Sempre più vicini all’insulina in pillola

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AGI – Somministrata per la prima volta insulina al colon di ratti utilizzando una compressa per via orale alimentata da ‘micromotori’ chimici. A farlo, un team di ricercatori che lo riferisce all’American Chemical Society. L’insulina in compresse sarebbe un passo avanti importante per migliorare la qualità della vita dei pazienti. Per i milioni di persone che vivono con il diabete, l’insulina è un farmaco salvavita. A differenza di molti altri medicinali, tuttavia, l’insulina non può essere facilmente erogata ingerendo una pillola: deve essere iniettata sotto la pelle con una siringa o una pompa. I pazienti con diabete hanno difficoltà a regolare i loro livelli di glucosio nel sangue perché producono poca o nessuna insulina.

L’insulina sintetica esiste da più di cento anni, ma spesso viene somministrata con un’iniezione o con una pompa impiantata. Le persone affette da diabete spesso assumono insulina più volte al giorno; quindi, le iniezioni frequenti possono essere dolorose e, di conseguenza, alcuni pazienti non assumono la dose raccomandata nei tempi corretti. Per realizzare queste compresse, i ricercatori hanno coperto le microparticelle di magnesio con uno strato di una soluzione contenente insulina e uno strato di liposomi. Hanno quindi mescolato queste particelle con bicarbonato di sodio, le hanno pressate in mini-compresse lunghe circa 3 mm e poi le hanno ricoperte con una soluzione di amido esterificato.

L’amido proteggeva le compresse dall’acido dello stomaco, permettendo loro di raggiungere intatte il colon. Quando si scomponevano, le microparticelle di magnesio reagivano con l’acqua per generare un flusso di bolle di idrogeno gassoso, che fungevano da micromotori che spingevano l’insulina verso il rivestimento del colon per essere assorbita. Il team ha anche testato le loro mini-compresse sui ratti e ha scoperto che potevano ridurre significativamente i livelli di glucosio nel sangue degli animali per oltre cinque ore. Anche se ulteriori studi sono necessari, lo studio dimostra che la pillola può mantenere un livello di glucosio basso quasi quanto l’insulina somministrata per iniezione.

Il caffè riduce del 30% il rischio di diabete di tipo 2

Proprietà antiossidanti del caffè riducono rischio diabete 2 © Ansa

Il caffè riduce il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 di circa il 30%. Lo afferma un nuovo documento di revisione in cui sono stati esaminati 30 studi scientifici su una popolazione di 1,2 milioni di persone.
Il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 diminuirebbe rispettivamente del 7% in caso di caffè con caffeina e del 6% in caso di caffè decaffeinato per tazza al giorno. L’analisi è stata pubblicata su Nutrition Reviews.
Gli autori dello studio hanno esaminato i meccanismi biochimici della bevanda: in particolare, grazie alle sue proprietà antiossidanti, l’assunzione a lungo termine della bevanda nera può ridurre lo stress ossidativo, associato, oltre che a numerosi effetti avversi sulle funzioni cardiovascolari, metaboliche e renali, anche all’insorgenza di diabete di tipo 2.
Numerose ricerche hanno inoltre dimostrato che il consumo regolare di caffè può ridurre i livelli dei marcatori pro-infiammatori e di conseguenza l’infiammazione cronica di basso grado, che è stata collegata a disturbi cardiovascolari e metabolici, come il diabete di tipo 2.
Nel 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso il caffè dalla lista dei possibili cancerogeni per gli esseri umani e numerose ricerche scientifiche affermano che il consumo moderato, 3-5 tazzine al giorno, è protettivo verso una serie di patologie come il tumore al fegato e all’endometrio. E riduce fino al 27% il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer.
Gli autori della review sottolineano comunque che sono necessari studi a lungo termine per confermare l’associazione protettiva e per approfondire i meccanismi della relazione. (ANSA).

Scoperta nel caffè un’arma per prevenire e curare il diabete

Un’arma per prevenire e combattere il diabete è stata scoperta nel caffè: si tratta di una sostanza, il cafestolo, che promuove la produzione di insulina e il controllo glicemico (ovvero della concentrazione di zuccheri nel sangue) e riduce (in studi su animali) il rischio di sviluppare la malattia.
E’ il risultato di una ricerca su animali condotta da Fredrik Brustad Mellbye del policlinico universitario di Aarhus in Danimarca, ricerca pubblicata sul Journal of Natural Products.
In passato diversi studi epidemiologici hanno suggerito che bere regolarmente caffè riduce il rischio di ammalarsi di diabete ma ad oggi non era chiaro se vi fosse una specifica sostanza responsabile di questi effetti protettivi della nera bevanda.
Nell’esperimento per un totale di 10 settimane, tre gruppi di topolini tutti ad alto rischio di ammalarsi di diabete hanno assunto rispettivamente 1,1 milligrammi al giorno di cafestolo, 0,4 milligrammi di cafestolo al dì, e nessuna sostanza (gruppo di controllo).
Dopo le dieci settimane i primi due gruppi (i topini che hanno assunto la sostanza contenuta nel caffè) presentavano una riduzione della glicemia tra il 28 e il 30% rispetto al gruppo di controllo. Inoltre il primo gruppo (che assumeva la dose maggiore di cafestolo) presentava un aumento del 42% della sensibilità all’ormone che controlla lo zucchero nel sangue (insulina) , un buon segnale protettivo contro la malattia.
Infine gli esperti hanno visto che i topini che hanno assunto cafestolo hanno quasi raddoppiato (+75-84%) la loro produzione di insulina. La scoperta suggerisce che il cafestolo potrebbe divenire sia un’arma per ridurre il rischio di ammalarsi di diabete, sia un farmaco per chi è già malato.

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Diabete giovanile, bene i primi test su una terapia che lo ferma sul nascere

Nuove speranze di cura per il diabete giovanile (anche detto di tipo 1, insulino-dipendente): l’immunoterapia – una terapia in grado di agire sul sistema immunitario del paziente – si è dimostrata sicura e potenzialmente efficace per fermare la malattia sul nascere su un piccolo gruppo di pazienti cui la malattia era stata da poco diagnosticata. E’ il promettente risultato di un primo trial clinico pilota condotto su 27 pazienti presso l’Università di Cardiff e King’s College di Londra e pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine.
Il diabete giovanile è una malattia autoimmune, ovvero una condizione in cui il sistema immunitario del paziente in un certo senso va ‘in tilt’ e comincia ad attaccare il pancreas del paziente stesso, distruggendo la porzione dell’organo deputata alla produzione dell’ormone insulina. I pazienti restano quindi incapaci di produrre da sé insulina e devono prenderla al bisogno per regolare la glicemia. L’immunoterapia è pensata per tenere a bada l’assalto del sistema immunitario contro il pancreas e quindi limitare i danni, ma tanti erano i timori nell’utilizzare questo tipo di strategia.
Gli esperti ne hanno testato la sicurezza su 27 pazienti cui il diabete era stato diagnosticato di recente, non più di 100 giorni prima. A otto di loro è stata somministrata la terapia a base di anticorpi specifici; agli altri placebo. L’immunoterapia ha mostrato di essere sicura (non aumenta né accelera il danno al pancreas dovuto alla naturale evoluzione della malattia) per i pazienti. Inoltre, è risultata in grado di mantiene stabile la malattia per cui i pazienti trattati non hanno bisogno nei mesi successivi di aumentare la somministrazione insulinica per regolare la glicemia come, invece, è successo ai pazienti del gruppo placebo.
Il prossimo passo sarà ripetere la sperimentazione su un maggior numero di pazienti per verificarne la reale efficacia terapeutica.

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