Il cristiano e la città. Essere donne oggi

Edward Hopper, «Intermission» (1963, particolare)

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«Qual è l’immagine tipica della donna in una città? Cosa salta subito agli occhi di chi cammina frettolosamente per andare al lavoro o di chi attende ancora assonnato il semaforo verde? Che donne sono quelle che affollano la metro e gli autobus di prima mattina e dove vanno? Un sano esercizio per superare la propria smania di protagonismo o staccarsi dai problemi che ci amareggiano è guardare gli altri e cercare di vedere oltre l’apparenza».

Si è fatto quasi profetico in questo tempo di pandemia l’invito concreto che Caterina Ciriello rivolge al lettore in Essere donna nella città attuale (Padova, Edizioni Messaggero, 2020, pagine 120, euro 12), nuovo volume della fortunata collana Percorsi di teologia urbana, diretta da Armando Matteo. «Sarebbe utile osservare le donne — prosegue Ciriello — i loro volti, il loro corpi, “il potere simbolico” che ne traspare. Il corpo delle donne parla, ma i mass media ne stravolgono il linguaggio trasformando ciò che è buono e naturale, ciò che è sensibile, materno, coraggioso (…) in cibo per gli appetiti sessuali di maschi giovani e adulti. Sono ormai pochi quelli che riescono a leggere questo potente linguaggio e molti coloro che tentano di svilirlo, trasformando le donne in corpi privi di anima e intelligenza».

Nella sua riflessione sulla presenza femminile nel contesto urbano attuale Ciriello inizia giustamente da lontano, o meglio dall’origine. Docente di teologia spirituale presso la Pontificia Università Urbaniana a Roma e autrice di numerose ricerche sulla storia della Chiesa e sulla storia delle donne, l’autrice parte infatti dal racconto della creazione, perché è da lì «che nascono tutte le relazioni».

Ma perché se Dio ha creato l’uomo e la donna con uguale dignità, affinché insieme si prendessero cura della creazione, gli stessi cristiani hanno dimenticato ciò che Dio ha voluto? Perché nella società e nell’ambiente ecclesiale la donna vive una grave sottomissione psicologica e materiale? Chi e cosa ha permesso una reinterpretazione indebitamente maschilista della Parola? Se violenze sessuali, femminicidi e spose bambine sono la triste realtà, quel che Ciriello invita a fare non è solo di riflettere partendo da un’analisi della realtà ma di farlo appoggiandosi al magistero pontificio. E, in particolare, alla Evangelii gaudium in cui Papa Francesco riconosce «l’insostituibile contributo di unicità che la specificità femminile apporta al genere umano».

In linea con lo spirito della collana ideata e diretta da Matteo, anche il libro in esame intende dunque ripensare l’annuncio del cristianesimo nelle città a partire dalle provocazioni dell’Evangelii gaudium, avanzando proposte concrete per metterla in pratica. Rispondendo così alla chiara e limpida indicazione di Papa Francesco secondo cui «è necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città». E che quella che stiamo vivendo sia, più che un’epoca di cambiamento, un vero e proprio cambiamento d’epoca diventa di un’attualità sconcertante alla luce di ciò che da mesi il mondo intero sta vivendo.

Nessun dubbio, dunque, su come la città contemporanea sia lo scenario privilegiato per l’annuncio del Vangelo. Una città segnata da misoginia, violenze sessuali, mercificazione del corpo femminile, soprusi e prevaricazioni innanzitutto tra le pareti domestiche. Dove infatti secondo Francesco — come ricorda Ciriello — la donna rientra nella categoria che il Papa definisce i «non cittadini», i «cittadini a metà» o gli «avanzi urbani».

Come è tristemente noto, e come Ciriello riflette in un percorso che è insieme teologico, storico e biografico, la posizione della donna nella città attuale non è facile, come non lo è stato in passato. Ma se è vero che i passi avanti compiuti a livello sociale non sono stati una marcia vittoriosa e se, quindi, molto resta ancora da fare, l’autrice rende però merito alla Chiesa di ciò che è stato comunque raggiunto.

Il punto di svolta è stato il concilio Vaticano II, suffragato poi dal pontificato di Giovanni Paolo II che ha rimesso la questione femminile al centro della scena, in chiave antropologica, sociologica e teologica. Un percorso proseguito con Benedetto XVI e quindi con Papa Bergoglio, che l’ha ancora più radicato nell’attualità del mondo e della Chiesa (se è l’icona della Vergine «quella che aiuta a crescere la Chiesa», ne deriva che «non si può capire una Chiesa senza donne»).

