Il tema del Sinodo era: “Testimoni e annunciatori della misericordia di Dio”, declinato in cinque ambiti: la comunità cristiana, la famiglia, i presbiteri, i giovani e i poveri

di: Gabriele Ferrari – settimana news

Apertura del Sinodo diocesano

Da ventidue anni abito nella casa saveriana di Tavernerio (Como) e, concluso il periodo di insegnamento nel Seminario nazionale del Burundi, sono ora impegnato nella vita della diocesi di Como. Il Vescovo mi ha nominato delegato episcopale per la vita consacrata e, come tale,  faccio parte del Consiglio episcopale. Vivo quindi da vicino la vita di questa Chiesa. A partire dal 2017 il Vescovo mi ha chiesto di partecipare alla progettazione del XI Sinodo diocesano di cui sono poi diventato membro effettivo. In questa veste, ma a titolo del tutto personale, offro un primo sguardo incompleto e provvisorio, del Sinodo da poco tempo concluso.

Il XI Sinodo diocesano della Chiesa di Como, indetto il 31 agosto 2017 ed inaugurato dopo la fase preparatoria e la consultazione del popolo di Dio, il 12 gennaio 2020, è giunto alla sua conclusione il 4 giugno 2022.

Il tema del Sinodo era: “Testimoni e annunciatori della misericordia di Dio”, declinato in cinque ambiti: la comunità cristiana, la famiglia, i presbiteri, i giovani e i poveri. Ben presto ci si è resi conto di aver messo troppa carne al fuoco.

Per questo il 26 settembre del 2020 (3a sessione sinodale) i sinodali hanno votato una mozione presentata dalla presidenza del Sinodo che concentrava l’attenzione su un unico tema: “Misericordia e comunità cristiana”. Tuttavia, come era facile prevedere, anche gli altri quattro ambiti, in modo surrettizio, sono rientrati nell’unico tema sinodale.

Il numero dei sinodali, gli eletti dalla base, i membri di diritto e quelli nominati dal Vescovo, era 288, di essi 199 erano uomini e 89 le donne, 174 i laici, 88 i presbiteri, 4 i diaconi permanenti, 21 i consacrati e le consacrate e un seminarista. La loro età media era 53 anni; i giovani tra i 20 e i 30 erano 22. Il Sinodo si è concluso lo scorso 4 giugno 2022, vigilia di Pentecoste, in Cattedrale, dopo quasi cinque anni dall’indizione e dopo 12 sessioni sinodali plenarie, due delle quali on line a causa della pandemia.

Il Documento finale, approvato dal Sinodo nella 12° sessione (21 maggio 2022), è composto di 136 proposizioni ed è stato presentato al Vescovo Oscar nel corso della celebrazione eucaristica conclusiva, il 4 giugno 2022. Esso sarà promulgato con apposito documento dal Vescovo Oscar, appena saranno conclusi gli impegni legati alla sua nomina a cardinale, annunciata dal Papa lo scorso 29 maggio.

Ripensando al cammino percorso, si possono già fare alcune prime considerazioni.

  • Il Sinodo è stato un tempo di grazia che ha fatto crescere la coscienza ecclesiale del popolo di Dio, nell’ascolto comunitario della Parola, nel bisogno di essere insieme. La consultazione previa della comunità diocesana è stata ben partecipata e coinvolgente, anche se non è riuscita a produrre una riflessione profetica, aperta non solo al mondo di oggi ma anche al futuro. Sarà un compito per il post-sinodo proiettare le proposte del Sinodo nel futuro della pastorale diocesana.
  • È stato tuttavia un esercizio di autocoscienza, prezioso ma impegnativo per mancanza di abitudine alla ricerca comune e all’ascolto reciproco. I sinodali divisi in oltre venti circoli territoriali, hanno via via affrontato gli argomenti che l’Instrumentum laboris proponeva e, sempre illuminati dalla Parola di Dio e dalle puntuali indicazioni del Vescovo Oscar, sono riusciti a superare la fatica del ricercare punti di equilibrio fra le molte opinioni, e la stanchezza prodotta anche dalla pandemia che ha accompagnato i lavori sinodali.
  • La fatica fatta nella elaborazione del documento finale e, prima ancora, nella conduzione dei lavori dell’assemblea, delle commissioni prima e dei gruppi territoriali di riflessione, è stata ampiamente ripagata anche se non tutti gli obiettivi sono stati pienamente raggiunti. Credo che si possa dire che è cresciuta coscienza di Chiesa, il senso di corresponsabilità e di comunione superando i limiti oggettivi della struttura geografica della Chiesa di Como molto estesa e composita che si estende su tre diverse province.
Che cosa ci ha insegnato il lavoro sinodale?

La prima “scoperta” (se così la si può chiamare) è stata la grande varietà di ambienti, di approcci pastorali e di persone e quindi di pareri e opinioni che caratterizza la diocesi di Como. Di qui il bisogno di “convenire”, di ascoltarsi e di dialogare per approfondire la comunione nella corresponsabilità, comunione che non è un’uniformità che livella, ma un comune sentire e volere, in una parola, la sinodalità della Chiesa.

