VIA LE MASCHERINE PER GLI SPOSI SULL’ALTARE. LO HA DECISO LA CEI. GUANTI NON PIÙ OBBLIGATORI PER COMUNIONE

Cade già da oggi l’obbligo per gli sposi di indossare la mascherina al momento della celebrazione del matrimonio. Resta invece per il sacerdote l’indicazione di proteggere le vie respiratorie e di mantenere la distanza di almeno un metro dagli sposi. A riferire la novità è la Conferenza Episcopale Italiana. Il Comitato Tecnico Scientifico, interpellato dal Viminale, osserva che, “non potendo certamente essere considerati estranei tra loro, i coniugi possano evitare di indossare le mascherine, con l’accortezza che l’officiante mantenga l’uso del dispositivo e rispetti il distanziamento fisico di almeno un metro”.

ansa

I divorziati e l’eucarestia. La lettera del sindaco Sala e le risposte che dà la Chiesa

da Avvenire

È raro che un politico parli della sua vita di fede. Il primo cittadino di Milano lo ha fatto rivelando un’adesione di fede e una ferita

Giuseppe Sala, sindaco di Milano

Giuseppe Sala, sindaco di Milano – Fotogramma

È raro che un politico parli della sua vita di fede. Il sindaco Beppe Sala lo ha fatto rivelando un’adesione e una ferita. Un atto di coraggio e di chiarezza. Che non può che essere apprezzato da chi, come noi, da anni è impegnato a divulgare e promuovere la svolta pastorale voluta da papa Francesco all’insegna dell’accoglienza e della misericordia. Nella confessione spirituale che ha affidato, la vigilia di Natale, alle pagine de “la Repubblica”, il sindaco di Milano rivela «di non poter fare a meno del confronto con il Mistero» e di partecipare regolarmente alla Messa domenicale, ma di sentirsi «a disagio rispetto al momento della Comunione, essendo divorziato e in uno stato che non mi consente di accostarmi al Sacramento».

Se una persona seria e preparata come Sala, è costretta ad ammettere un disorientamento spirituale per la sua condizione di divorziato risposato, significa che la strada per trasformare in consapevolezza diffusa le indicazioni uscite dal doppio Sinodo sulla famiglia (2014 e 2015) voluto da papa Francesco e poi dall’esortazione apostolica Amoris laetitia, è ancora lunga.

In quel testo il Papa scrive in modo esplicito che nessuno deve sentirsi condannato per sempre e che la Chiesa è chiamata ad offrire a tutti, compresi i divorziati risposati a cui è dedicato un intero capitolo – l’VIII – la possibilità di vivere pienamente il proprio cammino di fede. In questo cammino si può comprendere anche l’aiuto dei sacramenti (nota 351).

Non è un’opinione. È quanto emerso da un cammino sinodale proseguito per oltre tre anni che il Papa ha sancito con la sua parola. Poi, di fronte alle critiche e ai distinguo, Francesco ha voluto che l’interpretazione da lui considerata più efficace, quella dei vescovi della regione di Buenos Aires, fosse inserita nei cosiddetti Acta apostolica sedis – gli atti ufficiali della Santa Sede – a ribadire che indietro non si torna e che tutte le diocesi del mondo devono incamminarsi lungo quella strada.

Milano non fa eccezione. Inutile far riferimento al rito ambrosiano e alle aperture del cardinale Carlo Maria Martini, che su questi aspetti non ci sono state, in quanto scelte che non si potevano e non si possono pretendere da una singola Chiesa locale.

Francesco, come detto, ha ritenuto necessarie due assemblee mondiali dei vescovi per gettare i semi del cambiamento. Una persona divorziata e risposata che desidera riaccostarsi alla Comunione – spiega il Papa – può chiedere l’aiuto di un sacerdote preparato per avviare un serio esame di coscienza sulle proprie scelte esistenziali.

Sei, in rapidissima sintesi, i punti da non trascurare: quali sforzi sono stati fatti per salvare il precedente matrimonio e ci sono stati tentativi di riconciliazione? La separazione è stata voluta o subita? Che rapporto c’è con il precedente coniuge? Quale comportamento verso i figli? Quali ripercussioni ha avuto la nuova unione sul resto della famiglia? E sulla comunità? Domande spesso laceranti e risposte non codificabili, che possono richiedere anche lunghi tempi di elaborazione e da cui non derivano conseguenze uguali per tutti. Ma anche modalità pastorali efficaci per metterle in pratica.

