Ma né la satira né il Corano danno licenza di uccidere

«Questo è l’Islam» era, giovedì 8, il titolo su tutta la prima pagina di Libero, cui seguivano, in seconda, «Le bestie di Allah» e «Quello sparo che uccide l’umanità». Il giorno dopo: «Altro che libertà di stampa. Vietato parlare di Islam».
E il direttore del quotidiano milanese, Maurizio Belpietro,
chiedeva: «Dopo la strage di Parigi esiste ancora libertà di stampa?». Secondo l’opinione di Libero, «i giornali italiani (e non solo) si affannano a nascondere la matrice religiosa dell’attacco terroristico di Parigi».
La strage d’Oltralpe ha messo in moto una serie di esagerazioni infantili e mediatiche che rischiano di aggravare la situazione. Al tempo delle Brigate rosse, nessuno in Italia diceva che i terroristi erano «cristiani» mentre oggi si parla di musulmani coinvolgendo più di un miliardo d’innocenti.
Ci si è messo anche, dal microfono di Radio Padana, il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, che se l’è presa persino con papa Francesco: «Va bene la pace ma sei il portavoce dei cattolici: preoccupati di chi li sta sterminando in giro per il mondo. Dialogando con l’Islam, non fai un buon servizio ai cattolici. Questa è una guerra e rispondere con tolleranza e buonismo è un suicidio».
E puntuale gli è arrivata la risposta di Avvenire: «Ofelè, fa el to mestè (pasticciere, fa’ il tuo mestiere)». Un capopartito, sia pure della Lega, dovrebbe almeno capire che i terroristi sono musulmani, ma non rappresentano certo l’islam; e che più forte e più alto si strilla indistintamente contro «i musulmani» e più i tumori terroristici dell’umma, cioè della comunità islamica, troveranno motivazioni e sostegno.UNA SATIRA LETALE?
«La forma estrema di libertà è la satira». Così Massimo Gramellini dalla sua cattedra su La Stampa (venerdì 9): «La satira non è mai blasfema» perché «non si occupa dell’assoluto, ma del relativo. Non di spiritualità, ma di umanità». La strage di Parigi dimostra il contrario: la morte è un assoluto. Su Il Giornale (giovedì 8) Vittorio Feltri getta un’altra pesante pietra nello stagno di Charlie Hebdo: «Se accadesse qui, tutti direbbero: se la sono cercata». Di fatto e in questo modo Feltri l’ha già detto, e la sua deduzione è altrettanto offensiva, perché qualcuno sull’altra sponda del Mediterraneo potrebbe rivendicare che la forma estrema di libertà è la strage del nemico. E poi, «Magari fosse vero che ne uccide più la penna della spada»: è ben peggiore di una battuta questa della “Jena”, pseudonimo di Riccardo Barenghi, ex direttore del manifesto e ora editorialista (in forma di lazzo) della Stampa. La libertà, è tale soltanto quando rispetta l’avversario, perché – qualsiasi cosa ne dica un’opinionista – la satira può invadere l’assoluto, ferire l’avversario e ucciderlo, magari nella sua figura e nel suo nome. Negli Usa – è proprio La Stampa a riferirlo – «i grandi giornali come New York Times, Washington Post, Wall Street Journal e Usa Today hanno scelto di non ripubblicare le vignette di Charlie Hebdo […] Per l’America i disegni sul Profeta sono stati pensati con lo scopo dichiarato di offendere la religione» e, con essa, il miliardo e 300 milioni di musulmani nel mondo. In Francia, che si proclama madre della “laicità” tanto da aver costruito una “morale laica” di Stato da insegnare nelle scuole, il rispetto dell’altrui pensiero o opinione dovrebbe essere ovvio. Neanche a Francesco Merlo, che lo scrive su Repubblica, «piacciono le vignette anti islamiche di Charlie Ebdo», mentre perfino Paolo Flores d’Arcais e Maurizio Clerici (due anticlericali doc) ritengono, su Il Fatto Quotidiano, che «il fondamentalismo si combatte soltanto con la laicità assoluta» e che «si può graffiare, ma […] questo tipo di libertà non può considerare immondizia i milioni di musulmani». Insomma, nessuna vignetta e nessun Corano danno licenza di uccidere.

avvenire.it

E il Corano «copiò» la Bibbia

L’arcano potrebbe essere svelato. Ovvero. Spesso la lettura del Corano, la sua floridezza testuale che sconfina in una sensazione di testo confuso, causa in molti la facile conclusione: ecco uno scrivere non razionale! E invece, dalla voce di un autorevole islamologo cattolico, arriva l’intuizione – comprovata da decenni di studio – che il sacro testo islamico è letterariamente molto più strutturato di quanto finora ritenuto. Con due postille non indifferenti: la «griglia» su cui il Corano è stato intessuto sarebbe che la retorica semitica, cioè l’arte di scrivere propria del popolo ebreo, confluita poi nella Bibbia.

