spirito Santo suscita, come segno del tempo, vocazioni eremitiche sempre più numerose.

Tra noi c’è chi è chiamato dallo Spirito a vivere il deserto nei monti, in campagna o nelle città; chi vive una vita prettamente solitaria o chi la condivide con fratelli e sorelle in piccole comunità; chi vive di carità, chi lavora.

A noi tutti, ognuno secondo le proprie peculiarità e differenze, viene chiesto di vivere nella sequela di Gesù il nostro essere contemplativi nel deserto, come sentinelle che lo Spirito conduce ai margini e plasma a suo modo, per quel “vultum Dei quaerere” (cercare il volto di Dio) cui tutti tendiamo. Siamo cercatori cercati da Dio col mondo nel cuore, per il quale viviamo il ministero dell’intercessione e l’apostolato della contemplazione.

Nell’unico corpo ecclesiale, sentiamo forte la responsabilità della testimonianza e della trasmissione della fede, nella solitudine, nella preghiera e nell’ascolto.

La nostra vita è segnata dalla precarietà, dalla marginalità, dall’abbandono fiducioso in Dio e dal silenzio orante. Questo ci appartiene; nella Chiesa siamo come “il passero che ha trovato una casa, la rondine il nido, presso i tuoi altari” (Sal 84,4) e chiede la cura paterna e materna dei Pastori.

In un mondo in cui prevalgono il fare e l’apparire, siamo chiamati a “essere” grembo che accoglie la Parola, soli con il Solo. «Ora si compie il disegno del Padre: fare di Cristo il cuore del mondo» (Ef 2,4-6).

Riconosciamo con gratitudine, come la Chiesa nel documento Forma di vita eremitica nella Chiesa particolare, renda grazie per questa “perla preziosa” (Mt 13,44) (settimananews.it/vita-consacrata/eremiti).

Ci auguriamo che questo annuncio di Bene possa essere fermento generatore di vita: «Io voglio che abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Seminario Arcivescovile di Lucca, 28 aprile 2022

eremiti

Eremo Santa Caterina del Sasso

Quanti sono?

È difficile dare risposte sicure. Le stime più prudenti per l’Italia parlano di 200, quelle più generose arrivano al migliaio. La più comune: 300. Per la Francia i numeri si attestano su 150, 70 per la Germania, 90 per gli USA, 8 per la Polonia. A livello mondiale si parla di 20.000, ma la cifra sembra eccessiva.

I percorsi di approccio alla vita eremitica sono molto diversi, ma il numero maggiore, almeno per l’Occidente, arriva dopo un’esperienza di vita comune e di servizio presbiterale, anche se non mancano cammini un po’ anomali.

Diverso il caso della Russia che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ha conosciuto un’enorme crescita di monasteri e di eremitaggi. Con qualche problema, come ha sottolineato in un intervento a Bose nel 2010, Nazarij di Vyborg, igumeno della Lavra Neskij di san Pietroburgo: «Oggi chiedono di entrare in monastero persone che non solo non conoscono l’eremitismo, ma non sanno nemmeno il Padre Nostro. Vengono da noi persone che nelle loro vita hanno provato di tutto: matrimoni falliti, alcolismo, droga. Giungono in monastero perché non vedono altra via d’uscita dell’orrore per la propria vita… Oppure persone che hanno la minima idea del monachesimo, che fanno del puro dilettantismo».

Per l’Italia la difficoltà di censire le presenze è dovuto anche a forme eremitiche che appartengono alla tradizione ortodossa dell’Athos o a scelte che non fanno riferimento a identità confessionali.

La crescita delle vocazioni eremitiche non è tanto sul versante degli ordini o congregazioni tradizionali, quanto piuttosto negli eremiti diocesani o liberi. Ma anche in ordine allo sviluppo degli eremiti diocesani c’è chi registra un calo negli ultimi lustri.

Riferimenti magisteriali

Il recente testo del dicastero per la vita consacrata fornisce un riferimento compiuto che prima era solo accennato, se pur autorevolmente, nella post-sinodale Vita consecrata (n. 7), nel Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 920-921) e nel Codice di diritto canonico (can. 603).

Cito il testo del Catechismo: «Senza professare sempre pubblicamente i tre consigli evangelici, gli eremiti “in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine e nella continua preghiera e nella penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo”. Essi indicano a ciascuno quell’aspetto interiore del mistero della Chiesa che è l’intimità personale con Cristo. Nascosta agli occhi degli uomini, la vita dell’eremita è predicazione silenziosa di colui al quale ha consegnato la sua vita, poiché egli è tutto per lui. È una chiamata particolare a trovare nel deserto, proprio nel combattimento spirituale, la gloria del Crocifisso».