Trovare e attuare queste buone prassi è faticoso e Sala, con le sue parole, ha dato voce a un disagio e una sofferenza spirituale, ma anche a una speranza, che condivide con tanti altri credenti, divorziati e risposati.

La parrocchia: scuola di comunione

I nostri non sono momenti facili. La nostra è un epoca di grandi e velocissime trasformazioni. E non siamo pronti. Del resto sarebbe da presuntuosi pensare di esserlo. E come se un contadino sapesse già, nel momento della semina, che cosa gli serve per proteggersi da siccità o grandine, come Noè dal diluvio. La vita si presenta sempre nuova. È un sfida continua. E bisogna entrare in questa sfida con umiltà e fiducia. Entriamo in ogni novità con i mezzi e le conoscenze che abbiamo. Non abbiamo la soluzione in tasca, e non possiamo neanche pensare ogni volta: “adesso è la fine”. È semplicemente la novità che ci visita. Le soluzioni arrivano e si affacciano lentamente. A volte la soluzione è nella testa, a volte è fuori dalla nostra portata, a volte è nel problema, a volte è il risultato di un lungo processo e travaglio, a volte si presenta come un regalo.

Ogni realtà porta con sé i suoi frutti e le sue malattie. La nostra è un’epoca dove giganteggia l’individualismo, dove lo si esaspera, dove lo si esalta, dove lo si abbraccia come la via più giusta, più sicura e più veloce. La parrocchia, anche se all’orecchio di molti può avere il suono di una realtà superata, è un luogo che può aiutarci a ritrovare quello che stiamo perdendo senza abbandonare ciò che di bello ancora ci appartiene.

Comunione, comunità, fraternità

In un tempo dove siamo molto poveri nelle relazioni, dove abbondano i sorrisi virtuali, si raccoglie dalla nostra fragilità una solitudine spaventosa. Nella mia esperienza di parroco colgo che la gente cerca un riparo da questa orribile peste della solitudine. Cerca un’oasi dove trovare ristoro. Cerca un luogo dove può estinguere la sua sete. Cerca amicizia. È felice appena trova un briciolo di comunione, di comunità, di fraternità… certo spesso non ha la pazienza di aspettare, di costruire, di passare ad un livello più profondo, ma è affamata di comunione. E quale luogo può essere più idoneo se non quello dove risuona la parola che dice “amatevi gli uni gli altri” e dove si può ascoltare la “Voce” che insegna tutti a farlo?

Diceva un grande parroco, don Primo Mazzolari, ultimamente onorato insieme a don Lorenzo Milani da papa Francesco: «L’amore colma i vuoti dell’uomo: dove c’è un vuoto più grande, occorre una sovrabbondanza d’amore, una predilezione, che non è affatto un privilegio, molto meno un’ingiustizia. Gesù, che pure ci ama a uno a uno senza misura, ha la predilezione dei poveri, dei bambini, dei malati, dei peccatori.

Quindi, dicendo che la parrocchia è a servizio dei poveri, non solo non si toglie niente a nessuno, ma si dà, o si riconosce, nella comunità parrocchiale, una funzione primaria a coloro che non si credono poveri.

Chiamo i ricchi così, perché la più grande disgrazia è quella di non crederci poveri, scomunicandoci dalla prima beatitudine».

La parrocchia ha delle grandi chance nel nostro tempo.

Può offrire gli strumenti per regalare agli uomini e alle donne contemporanee il sale della vita che non sta nel portafogli, nella bellezza, nella carriera, nella nostra falsa libertà, nell’efficienza, nel piacere, nella sicurezza, ma nell’amore. Nell’accogliere e nell’essere accolti. Nel riconoscere e nell’essere riconosciuti. Può essere (e lo dovrebbe essere sempre) una scuola di comunione. «Non è bene che l’uomo sia solo»! L’uomo nella single-tudine perde la sua grandezza e la sua nobiltà.

Prima la vita, poi le strutture

Sostieni SettimanaNews.itCerto, e qui andiamo subito nel cuore della questione, se uno pensa alle strutture, alle forme, all’organizzazione, ai programmi e ai piani pastorali, tante cose sono superate e vanno sicuramente riviste e ripensate ma qui si tratta di una vita che precede e deve sempre precedere ogni struttura e strategia. La vita delle persone viene prima e tutto il resto viene dopo. Non è l’uomo che è stato fatto per il sabato ma il sabato per l’uomo. Ecco perché questa povertà di relazioni, questo triste accumulo di solitudine, questa frantumazione, questo isolamento nel quale si trova l’uomo contemporaneo, è un punto di partenza necessario e utile per ripartire e ritrovare gusto nelle fatiche pastorali.

