3 milioni di persone che nel nostro Paese vivono con una forma grave di disabilità, quasi la metà non riesce a portare a termine un percorso scolastico, il 40% non partecipa a percorsi di formazione e non lavora, il 32% è a rischio povertà

Lo ripete convintamente, la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, ad ogni convegno o incontro a cui partecipa nel tour lungo lo stivale che la vede protagonista dal giorno del suo insediamento: «L’Italia sta diventando un Paese più inclusivo». Eppure i dati dicono cose differenti: degli oltre 3 milioni di persone che nel nostro Paese vivono con una forma grave di disabilità, quasi la metà non riesce a portare a termine un percorso scolastico, il 40% non partecipa a percorsi di formazione e non lavora, il 32% è a rischio povertà. E per tutti riuscire a salire su un treno, o su un autobus in una grande città, è spesso questione di fortuna.

Ministra, il suo è ottimismo o vede davvero segnali di svolta?
È chiaro che c’è ancora molto da fare: visitare i territori, incontrare le istituzioni locali, il mondo dell’associazionismo e le famiglie è importante per ascoltare e capire i loro bisogni che sono differenti dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi e dell’assistenza, ma anche per conoscere i progetti di valore che riescono a realizzare. Mi interessa incentivare le istituzioni a lavorare con tutte queste realtà, perché in questo modo i risultati si moltiplicano e già in molte regioni o enti locali si lavora così. È un particolare periodo storico, sociale ed economico, difficilissimo per certi versi, ma che ci offre una grande opportunità: ci sono i fondi del Pnrr, c’è la Legge delega da attuare, ci sono molti progetti innovativi che guardano al futuro. E poi c’è un nuovo sguardo sulla disabilità: è finito il tempo della persona con disabilità per cui occorre “ritagliare” uno spazio. Adesso al centro ci sono tutte le persone con le loro competenze e i loro talenti che devono essere valorizzati per il bene della comunità e che possono portare un contributo di crescita per il Paese. Se saremo in grado di cogliere queste occasioni, se sapremo accompagnare questo nuovo sguardo, potremo determinare una rivoluzione in tema di disabilità.

Entriamo proprio nel merito della Legge delega. Che tempi si è data e quali sono i pilastri attuativi della norma?
La legge è stata approvata l’anno scorso e io ho il compito di attuare 5 decreti entro la fine del 2024. Il primo istituisce la figura del Garante nazionale, il secondo agevola l’accessibilità nella Pubblica amministrazione, il terzo fissa le procedure per determinare i Leps, i cosiddetti Livelli di prestazione sociale. Poi i due punti rivoluzionari. L’accertamento per la disabilità, che fino a oggi è stato effettuato con il metodo delle percentuali e delle tabelle. Si tratta di un cambiamento radicale di prospettiva, per cui istituiremo immediatamente un tavolo di lavoro. Infine, il decreto attuativo per il progetto di vita: attraverso il progetto determineremo i bisogni effettivi della persona.

Resta il nodo scoperto dei caregiver…
Vogliamo costruire un provvedimento unico che sia condiviso da tutti i ministeri competenti e che risponda a tutte le necessità, quindi sia al caregiver di persone anziane non autosufficienti che al caregiver di persone con disabilità, con una particolare attenzione ai caregiver familiari conviventi. I caregiver familiari sono persone che amano e che curano, che non desiderano essere sostituite ma tutelate e sostenute nel loro compito. Molte persone con le quali parlo mi chiedono di immaginare percorsi di sollievo che possano aiutarli a staccare ogni tanto per ricaricarsi di energie e maggiori possibilità di conciliazione attraverso misure specifiche e tutele.

Ha sollevato lo sdegno delle famiglie e delle associazioni la recente relazione della Corte dei conti sul “Dopo di noi”: la metà dei fondi destinati alla concretizzazione dei progetti di autonomia non sono stati spesi dalle Regioni ei beneficiari effettivi sono stati appena 8.424 soggetti, nemmeno il 10% della soglia minima della platea potenziale dei destinatari, stimata tra i 100 e i 150mila soggetti nella relazione tecnica alla legge. Perché succede questo?
La legge 112 del 2016 sul “dopo di noi” è stata strategica e ha dato slancio al tema del progetto di vita, oggi centrale nel Pnrr e per l’Europa, oltre che per la legge delega italiana. Questa norma, tuttavia, non è stata compresa e capita fino in fondo, forse perché in alcuni punti troppo complessa. È mia intenzione istituire a breve un tavolo con le associazioni e i soggetti coinvolti da cui possa uscire una proposta di miglioramento della norma, che la rende più facilmente applicabile. Serve anche un ragionamento con le Regioni, per capire cosa non funzioni. Quando parliamo di “dopo di noi” non possiamo non parlare anche del “durante noi” che è un tema di fondamentale importanza per le famiglie e che deve essere oggetto di ragionamento per il tavolo istituzionale.

