Oggi la parrocchia mostra qualche ruga, ma ha ancora tante potenzialità


Vincenzo Vitale – Famiglia Cristiana

Cari amici lettori, come avrete notato, questo numero di Credere presenta una copertina piuttosto diversa dal solito. Forse siete rimasti un po’ sorpresi e vi sarete chiesti perché. Il motivo, molto semplice, è che abbiamo voluto dedicare l’attenzione a un tema, quello della parrocchia, che certamente tutti sentiamo.

Penso che la maggior parte di noi, cari amici, non fatichi a riconoscersi nelle parole con cui papa Francesco ha delineato la parrocchia parlando ai giovani di Azione cattolica lo scorso 29 ottobre 2022: «È l’ambiente “normale” dove abbiamo imparato ad ascoltare il Vangelo, a conoscere il Signore Gesù, ad offrire un servizio con gratuità, a pregare in comunità, a condividere progetti e iniziative, a sentirci parte del popolo santo di Dio». Però ci rendiamo anche conto che la realtà socio-culturale in cui viviamo oggi non è quella di 20, 30 o 50 anni fa. Il lento svuotamento delle parrocchie – in atto da anni, ma che la pandemia ha drammaticamente messo in luce – è una realtà di cui prendere atto onestamente ed è giusto, direi doveroso, interrogarci su cosa “non funziona”: senza recriminazioni, ma anche senza inutili finzioni, pacatamente, onestamente. È in fondo un segno di amore se facciamo questo, anche con qualche sana critica: l’indifferenza sarebbe un brutto segno davvero. Per questo motivo abbiamo pensato di organizzare con la redazione un dialogo a tre voci, non con “esperti”, ma con persone che come noi hanno fatto esperienza di parrocchia, vi sono cresciute e maturate come credenti e che anche oggi, pur nelle diverse professioni , vi sono legato.

Abbiamo coinvolto Enzo Romeo, giornalista di Rai 2, Giuseppe Curciarello, ematologo, autori, insieme, di Viva la parrocchia!, e Gianni Di Santo, giornalista e scrittore, autore del romanzo Finalmente è cambiato il parroco, per riflettere insieme, a partire dalle rispettive esperienze, su questa realtà – che per molti è stata la porta di entrata nella Chiesa, ma per qualcuno rischia anche di essere la porta di uscita, come afferma Romeo. La parrocchia ha forse tante rughe, qualche ombra, ma anche tante potenzialità che, quando sono colte e valorizzate, fioriscono anche oggi. Sono convinto che ci faccia bene sentire voci, opinioni, esperienze, riflessioni, anche critiche se ci aiutano a costruire. E invito anche voi, amici lettori, a prendere parte al dialogo, scrivendoci (a lettori.credere@stpauls.it o sulla pagina di www.facebook. com/crederesanpaolo): come vivete la vostra esperienza di parrocchia? Cosa vi ha offerto per crescere nell’incontro con il Signore? Che cosa invece, secondo voi, ha bisogno di revisione o di cambiamento? Come ha detto Francesco ai fedeli della Chiesa di Roma (18 settembre 2021), «tutti sono protagonisti, nessuno può essere considerato semplice comparsa… Non è più protagonista il Papa, il cardinale vicario, i vescovi ausiliari; no: tutti siamo protagonisti, e nessuno può essere considerato una semplice comparsa».

E lo Spirito Santo «usa tutte le creature per parlarci: soltanto ci chiede di pulire le orecchie per sentire bene». ha bisogno di revisione o di cambiamento? Come ha detto Francesco ai fedeli della Chiesa di Roma (18 settembre 2021), «tutti sono protagonisti, nessuno può essere considerato semplice comparsa… Non è più protagonista il Papa, il cardinale vicario, i vescovi ausiliari; no: tutti siamo protagonisti, e nessuno può essere considerato una semplice comparsa». E lo Spirito Santo «usa tutte le creature per parlarci: soltanto ci chiede di pulire le orecchie per sentire bene». ha bisogno di revisione o di cambiamento? Come ha detto Francesco ai fedeli della Chiesa di Roma (18 settembre 2021), «tutti sono protagonisti, nessuno può essere considerato semplice comparsa… Non è più protagonista il Papa, il cardinale vicario, i vescovi ausiliari; no: tutti siamo protagonisti, e nessuno può essere considerato una semplice comparsa». E lo Spirito Santo «usa tutte le creature per parlarci: soltanto ci chiede di pulire le orecchie per sentire bene».
Famiglia Cristiana

Chi odia vede le cose sempre e soltanto dal suo punto di vista, la sua narrazione è unilaterale

Davanti a uno scenario drammatico, fatto di guerra cruenta, di mamme che uccidono i figli e di figli che uccidono i genitori, uomini che uccidono le donne e che talvolta si tolgono la vita, ci interroghiamo su diversi aspetti. Uno in particolare mi sembra ricorrente nelle domande della gente: come si può arrivare a odiare in modo così efferato? Come l’amore, anche l’odio ha diverse sfumature e gradualità e, proprio come l’amore, dice che una relazione c’è, ma non funziona più: l’altro non è più oggetto di cura, ma è oggetto di un sentimento che mira alla distruzione dell’altro. L’odio è infatti un’avversione portata al punto da volere il male di un’altra persona. A differenza dell’ira, che con il tempo può anche scemare, l’odio rimane tale fino a quando non ha raggiunto il suo obiettivo: l’eliminazione dell’avversario!