Del resto, è stato lo stile di Gesù di Nazaret che ha cominciato dalla gente, e soprattutto dai più poveri, non soltanto di beni ma di vita, quelli che tutti ormai giudicavano come falliti e persi (i peccatori). Non dimentichiamo che Gesù è stato continuamente accusato per quelli che avvicinava. Bisogna ripartire dalla vita. Dalla gente, non dai muri e tantomeno dai programmi o dai convegni. La capillarità delle parrocchie sul territorio ci mette già sotto il naso una grande via d’uscita dalla nostra sfiducia: la gente. Basta aprire le porte, basta uscire fuori, basta cominciare a parlare, basta cominciare ad ascoltare, basta buttarsi nella mischia e prima di farsi maestri farsi compagni di viaggio e fratelli nelle fatiche e nelle angosce, nelle gioie e nelle speranze.

Ancora la parrocchia oggi può offrire senso. Siamo velocissimi. Ma spesso non sappiamo verso dove andiamo e qual è la destinazione della nostra corsa. Arriviamo prima ma non sappiamo dove. Che fatica a guardare avanti!

Ci manca la prospettiva. Ci manca una visione d’insieme. Siamo, molto spesso, preoccupati di essere ben equipaggiati ma pensiamo poco alla destinazione. Pensiamo a fare bene lo zaino e non ci interessiamo della mèta. Abbiamo buonissime valige e tutte piene, ma non sappiamo dove andare. Imbocchiamo strade che non sappiamo dove portano. Ci stanchiamo girando attorno e senza muovere passi verso una direzione. Spariamo senza avere un bersaglio.

Ci affatichiamo senza avere un progetto. Abbiamo l’agenda piena in una vita vuota. Siamo obesi, ma non siamo sazi. Abbiamo una casa ma non abbiamo la famiglia. Ho l’impressione che, in queste corse impazzite, siamo tutti costretti a stordirci per coprire il malessere che abita l’anima. Giriamo a vuoto. Camminiamo tanto, per non arrivare da nessuna parte. Dobbiamo anestetizzare il dolore che viene da dentro. Dobbiamo coprirlo con una quantità di cose, droghe, fughe, alienazioni, ubriacature … perché altrimenti ci prende un’angoscia che ci devasta.

La parrocchia può offrire senso, può aiutare chi si avvicina, ad alzare la testa e a fissare la meta. Può rimettere in moto l’uomo moderno se non rinuncia ad essere luce. L’uomo che cerca il pane, ed è giusto che lo faccia, non ha mai raggiunto la pace quando l’ha trovato. Quando ha trovato pane in abbondanza, ha trovato di sicuro l’abbiocco ma non la pace. La vita di molti, oggi, sembra come la strada che deve percorrere il condannato a morte che è stato chiamato dalla sua cella perché il boia è pronto. Diventa un tragitto senza slancio, triste, in cui anche se si riesce a fare qualche passo in avanti, i piedi si rifiutano di camminare. È vero che i giovani non riescono a guardare al futuro! Ma ho la sensazione che non sono molti quelli che ci riescono neanche tra gli adulti. Non basta essere bene equipaggiati.

Dove nasce la vita

La parrocchia può offrire moltissimo all’uomo smarrito del nostro tempo. Senza presunzione e forzature (bellissima l’immagine del sale e del lievito: stare dentro senza apparire, portare gusto e aiutare a crescere rimanendo nascosti) la piccola comunità cristiana può offrire una carità che chi passa non chiede ma che urla e grida nel cuore di tutti. Forse stiamo vivendo un tempo in cui contano più i gemiti che le parole, in cui sono più eloquenti le lacrime che i discorsi. La parrocchia può offrire mete da vertigini. Può (e deve, se non vuole perdere sapore) indicare il Cielo. Può aiutare tutti ad alzare lo sguardo e a contemplare lontano. Può aiutare tutti a fissare la meta e a dare senso e slancio vero alla nostra corsa.

È bellissimo il campanile in una parrocchia. E forse non è neanche un caso che spesso diventa motivo di disturbo per molti. Perché la sua struttura che si innalza racconta e offre una destinazione ostinata e contraria rispetto a tutte le nostre corse. Punta altrove rispetto a tutti i nostri affanni.

