I cristiani e la guerra

di: Franco Monaco

guerra

Quella del rapporto tra i cristiani e la guerra è questione antica che oggi si ripropone facendo registrare divisioni che non devono sorprendere. Più specificamente, una divisione si è prodotta sul diritto alla difesa armata e, in concreto, sul rifornimento di armi alla resistenza ucraina. Di tali divergenze non ci si deve scandalizzare per due ragioni.

Criteri per la legittima difesa

La prima è l’indice di formalità-astrattezza che, per definizione, scontano i criteri che presiedono alla legittima difesa nel magistero della Chiesa e che, di riflesso, dischiudono a diverse possibili loro interpretazioni-attualizzazioni circa il caso concreto. Rammentiamoli quei quattro criteri:

  1. che si tratti a tutti gli effetti di extrema ratio dopo avere esperito tutte le vie negoziali;
  2. che a deliberare la difesa in armi sia l’autorità legittima;
  3. che vi sia la retta intenzione di limitarsi a ripristinare la giustizia offesa;
  4. che si dia una proporzionalità tra il male che si è costretti a infliggere e quello cui si intende porre rimedio.

Un’evoluzione-articolazione della vecchia dottrina della «guerra giusta» che, giustamente, si predilige non nominare più così, per quanto, va rammentato, essa fosse stata elaborata non già per incoraggiare le guerre ma semmai per circoscrivere i limiti della sua legittimità.

La seconda ragione per cui si spiega un certo pluralismo di giudizi e di opinioni tra cristiani sta in una doppia incrociata dinamica.

Da un lato, una chiara linea di sviluppo del magistero della Chiesa e, segnatamente, dei papi (specie a partire dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII), che approda a una condanna sempre più netta della guerra moderna a sua volta riconducibile a due circostanze:

  1. lo sviluppo delle tecnologie belliche sino alle armi di distruzione di massa che inficiano in radice il criterio della proporzionalità;
  2. l’evoluzione e l’affinamento degli strumenti del diritto e delle sedi preposte a dirimere i conflitti che dovrebbero «archiviare» la guerra quale mezzo grezzo e anacronistico.

Ma, dall’altro, in senso per così dire estensivo, la suggestione dell’istituto del «diritto di proteggere» (così denominato dal diritto internazionale umanitario), della «ingerenza umanitaria» della comunità internazionale a fronte di genocidi, crimini contro l’umanità, gravi violazioni dei diritti inferte a persone e comunità che autorizzerebbero l’intervento anche coercitivo della comunità internazionale.

Ad esse fece un’apertura Giovanni Paolo II nel caso della Bosnia. Naturalmente solo quando ricorrono precise e accertate condizioni. Una tensione, un equilibrio tra opposte esigenze che si rinviene anche sul terreno «laico» della lettura-interpretazione dell’art. 11 della Costituzione: ripudio della guerra di offesa, eccezione per la guerra di difesa, cessione di sovranità a istituzioni internazionali che operano per la pace e la giustizia.

Naturalmente con la cura di definire quali e quando esse agiscono in concreto a quell’alto fine. Per esempio, distinguendo tra tali organizzazioni. Esemplifico: ONU, UE, NATO non sono la stessa cosa, hanno statuto e missioni diverse.

Esiste una differenza cristiana?

Dunque, si spiega un legittimo pluralismo delle opinioni tra i cristiani. Ciò non ci esonera dal domandarci se esista un unum necessarium, una «differenza cristiana». Un interrogativo pertinente in via generale che, a fortiori, ci si deve porre su una materia quale la pace e la guerra ove sarebbe singolare un totale allineamento al pensiero dominante, al senso comune, al giudizio mondano.