Ma così non c’è il rischio che i bravi facciano sempre meglio, e i meno bravi restino al palo?
Per attuare pienamente questa legge è fondamentale costruire un percorso con le famiglie e con le associazioni. Certo, è un lavoro faticoso, perché non si tratta di distribuire risorse secondo criteri prestabiliti, ma di costruire un percorso di vita che sia condiviso con la persona e la famiglia, di qualità e che tenga conto della parte sociale sanitaria e socio-sanitaria, ma soprattutto che possa essere realizzato con un budget di progetto che richiede la ricomposizione delle risorse.

Anche l’inclusione lavorativa non decolla ancora.
E anche qui c’è da attualizzare una legge, la 68 del 1999. Nel corso del tempo abbiamo visto che questi percorsi hanno successo soprattutto nelle aziende che hanno creato delle figure di sostegno e di accompagnamento dedicate. Soprattutto, però, negli ultimi anni il mondo del terzo settore, le associazioni e le cooperative hanno saputo ideare percorsi innovativi: penso a produzioni alimentari, a percorsi nel campo dell’agricoltura ed esercizi commerciali. Sono state realizzate anche attività di inserimento lavorativo attraverso l’utilizzo della tecnologia e della digitalizzazione come per esempio l’archiviazione di documenti affidata ad associazioni che si occupano di formazione per persone con disturbo dello spettro autistico.

Tante leggi, tanti tavoli da riunire, tante modifiche da apportare…
A fine 2024, conclusa l’attuazione della legge delega, occorrerà un Testo unico sulla disabilità per porre ordine tra le norme e i fondi, perché nel corso del tempo si sono aggiunti sempre più in maniera frammentata.

Nel frattempo, per una persona disabile, resta difficile fare tutto: viaggiare in treno, entrare in un museo, andare a un concerto.
La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità è stata recepita dall’Italia nel 2009: sancisce il principio dell’accessibilità universale ai servizi, tutti devono poter fare tutto e ovunque. Nel nostro Paese purtroppo si continua ad “adattare”: le strutture, i mezzi di trasporto, l’accesso alle mostre e ai concerti. Serve un cambio di passo, che può nascere solo da un cambio di prospettiva: la disabilità intesa non come competenza di chi la vive o della sua famiglia, ma come responsabilità che va condivisa con tutta la comunità. Stiamo lavorando in questa direzione, ma fino a quando non si progetteranno strutture, mezzi di trasporto, mostre e concerti per tutti, e finché non ci sarà il salto di qualità nella piena attuazione delle norme e nella garanzia dei diritti sanciti dalla Convenzione Onu, serve qualcuno che porti più in alto la voce delle persone, delle famiglie e delle associazioni. Mi auguro che presto questo percorso si completi: allora non ci sarà più bisogno di un ministero.

C’è un incontro, tra i molti che ha avuto, che l’ha colpita particolarmente?
Ogni volta che vado a visitare una realtà del territorio o ad incontrare le associazioni mi emoziono per il grande lavoro che fanno e per la passione e l’impegno che ci mettono. Soprattutto quando vedo i ragazzi e le persone più fragili esprimersi in attività ricreative, sportive, ma anche lavorative. È in questi momenti che colgo il grande valore del terzo settore, delle famiglie e mi convinco che non dobbiamo mai dimenticare che la persona è una e che ha bisogno di cure e assistenza ma anche di affetto, relazioni e attività sociali. In particolare di recente ho incontrato Marta Russo (una giovane influencer molto seguita sui social, dove racconta la sua esperienza di disabile alle prese con le difficoltà di ogni giorno, ndr), con la quale ho potuto parlare di molte problematiche, ma in particolare delle borse di studio che finora si cumulavano con la pensione d’invalidità: le une escludevano l’altra. Ho lavorato con gli uffici per modificare la norma e abbiamo inserito un emendamento apposito nella Legge di bilancio. Ora le cose sono cambiate.

avvenire.it

Disabilità: quello che resta da fare

di: Samuele Pigoni
settimananews.it

Come vengono rappresentate le persone con disabilità nel mondo dei media? -  AccessiWay

Oggi siamo lontani dalla segregazione e dalla violenza che portarono alla chiusura dei manicomi e alla rivoluzione di Franco Basaglia, ma il percorso per promuovere i diritti, il benessere e la piena dignità delle persone con disabilità è una rivoluzione non ancora terminata.

