Sostenere i nuclei con disabili e malati cronici. «Aiuti stabili alle famiglie»

Gianluigi De Palo con la ministra Eugenia Roccella

Il ministro per la Famiglia Eugenia Roccella assicura che nella riforma fiscale «il criterio della famiglia è al primo posto. Non lo abbiamo archiviato. Poi c’è il tema dell’assegno unico, si tratta di difenderlo, correggerlo e implementarlo». Il governo, aggiunge riferendosi alla questione dei figli di coppie omogenitoriali, «tutela tutti i bambini. Non è questo il problema, ma della maternità surrogata, la compravendita della maternità». A dover essere tutelate, sottolinea poi la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli sono «tutte le famiglie, in particolar modo le famiglie fragili con disabili e malati cronici», annunciando che nella riforma del fisco ha chiesto di aggiungere una detassazione per queste categorie. Famiglia e lavoro sono «facce della stessa medaglia – precisa la viceministra del Lavoro Maria Teresa Belluci – e vogliamo affrontarli non con i bonus ma con riforme strutturali, partendo dalla natalità fino alla terza età».

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A Reggio Emilia. Una guida per sapere dove chiedere aiuto

Una guida per sapere dove chiedere aiuto

Crescono le persone e le famiglie in difficoltà, che hanno bisogno d’aiuto. Ma spesso non sanno a chi chiedere aiuto, non conoscono gli strumenti per far valere i propri diritti e addirittura che c’è chi è disponibile ad aiutarle. Nasce così a Reggio Emilia la guida “Dove chiedere aiuto?”, che in oltre cento pagine raccoglie e descrive più di 170 servizi cittadini, pubblici e del volontariato, che possono rispondere concretamente a questa domanda. Una delle prime in Italia così completa. Un’iniziativa ideata e promossa dal presidente del Consiglio comunale, Matteo Iori, proveniente proprio dal mondo associativo.

«Facendo tanti incontri coi cittadini – ci spiega – mi sono reso conto che molte delle risorse che esistono in una città generosa come Reggio Emilia, sono sconosciute ai più. Durante la pandemia ho poi scoperto che ben il 60% di coloro che chiedevano aiuto non erano conosciuti dai servizi e che molte persone in difficoltà non erano in contatto con il sistema dei servizi. Da allora ho iniziato a lavorare a questa guida mettendo insieme le grandi ricchezze del nostro territorio: la consistente rete degli esperti Servizi comunali, le professionali opportunità dell’Ausl, i generosi servizi svolti da Caritas o dalle tante Associazioni di volontariato rappresentate dal Csv, le opportunità offerte da Provincia, Regione, Patronati». Ne è uscito un lavoro che copre tutte le aree problematiche del territorio: anziani, disabili, famiglie, minori, studenti, persone con dipendenze patologiche, persone con problemi di salute mentale, immigrati, vittime di violenza di genere, persone in povertà e con difficoltà di inclusione, persone con problemi abitativi, persone non consapevoli di avere diritto ad agevolazioni o contributi. Per ognuna si spiegano in modo facile e chiaro norme, diritti, agevolazioni, indirizzi, servizi, e tutto quanto può essere utile a chi chiede o ha bisogno di aiuto. Davvero un lavoro completo e prezioso, consultabile anche sul sito www.dovechiedereaiuto.it, che sarà costantemente aggiornato. Oltre che in italiano è in inglese e in russo per i tanti stranieri presenti sul territorio. «Spero di poter aggiungere presto anche una versione in arabo ma dipende dall’aiuto volontario che potrò trovare» aggiunge Iori, sottolineando come la guida sia stata realizzata «a costo zero per la città e per i suoi i contribuenti, quindi senza utilizzo di fondi pubblici». Così la stampa delle 7mila copie e il sito internet sono stati possibili grazie agli sponsor. E anche questa è una buona notizia.

Il numero zero della guida è stato donato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella in una recente visita alla città. «Mi ha detto di averla trovata “un’ottima idea”, quindi si parte sotto i migliori auspici!», riferisce Iori. E anche dal prefetto, Iolanda Rolli, che ha fortemente sostenuto l’iniziativa, sono venute parole di plauso. «È un lavoro utilissimo. Il valore di questa guida va oltre, perché veramente entra nei bisogni delle persone più vulnerabili, ed è importante tenerla aggiornata. Farla oggi non significa chiuderla, significa tenerla aperta e tenerla sempre viva, perché è uno strumento che può essere di grande grande aiuto, ed è veramente lo spirito di Reggio a tenerla sempre viva: lo spirito di lavorare assieme, di trovare sempre risposte per tutti, avere la possibilità di farlo con una comunità così forte, così coesa è davvero importante».