L’odio, infatti, non si concentra su un particolare, non nasce da un aspetto che infastidisce, ma è sempre caratterizzato da un’avversione generalizzata. All’origine ci sono certamente altre emozioni che portano a sviluppare l’odio: all’inizio ci può essere per esempio l’invidia o la paura della minaccia o un bisogno, sentito importante, e che l’altra persona non ha soddisfatto. Chi odia vede le cose sempre e soltanto dal suo punto di vista, la sua narrazione è unilaterale e quindi distorta. Purtroppo, chi odia, sperimenta anche una sorta di piacere. Proprio per questo l’odio non si spegne facilmente. Chi odia gode al pensiero della distruzione dell’altro, anzi può arrivare a fare dell’odio una ragione di vita. In realtà l’odio corrode dall’interno chi lo prova. In genere coloro che sono portati a odiare, hanno una bassa autostima.

Chi odia è di solito un narcisista che ha una concezione grandiosa di sé e proprio per questo teme che qualcuno possa metterla in discussione. Sapendo di non poter obbligare l’altro ad amare, si esercita il potere su di lui trasformandolo in oggetto dell’odio. È evidente quindi che l’odio è strettamente legato al potere, di cui è una manifestazione distorta. Capiamo bene quindi che una volta arrivati a odiare o una volta che siamo oggetto dell’odio è molto difficile tornare indietro. Bisogna necessariamente pensarci prima.

Famiglia Cristiana

LA DISTRUZIONE DELLA GUERRA, IL SOGNO DI DIO PER LA PACE

A 100 giorni dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina tocchiamo con mano quanto è vero che «tutto è connesso». Solo lo sguardo alle tante vittime inermi potrà orientare una politica che miri alla pace

Cari amici lettori, abbiamo superato da poco il 100° giorno di guerra tra Russia e Ucraina. Ci passano sotto gli occhi le prime immagini di bombardamenti su Kiev, la fuga di tanti ucraini, gli orrori dei massacri insensati di civili, il timore per il possibile disastro per le centrali nucleari colpite da attacchi russi, i civili e militari chiusi nell’acciaieria Azovstal, l’uso di armi termobariche, lo spettro di una escalation nucleare, il rapimento di bambini ucraini portati in Russia, e da ultimo l’incombente spettro della fame in altre parti del mondo (Africa, Vicino Oriente) dipendenti dai rifornimenti di grano ucraino bloccati nei porti.

In Europa abbiamo vissuto la paura di essere privati del gas e petrolio russi: si è persino preso in considerazione un ritorno (“temporaneo”) al carbone (che sarebbe un grave passo indietro nella lotta contro il cambiamento climatico). In questa guerra più che mai tocchiamo con mano come «tutto è connesso», concetto chiave dell’«ecologia integrale» di cui parla papa Francesco in Laudato si’ (n. 138). I fattori ambientali, economici e sociali sono intrecciati: è la drammatica realtà anche della guerra. La guerra distrugge vite umane e rapporti familiari e sociali, distrugge la fraternità che è il sogno di Dio per l’umanità (Fratelli tutti, n. 26), distrugge le città e le attività industriali, mette in pericolo l’ambiente (vedi il disastro evitato per un soffio a Chernobyl e altre centrali nucleari) e i fragili equilibri tra le nazioni, dove quelle svantaggiate sono quelle che maggiormente patiscono le conseguenze “a distanza” del conflitto. Papa Francesco in Fratelli tutti richiamava il tema “ambiente” in relazione alla guerra: «Ricordo che la guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente» (n. 257; cfr. LS n. 57).

Osservazione che poteva sembrare marginale, e invece ora si sta rivelando drammaticamente vera. Non si può che sottoscrivere integralmente quanto si legge poco dopo: «La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male» (FT n. 261). Qual è allora lo sguardo cristiano sulla realtà della guerra, che dovrebbe contribuire a costruire una politica che mira alla pace? «Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi… Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace».

La guerra, male in sé, trascina con sé altri mali a cascata. L’unico vero realista, verrebbe da dire, è colui che cerca la pace. Preghiamo, cari amici, perché queste considerazioni facciano breccia anche in coloro che prendono le grandi decisioni della storia. 

Famiglia Cristiana