Il 3 dicembre si è celebrata in tutto il mondo la Giornata dedicata alle persone con disabilità, per promuoverne i diritti, il benessere e la piena dignità. È una data della quale tendenzialmente si accorgono e celebrano solamente le persone con disabilità, i familiari, gli addetti ai lavori, gli e le attivisti/e.

Eppure sono passati ormai 60 anni dai primi movimenti per i diritti delle persone con disabilità, dai primi disabilitiesstudies che hanno chiarito come le disabilità non siano più un ambito relegabile alla dimensione medica della cura e della protezione, essendo prima di tutto una questione di ordine sociale e di cittadinanza.

Va ricordato che con la Legge 3 marzo 2009, n.18 il parlamento italiano autorizzava la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 e che la Convenzione, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, rappresenta un risultato definitivo raggiunto dalla comunità internazionale in quanto strumento internazionale vincolante per gli Stati.

La Convenzione si inserisce nel più ampio contesto della tutela e della promozione dei diritti umani e conferma una volta per tutte in favore delle persone con disabilità i princìpi fondamentali di pari opportunità, di non discriminazione, di esigenza di pieni diritti di cittadinanza sulla base dei princìpi di autodeterminazione e uguaglianza con tutti. A tal fine la Convenzione modifica alla radice la definizione di disabilità promuovendone una diversa concettualizzazione che si fa mobile, sociale e relazionale.

Mobile perché si definisce come “un concetto in evoluzione” (preambolo), non definita a partire da un qualche ancoraggio bio-medico ma sottoposta al variare dello sguardo storico che la anima (il disabile è stato nelle epoche “mostruoso”, “deforme”, “subnormale”, “handicappato”); sociale, laddove dichiara che «per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con tutti» (art. 1 comma 2); relazionale, in quanto territorio di relazioni di potere tra lo sguardo abile della maggioranza disciplinante e il corpo disabile, disabilitato e discriminato (quando non segregato) da barriere materiali e immateriali.

E su questo la Convenzione è chiara, per “discriminazione fondata sulla disabilità” – infatti – si intende: «qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo» (art. 2).

È discriminante tutto ciò che preclude il set di opportunità concrete che permettono di desiderare e vedere realizzata una vita nel mondo di tutti, a prescindere dalle caratteristiche individuali.

La Convenzione dispone che ogni Stato presenti un rapporto dettagliato sulle misure prese per adempiere ai propri obblighi e sui progressi conseguiti al riguardo. La legge italiana di ratifica della Convenzione ha istituito l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità che ha, tra gli altri, il compito di promuovere l’attuazione della Convenzione ed elaborare il rapporto dettagliato sulle misure adottate di cui all’art. 35 della stessa Convenzione, in raccordo con il Comitato interministeriale dei diritti umani (Cidu).

Siamo lontani dalla segregazione e dalla violenza che portarono alla chiusura dei manicomi e alla rivoluzione di Franco Basaglia, ma il percorso di de-istituzionalizzazione fisica e immaginale, il riconoscimento alla persona con disabilità del diritto a una vita indipendente e progettata sulla base dell’uguaglianza con tutti, è una rivoluzione non terminata.

Un percorso che oggi è attuale e necessario e che investe i temi della casa in cui vivere, del lavoro cui aspirare, dell’affettività e della sessualità, del rapporto con la famiglia e dei dispositivi attuativi a disposizione dei sistemi socio-sanitari.

Siamo di fronte a un cambio di passo decisivo nella rappresentazione culturale delle disabilità (e per converso: delle abilità), nel riassetto dei servizi e dispositivi giuridici preposti alla tutela dei diritti di cittadinanza delle persone con disabilità, nei dispositivi pratici, educativi, relazionali con i quali costruire le capacità dei contesti (lavoro, scuola, quartiere) di eliminare le enormi barriere materiali e soprattutto immateriali residue. Barriere che abbiamo conficcate nello sguardo, molto spesso, anche in quello animato dalle migliori intenzioni.