Solo qualche esemplificazione dello specifico (ancorché non esclusivo) cristiano: la pace è un valore («Cristo nostra pace»), la guerra un male estremo; la pace deve mettere le radici nel cuore e plasmare le relazioni brevi e lunghe (mediate dalle strutture sociali); si deve perciò contrastare il bellicismo degli animi, della cultura, del linguaggio; va esercitata una severa, attiva vigilanza su tutto ciò che può generare l’humus delle guerre ovvero ingiustizie, sopraffazione, produzione e commercio delle armi (opus iustitiae pax); vanno condannati la fabbricazione, il possesso e l’uso delle armi di distruzione di massa (andando oltre la sintesi conciliare della Gaudium et spes che lasciò insoddisfatti Lercaro e Dossetti) e dunque, in positivo, si devono sostenere i negoziati volti al disarmo degli arsenali chimici e atomici. Con la sua consueta franchezza, Francesco ha bollato come «follia» la corsa al riarmo.

Nel dibattito che attraversa la cattolicità italiana si dovrebbero evitare le semplificazioni e i paragoni azzardati. Un paio di esempi.

Antonio Polito, vicedirettore del Corriere, con intenti positivi, ha scritto che i «cattolici democratici» sarebbero i più decisi nel sostegno armato alla resistenza ucraina, ma, come spesso accade, par di capire – e con molta approssimazione – intendeva gli ex DC.

Per converso, il politologo Angelo Panebianco – è un suo vecchio mantra – bolla i cattolici come inclini a un pacifismo ingenuo e impolitico che, a suo dire, contribuirebbe a minare l’affidabilità atlantica del nostro paese.

Semplificazioni, appunto.

È auspicabile un confronto

Così pure, taluni amano dare una rappresentazione schematica delle articolate posizioni cattoliche sulla guerra in Ucraina come l’eredità lunga della dialettica De Gasperi-Dossetti. Di nuovo una semplificazione.

Vero è che Dossetti, da politico, si smarcò da un atlantismo acritico e, come accennato, da religioso, si mostrò insoddisfatto della sintesi conciliare che, a suo dire, avrebbe dovuto operare un coraggioso scatto evangelico nella più risoluta condanna delle guerre. Eppure Dossetti partecipò da protagonista alla lotta di liberazione. Dunque, non un cristiano ignaro della circostanza che la libertà talvolta va conquistata con la lotta armata.

Così pure è molto tirata la tesi di chi fa appello all’autorità di De Gasperi a sostegno delle tesi più interventiste di oggi. Basti un interrogativo: in quel contesto internazionale, da capo del governo (e per di più di un paese sconfitto), egli non poteva che essere decisamente atlantista e tuttavia, in quanto riconosciuto «padre dell’Europa» e fautore (inascoltato) della difesa comune europea, chi può dire con sicurezza come si regolerebbe oggi dentro un conflitto che manifestamente certifica una subalternità-irrilevanza della UE?

Ripeto: meglio non indulgere a schematismi e a paragoni fuorvianti. La comprensione delle ragioni per le quali, nel quadro di una comune e impegnativa tensione alla pace, si dà una legittima pluralità di opinioni anche tra cristiani su come regolarsi circa la guerra in corso gioverebbe alla qualità (e persino al tenore fraterno) del confronto.

Settimana News

Cristianesimo, la malattia dell’eurocentrismo

Che ci piaccia o no, il cristianesimo ha a che fare con l’Europa. Pensiamo, come esempio, al nostro calendario gregoriano.

Lasciamo decidere ai numerosi interlocutori laici, integristi, fedeli cattolici, fedeli molto piú cattolici degli altri e nuova destra populista, se si tratta delle radici cristiane dell’Europa oppure della sovrapposizione cristiana alle sue radici politeiste, e, ancora, se assistiamo all’indebita e opportunistica appropriazione della tradizione cristiana, a risorgenti fondamentalismi oppure a mai dimenticati integrismi.

Che lo vogliamo o no, il cristianesimo, in tutte le sue versioni, non solo appartiene all’Europa, ma ne ha costituito, per molto tempo – e in una forma sfumata anche oggi – il fondamento identitario eurocentrico.

È la conquista del Nuovo Mondo che, con indiscutibile chiarezza, ci rivela, attraverso i genocidi coloniali cattolici e protestanti, il mito inventato dagli europei di una universalità che nasce dalla Scrittura, si alimenta dell’Essere greco e del diritto romano, per confermarsi con l’imposizione della razionalità illuminista.