E per arrivare a ciò, il metodo letterario è più fecondo di quello storico-critico. È questo, in sintesi, quanto sostiene lo studioso d’islam Michel Cuypers, 68 anni, belga di nazionalità, membro della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù, dal 1989 residente in Egitto e collaboratore del’Istituto domenicano per gli studi orientali (Ideo) fondato da Georges Anawati. Il religioso del Belgio per molti anni ha incentrato la sua attenzione intellettuale sulla composizione (nazm) del Corano; prima di abitare e studiare al Cairo, Cuypers ha frequentato l’università di Teheran risiedendo per 12 anni in Iran. Nei mesi scorsi l’islamologo del Cairo è stato protagonista di un «duello culturale» sul sito www.chiesa, curato dal vaticanista Sandro Magister, con Aref Ali Nayed, islamologo libico, già docente alla Gregoriana e al Pisai di Roma. Oggetto del contendere, quale lettura fare (storico-critica, ermeneutica, solo teologica?) del testo coranico.

Nell’ultimo numero della rivista Oasis dell’omonima Fondazione di Venezia, Cuypers riassume le sue ultime ricerche sul Corano, da lui spiegate in Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida (2007), lo scorso anno tradotto in inglese. Nel 2009 è risultato vincitore del premio «Libro dell’anno 2009» del ministero della cultura dell’Iran. Su Oasis il ricercatore dell’Ideo illustra gli approdi del suo percorso che applica i principi della retorica biblica (desunti dall’esegeta Roland Meynet della Gregoriana) al testo islamico. Scrive Cuypers: «Il risultato più importante è stato mostrare che il Corano è un testo costruito a dovere, letterariamente molto elaborato.

È una constatazione che deriva da un’analisi metodica e rigorosa del testo». In cosa si nota questa «razionalità» del Corano? «Il testo obbedisce esattamente a tutte le regole della retorica semitica», soprattutto alle composizioni simmetriche quali parallelismi, chiasmi, composizioni concentriche, ripetizioni, sinonimie, antitesi, figure retoriche che Cuypers riprende da Meynet. Curiosamente i saggi di quest’ultimo vennero tradotti in arabo nel 1993. Le conquiste ermeneutiche che lo studio retorico di Cuypers ha ottenuto riguardano, per esempio, la celebre sura 5, considerata l’ultima a livello redazionale del Corano. In tale testo compare, apparentemente, un’antinomia, segnala l’islamologo: «Molti versetti sono polemici verso gli ebrei e i cristiani mentre diversi altri versetti aprono uno spazio di esistenza e di salvezza per i "popoli del Libro" (ebrei e cristiani) accanto ai musulmani».

Ebbene, spiega Cuypers, si può comprendere tale contrasto se lo si legge con gli occhi della retorica semitica dove «il centro ha sempre un’importanza particolare come chiave d’interpretazione per il testo nel suo insieme. Si constata talvolta un vero paradosso tra i versetti centrali che testimoniano una grande apertura, una sorta di saggezza universale, e i versetti periferici che li racchiudono, più duri, esclusivi o polemici». Tanto più che Cuypers annota: «Una lettura attenta del testo mi ha convinto di numerosi riferimenti [nel Corano, ndr] a testi anteriori: prima di tutto la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento), ma anche testi rabbinici (la Mishnah) o apocrifi (Infanzia di Gesù). Alcuni di questi riferimenti sono noti da tempo, ma altri sono nuovi o inattesi (come il Deuteronomio, alcuni Salmi, il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, Passi di San Matteo o della lettera agli Ebrei)».

I risultati dell’intellettuale di stanza al Cairo rilanciano quella «dipendenza» dalle fonti bibliche già segnalate da Joachim Gnilka. Questo noto esegeta Münster (lodato da Benedetto XVI per il suo Gesù di Nazaret. Annuncio e Storia, Paideia), affermava di recente in un suo saggio – in Francia edito da Cerf con il titolo Qui sont le chrétiens du Coran – che le radici cristiane del Corano sono prettamente di ambiente matteano e probabilmente di natura giudaico-cristiana. Scoperta che faceva dire a Gnilka: «Riteniamo che il Corano non presuppone una conoscenza diretta degli scritti canonici neotestamentari», ma solo una parte di essi, quella accettata dai giudeo-cristiani eretici rispetto alla comunità canonica retta da Pietro. Un dato comunque che conferma la linea-Cuypers: il Corano si è modellato su una radice semitica, simile a quella biblica. L’islam condivide con ebraismo e cristianesimo il suo alfabeto religioso. In tempi di stentato dialogo interreligioso, non è annotazione da poco.

Lorenzo Fazzini – avvenire 9 Gennaio 2010