Elezioni. il Pd approva le liste dei candidati. Letta: “Ho chiesto molti sacrifici”

Letta capolista in Lombardia e Veneto. Cottarelli corre a Milano. C’è il virologo Crisanti in Europa
il Pd approva le liste dei candidati. Letta: "Ho chiesto molti sacrifici"

La Direzione nazionale ha approvato la Delibera per votazione delle liste del Partito Democratico per le elezioni politiche 2022 con 3 contrari e 5 astenuti. Trattative serrate nella serata di ieri. Si è trattato comunque di turbolenze fisiologiche, legate alle riduzione del numero dei parlamentari e all’inserimento nelle liste di esponenti che arrivano dalla coalizione. I problemi hanno riguardato soprattutto i parlamentari uscenti, legati a una gestione passata: in mezzo, infatti, ci sono 4 anni e 2 segretari.

Il segretario del Partito democratico Enrico Letta sarà capolista alla Camera in Lombardia e Veneto. Carlo Cottarelli sarà invece candidato capolista per il Senato a Milano. Il microbiologo Andrea Crisanti sarà capolista in Europa. Ci sono poi 4 giovani under 35 capolista: Rachele Scarpa, Cristina Cerroni, Raffaele La Regina, Marco Sarracino.

“Avrei voluto ricandidare tutti i parlamentari uscenti. Impossibile per il taglio di parlamentari ma anche per esigenza di rinnovamento”, aveva detto il segretario del Partito democratico Enrico Letta ieri sera nel suo discorso alla direzione nazionale del Pd. “Ho chiesto personalmente sacrifici ad alcuni. Mi è pesato tantissimo. 4 anni fa il metodo di chi faceva le liste era: faccio tutto da solo. Io ho cercato di comporre un equilibrio. Rispetto dei territori tra i criteri fondanti delle scelte”, ha aggiunto il leader dem. “Termino questo esercizio con un profondo peso sul cuore per i tanti no che ho dovuto dire. Peso politico e umano. Ma la politica è questo: assumere la responsabilità”. “Potevo imporre persone ‘mie’ ma non l’ho fatto perché il Partito è comunità”. I

l segretario ha sottolineato che “la parità di genere è stata rispettata nelle liste”. Quindi ha ringraziato “quanti spontaneamente hanno fatto un passo indietro comprendendo l’esigenza di rinnovamento”.

“E’ stato un lavoro faticoso, ci sono sempre troppe esclusioni… ma credo siano liste competitive e per fare un buon risultato”, ha commentato alle telecamere Andrea Orlando lasciando il Nazareno dopo la Direzione del Pd.

Avvenire

Intervista. Parisi sferza il Pd: «Troppi errori»

Il professor Arturo Parisi, uno dei fondatori dell'Ulivo assieme a Romano Prodi

«E’ una campagna brevissima. Troppo breve. E non penso ai giorni di legge. Eguali nel tempo. Parlo del tempo necessario ai partiti per formulare proposte meditate, e agli elettori per evitare una scelta immatura… Troppo breve per consentire nella politica incontri duraturi, soprattutto se nuovi, e un confronto fecondo, ma purtroppo lunga a sufficienza per anticipare lo scontro che in autunno ci aspetta nella società». Arturo Parisi ci “regala” subito una riflessione cruda sull’Italia che corre verso il voto. «Vedo un quadro terribile. Il caro vita, i costi dell’energia… Le questioni economiche e sociali esploderanno», avverte il fondatore dell’Ulivo. Sul banco degli imputati ci sono le scelte della politica. Anche quelle del “suo” Pd. Sfidiamo Parisi: molti scommettono sulla vittoria del centrodestra. «Non basta sommare appartenenze di partito o abitudini di voto. Questo è un Paese dove un cittadino su due si muove tra una sigla, un’altra sigla e l’astensione. Un Paese più che frammentato, polverizzato al punto da portare il partito di turno dalla soglia della sopravvivenza fino alla testa della classifica, per poi rifarlo implodere con la stessa velocità con la quale era esploso». Parole ancora severe. Dove è evidente il riferimento a Matteo Renzi, a Giuseppe Conte, a Matteo Salvini. E dietro le quali si agita un avvertimento a Giorgia Meloni.

I veti di Bruxelles e del centrosinistra freneranno la corsa di Meloni?