Per uscire da quello che ancora non va, Caterina Ciriello auspica — inserendosi nel solco di una tradizione ricca e nutrita — una nuova alleanza. Edificabile solo — ricorda giustamente l’autrice — attraverso nuovi percorsi di istruzione e formazione. In famiglia, nella scuola, nei seminari.

In un discorso che riguarda sia la società che la Chiesa, è soprattutto a quest’ultima che Ciriello si rivolge. In risposta alla donna «che, aggrappata a un ramo, cerca di sfuggire alla corrente per non finire nel nulla dell’indifferenza», occorre superare perduranti «luoghi comuni e offensivi», interpretazioni bibliche «misogine» per riscoprire una Parola vera, giusta e sacra.

Anche perché «non può vivere secondo natura e secondo il Vangelo — chiosa Ciriello — una società dove le donne sono considerate “scarti”, merce da usare e gettare. E Papa Francesco lo ha sempre detto sin dall’inizio del suo pontificato: no alle donne schiavizzate, sfruttate, private della loro dignità. E non può che “sopravvivere” una chiesa dove prevale il maschilismo, il clericalismo, e l’idea che la donna sia stata creata per “servire e riverire” l’uomo».

di Silvia Gusmano

La festa delle donne Melissa, Asia, Falak: ecco il nostro 8 marzo

è l’8 marzo, festa della donna. Abbiamo scelto alcune figure che descrivono (parzialmente) la complessità del mondo in cui vivono oggi le donne.

FALAK IN FUGA DALLA GUERRA
febbraio-falak.jpgÈ arrivata a Roma all’inizio di febbraio, con la prima apertura del corridoio umanitario organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alle chiese evangeliche e e ai valdesi. Falak (qui a lato con la madre Yasmine, 27 anni) ha 7 anni e da quando aveva 4 mesi di vita combatte contro un tumore che le ha portato via l’occhio sinistro. Viveva ad Homs, in Siria, ma i bombardamenti ordinati dal presidente Assad ha distrutto la casa e la vita della famiglia. La piccola con i genitori e il fratellino minore si sono rifugiati prima a Damasco e poi in un campo profughi in Libano. Le cure di Falak si sono interrotte, ma i volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII hanno incluso il suo nome tra i siriani autorizzati a entrare in Italia per motivi umanitari. Ed eccola qui, al sicuro a Roma, lontano dalle bombe, dalla precarietà. E i medici sperano anche lontano dalla malattia. Una nuova vita per Falak, simbolo di tutte le donne e le bambine vittime innocenti della guerra.

HADIQA: MAI PIU’ SPOSE BAMBINE
Hadiqa Bashis ha appena 14 anni ma già da tempo è impegnata attivamente nella difesa dei diritti delle bambine. Nella Valle dello Swat, in Pakistan, dove è nata e cresciuta, l’usanza vuole che le donne si sposino quando sono ancora piccolissime. Hadiqa-Bashir_Cropped.jpgC’è chi viene data in matrimonio a soli otto anni, costretta a sposare uomini che spesso sono già anziani o, comunque, decenni più vecchi di lei. Hadiqa ha cominciato la sua battaglia visitando i vicini casa per casa, spiegando quanta sofferenza provochi questa pratica, cercando di sensibilizzare le famiglie.
Buon 8 marzo a tutte le bambine che riescono a restare tali sfuggendo aun destino di piccole spose.

ASIA BIBI IN CARCERE DA 2.448 GIORNI
Una giovane donna pakistana è diventata suo malgrado simbolo delle libertà negata di professare la propria fede.
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Asia Bibi è in carcere da più di 6 anni in Pachistan, condannata a morte con la falsa accusa di blasfemia dopo un processo lungo e complesso. Per la sua libertà si sono mobilitati centinaia di migliaia di persone; una petizione è stata organizzata anche da Avvenire e avvenire.it; ha fatto il giro del mondo la sua lettera a Papa Francesco. Asia Bibi, simbolo di una fede imprigionata che però non si arrende.

MELISSA COOK, LA RIBELLE DELL’UTERO IN AFFITTO
Poteva essere una delle tante madri surrogate californiane che per qualche migliaia di dollari porta in pancia il figlio di qualcun altro. Melissa Cook, 47 anni, già mamma di 4 figli, però con la sua ribellione ha svelato al mondo (se ce ne fosse ancora bisogno) quanto iniqua sia questa pratica.

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Rimasta incinta di tre gemelli, si è rifiutata di abortirne uno, come ordinatole dall’uomo per la quale stava portando in grembo i bambini. L’uomo minacciava di non pagarla se non l’avesse fatto, ma lei è andata avanti. “Mi ero legata a tutti e tre”, ha detto Melissa, affidandosi a un avvocato. I bambini – tre maschietti – sono nati il 23 febbraio, a sei mesi di gestazione, e l’ospedale ha impedito a Melissa di vederli e perfino di conoscere le loro condizioni di salute, perché così prevedeva il contratto che affida i tre neonati al committente. Ma ora il Tribunale potrebbe ribaltare la situazione.  Buona festa della donna a Melissa, che, anche se tardi, si è ribellata alla logica predatoria dell’utero in affitto.