E qui c’è lo spazio per le nostre piccole comunità cristiane per ritrovare se stesse, il loro valore e la loro validità, per ricordare la loro missione e la loro importanza. Farsi compagni di viaggio per poi illuminare, con garbo e pazienza, le trame della vita.

La parrocchia oggi, se non rinuncia alla sua missione unica, primaria, essenziale, necessaria… di far risuonare la Parola, non soltanto sopravviverà ma sarà un luogo dove nasce la vita. Come lo è sempre stato, con tutti i limiti di ogni tempo. E poi campioni, giganti, grandissime e nobilissime creature come T. Bello, Madre Teresa di Calcutta, Gianna Beretta Molla, Karol Wojtyla… dove sono nati? Da quale grembo sono stati generati? Se la parrocchia non rinuncia alla sua missione che coincide con la sua nobiltà, la sua grandezza e il suo fascino non sarà un luogo morto o un reperto storico ma sarà un grembo che genera.

Spesso confondiamo tutti l’istituzione con la realtà. La parrocchia è una piccola comunità cristiana. Potranno cadere tante realtà che sono state utili un tempo, potranno sparire le chiese, e tutto ciò che le circonda, gli archivi, i documenti, i teatri, i campi di calcetto, le feste di paese, le processioni, le devozioni, le candele da accendere, le sagrestie, le lotterie… ma questa non è la realtà. Era ed è un aiuto alla realtà. Ciò che conta è la comunità dei fratelli guidata da un presbitero, cioè da qualcuno che non si tiene per sé quanto ha ricevuto.

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Sinodo della famiglia «Mezza ostia al mio papà risposato» La storia che commuove il Sinodo

Quando si parla di divorziati risposati o – come sarebbe più corretto – di “persone separate in nuova unione”, si dimenticano troppo spesso i figli. Eppure non è trascurabile il fatto che l’invito a non accostarsi alla comunione che la Chiesa rivolge a queste persone, rischia talvolta di trasformarsi in una scelta che disorienta i piccoli. E, mentre si esortano i padri e le madri “in nuova unione” ad essere comunque buoni genitori, coerenti sul piano educativo anche dal punto di vista della fede, si consiglia loro di mantenersi su un piano di “parziale coniugalità”. Una contraddizione? In attesa di capire se l’impegno educativo costante e appassionato valga meno della sessualità sponsale, il Sinodo si commuove proprio per la storia di un bambino, figlio di un divorziato risposato. Un bambino che – come ha raccontato un vescovo durante la congregazione generale di questa mattina – spezza in due l’ostia per darne una metà al padre che non avrebbe potuto riceverla. Il presule, come lui stesso ha riferito, stava distribuendo le particole, in occasione di una Messa per le Prime Comunioni. Il bambino di fronte a lui ha preso l’ostia e l’ha spezzata a metà, consegnandone una parte al padre. Il vescovo ha poi saputo che l’uomo si era trovato in più occasioni a tentare di spiegare al piccolo perché lui, divorziato risposato, non potesse accostarsi alla Comunione. Un ostacolo non da poco in un progetto di educazione alla fede che, come tutti i percorsi pedagogici, dovrebbe essere nutrito più di esempi e di gesti che non di parole.

E probabilmente anche a questo aspetto devono aver pensato i padri sinodali che, ascoltando il racconto, non si sono preoccupati di nascondere la loro commossa partecipazione.

Il tema della riammissione ai Sacramenti è stata al centro anche degli interventi di altri padri sinodali, visto che la Congregazione generale affronta oggi la terza e ultima parte dell’Instrumentum laboris, quella appunto in cui si parla anche dell’accoglienza pastorale delle famiglie ferite e spezzate. «Una via penitenziale e un cammino spirituale più strutturato per i divorziati risposati – ha spiegato questa mattina al consuetoi briefing, padre Federico Lombardi – è una delle proposte che i padri sinodali hanno avanzato nel corso dei 93 interventi. Alcuni padri – ha proseguito – sostengono che la Chiesa non possa escludere permanentemente dall’Eucarestia alcuni fedeli, altri che il ruolo della Chiesa non è quello di aderire all’opinione pubblica».