Una richiesta subito raccolta da Iori. «Il mio impegno sarà quello di continuare a lavorare con tutti coloro che hanno collaborato, per cercare di promuovere la conoscenza della Guida e per portarla a chi ha bisogno di aiuto. Non mi interessa una bella Guida che resti in qualche scaffale, mi interessa uno strumento che arrivi a chi possa averne bisogno».

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3 milioni di persone che nel nostro Paese vivono con una forma grave di disabilità, quasi la metà non riesce a portare a termine un percorso scolastico, il 40% non partecipa a percorsi di formazione e non lavora, il 32% è a rischio povertà

Lo ripete convintamente, la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, ad ogni convegno o incontro a cui partecipa nel tour lungo lo stivale che la vede protagonista dal giorno del suo insediamento: «L’Italia sta diventando un Paese più inclusivo». Eppure i dati dicono cose differenti: degli oltre 3 milioni di persone che nel nostro Paese vivono con una forma grave di disabilità, quasi la metà non riesce a portare a termine un percorso scolastico, il 40% non partecipa a percorsi di formazione e non lavora, il 32% è a rischio povertà. E per tutti riuscire a salire su un treno, o su un autobus in una grande città, è spesso questione di fortuna.

Ministra, il suo è ottimismo o vede davvero segnali di svolta?
È chiaro che c’è ancora molto da fare: visitare i territori, incontrare le istituzioni locali, il mondo dell’associazionismo e le famiglie è importante per ascoltare e capire i loro bisogni che sono differenti dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi e dell’assistenza, ma anche per conoscere i progetti di valore che riescono a realizzare. Mi interessa incentivare le istituzioni a lavorare con tutte queste realtà, perché in questo modo i risultati si moltiplicano e già in molte regioni o enti locali si lavora così. È un particolare periodo storico, sociale ed economico, difficilissimo per certi versi, ma che ci offre una grande opportunità: ci sono i fondi del Pnrr, c’è la Legge delega da attuare, ci sono molti progetti innovativi che guardano al futuro. E poi c’è un nuovo sguardo sulla disabilità: è finito il tempo della persona con disabilità per cui occorre “ritagliare” uno spazio. Adesso al centro ci sono tutte le persone con le loro competenze e i loro talenti che devono essere valorizzati per il bene della comunità e che possono portare un contributo di crescita per il Paese. Se saremo in grado di cogliere queste occasioni, se sapremo accompagnare questo nuovo sguardo, potremo determinare una rivoluzione in tema di disabilità.

Entriamo proprio nel merito della Legge delega. Che tempi si è data e quali sono i pilastri attuativi della norma?
La legge è stata approvata l’anno scorso e io ho il compito di attuare 5 decreti entro la fine del 2024. Il primo istituisce la figura del Garante nazionale, il secondo agevola l’accessibilità nella Pubblica amministrazione, il terzo fissa le procedure per determinare i Leps, i cosiddetti Livelli di prestazione sociale. Poi i due punti rivoluzionari. L’accertamento per la disabilità, che fino a oggi è stato effettuato con il metodo delle percentuali e delle tabelle. Si tratta di un cambiamento radicale di prospettiva, per cui istituiremo immediatamente un tavolo di lavoro. Infine, il decreto attuativo per il progetto di vita: attraverso il progetto determineremo i bisogni effettivi della persona.

Resta il nodo scoperto dei caregiver…
Vogliamo costruire un provvedimento unico che sia condiviso da tutti i ministeri competenti e che risponda a tutte le necessità, quindi sia al caregiver di persone anziane non autosufficienti che al caregiver di persone con disabilità, con una particolare attenzione ai caregiver familiari conviventi. I caregiver familiari sono persone che amano e che curano, che non desiderano essere sostituite ma tutelate e sostenute nel loro compito. Molte persone con le quali parlo mi chiedono di immaginare percorsi di sollievo che possano aiutarli a staccare ogni tanto per ricaricarsi di energie e maggiori possibilità di conciliazione attraverso misure specifiche e tutele.

