Santo Stefano, Coldiretti: avanzi a tavola per 8 italiani su 10

Quasi otto italiani su dieci (78%) trovano a tavola gli avanzi di cenoni e pranzi di Natale che vengono riutilizzati in cucina, con una nuova sensibilità verso la riduzione degli sprechi spinta dalla crisi economica legata alla pandemia. E’ quanto emerge da un’indagine Coldiretti/Ixè sul Natale dalla quale si evidenzia che c’è un altro 10% che ha messo tutto in freezer per utilizzarlo nelle prossime settimane.

Solo nell’11% delle famiglie non avanza niente mentre l’1% dona in beneficenza; nessuno invece dichiara di buttare i resti del pranzo o del cenone, con il Natale 2020 che si classifica come il primo con sprechi azzerati. Una tendenza favorita dal clima di sobrietà che ha caratterizzato la festa anche a tavola, con in media 4 persone che – continua la Coldiretti – hanno mangiato insieme per le Feste, più che dimezzate rispetto allo scorso anno, quando in media si contavano 9 commensali.

La cucina del giorno dopo – Secondo la Coldiretti, ammonta comunque a quasi 400 milioni il valore di cibi e bevande preparati e non consumati sulle tavole a Natale e gli italiani costretti a casa dal lockdown si sono sbizzarriti in cucina trasformando gli avanzi in nuovi piatti, con la cosiddetta cucina del giorno dopo della tradizione contadina.

“Polpette o polpettoni a base di carne o tartare di pesce secondo gli agricoltori di Campagna Amica sono ottime soluzioni per recuperare il cibo del giorno prima, ma anche le frittate possono dare – sottolinea la Coldiretti – un gusto nuovo ai piatti di verdura o di pasta, senza dimenticare la ratatouille. La frutta secca in più può essere facilmente caramellata per diventare un eccellente ‘torrone’, mentre con quella fresca si ottengono pasticciate, marmellate o macedonie. E per dare un nuovo sapore ai dolci più tradizionali, come il pandoro o il panettone, si ricorre spesso alla farcitura con creme. Recuperare il cibo è una scelta che – conclude la Coldiretti – fa bene all’economia e all’ambiente anche con una minore produzione di rifiuti”.

Preparazione dei pasti ai tempi del Covid – L’addio alle tradizionali tavolate imposto dalle limitazioni legate all’emergenza coronavirus ha avuto effetto anche sulla preparazione dei pasti, con una media di 2,5 ore trascorse in cucina per realizzare i vari piatti, secondo l’indagine Coldiretti/Ixè, in netto calo rispetto alle 3,8 ore dello scorso anno, con il taglio di una portata su tre rispetto ai lunghi pranzi del passato.

Quanto hanno speso gli italiani per mangiare a Natale? – Per il tradizionale appuntamento del Natale con la tavola sono stati spesi quest’anno 1,8 miliardi di euro, con un calo del 31% rispetto allo scorso anno a causa delle restrizioni imposte dalle misure anti Covid e della crisi economica legata alla pandemia. Se nel menu della vigilia – conclude la Coldiretti – è stato servito soprattutto il pesce, presente in 8 tavole su 10 (78%), a Natale ha prevalso la carne e hanno vinto bolliti, arrosti e fritti, dall’agnello ai tacchini, ma anche minestre, zuppe, paste ripiene, cappelletti in brodo, pizze rustiche e i dolci fatti in casa.

Mangiare da Dio. Cinquanta ricette da san Paolo a papa Francesco nel libro di Ciucci e Sartor

Sapevate che l’inventore delle crêpes non è uno chef, bensì un Papa, l’algerino Gelasio, che le fece offrire a un gruppo di pellegrini francesi in visita a Roma? O che una delle più importanti «madri del deserto», visse da eremita nella prima metà del IV secolo, cibandosi pressoché solo di pane di crusca e acqua e, ciononostante, raggiunse gli 80 anni di età? O, ancora, che il conclave del 1549 si protrasse per ben 71 giorni, probabilmente anche a motivo dell’ottimo trattamento gastronomico riservato ai cardinali? Sono solo alcune delle tante curiosità che riserva la lettura di «Mangiare da Dio», il nuovo libro a firma dell’affermata coppia Ciucci-Sartor.

Entrambi sacerdoti milanesi, esperti di iniziazione cristiana, tutti e due in servizio a Roma (presso il Pontificio Consiglio della famiglia il primo, in Cei il secondo), don Andrea e don Paolo tornano con un nuovo volume, il terzo, dedicato stavolta a «cinquanta ricette da san Paolo a papa Francesco».