Avvenire

Teologia dal basso in cui è l’amore, e solo l’amore, che umanizza la fede e rende liberi dal peccato

Alla notizia sul cambiamento nel rito del Giovedì Santo – in molti posti già da tempo realtà – ho pensato anche all’altro brano evangelico in cui si parla di qualcuno che lava i piedi per amore…

Lavanda dei piedi concessa alle donne. Confesso che la notizia del “piccolo” cambiamento all’interno del rito del Giovedì santo, rimbalzata sui social network il 21 gennaio, l’aspettavo da molto tempo. Tante parrocchie già da anni accolgono l’apporto delle donne durante il rito della lavanda dei piedi, in barba ai codicilli. Così come altri preti, a rigor di diritto certo, continuano a scegliere sempre uomini o ragazzi, e possibilmente “sani”, mentre le comunità parrocchiali si dividono, a colpi di “manuale Cencelli”, i posti in palio nel periodo liturgico più forte, ma anche più visibile dell’anno, e cioè il triduo pasquale.

Quanti consigli pastorali passati a far capire a parroco e parrocchiani che le donne devono esserci nel rito della lavanda dei piedi?

Mentre però mi scorrevano nella testa tanti anni di liturgie comunitarie e tridui pasquali passati in parrocchia (ma perché non riscoprire la gioia e l’inatteso di un bel triduo pasquale passato lontano dalla chiesa locale, magari in un monastero, e comunque altrove, dove la Chiesa incontra il mondo e non solo gli amici di casa?), ho pensato anche a quella splendida pagina del vangelo di Luca (7,36-50) in cui una donna, la peccatrice, c’è chi dice la Maddalena – ma qui, i pareri, sono contrastanti – lava e profuma amorevolmente i piedi di Gesù.

Questo di Luca è uno dei testi a parer mio più “erotici” e più “eretici” del vangelo. L’incipit è famoso: «In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo».

Probabile, dicono gli esegeti, che Gesù abbia preso questo episodio dell’invito a casa del fariseo come fondamento per la lavanda dei piedi agli apostoli. Ma, al di là dell’esegesi biblica, a me questo testo fa venire la pelle d’oca. Perché sprigiona amore carnale a ogni verso. Al Dio della colpa e della vergogna fa posto l’umanesimo del figlio di Dio stesso, Gesù, che spinge i luoghi della teologia verso le frontiere dell’eros e dell’amore gratuito. La donna, qui più che altrove, non è comprimaria alla storia della salvezza. Anzi, le rende grazia, la accarezza, la tocca, la plasma dell’alito e del pianto femminile. Scrive in proposito Christian Albini, in un bel libro appena pubblicato da Qiqajon (L’arte della misericordia): «La donna non solo tocca i piedi di Gesù, ma addirittura li bacia. Il suo modello di fare, pertanto, presenta, agli occhi di un pio israelita, tutta una serie di sottintesi che, congiuntamente alla sua fama di peccatrice, rendono il contatto tra lei e Gesù alquanto scabroso. E Gesù lascia fare, si lascia toccare. Scandalo!».

Alcuni vangeli apocrifi e altri racconti, narrano di Maddalena, la prostituta, compagna e amante di Gesù. Ma quello che più interessa, in questo caso, è la carica dirompente e rivoluzionaria della corporeità femminile all’interno della Parola sacra. In realtà, prima che Gesù lavasse i piedi agli apostoli, è lui stesso che viene lavato e profumato da una donna, e per giunta peccatrice. Vorrà dire pur qualcosa, o no?

E se, in una “Chiesa in uscita” e fedele al racconto del vangelo, un giorno anche le donne lavassero i piedi al sacerdote durante il rito del giovedì santo in una sorta di teologia dal basso in cui è l’amore, e solo l’amore, che umanizza la fede e rende liberi dal peccato? E se, in un altro giorno, le stesse donne ripetessero lo stesso gesto a una sacerdotessa?