Ha sollevato lo sdegno delle famiglie e delle associazioni la recente relazione della Corte dei conti sul “Dopo di noi”: la metà dei fondi destinati alla concretizzazione dei progetti di autonomia non sono stati spesi dalle Regioni ei beneficiari effettivi sono stati appena 8.424 soggetti, nemmeno il 10% della soglia minima della platea potenziale dei destinatari, stimata tra i 100 e i 150mila soggetti nella relazione tecnica alla legge. Perché succede questo?
La legge 112 del 2016 sul “dopo di noi” è stata strategica e ha dato slancio al tema del progetto di vita, oggi centrale nel Pnrr e per l’Europa, oltre che per la legge delega italiana. Questa norma, tuttavia, non è stata compresa e capita fino in fondo, forse perché in alcuni punti troppo complessa. È mia intenzione istituire a breve un tavolo con le associazioni e i soggetti coinvolti da cui possa uscire una proposta di miglioramento della norma, che la rende più facilmente applicabile. Serve anche un ragionamento con le Regioni, per capire cosa non funzioni. Quando parliamo di “dopo di noi” non possiamo non parlare anche del “durante noi” che è un tema di fondamentale importanza per le famiglie e che deve essere oggetto di ragionamento per il tavolo istituzionale.

Ma così non c’è il rischio che i bravi facciano sempre meglio, e i meno bravi restino al palo?
Per attuare pienamente questa legge è fondamentale costruire un percorso con le famiglie e con le associazioni. Certo, è un lavoro faticoso, perché non si tratta di distribuire risorse secondo criteri prestabiliti, ma di costruire un percorso di vita che sia condiviso con la persona e la famiglia, di qualità e che tenga conto della parte sociale sanitaria e socio-sanitaria, ma soprattutto che possa essere realizzato con un budget di progetto che richiede la ricomposizione delle risorse.

Anche l’inclusione lavorativa non decolla ancora.
E anche qui c’è da attualizzare una legge, la 68 del 1999. Nel corso del tempo abbiamo visto che questi percorsi hanno successo soprattutto nelle aziende che hanno creato delle figure di sostegno e di accompagnamento dedicate. Soprattutto, però, negli ultimi anni il mondo del terzo settore, le associazioni e le cooperative hanno saputo ideare percorsi innovativi: penso a produzioni alimentari, a percorsi nel campo dell’agricoltura ed esercizi commerciali. Sono state realizzate anche attività di inserimento lavorativo attraverso l’utilizzo della tecnologia e della digitalizzazione come per esempio l’archiviazione di documenti affidata ad associazioni che si occupano di formazione per persone con disturbo dello spettro autistico.

Tante leggi, tanti tavoli da riunire, tante modifiche da apportare…
A fine 2024, conclusa l’attuazione della legge delega, occorrerà un Testo unico sulla disabilità per porre ordine tra le norme e i fondi, perché nel corso del tempo si sono aggiunti sempre più in maniera frammentata.

Nel frattempo, per una persona disabile, resta difficile fare tutto: viaggiare in treno, entrare in un museo, andare a un concerto.
La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità è stata recepita dall’Italia nel 2009: sancisce il principio dell’accessibilità universale ai servizi, tutti devono poter fare tutto e ovunque. Nel nostro Paese purtroppo si continua ad “adattare”: le strutture, i mezzi di trasporto, l’accesso alle mostre e ai concerti. Serve un cambio di passo, che può nascere solo da un cambio di prospettiva: la disabilità intesa non come competenza di chi la vive o della sua famiglia, ma come responsabilità che va condivisa con tutta la comunità. Stiamo lavorando in questa direzione, ma fino a quando non si progetteranno strutture, mezzi di trasporto, mostre e concerti per tutti, e finché non ci sarà il salto di qualità nella piena attuazione delle norme e nella garanzia dei diritti sanciti dalla Convenzione Onu, serve qualcuno che porti più in alto la voce delle persone, delle famiglie e delle associazioni. Mi auguro che presto questo percorso si completi: allora non ci sarà più bisogno di un ministero.