Pubblicato sul sito della rivista Confronti. L’autore è direttore della Fondazione Time2, si occupa di management, progettazione sociale e filosofia.

Letture. Da Sparta a don Gnocchi, il lungo viaggio dei disabili oltre ogni barriera

Cosa insegna il cammino della società per il superamento dei limiti e dei pregiudizi. Con lo storico e antropologo della medicina Vittorio A. Sironi un percorso nella “diversità” e le sue lezioni
Da Sparta a don Gnocchi, il lungo viaggio dei disabili oltre ogni barriera
Avvenire

La disabilità non è l’insufficienza di un individuo che lo condanna a essere diverso dai “presunti” normali e incapace di fare tutto ciò che la società si attenderebbe da lui. Sono invece le barriere e le pretese della società a limitare le sue possibilità di realizzazione. Ferma restando la nostra altezza media, se tutti gli oggetti si trovassero collocati a due metri dal suolo, sedie e tavoli raddoppiassero la lunghezza delle gambe e i gradini avessero un’alzata tripla, diventeremmo tutti handicappati nella nostra vita quotidiana. Saremmo costretti ad arrampicarci costantemente su pericolosi sgabelli e scomode scalette, ma spesso dovremmo semplicemente rinunciare a molte attività quotidiane per l’impossibilità fisica di portarle a termine.
Chi è allora “handicappato”? Tutti coloro che non hanno la fortuna di essere cresciuti tanti centimetri oltre il consueto. Ma basta riabbassare gli elementi di arredo, ed ecco che i limiti scompaiono. Una simile prospettiva sulla disabilità corona un lungo cammino sia medico sia culturale che ha attraversato la storia dell’umanità. Merito di Vittorio A. Sironi avere tracciato questa storia che è decisiva perché una società possa dirsi rispettosa e inclusiva delle diversità. Già neurochirurgo, storico e antropologo della medicina, docente all’Università Milano Bicocca, dove dirige il Centro studi sulla storia del pensiero biomedico e collaboratore di Avvenire, l’autore in Superare la disabilità. Storia e antropologia della riabilitazione (Carocci, 196 pagine, 19 euro), descrive il tragitto sociale che ha portato dal rifiuto all’accettazione dell’handicap, istituendo un parallelo con la storia della medicina riabilitativa, che ha compiuto recentemente progressi straordinari.

Sono certamente esagerati i racconti del lancio di bambini deformi dal monte Taigeto da parte degli spartani, ma nel mondo antico i disabili subivano spesso un destino di abbandono o di discriminazione, anche se le pratiche riabilitative sono nate con la medicina romana. Un salto di paradigma avvenne nel Rinascimento con la “scoperta” del corpo quale parte dell’essere umano da non svalutare. Ma la vera svolta, che aveva gettato semi destinati a fruttificare per due millenni, fu il messaggio cristiano, che porta a considerare il portatore di disabilità una persona di pari dignità, oltre tutte le sue limitazioni che non ne compromettono il valore. In questo solco si situa anche il contributo che in tempi recenti ha dato nel nostro Paese don Carlo Gnocchi, il prete dei mutilati di guerra, che introdusse la riabilitazione come “risurrezione laica” dell’individuo segnato dalla sofferenza fisica o psichica, che deve essere letteralmente “restaurato”.
Insieme con il cambio di paradigma, il miglioramento della condizione dei disabili è venuto negli ultimi decenni grazie all’avvento di protesi tecnologiche e trapianti fino a poco tempo fa impensabili, come quello della mano. Anche la robotica sta rivoluzionando – evidenzia Sironi – la condizione di chi ha limitazioni corporee o cognitive. Nell’era dei grandi campioni paralimpici, esempi dell’”annullamento” della disabilità sia in termini atletici sia in termini culturali, il percorso sembra concluso. Ma, purtroppo, non è così. Tante sono ancora le barriere e tanti i pregiudizi. Per questo è fondamentale un libro come Superare la disabilità, guida scientifica e stimolo a riflettere sugli aspetti ideali e civili. Con l’obiettivo di un superamento che sia davvero totale e definitivo.