Lasciamo da parte i presunti veti. Nel caso, per principio inaccettabili. Se nell’azione di governo sono di ostacolo, nella raccolta dei consensi possono tramutarsi in un vantaggio. E poi è difficile non riconoscere a Meloni la spinta che le viene da una condotta coerente in una legislatura nella quale più o meno tutti sono riusciti ad allearsi, volta a volta, con tutti. Di certo Meloni ha galoppato ed è cresciuta quanto è cresciuto il suo partito. Ma una cosa è essere a capo di un partito, un’altra essere riconosciuta leader incontrastata del proprio campo, un’altra ancora – in una democrazia pluralista – conquistare e soprattutto mantenere la guida di un intero Paese.

Esiste un tema legato a Giorgia Meloni e al “rischio fascismo”?

Ritrovare i democratici uniti a cantare “Bella Ciao”, il canto della libertà che interpella oramai tutti i cuori attraversando e superando i confini di parte, sarebbe come riconoscere la più cocente delle nostre sconfitte. Che i tre quarti di secolo che ci separano dal ’45 sono passati invano. Con l’aiuto di democratici di molte, diverse, e spesso opposte provenienze siamo venuti a capo di ben altri pericoli. Son sicuro che anche questa volta ce la faremmo.

Che effetto le fa vedere Berlusconi pronto a candidarsi ancora? E sentirlo dire che se passasse il presidenzialismo Mattarella dovrebbe dimettersi?

Un miracolo. Il più grande venditore del mondo forse sarebbe riuscito a rifilare, almeno a quelli della mia età, anche l’illusione di una eterna giovinezza. Poi basta una frase come quella sul capo dello Stato per far capire, all’improvviso, che anche il suo tempo è passato. È stata una provocazione senza senso: una banalità dal punto di vista istituzionale e, dunque, una stupidaggine da quello politico.

Pensi alle ultime scelte di Enrico Letta: ha sbagliato o no?

Solo la sera del voto si potrà rispondere. Quella di Letta è una scelta. Una scelta chiara, legittima e coraggiosa. Quella che Bettini ha definito una «scelta unitaria fino al punto di rischiare l’autolesionismo». Tenere insieme il Pd, la cui unità è messa a durissima prova sui tavoli delle candidature. Ma ancor prima del partito tenere insieme la sinistra, quella interna ed esterna al Pd, senza alcuna esclusione né distinzione tra i sostenitori e gli oppositori di Draghi. Tenerla insieme tutta e, intorno ad essa, aggregare tutte le voci possibili, dai Radicali ai cattolici di Demos, con l’obiettivo primario di contrastare il pericolo rappresentato dalla destra. Naturalmente, è appena il caso di dirlo, all’infuori di Conte e di Renzi, il più recente e il più antico degli avversari del suo partito.

Lei che cosa avrebbe fatto?

Una volta aperta la crisi a seguito del contrasto tra sostenitori e oppositori dell’azione di Draghi, io avrei lavorato ad una coalizione che unisse tutti e solo i difensori del governo. Tutti e solo. Ma il segretario è lui. È giusto che sia lui a scegliere la meta e a indicare la strada.

I 5 stelle sono davvero finiti?

Venti giorni fa li avrei detti in gravissima difficoltà. L’approfondimento della rottura con Letta e la discesa in campo di Grillo, che sul limite dei due mandati ha preso una decisione che a Conte non sarebbe riuscita, hanno offerto al Movimento l’identità che avevano smarrito. Quella populista delle origini, non certo quella progressista cantata dal Pd con l’illusione di egemonizzare così gli “antichi barbari”.

Renzi e Calenda presentano il Terzo polo.

L’assetto bipolare presente li esclude e loro giocano in difesa. Ma nella democrazia maggioritaria che affida agli elettori la decisione sulla direzione del governo, quella per cui mi sono sempre speso, già dire terzo e non invece nuovo polo significa evocare il ritorno a un tempo che speravo superato. Diciamo che la sola presenza sulla scena di un Terzo polo, incarnato per di più da esponenti che in passato avevano difeso un’altra idea di democrazia, sta da sola a dimostrare il fallimento di una fase della Repubblica più che ad annunciarne un’altra.
Come valuta l’operato del governo Draghi?