Valori e suggestioni

I valori evangelici e fondanti per la vita eremitica sono già stati ricordati: silenzio e solitudine, preghiera incessante, combattimento spirituale, ascesi e penitenza, intimità con Cristo. Ma vi sono anche suggestioni che oggi accendono l’attenzione.

Anzitutto una gestione lenta del tempo. In un contesto civile e culturale che divora il proprio tempo e lo misura ostinatamente, senza riconoscere né ritmi, né pause, la vita eremitica e la stabilità dei suoi tempi risulta una denuncia dell’alienazione contemporanea, un richiamo all’equilibrio e alla capacità di misurare i propri giorni.

La collocazione eremitica nel deserto della tradizione, nell’isola non facilmente raggiungibile, nella foresta lontana dagli abitati o nelle campagne delle periferie cittadine offre un richiamo significativo all’attenzione all’ambiente, alla necessità di salvaguardarlo e di custodirlo. Soprattutto a valorizzarlo in tutta la sua dimensione simbolica, riconoscendovi la benedizione della creazione.

E, ancora, il rapporto con gli animali. Da quelli di casa a quelli del bosco e ai pesci del mare. L’eremita li sente come compagni di vita, in qualche maniera partecipi della sua ricerca spirituale. «Il solitario rimane sulla soglia dell’abisso del proprio cuore, come un mendicante che tende una mano esitante e insieme fiduciosa, una mano vuota che solo l’amore di Dio potrà riempire. Se scarsamente o fino all’orlo, se subito o dopo una lunga vita consumata nell’attesa, non è in grado di dirlo: sa soltanto che non può esigere nulla, né lamentarsi di nulla. Eppure, in quella notte, della quale ignora se essa sprofondi ancor più nella tenebra o se si orienti già verso il giorno, è sempre più convinto che Dio ricolmerà ciascuno senza eccezione, ben oltre quello che avrebbe osato chiedere o sospettare» (A. Louf, Uno sguardo monastico, Magnano-Biella 2001, p. 74).

Settimana News

Eremiti

di: Lorenzo Prezzi
documento

Foto di Angelo Dong su Unsplash

Nel contesto spirituale e sociale del dopo-concilio sono riemerse figure spirituali considerate al tramonto: dall’ordine delle vergini (un migliaio in Italia) all’ordine delle vedove, fino agli eremiti e alle eremite. Questi ultimi sono valutati in circa 300 nel nostro paese.

Il moltiplicarsi di persone che, a titolo religioso, sociale o colturale si definiscono eremiti e la permanente incertezza di criteri con cui una Chiesa locale può riconoscerli hanno suggerito alla Congregazione dei religiosi, a cui fanno riferimento le esperienze di vita consacrata, di dedicare un testo a La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare.

Sviluppato in un’ottantina di pagine, il documento si riferisce agli eremiti operanti nelle Chiese locali che, quindi, fanno riferimento ai vescovi. Non si prendono in considerazione gli eremiti che appartengo a ordini monastici o famiglie religiose che prevedono questa scelta all’interno della propria testimonianza.

Oltre agli interessati, sono stati i vescovi a sollecitare un testo di riferimento per facilitare il loro compito di discernimento e di riferimento. La non facile gestazione dell’indirizzo spirituale e normativo è riconoscibile dal tempo trascorso fra la sua approvazione papale (31 luglio 2021), la firma del prefetto del dicastero (14 settembre 2021) e l’uscita a stampa con i tipi della Libreria editrice vaticana in queste settimane.

Uscire dal limbo

«La forma più antica e rigorosa di separazione dal mondo» (n. 2) come appare oggi? Chi sono i nuovi eremiti? Delle tipologie prevalenti, due appartengono alla tradizione e sono normate dal diritto proprio. Sono i chierici o i laici che appartengono a istituti di vita eremitica o a comunità monastiche e apostoliche che prevedono questa scelta di vita. Le altre due fanno invece riferimento alle Chiese locali: chierici e laici che fanno vita eremitica senza professare i voti; chierici e laici che fanno vita eremitica professando i tre voti di povertà, castità e obbedienza.