Dopo le ricette bibliche del 2012 e «In cucina con i santi» del 2013, il nuovo libro è una cavalcata nella storia della Chiesa – condotta con competenza e leggerezza – con un occhio speciale alla gastronomia. Il risultato è una raccolta originale di piatti particolari, sempre collegati a un uomo o un evento di Chiesa del passato (lontano e recente).

Si scoprono così – fra l’altro – le «ciammelle» di cui andava goloso Leone XIII, oppure il baccalà alla livornese, adorato da don Milani, fino al delicato flan di zucchine servito a Benedetto XVI in occasione dell’ottantacinquesimo compleanno di papa Ratzinger.
Un libro da gustare, in tutti i sensi.

lastampa.it

«Sbarrette» di cioccolato. Caffè, dolci e pizza: così i detenuti imparano l’alta cucina

Si cucina secondo le regole della cucina in cella, e quindi con coltelli e ferraglia al bando, ma è gara vera. Di sapori e di fantasia. I detenuti della casa circondariale di Rebibbia, alla periferia di Roma, italiani e stranieri, hanno cominciato stamani presto, nel cortile del carcere, a improntare un pasto, con ingredienti dei rispettivi territori di provenienza, consegnati oggi per l’occasione, e utensili ricavati da barattoli e scatolame, che, per chi s’arrangia e sa vivere d’ingegno, possono diventare grattugie e scolapasta. Le pentole ci sono, ma nei formati mini consentiti.

L’obiettivo è presentarsi a mezzogiorno davanti a una giuria di esperti per vincere la gara di cucina galeotta. Ma soprattutto per vivere una giornata piena di sapori di casa, in una mattinata di scambio con la società oltre le sbarre. Per un convivio che ha anche il buon sapore dell’orgoglio e della condivisione.

Sono otto le squadre i gara, tra le quali la “Rappresentanza dell’Africa unita”, il “Venezuela” e il “Magreb”, in questa iniziativa ‘Incontro tra i popolì promossa da una dozzina di anni dall’associazione Vic-Volontari in Carcere. Hanno vinto la squadra della ‘Fraschettà, per il gusto, il “Venezuela”, per l’estetica del piatto, e gli “Amici per sempre”, per l’originalità della pietanza.

Ma nei carceri italiani c’è anche l’alta cucina. A Napoli i corsi per diventare pizzaioli, mentre a Torino, nella casa circondariale Lorusso e Cutugno, c’è una torrefazione rinomata che lavora chicchi di caffè presidio Slow Food e seleziona cacao per poi fornire miscele tostate e “sbarrette” cioccolato ai negozi più in voga nel mondo gourmet.

Crescono la produzione alimentare di provenienza carceraria, e l’attenzione del pubblico, ma anche della critica di settore, per il fenomeno che ormai trova esempi in oltre 60 penitenziari italiani. In alcuni casi con produzioni squisite, come la pasta di mandorla realizzata dai detenuti di Siracusa o la ‘cucina galeottà, tema della gara odierna tra detenuti della casa circondariale di Rebibbia, a Roma.

Secondo una recente rielaborazione Gambero Rosso, su dati Aiab, in una sessantina di penitenziari sono circa 400 i reclusi impegnati nel food & wine, ai quali vanno aggiunti i circa 220 delle colonie agricole, dalla Sardegna all’isola di Gorgona, che rappresentano il 4,4% della popolazione carceraria che lavora. A questi numeri si devono aggiungere le aziende agricole, le Onlus, le cooperative che ospitano ex carcerati e detenuti in articolo 21, quelli che svolgono attività lavorative fuori dell’istituto. Numeri poco ‘ristrettì dunque, che comprendono anche attività artigianali, di ristorazione e del catering.

Nel pieno rispetto delle tipicità di territorio. A Sulmona per l’aglio rosso, a San Gimignano per lo zafferano, le uova di quaglia a Milano Opera, e ovviamente a Pozzuoli per il caffè “Lazzarelle”. Con nomi di fantasia che indicano tanta libertà almeno di pensiero, come i vini del carcere di Velletri: Fuggiasco, Le Sette Mandate, Recluso, Fresco di Galera. E il “Valelapena”, un corroborante vino rosso frutto della vigna di
un ettaro nella casa circondariale G. Montalto ad Alba (Cuneo).

avvenire.it