C’è un incontro, tra i molti che ha avuto, che l’ha colpita particolarmente?
Ogni volta che vado a visitare una realtà del territorio o ad incontrare le associazioni mi emoziono per il grande lavoro che fanno e per la passione e l’impegno che ci mettono. Soprattutto quando vedo i ragazzi e le persone più fragili esprimersi in attività ricreative, sportive, ma anche lavorative. È in questi momenti che colgo il grande valore del terzo settore, delle famiglie e mi convinco che non dobbiamo mai dimenticare che la persona è una e che ha bisogno di cure e assistenza ma anche di affetto, relazioni e attività sociali. In particolare di recente ho incontrato Marta Russo (una giovane influencer molto seguita sui social, dove racconta la sua esperienza di disabile alle prese con le difficoltà di ogni giorno, ndr), con la quale ho potuto parlare di molte problematiche, ma in particolare delle borse di studio che finora si cumulavano con la pensione d’invalidità: le une escludevano l’altra. Ho lavorato con gli uffici per modificare la norma e abbiamo inserito un emendamento apposito nella Legge di bilancio. Ora le cose sono cambiate.

avvenire.it

Disabilità: quello che resta da fare

di: Samuele Pigoni
settimananews.it

Come vengono rappresentate le persone con disabilità nel mondo dei media? -  AccessiWay

Oggi siamo lontani dalla segregazione e dalla violenza che portarono alla chiusura dei manicomi e alla rivoluzione di Franco Basaglia, ma il percorso per promuovere i diritti, il benessere e la piena dignità delle persone con disabilità è una rivoluzione non ancora terminata.

Il 3 dicembre si è celebrata in tutto il mondo la Giornata dedicata alle persone con disabilità, per promuoverne i diritti, il benessere e la piena dignità. È una data della quale tendenzialmente si accorgono e celebrano solamente le persone con disabilità, i familiari, gli addetti ai lavori, gli e le attivisti/e.

Eppure sono passati ormai 60 anni dai primi movimenti per i diritti delle persone con disabilità, dai primi disabilitiesstudies che hanno chiarito come le disabilità non siano più un ambito relegabile alla dimensione medica della cura e della protezione, essendo prima di tutto una questione di ordine sociale e di cittadinanza.

Va ricordato che con la Legge 3 marzo 2009, n.18 il parlamento italiano autorizzava la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 e che la Convenzione, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, rappresenta un risultato definitivo raggiunto dalla comunità internazionale in quanto strumento internazionale vincolante per gli Stati.

La Convenzione si inserisce nel più ampio contesto della tutela e della promozione dei diritti umani e conferma una volta per tutte in favore delle persone con disabilità i princìpi fondamentali di pari opportunità, di non discriminazione, di esigenza di pieni diritti di cittadinanza sulla base dei princìpi di autodeterminazione e uguaglianza con tutti. A tal fine la Convenzione modifica alla radice la definizione di disabilità promuovendone una diversa concettualizzazione che si fa mobile, sociale e relazionale.

Mobile perché si definisce come “un concetto in evoluzione” (preambolo), non definita a partire da un qualche ancoraggio bio-medico ma sottoposta al variare dello sguardo storico che la anima (il disabile è stato nelle epoche “mostruoso”, “deforme”, “subnormale”, “handicappato”); sociale, laddove dichiara che «per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con tutti» (art. 1 comma 2); relazionale, in quanto territorio di relazioni di potere tra lo sguardo abile della maggioranza disciplinante e il corpo disabile, disabilitato e discriminato (quando non segregato) da barriere materiali e immateriali.

E su questo la Convenzione è chiara, per “discriminazione fondata sulla disabilità” – infatti – si intende: «qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo» (art. 2).

È discriminante tutto ciò che preclude il set di opportunità concrete che permettono di desiderare e vedere realizzata una vita nel mondo di tutti, a prescindere dalle caratteristiche individuali.

La Convenzione dispone che ogni Stato presenti un rapporto dettagliato sulle misure prese per adempiere ai propri obblighi e sui progressi conseguiti al riguardo. La legge italiana di ratifica della Convenzione ha istituito l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità che ha, tra gli altri, il compito di promuovere l’attuazione della Convenzione ed elaborare il rapporto dettagliato sulle misure adottate di cui all’art. 35 della stessa Convenzione, in raccordo con il Comitato interministeriale dei diritti umani (Cidu).

Siamo lontani dalla segregazione e dalla violenza che portarono alla chiusura dei manicomi e alla rivoluzione di Franco Basaglia, ma il percorso di de-istituzionalizzazione fisica e immaginale, il riconoscimento alla persona con disabilità del diritto a una vita indipendente e progettata sulla base dell’uguaglianza con tutti, è una rivoluzione non terminata.