Incontriamo nella filosofia tedesca gli ideologi di ogni suprematismo: Kant, Hegel e, piú recentemente Husserl, sono gli artefici del mito eurocentrico, che non riesce a occultare il suo costitutivo razzismo e la sua indiscutibile superiorità. L’Europa giudica severamente il passato e il presente dei ritardi e sottosviluppi di quel resto del mondo che essa stessa ha creato con la “razionalità’ capitalista: preconcetti che, indirettamente, ispireranno il delirio tutto occidentale ed eurocentrico dell’antisemitismo e dell’anti-orientalismo nazista. E che, forse, aiutano a capire la difficoltà occidentale nei rapporti con i musulmani.

Insomma, il cristianesimo è costitutivamente legato alla storia e al destino della civilizzazione occidentale. Nonostante le tensioni e le dialettiche che hanno caratterizzato le varie stagioni di questa storia, si tratta di un’unica storia e, oggi, di una unica crisi.

Una delle chiavi che ci aprono alla comprensione di questa strana e spesso conflittuale simbiosi, è la ricerca di libertà e di garanzie istituzionali che ha irretito soprattutto – ma non solo – la Chiesa cattolica nella logica dei poteri politici nazionali, spesso privilegiando sistemi conservatori, come nei recenti casi esemplari di Spagna e Portogallo.

Da notare che questa strategia è ancora presente nel nostro tempo: dall’altro ieri con l’Ostpolitik del card. Casaroli e oggi con i discutibili dialoghi tra Vaticano e governo cinese.

Ma c’è dell’altro. Credo che ci sia un’ipotesi che, svelando un’opzione iniziale, ci aiuta a capire le diverse stagioni dell’alleanza e della dialettica trono-altare: si tratta soprattutto della conversione, nei primi secoli dell’era cristiana, di un movimento religioso orientale e semita alla filosofia greca e all’antropologia indoeuropea.

È questa operazione sincretica che, certamente, ha creato un terreno ideologico comune tra Chiesa e Occidente. Così, incontriamo il dualismo metafisico della filosofia greca sia nella teologia cristiana e, ben prima dei deliri neoscolastici, sia nei fondamenti della scienza e della tecnica, ancora pilotate dall’analitica aristotelica.

Oggi l’Occidente eurocentrico si trova immerso negli esiti fallimentari della civilizzazione che presuntuosamente ha creato. Tutto crolla, a cominciare dal pianeta Terra, ferito a morte dalla “razionalità” capitalista.

E anche le istituzioni cristiane sono travolte da questa crisi, un terremoto antropologico, che mette in discussione radicale il nascere, il generare, il morire, la libertà: insomma, spiritualità, confessioni e religioni; gerarchie e obbedienze; valori sociali e tradizioni politiche; la concezione del tempo e il senso della storia.

Che fare? Credo che sia ancora possibile salvarsi dall’Occidente. Ritorno alla Parola di Gesù di Nazareth, che è da sempre orientale e semitica, ma in opposizione radicale al Tempio, oltre che all’Impero: «Ma Gesù, chiamatili a sé, disse: I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,25-28).

«Sembra proprio che la rivoluzione sia impossibile – avrebbe detto Pierre Clastres –, ma vivo ogni giorno per renderla possibile». È il sogno sovversivo della prima Chiesa, quella dei martiri. Ed è il sogno sovversivo della seconda Chiesa ribelle contro lo status quo: quella degli abba e delle amma del deserto.
Settimana News

Lo spot arabo per il Ramadan sull’amicizia coi cristiani


Mondo e Missione 

(Giorgio Bernardelli) A poche settimane dalla dichiarazione sulla fratellanza firmata da papa Francesco e dall’imam al Tayyeb di al Azhar il gruppo Zain – una compagnia telefonica attiva in otto Paesi del Medio Oriente – dedica all’amicizia tra cristiani e musulmani il suo spot diffuso in occasione del Ramadan