Per uscire dal limbo di identità occasionali e confuse, il documento sottolinea per i vescovi di verificare negli interessati lo stato di salute, la sufficiente maturità, l’equilibrio psico-affettivo. Anche l’età ha la sua importanza. Così la verifica delle precedenti esperienze che suggerisce di ricostruire i passaggi da altre comunità ed esperienze. Inoltre si richiede «l’assenza di debiti o di altre pendenze di natura civile, penale e canonica» (n. 32).

«Se l’eremita è vincolato ai voti, devono essere stabiliti, preferibilmente nel progetto (di vita): la durata dei periodi di assenza dall’eremo, l’inserimento o servizio nell’ambito diocesano, l’eventualità di tempi e spazi per l’accoglienza e l’ospitalità, in quali casi vi sia richiesta l’autorizzazione del vescovo» (n. 39).

E, per quanto riguarda l’abitazione, si dice: «L’eremo deve rispondere alle esigenze della più rigorosa separazione dal mondo e della solitudine che favorisce il silenzio e la preghiera. Allo stesso tempo, tale luogo non deve essere troppo isolato, impervio o di difficile accesso. Il luogo scelto non deve essere troppo lontano da un luogo di culto se l’aspirante eremita non è presbitero. Gli spazi devono assicurare, oltre alle esigenze minime della vita personale, anche la possibilità di un luogo adatto alla preghiera, alla conservazione dell’eucaristia, con il permesso del vescovo, e, se sacerdote, alla celebrazione eucaristica. Quando la proprietà non appartiene alla diocesi, è compito del vescovo, personalmente o tramite un suo delegato, verificare l’idoneità del luogo prescelto» (n. 41).

Questa note rapsodiche e frammentarie permettono di intuire l’insufficiente affidabilità di chi, maschio o femmina, si definisce eremita senza adeguata verifica, preparazione spirituale e maturità umana. Ma anche l’uso fragile del riferimento all’eremitismo senza l’attenzione al contesto abitativo, al legame ecclesiale e a una prudente gestione della propria salute e del proprio mantenimento.

La cordiale disponibilità ad accogliere e a riconoscere all’interno della comunità credente la donna e l’uomo di vita eremitica richiede prudenza, apertura di cuore e discernimento.

Fra Chiesa e storia del mondo

L’eremitismo, contrariamente ad una tradizione ancora presente nella coscienza ecclesiale, non è il vertice di una ricerca spirituale, un modelle superiore valutato in base alle rinunce che esso comporta. Non è l’esito ultimo di un progresso spirituale riservato a pochi (laici – consacrati – eremiti). È piuttosto una delle forme della chiamata universale alla santità, certo caratteristica e preziosa, ma collocata dentro una tradizione e definita dal suo rapporto con la comunità cristiana, il mondo e la storia.

È una imitazione di Cristo che si configura «nella separazione dal mondo, si ripropone di riservare al silenzio, alla solitudine e alla preghiera, uno spazio che in quanto tale si dischiude alla lode di Dio e alla salvezza del mondo» (n. 9).

«Ogni singolo eremita fa propria una forma di vita che lo precede e lo supera, incarnandola storicamente, nella docilità all’azione dello Spirito Santo. In tal senso, quella eremitica è in se stessa incompiuta, parziale restituzione della multiforme forma Christi, ed è figura in aperta relazione con il corpo ecclesiale e il corpo della storia. Occorre pertanto passare oltre il retaggio storico e l’immaginario teologico-spirituale che considerava l’eremita come vertice “individuo” di una vita totalmente donata» (n. 10).

Come sottolineava Pier Damiani, l’eremita è una sorta di microcosmo in cui il mondo e la Chiesa vengono rappresentati davanti a Dio.

Caratterizzato dalla separazione dal mondo, dalla preghiera, dal silenzio e dall’ascesi, l’eremita ha il riconoscimento ecclesiale in una Chiesa locale «attraverso la conferma, la direzione e l’accompagnamento, da parte del vescovo diocesano. Si tratta di un delicato processo di discernimento che postula, per la sua migliore realizzazione, l’esercizio ecclesiale della sinodalità» (n. 12).

Riprendendo le caratteristiche già enunciate, il testo sottolinea anzitutto il silenzio come «atteggiamento fondamentale che esprime la radicale disponibilità all’ascolto di Dio» (n. 14).

L’eremita sperimenta una solitudo pluralis o una multitudo singolaris. «Quella dell’eremita non è una vita in cui la singolarità, e quindi la soggettività, assurge a criterio del tutto, ma una vita in cui la pluralità – quella che portiamo dentro e quella del mondo – trova il suo senso alla luce dell’Unico necessario, integrando la complessità dell’io di ciascuno come in un microcosmo» (n. 16).