Un percorso che oggi è attuale e necessario e che investe i temi della casa in cui vivere, del lavoro cui aspirare, dell’affettività e della sessualità, del rapporto con la famiglia e dei dispositivi attuativi a disposizione dei sistemi socio-sanitari.

Siamo di fronte a un cambio di passo decisivo nella rappresentazione culturale delle disabilità (e per converso: delle abilità), nel riassetto dei servizi e dispositivi giuridici preposti alla tutela dei diritti di cittadinanza delle persone con disabilità, nei dispositivi pratici, educativi, relazionali con i quali costruire le capacità dei contesti (lavoro, scuola, quartiere) di eliminare le enormi barriere materiali e soprattutto immateriali residue. Barriere che abbiamo conficcate nello sguardo, molto spesso, anche in quello animato dalle migliori intenzioni.

Pubblicato sul sito della rivista Confronti. L’autore è direttore della Fondazione Time2, si occupa di management, progettazione sociale e filosofia.

Le persone con disabilità non sempre riescono ad essere ascoltate dalle istituzioni nei bisogni che manifestano

Le istituzioni e l’obbligo di abbattere ogni tipo di barriera: il presidente dell’Inps scrive ad “Avvenire”

Sì, per le persone con disabilità va migliorata la comunicazione

Digitalizzazione dei servizi, certificati online, «disability card», accordi con gli ospedali e convenzioni con le Regioni: molti i passi avanti Ma serve fare di più, con sensibilità e vicinanza

Caro direttore, di fronte alle disabilità le istituzioni hanno l’obbligo di non restare inerti e hanno il dovere di abbattere barriere. Ovviamente, le barriere non sono solo quelle architettoniche o logistiche che ostacolano chi sia con disabilità fisica, ma soprattutto quelle che nelle pieghe di norme, procedure, prassi e approcci delle pubbliche amministrazioni possano non tener conto delle specifiche esigenze delle persone con disabilità o dei loro familiari. Per tutti loro, ancor più che per altri, la parola “diritti” deve andare di pari passo con quella di “dignità”. Certamente, alcuni passi avanti sono stati fatti in questi ultimi anni, spesso grazie al continuo stimolo di associazioni, di singoli casi di cronaca portati all’attenzione mediatica o della caparbietà di alcuni disabili o loro familiari. Ma è ancora troppo poco.

Leggendo nei giorni scorsi sulle pagine di questo giornale una profonda e sentita testimonianza di Antonio Maria Mira, padre e fratello di persone con disabilità oltre che giornalista di grande sensibilità ed esperienza, ho riflettuto ancora una volta su quanto un Istituto come l’Inps – che presiedo dal 2019 – abbia cercato di fare in questi anni per semplificare l’accesso a prestazioni e procedure, anche a vantaggio delle persone con disabilità fisica o cognitiva. Penso alla forte spinta alla digitalizzazione dei servizi, che permette di operare e interagire da remoto con l’istituto per le domande e le certificazioni; penso alla possibilità, dal 2020-21, di accertare la malattia attraverso la valutazione “agli atti”, cioè inviando online i certificati medici specialistici anziché andare a visita, con una grande semplificazione per i disabili e le loro famiglie; penso alla disability card introdotta nel 2021, una card magnetica con un QR code che evita ai disabili di girare con documenti, di avere invece tutto in tasca – autorizzazioni, permessi, sconti, accessi agevolati al sistema cultura – con una carta che rimane sempre aggiornabile. P enso ai numerosi accordi fatti con tanti ospedali specialistici nel Paese, da Nord a Sud, al fine di favorire la trasmissione dei certificati da parte dei medici direttamente dall’ospedale accedendo ai nostri portali, evitando ai disabili e alle loro famiglie ulteriori barriere e “dolore” burocratico dopo il dramma della diagnosi di una malattia. Penso alle convenzioni che abbiamo già con sette Regioni in Italia che evitano il doppio livello di accertamenti della malattia, da parte dell’Asl e da parte dell’Inps. Purtroppo, questo doppio controllo è reso necessario nelle altre Regioni senza convenzione, poiché le Regioni non vogliono rinunciare a una loro prerogativa in materia sanitaria, data loro direttamente dal Titolo V della Costituzione. Una questione sicuramente da affrontare e da sanare. Tutto questo ci ha permesso di abbattere i tempi di accertamento e liquidazione della prestazione, oggi inferiori ai trenta giorni nelle Regioni in convenzione. N on basta, certo. Non sempre le comunicazioni della pubblica amministrazione riescono a mettere in campo la giusta sensibilità e attenzione verso le specifiche esigenze di ciascuna situazione. Talvolta diverse amministrazioni viaggiano su binari paralleli e non comunicano tra loro nelle iniziative o senza un agile coordinamento delle prestazioni. Anche l’Inps ha commesso errori in alcuni casi. Io stesso ho personalmente chiesto scusa per alcune “insensibilità” e ritardi. C ome Istituto, possiamo concedere una prestazione – in assoluto, per chiunque – solo a seguito di una domanda e di una verifica dei rispettivi requisiti previsti. Nel caso di persone con disabilità, questi passaggi possono essere percepiti e risultare praticamente più complicati, ostili, indelicati. Ma è anche probabile che in molti non conoscano neanche di poter aver accesso ad alcune prestazioni o che non riescano ad avere un adeguato supporto per completare e veder seguita al meglio la loro domanda, o ottenere nel tempo degli adeguamenti. Questo non è facilmente gestibile per le persone con invalidità e può diventare ancora più “faticoso” per i familiari di coloro che debbono già vivere le complessità di un bambino o un adulto con disabilità psicofisiche.