Sul tema è tornata anche Romilda Ferrauto, responsabile in lingua francese per i briefing della Sala stampa vaticano: «Anche non è stato l’unico tema trattato, tutt’altro, bisogna riconoscere che la questione della comunione per le coppie di divorziati risposati è ampiamente tornata nella valanga degli interventi delle ultime 24 ore».

Un dibattito che ha fatto emergere, anche se con toni rispettosi delle diverse opinioni, la divergenza tra chi vorrebbe mantenere inalterati i divieti vigenti e fa appello alla prudenza, e chi dice al contrario sostiene che la Chiesa «dev’essere accanto alla gente – ha proseguito Romilda Ferrauto – malgrado i loro fallimenti, senza per questo tradire la dottrina».

Al di là delle due posizioni più esplicite, molti vescovi hanno osservato che, in ogni caso, un percorso pastorale segnato dalla misericordia e dall’accoglienza non prevederebbe un accesso indiscriminato alla comunione, ma proporrebbe un approccio personalizzato affidato alla verifica dei dei vescovi diocesani. Posizioni molto variegate, tanto che uno degli intervenuti – come è stato riferito durante il briefing – ha detto di«aver percepito una gamma di tonalità da zero a cento». Molti dei padri, ha sottolineato da parte sua Bernd Hagenkord, collaboratore di padre Lombardi per la lingua tedesca, «sono intervenuti in difesa e per una chiarificazione della dottrina cattolica sul matrimonio e la famiglia, dicendo che è necessario riassumere in modo chiaro e univoca la visione cristiana del matrimonio e sottolineando che la Chiesa non ha l’autorità o il potere di cambiare la Parola di Dio. Altri, d’altro canto, hanno sottolineato che seguendo l’insegnamento di Gesù, la Chiesa non può escludere permanentemente alcuni fedeli dai sacramenti, perché non siamo funzionari di dogana che controllano la purezza dei cristiani».

Stesso tema anche l’intervista parallela rilasciata a Radio Vaticana dall’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo, e dal cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’economia. Al Sinodo c’è «un clima di grande coinvolgimento di tutti i padri. Papa Francesco – ha ricordato Forte – ci ha chiesto di parlare con estrema libertà di tutto. Precisò all`inizio del Sinodo straordinario: “Non c`è nulla di cui non si possa parlare”. E questo si sta realizzando e credo che sia molto costruttivo, perché mostra una Chiesa viva, corresponsabile e partecipe. Tradurre questa partecipazione e questo coinvolgimento in uno spirito di complotti o di divisioni, mi sembra che sia una forzatura di chi guarda solo dall`esterno le cose, senza viverle dal di dentro. Non dimentichiamo che siamo tutti uomini di fede, che sentono responsabilità verso Dio e verso i fratelli. E questo ci unisce ben più fortemente di tutte le possibili ed ipotetiche contrapposizioni partiti che che vorrebbe applicarci».

Il segretario speciale del Sinodo è poi tornato sulla contrapposizione verità e misericordia. Chi continua a presentare questa presunta dicotomia, ha spiegato il segretario speciale «dimentica che la verità del Dio cristiano è l`amore del Dio Trino: dunque la misericordia come centro, cuore, punto di inizio e di orientamento di tutto ciò che noi viviamo. Papa Francesco ce lo ha ricordato nella “Misericordia Vultus”. Questo Sinodo sta cercando di capire come questo primato della misericordia possa essere applicato in tutte le forme di vita pastorale nei confronti della famiglia e in particolare delle famiglie ferite».

Diversa la lettura proposta da Pell: «La Chiesa è come una madre e maestra. E una madre saggia non sempre dà ai figli tutte le cose che loro vogliono. Perché la madre è molto interessata non soltanto ai deboli, ma a tutti i figli e vuole lavorare per mantenere la salute della famiglia. Ovviamente – ha ammesso il porporato – ci sono accenni differenti su alcuni temi. Ugualmente, è ovvio che il Santo Padre dica che la dottrina non sarà toccata. Siccome noi parliamo della dottrina morale, sacramentale, in questa e c’è un elemento essenziale della prassi, della disciplina. Qualcuno dice che ricevere la comunione potrebbe essere un sacrilegio e in un altro, al contrario, che potrebbe essere un’opportunità o una causa di grazia, ma siamo una Chiesa unita: tante teologie, tanti e diversi metodi di preghiera, di devozione, ma c’è un’unità essenziale sulla dottrina e sui sacramenti. Seguiamo Cristo e San Paolo in questo e tutta la storia della Chiesa».

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