La sua solitudine è altra cosa dall’individualismo contemporaneo e la disciplina personale è ben diversa dalla compiacenza narcisistica corrente.

Il deserto e le periferie

Con il silenzio, prende forma una particolare insistenza della preghiera, come adorazione, come lode, come supplica di intercessione. Il riferimento concreto è alla Liturgia delle ore, alla Parola di Dio e alla lectio divina.

Le pratiche ascetiche (il distacco, la veglia, il digiuno, la cura per la natura ecc.) sono volte ad affermare l’assoluto di Dio nella propria esistenza.

Vertice della preghiera è l’eucaristia anche quando non vi sia possibilità di celebrarla, come nel caso delle eremite o degli eremiti laici.

Più che di separazione dal mondo il documento parla di collocazione nelle sue periferie, accompagnata dalla genialità cristiana che trasforma il margine nella dilatazione dei confini. Il margine è la nuova immagine del tradizionale deserto. Se, nella tradizione, il luogo dell’eremita era il deserto, l’isola, poi la foresta, oggi è appunto il margine e il confine.

Solitudine, silenzio, preghiera, ascesi: sono tutti elementi che non contraddicono l’ospitalità se questa non si gonfia fino a condizionare la separatezza orante. Solo quest’ultima garantisce un approccio profondo al mistero contenuto anche nelle altre fedi.

Col vescovo nella Chiesa locale

Un ruolo molto particolare è rivestito dal vescovo. È lui che ha il compito del discernimento. L’eremo è un’esperienza esigente che ha necessità di un tempo congruo di prova e un programma di formazione continua.

Il testo privilegia una forma esplicita di consacrazione tramite i voti di povertà, castità, obbedienza. In ogni caso, va celebrato «un atto liturgico pubblico, presieduto dal vescovo diocesano, con il quale l’eremita emette la professione dei consigli evangelici e manifesta il senso ecclesiale di questa consacrazione» (n. 37).

Accanto ai voti, alla celebrazione ecclesiale della forma di vita, il documento sottolinea l’opportunità di scrivere una ratio vivendi, cioè una regola o programma di vita, dove l’eremita «puntualizza gli obblighi e gli impegni derivanti all’assunzione/professione dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza mediante voto o altri vincoli sacri. In appendice si offre un fax-simile della regola o progetto di vita.

A una beve narrazione della chiamata personale si aggiungono gli aspetti costitutivi della vita eremitica, l’impegno alla formazione permanente, lo spazio e i luoghi della vita con i riferimenti esterni utili, come dove celebrare l’eucaristia per i non chierici. E ancora gli elementi fondamentali della propria vita spirituale e dei voti, la relazione con il vescovo e con la Chiesa locale, l’utilizzo dei mezzi di comunicazione. Non ultimo, il lavoro da cui trarre sostentamento e le necessarie garanzie per l’assistenza sanitaria e pensionistica.

La scelta del lavoro è rilevante. Spesso si privilegia quello a metà tempo o un servizio interno alla diocesi. Non viene escluso il lavoro manuale o dipendente. Per il chierico può essere il ministero sacerdotale, ma in forma occasionale e non prevalente. Non deve in ogni caso soffocare il proprio della vita eremitica.

Alcuni numeri del documento sono dedicati al chierico, già appartenente a un istituto che non prevede la forma eremitica. Il vescovo avrà cura di accoglierlo dopo che il superiore (ordinario) avrà scritto al dicastero. E il candidato dovrà accettare un tempo di prova, prima di essere incardinato in diocesi. Per gli eremiti e le eremite il cambiamento del vescovo è un passaggio delicato da affrontare con la necessaria disponibilità.

Infine, il testo prevede il possibile abbandono dell’eremo che può avvenire tramite una formale dispensa del vescovo dai voti o dai sacri vincoli per gravi e fondate cause.

Ispiratori

Il tono complessivo della nota del dicastero è ispirato dalla necessità di offrire ai vescovi uno strumento di riferimento per la loro responsabilità, ma non manca di sottolineare l’accogliente cordialità per riconoscere il dono dell’eremitismo nella Chiesa di oggi.

Fra i nomi che emergono dalle citazioni ricordo quello di Teodoro Studita, di Atanasio, del padre del monachesimo occidentale Benedetto, di Pier Damiani. Un riferimento particolare viene fatto a Charles de Foucauld, alla sua straordinaria intuizione sulla vita segreta di Gesù a Nazareth e sul senso del deserto: «Il deserto mi riesce profondamente dolce; è bello e salutare porsi nella solitudine di fronte alle cose eterne; ci si sente invasi dalla verità».