Non tutte le disabilità sono uguali, ci ricordava limpidamente e duramente Mira per esperienza vissuta, e certo sul fronte del miglioramento dei canali di comunicazione, dei servizi pubblici e dell’approccio professionale verso coloro che portano sulle loro spalle un “peso diverso” abbiamo il dovere morale e istituzionale di fare di più. Mio padre, sordo-muto, imparò a parlare, o meglio a dire qualche parola, dopo di me. Fu necessario scoprire, a fine anni Settanta, che la sua sordità era di impedimento alla sua parola, e solo dopo che la Mutua gli fornì un apparecchio acustico, poté iniziare a parlare. Ma questo ritardo gli causò un danno permanente, irrimediabile. D obbiamo ogni tanto fermarci, anche quando collaboriamo all’implementazione di una norma e di una procedura, quando offriamo servizio allo sportello, quando organizziamo delle visite mediche o dei controlli amministrativi, quando formiamo il personale, e pensare a come rendere più chiare e fluide situazioni già enormemente faticose da affrontare per persone con disabilità e dai loro familiari, ascoltando le loro particolari necessità, analizzando l’impatto sul loro vissuto. In alcuni casi, basterebbe anche solo un po’ più di dialogo, di comprensione, di attenzione specifica a cittadini che chiedono adeguata dignità e riconoscimento, nel rispetto di valori che sono il cardine della nostra Costituzione.

D obbiamo riprendere la riforma della disabilità avviata nel 2021 con una legge delega, ispirata alla Convenzione Onu sulla disabilità ratificata nel 2009, la quale prevede che le menomazioni vadano valutate nel contesto ambientale del disabile avendo riguardo alla presenza delle tante “barriere” nelle nostre comunità. A tale valutazione di “base” seguirà un “accertamento multidimensionale individuale” finalizzato alla completa inclusione sociale del disabile sulla base di una piena eguaglianza dei diritti. Dobbiamo assicurare a ogni persona con disabilità il reinserimento nella società: rafforzando il collocamento mirato, assicurando un progetto personalizzato per ogni persona disabile, aggiungendo alla prestazione monetaria, servizi di riabilitazioni e di ricreazione presso centri, comunità, Comuni.

È per fortuna finita la “caccia al falso invalido” o al cieco perché scoperto “in flagranza mentre ballava”. Oggi ogni persona con disabilità invece deve essere incoraggiata verso possibili processi di autonomia, di lavoro, di godimento del tempo libero, e questo non deve essere motivo di rifiuto della prestazione monetaria per la disabilità. Su questo l’Inps oggi è fortemente orientato, con sensibilità e vicinanza. Ancor di più deve essere fatto per accompagnare coloro che sono con disabilità psichiche, ascoltando e aiutando a 360 gradi i loro familiari, che affrontano ogni giorno ostacoli inimmaginabili per la dignità dei loro cari.

Presidente dell’Inps