Il parroco parla chiaro. La camorra lo minaccia

«Io continuo sulla mia strada, non mi fermano. Sono solo un  prete, non un eroe. E le mie porte sono aperte a tutti, anche a loro. Ma questa terra deve cambiare, non solo terra di camorra, ma di don Peppe Diana e della tante vittime innocenti». Così don Stefano Giaquinto, parroco di Santa Maria della Vittoria a Casagiove si rivolge agli autori dell’ennesima intimidazione. Nella notte di Ferragosto qualcuno ha ammassato rifiuti ingombranti e speciali accanto al centro “Il Nazareno” che si occupa di tossicodipendenti e di altre situazioni difficili. Meno di due mesi fa lo stesso centro parrocchiale, fondato 15 anni fa dal giovane sacerdote, era stato danneggiato: distrutte le fioriere e il piccolo monumento ai “martiri per la pace” e imbrattata l’edicola della Madonna. Don Stefano, piccolo (ma solo di statura…) e combattivo sacerdote casertano alle minacce c’è abituato. Anche quelle di chi è entrato con le pistole nella chiesa. Una chiesa che ogni domenica ospita cinque Messe affollatissime e che per la festività dell’Assunta non è stata sufficiente. Messa in piazza con più di mille fedeli. E il parroco all’omelia ha pronunciato parole molto forti. «Ho ricordato che nella città si spaccia droga, si chiede il pizzo, che c’è tanta illegalità».

Parole di denuncia ma accompagnate anche da altre non meno importanti. «Qui c’è tanto impegno, c’è tanta speranza. Ho ricordato quello che ha detto Papa Francesco: “Non lasciatevi rubare la speranza”». É quello che don Stefano ripete ai tantissimi giovani che partecipano alle iniziative parrocchiali. In circa 350, dai 6 ai 18 anni, hanno seguite le attività estive, accompagnati da ben 120 animatori. Nelle piazze (gli ambienti parrocchiali sono al minimo) o nel cortile dove spiccano le immagini delle vittime della mafie. «Sono la nostra “Via Crucis”», spiega il parroco. E qui sono venuti a parlare i familiari di queste vittime, ma anche magistrati, giornalisti, imprenditori. E poi le iniziative per il diritto alla scuola, per far rimuovere una discarica davanti al cimitero e perfino la raccolta differenziata in parrocchia. «Il mio impegno sociale è ordinario, non è niente di speciale. Si basa sui grandi valori cristiani che mi ha dato la mia famiglia. Una famiglia semplice». Un impegno sociale strettamente legato alla preghiera. Così la chiesa è aperta tutti i giorni dalle 6 alle 23 («Chiudo solo di notte ma a malincuore», ma alcune volte di notte ha ospitato i senzatetto), e dalle 19 c’è l’Adorazione eucaristica.  «Dobbiamo fare pellegrinaggi al Tabernacolo – afferma don Stefano – lì c’è una porticina con un amico che ci aspetta. Gesù non è reliquia del passato ma ci manda nel Mondo, come Madre Teresa, San Vincenzo de’ Paoli, don Puglisi, don Diana. Gesù mi dice “conto su di te, ho bisogno di te”. E io devo rispondere».

Così non si contano più le iniziative di questo piccolo-grande parroco, conosciuto anche per il suo tifo sfegatato per la squadra di basket della Juve Caserta, spesso in mezzo agli ultrà, ad alcuni dei quali ha lavato i piedi nella celebrazione del Giovedì Santo. Negli anni precedenti erano stati anche alcuni parenti di camorristi che volevano «uscire dal giro». Già davvero qui le «porte sono aperte per tutti», ma con chiarezza. «Dall’altare dico che la camorra è il cancro della nostra terra, faccio nomi e cognomi. Credo in una Chiesa che denuncia per annunciare». Così sono fioccate minacce e intimidazioni. Don Stefano ha rifiutato la scorta ma nelle occasione pubbliche c’è sempre qualche “amico” poliziotto e carabiniere. “Scorta volontaria” e anche questo la dice lunga su quanto sia amato questo parroco che insiste a ripetere «sono solo un povero prete».

 

Antonio Maria Mira – avvenire.it