Di Draghi possiamo dire che aveva aperto la speranza di un’Italia finalmente ammessa al tavolo delle decisioni che nel mondo contano, certo per l’autorevolezza della guida, ma soprattutto perché era messa al servizio di scelte adottate nella consapevolezza delle compatibilità interne ed internazionali.

Per Renzi e Calenda un voto senza vincitori potrebbe mantenerlo a Palazzo Chigi.

Già il fatto che sia cullata e diffusa la speranza di un voto nullo è la prova della crisi della nostra democrazia. La sfiducia in noi stessi e la resa all’idea di un commissariamento eterno del Paese.

Vede un rischio astensionismo legato a un Paese distante dalla politica?
Uno spettacolo inguardabile. Basta leggere i giornali, soprattutto quelli locali, che da giorni danno conto delle resse e delle risse per decidere non quelli che saranno i candidati, ma quelli che saranno gli eletti lasciando alla campagna elettorale e al voto finale solo la decisione su quanti toccheranno ad un partito e quanti a un altro.

Avvenire

Elezioni. Meloni rassicura sul fascismo. Letta: tolga la fiamma del Msi dal simbolo

Tra una polemica e l’altra intanto si mettono a punto i programmi
Giorgia Meloni ed Enrico Letta

Giorgia Meloni ed Enrico Letta – Ansa

da Avvenire

Non basta “abiurare” il fascismo, ora Giorgia Meloni «tolga la fiamma dal simbolo». Dopo il video – in inglese, francese e spagnolo – con cui la presidente di Fdi ha voluto rassicurare la stampa estera sulla sua estraneità da qualsiasi rigurgito mussoliniano, il Pd torna alla carica e chiede di andare oltre. «Vuole consegnare il fascismo alla storia? Allora tolga la fiamma del Movimento sociale italiano dal simbolo», è il mantra dei dem. Affondo inutile. Il simbolo verrà depositato così come finora è conosciuto a tutti. «Non è il Pd a rilasciare patenti di democraticità, esiste una Costituzione e a questa ci atteniamo», dicono netti da Fdi. Ma dal Nazareno si continua a puntare il dito sulla politica estera di Fdi, ricordando poi come, sul Piano di ripresa e resilienza, all’Eurocamera per ben tre volte gli eurodeputati meloniani non abbiano votato a favore.

Le polemiche non rallentano però la corsa del centrodestra che ieri ha approvato a una sola voce (con il timbro di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni e degli alleati centristi) il programma elettorale in 15 punti, che verrà consegnato oggi al Viminale insieme ai simboli del centrodestra. E il coordinatore azzurro Tajani assicura: «Il centrodestra sarà coeso, presenterà un progetto serio credibile, che non farà aumentare debito e deficit. Ci saranno coperture per tutte le proposte che verranno fatte. Sul versante opposto il Pd insiste ad affondare contro Giorgia Meloni. «Tra un po’ diventerà più europeista di Macron e Draghi ma il suo partito ha proposto l’uscita dall’euro», attacca la dem Alessia Rotta. Il refrain, dalle parti del Nazareno, resta uno: Fdi, con la sua vicinanza ai partiti di estrema destra europea e all’ungherese Viktor Orban, continua a destare preoccupazione a Bruxelles.

L’Ue, al momento, resta alla finestra. Nessuno nella Commissione ha la minima intenzione di entrare in tackle sulla campagna elettorale. Ma il Pd insiste. «Mentre Gualtieri negoziava i soldi del Pnnr, per costruire Next Generation Eu e la solidarietà europea, a fine maggio Meloni, contestando, proponeva di andare a metterci sotto il Fmi. Con quelle idee l’Italia sarebbe affondata», tuona Enrico Letta. Meloni alla fine sbotta: «Abbiamo una sinistra che pur di governare è disposta a farlo sulle macerie. La sua propaganda all’estero nuoce al Paese». È un botta e risposta senza fine. Letta insiste: «La destra nel 2011 ha portato l’Italia al fallimento e Giorgia Meloni era ministra». Sarà, ma la leader di Fdi, da settimane, sta vestendo l’abito moderato e atlantista di chi vuole rassicurare Washington e Bruxelles. E a luglio aveva fatto tappa anche a Strasburgo per un faccia a faccia con la presidente Roberta Metsola.