Al solo pensiero si aprono spazi di fecondità spirituale e generatività teologale. Il cammino è lungo, certo. Ma il corpo che abita il sacro ha, oggi, qualche appiglio in più per proseguire nel suo percorso di riabilitazione teologica all’interno della storia della salvezza.

fonte: vinonuovo.it

 

La festa delle donne… L’8 marzo e il lavoro che non c’è

Sono ancora un esercito. Spesso non volontario. La Festa della donna è come ogni anno il momento in cui si fanno i conti con la “condizione femminile” a partire dalla (mancanza) di lavoro e di pari opportunità (reali) con i colleghi. Nel 2014 fare la casalinga non è così fuori moda: dati Istat alla mano se ne contano circa 7,5 milioni, una cifra in costante calo ma comunque tutt’altro che trascurabile. Anche perché le occupate non sono neppure due milioni in più. Guardando alle donne in età da lavoro, sotto i 65 anni, il numero si ferma a 4 milioni 386 mila, in diminuzione di mezzo milione rispetto al 2008.

Tuttavia, anche in questo caso, il confronto con le lavoratrici fa riflettere: approssimando si può dire che c’è una casalinga per ogni due occupate in quella stessa fascia d’età (9,2 milioni). Ma nel Mezzogiorno a vincere, anche se per un soffio, sono ancora le donne di casa: 2 milioni 217 mila contro 2 milioni 117 mila. Una buona fetta di loro resta quindi fuori dalle forze lavoro. Certo, c’è una tendenza ribasso, che prosegue ininterrotto, soprattutto tra quante hanno meno di 65 anni. Un discorso a parte lo meritano i casalinghi, ormai già da qualche anno sopra i 100 mila e i 70 mila badando solo a quanti sono in età lavorativa. La flessione della donne massaie sembra così leggermente controbilanciata dal fenomeno degli uomini tutti “casa e famiglia”.

Rapporto Eurispes: la difficile conciliazione. È la conciliazione tra i tempi lavorativi e quelli personali e familiari la maggiore criticità per le donne che lavorano: è quanto emerge da un’indagine di Eurispes. Le donne lamentano soprattutto la mancanza di spazi da dedicare a se stesse a causa dei tempi lavorativi (68,3%) e segnalano la difficoltà di far conciliare lavoro e famiglia (50%). Anche l’assenza di stimoli professionali è considerata un peso per le lavoratrici (47,7%) al pari del carico di lavoro troppo oneroso al quale sono sottoposte (41%). Sul versante dei diversi fattori economici evidenziati nell’indagine solo le voci relative alla difficoltà di arrivare con lo stipendio alla fine del mese (51,3%) e l’impossibilità di fare progetti per il futuro (56,3%) risultano preponderanti. Tanto che un donna su 5 ammette di avere un doppio lavoro. La propensione a trasferirsi in un altro Paese è molto elevata tra le donne (45,1%), disposte a cambiare vita soprattutto per accedere a maggiori opportunità di lavoro (67%).

8 marzo Appello ecumenico contro la violenza alle donne

In occasione della Giornata internazionale della donna 2015 la Federazione delle chiese evangeliche in Italia e l’Ufficio nazionale per l’ecumenismo della Conferenza Episcopale Italianalanceranno un Appello ecumenico alle chiese cristiane in Italia contro la violenza sulle donne. La firma congiunta dell’appello avrà luogo lunedì 9 marzo presso il Senato della Repubblica alla presenza della presidente della Camera Laura Boldrini che porterà il suo saluto.

All’iniziativa aderiscono numerose chiese cristiane di diverse confessioni presenti sul territorio nazionale: oltre agli esponenti della Cei e della Fcei, firmeranno il documento anche la Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta, la Diocesi ortodossa romena, l’Amministrazione delle parrocchie del Patriarcato di Mosca, la Chiesa copta ortodossa, la Chiesa armena apostolica, la chiesa cattolica ucraina di rito bizantino, la Chiesa anglicana, nonchè la chiesa cattolica nazionale polacca degli Stati Uniti d’America e Canada. 

“L’appello non è semplicemente una dichiarazione di principio dei cristiani a una sola voce contro una violenza che è stata definita un’emergenza nazionale – ha dichiarato la pastora valdese Maria Bonafede, membro del Consiglio Fcei – ma intende impegnare le chiese cristiane italiane, a livello nazionale e locale, a promuovere iniziative in campo educativo, pastorale e di testimonianza evangelica per promuovere la dignità della donna e per coinvolgere gli uomini nella riflessione su questo tipo di violenza”.

Don Cristiano Bettega, direttore dell’ufficio per l’ecumenismo della Cei, dal canto suo ha dichiarato: “La firma congiunta di questo appello porta con sè un ulteriore appello alle chiese cristiane firmatarie, e anche a chi per varie ragioni non si è unito a questa firma a più mani: l’appello acercare e trovare ulteriori occasioni per una fraternità concreta tra le credenti e i credenti in Cristo, per una comunione che sia sempre meno formale e sempre più sostanziale”.

avvenire.it