Settimana News

Al raduno degli eremiti…

Un momento del convegno a porte chiuse che si è tenuto nei giorni scorsi nel santuario di Castelpetroso (Isernia) (Luigi Narici/ Agf)

L’arcivescovo di Campobasso li ha chiamati a raccolta per discutere (strano ma vero) di comunicazione. Tra un caffè e una preghiera, ecco cosa ci hanno raccontato. Reportage

CASTELPETROSO (Isernia). Sembra un ossimoro, e invece è una realtà: il raduno degli eremiti. Ci troviamo al santuario di Castelpetroso, nel cuore del Molise, alle 9 del mattino del 18 settembre. Gli eremiti sono arrivati due giorni fa, ripartiranno domani. Il convegno è stato voluto e promosso dall’arcivescovo di Campobasso e Bojano, monsignor Giancarlo Bregantini. Ed è proprio dalla sua segreteria che abbiamo avuto il numero di suor Margherita, l’eremita che tiene insieme la logistica dell’evento. «Ha un cellulare?», sì, ci tranquillizzano dalla Curia. Proviamo a chiamarla, una volta lì, perché di eremiti non ne vediamo. O meglio: li riconosceremmo, se li vedessimo? In lontananza, un uomo in saio con una lunga barba bianca: ce li hanno sempre raccontati così, gli eremiti. Lo rincorro, il fotografo resta indietro, non vogliamo sembrare invadenti. «Sono un monaco solitario, venuto dall’Umbria per assistere al convegno. È un dono incredibile che il vescovo ci ha fatto. Gli eremiti sono una ricchezza che sembra appartenere al passato, e invece è del presente. Essendo soli, sono nell’obbligo di essere coerenti. Ecco perché la loro figura è universale e può migliorare il mondo».

L’arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini (Fotogramma)

Quattro figlie e una suocera

Suor Margherita, intanto, ci dice che la conferenza sta cominciando, non può incontrarci. Se ne parlerà alle 10.30, quando usciranno per la pausa. Ma come sarà la pausa degli eremiti? Al bar del santuario, chiedo se per caso prendono il caffè: «Sì, qualcuno sì». Aspettiamo, appostati davanti alla piccola sala conferenze col cancello bianco, poi li vediamo uscire, finalmente, alla spicciolata. Passeggiano nel piazzale che guarda la natura. Ci avviciniamo quasi a tutti, con educazione. Con educazione, quasi tutti ci parlano, chiedendoci però di non essere fotografati, né menzionati. Solo Enrico si lascia andare: «Sono un eremita anomalo. Ho una moglie, quattro figlie e una suocera», confessa. In realtà, è un diacono di Reggio Emilia, che sette anni fa ha tirato i remi in barca e ha cominciato ad avvicinarsi alla prospettiva eremitica: «Una solitudine abitata, riempita dall’amore di Dio». Sessantaduenne, è venuto in Molise con un pulmino e altri eremiti. Si sono messi d’accordo su WhatsApp, il primo è salito a Verona, il secondo a Mantova, lui è stato preso per ultimo. Si fa fotografare: sorride, con un’enorme croce di legno al collo.

Enrico Grassi, 62 anni, di Reggio Emilia, uno degli eremiti al convegno. Sullo sfondo, il santuario Maria Santissima Addolorata (Luigi Narici/ Agf)

Nel frattempo, suor Margherita ci sta cercando. Se promettiamo di non disturbare, ci farà assistere a un pezzo di conferenza: «Oggi parliamo di silenzio e voi ci rompete le scatole!» scherza. È burbera, ma accogliente. Qualche giornalista l’ha fatta arrabbiare: «Hanno scritto cose inesatte». Perciò, oggi non rilascia interviste. Di lei sappiamo che vive nell’eremo di Sant’Egidio, vicino Bojano, a 1.200 metri d’altezza. Lì, per due mesi l’anno, neanche il sole riesce a raggiungerla.