Sul Pnrr, tuttavia, la convinzione di Fdi è che si debba arrivare ad una rinegoziazione degli obiettivi, alla luce della guerra in Ucraina e dell’ondata inflattiva. L’articolo 21 del regolamento del Next Generation, sulla base appunto di circostanze oggettive, lo permetterebbe e una sponda potrebbe essere fornita anche dal piano RePowerEu che si basa proprio sulle risorse del Pnrr. Ma rinegoziare il Piano con Bruxelles, per l’Italia, sarebbe comunque una strada irta di ostacoli.

Verso il voto. Calenda strappa col Pd. Letta: così aiuta la destra

A pochi giorni dal patto firmato, il leader di Azione ha fatto retromarcia. Il movito: gli accordi che Letta ha stretto sia con Sinistra Italiana e Verdi sia con Luigi Di Maio e Bruno Tabacci

Calenda strappa col Pd. Letta: così aiuta la destra

Fotogramma

Carlo Calenda rompe l’intesa con Enrico Letta e scatena l’ira dei dem. Il fronte progressista messo pazientemente insieme dal segretario Pd per sfidare FdI, Lega e Fi ha perso un pezzo, quello di centro, che era stato il più corteggiato, il più difficile da convincere. A pochi giorni dal patto firmato, il leader di Azione ha fatto retromarcia.

“È una delle decisioni più sofferte – ha detto – ma non intendo andare avanti con questa alleanza” ha detto Calenda. A fargli cambiare idea, ha spiegato, è stata l’aggiunta dei “pezzi stonati”, cioè gli accordi che Letta ha stretto sia con Sinistra Italiana e Verdi sia con Luigi Di Maio e Bruno Tabacci.

Una giustificazione che ha fatto infuriare il Pd: “Onore è rispettare la parola data. Il resto è populismo d’élite”. Perché – ricordano i dem – quando è stato siglato quell’accordo con Azione, era inteso che ci sarebbero stati patti anche con le altre forze.

Per Calenda, però, la coalizione del Pd “è fatta per perdere. C’era l’opportunità di farne una per vincere. La scelta è stata del Pd, sono deluso”. La risposta di Letta è stata lapidaria: “Da tutto quel che ha detto, mi pare che l’unico alleato possibile per Calenda sia Calenda. Se lo accetta. Noi andiamo avanti nell’interesse dell’Italia”.

L’annuncio di Calenda è arrivato domenica in tv, a In Mezz’Ora, dopo ore di un insolito silenzio social, che ha lasciato in sospeso i potenziali alleati, reduci dagli accordi firmati il giorno precedente. Letta ha lavorato per mesi a un fronte che fosse il più largo possibile, con l’obiettivo di giocare la difficile partita del 25 settembre, di contrastare un centrodestra dato come favorito nei sondaggi e che si presenterà unito, con una legge elettorale che premia le alleanze.

Il nuovo quadro delle coalizioni

Il quadro delle coalizioni al centro e a sinistra è stato stravolto. Di nuovo e in poche ore. Calenda correrà da solo, a meno che non trovi un’intesa con Matteo Renzi, al lavoro sul Terzo Polo con le liste civiche dell’ex sindaco di ParmaFederico Pizzarotti. Il Pd andrà avanti con Verdi-Si e Impegno civico di Di Maio e Tabacci. Anche con Più Europa,che è federata con Azione ma conferma l’accordo con il Pd.

“C’è grande sorpresa per la decisione unilaterale presa da Calenda – ha detto il deputato e presidente di +Europa, Riccardo Magi – Noi continuiamo a dare una valutazione positiva al patto col Pd”. Nonostante le spinte di Sinistra italiana, sembra escluso un ritorno di fiamma fra Pd e M5s. “È stato Conte a far cadere il governo Draghi – ha detto Letta – È stata un’enorme responsabilità e per noi, questo è un fatto conclusivo”. Anche il presidente Cinque stelle sembra aver chiuso la porta: “A Enrico rivolgo un consiglio non richiesto: offri pure i collegiche si sono liberati a Di Maio, Tabacci e agli altri alleati.Questo disastro politico mi sembra lontano anni luce dal progetto riformistico realizzato durante il Conte II”. Letta su Calenda: “Che promesse può fare agli italiani se sanno che già con gli alleatiha rotto la parola data? Con questa legge elettorale gli italiani dovranno scegliere se essere governati da Meloni, dalle destre o da noi, questa scelta è netta e Calenda ha deciso di aiutare la destra, facendo quello che ha fatto”.

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