Smartphone & lentezza

Una volta dentro, mentre il fotografo immortala l’oggettiva straordinarietà di un folto gruppo di eremiti (una trentina, fra donne e uomini), mi apparto con una di loro per qualche domanda. Quanti sono, in Italia? Il dato più recente lo dobbiamo a Isacco Turina: nel 2007, nel libro I nuovi eremiti, ne contava circa 250. Tuttavia, i numeri precisi li hanno solo le singole diocesi. La conferenza, intanto, affronta il discorso della comunicazione, della tecnologia. Perché gli eremiti hanno lo smartphone, lo usano. Ricevono le mail, rispondono ai messaggi. Ma con i loro tempi. Lo strumento che li tiene in connessione con il mondo non deve togliere nulla al silenzio. «Silenzio. Una delle parole cardine del nostro lavoro» spiega l’eremita con cui parlo, mentre ci chiudiamo in una cappella adiacente per non disturbare il gruppo. «Silenzio vuol dire soprattutto ascolto. L’eremita può cogliere uno sguardo, e cogliere un silenzio. E se ci metti un ‘ac’ davanti, diventa accogliere. Ecco, l’eremita accoglie l’altro. Come nell’immagine del Cristo Silente: la bocca serrata, le orecchie grandi, e le mani aperte, pronte a ricevere chi arriva. L’eremita non è un santo, ma un battezzato in cammino».

Tutte le voci sentite, in questa giornata, tornano sul bisogno di mettersi da parte per essere più in contatto col mondo. Di essere soli per poter stare a disposizione di tutti. Il pranzo alle 13, la cena alle 19.30. Insieme, sì. «Mangiamo anche noi, eh, e parliamo! Io per esempio sto parlando tantissimo mentre tu ascolti. Di solito è il contrario!». Nel salutarmi, l’eremita mi fa i complimenti per il vestito che porto: «È molto nel nostro stile» ride, «brava!».

Mi ritrovo col fotografo, ci resta da sentire Bregantini. Gli chiediamo come mai si è tanto parlato di questo raduno e non dei precedenti? «Perché non ce n’è mai stato uno così grande. Poi, perché gli eremiti ce li immaginiamo con la barba e con addosso il folclore dei santi, invece, pur mantenendo intatto il tessuto di Vangelo che li accompagna, sono moderni. La loro qualità spirituale sta diventando un monito per la Chiesa di oggi, e c’è un fatto singolare da considerare: il Vaticano è pieno di domande di eremiti che da tutto il mondo chiedono di fare questa vita».

Come alberi nelle coscienze

Come si diventa eremiti? «È una crescita spirituale della vita monastica. La vita in convento, maturando, si può aprire alla scelta eremitica. La comunità ti mette le ali sulle spalle per permetterti poi di volare da solo. Dal punto di vista pratico, invece, occorrono due permessi, e la Santa Sede sta preparando un documento ufficiale su questo tema. C’è sempre meno gente a messa nelle parrocchie, e sempre più nei santuari. Le persone hanno più stima dell’eremita, meno del parroco». Perché? «Forse perché il parroco lo si vede tutti i giorni, nel quotidiano. L’eremita invece lo vai a cercare nel momento in cui sei in crisi. Nel momento in cui hai bisogno di essere ascoltato. L’ascolto oggi vale tutto, i ragazzi che si ammazzano, per esempio, spesso lo fanno perché non trovano ascolto».

Perché questo raduno? «Per gratitudine, innanzitutto. Quando ero in Calabria, gli eremiti, insieme alle cooperative, mi hanno aiutato a combattere la mafia. Sono alberelli piantati nella coscienza della gente, hanno radici profonde. Questo non è un raduno, ma una provocazione santa che la Chiesa rivolge agli altri eremiti, per dire loro ‘Coraggio! Continuate!’; alle chiese locali, che devono essere accoglienti nei loro confronti; e alla politica». Cosa lega gli eremiti alla politica? «Un esempio: gli incendi che distruggono il nostro Paese ci sono perché nessuno custodisce il territorio come andrebbe fatto! La politica deve sapere che, soprattutto per le aree interne, schiacciate dall’abbandono, gli eremiti sono una risorsa. Amano la terra, la lavorano, curano gli animali. Celebrano la vita sobria, autentica, e accolgono sempre i poveri».

La Madonna che, secondo la tradizione, apparve a due contadine nel 1888, qui a Castelpetroso rimase in silenzio. Eccola, la parola che torna. «La Basilica Minore dell’Addolorata è stata costruita anche grazie alle monetine offerte dalla gente. E alle padelle di rame donate per realizzare la cupola» continua Bregantini. «Avremmo potuto scegliere un 5 stelle a Roma, ma abbiamo scelto il Molise. Che ha parlato, si è rivelato. Un luogo naturale che c’è, e c’è più degli altri».

Sul Venerdì del 1° ottobre 2021