È quindi emerso il bisogno di ascolto delle molte voci, prima di pretendere di armonizzarle in una sinfonia pastorale. Dalla lettura dei risultati della consultazione preliminare fino alle proposte di modifica nel corso dei lavori sinodali è emerso il bisogno di cercare ancora insieme e di discernere quello che riguarda il futuro della nostra Chiesa, per non rimanere vittime della passività, della dispersione e del clericalismo.

Di fatto il lavoro sinodale ci ha avvicinato mostrando – a chi la voleva vedere – l’azione discreta e silenziosa dello Spirito che ha trasformato il Sinodo in una “conversazione spirituale” tra i sinodali e tra di loro e il primo Interlocutore, lo Spirito, emersa anche nella votazione finale del Documento.

Un altro insegnamento emerso dai lavori sinodali è il bisogno che il Sinodo avrebbe avuto di un più puntuale e continuo discernimento. Questo è forse ciò che più è mancato nel lavoro sinodale. D’altro canto, il discernimento è un compito impegnativo perché richiede tempo e pazienza e perché non è un’operazione spontanea. Malgrado l’intervento di un gesuita esperto in materia, non abbiamo saputo mettere in pratica quello che egli ci ha insegnato: la teoria era per sé chiara, ma non lo è stata altrettanto la sua applicazione pratica.

Pur sapendo che lo Spirito parla attraverso i piccoli e i semplici, abbiamo anche compreso che Egli parla e istruisce la Chiesa attraverso competenze che non sono date a tutti. Soprattutto su temi complessi non si deve correre il rischio, verificatosi puntualmente anche nel nostro Sinodo, di pronunciarsi sulla base di sensazioni o emozioni o rappresentazioni non fondate o verificate nella realtà.

La più importante scoperta fatta durante il Sinodo è che esso è stato un evento di grazia, il cui metodo (la “sinodalità”) deve rimanere come un “modulo” per la vita delle comunità cristiane. Il Sinodo quindi non si è concluso il 4 giugno u.s. in Cattedrale. “Una conclusione, cioè un nuovo inizio” è stato il tema dell’omelia del Vescovo alla fine del Sinodo. Lo stile sinodale deve rimanere come stile e metodo della Chiesa di Como da mettere in atto ai diversi livelli di comunità, locale, vicariale e diocesana. La “sinodalità” come la comunione e la missione è lo spirito e il metodo della Chiesa nell’evangelizzazione.

Elementi di criticità emersi nel corso del Sinodo

Un primo elemento di criticità è stato il numero eccessivo dei sinodali. Una assemblea di quasi trecento persone è difficile da guidare in modo che ciascuno se ne senta davvero parte attiva. Questo spiega – almeno in parte – il diradarsi della partecipazione e una certa stanchezza o disaffezione che è progressivamente emersa fino a giungere ai 183 votanti nell’ultima assemblea. Anche la molteplicità dei temi e la metodologia cambiata in corso d’opera hanno distolto certi sinodali dal perseverare nel cammino.

Un altro elemento oggettivo di criticità, difficilmente rimediabile, è la composizione geografica e culturale della diocesi di Como che si estende su tre province, Como, Sondrio e Varese con sensibilità umane e pastorali molto diverse tra loro. Pensare a scelte uguali o omogenee è fuori della realtà. Del resto, anche a prescindere dalle differenze geo-culturali, le attese erano troppo disparate: chi dal Sinodo attendeva un codice di norme per tutti, chi soltanto una legge quadro, chi nessuna delle due ipotesi, ma solo una generica spinta profetica che aprisse gli orizzonti della nostra Chiesa.

Il risultato finale – presente però dall’inizio – ha rivelato una comunità cristiana abbastanza introversa, che rischia di dimenticare che la Chiesa esiste per gli “altri” (“Andate in tutto il mondo”) e non anzitutto per il benessere dei fedeli. Anche a Como ci sono molti non cristiani, molti cristiani indifferenti oltre a molti genuini cercatori di Dio che però rimangono al margine della nostra pastorale. A parecchie riprese il Vescovo ha richiamato il Sinodo a essere profetico, concreto e missionario, attento a chi non varca le soglie delle nostre chiese, a diventare una “chiesa in uscita”, come suggerisce Papa Francesco.

Una sorpresa e un frutto insperato

Il protrarsi del tempo del Sinodo, dovuto soprattutto alla pandemia, ha sicuramente complicato il lavoro sinodale e ha contribuito a diluire l’attenzione dei sinodali. Ma questo non è stato solo un elemento di criticità che si è aggiunto.

È stato anche un provvidenziale appello a cercare di comprendere ciò che Dio voleva dire alla Chiesa di Como, l’occasione per concentrarci sull’essenziale della fede, rendendoci conto della crisi già in atto nella Chiesa già prima della pandemia. Ci ha anche costretti a individuare vie nuove per la missione. “Nella fine è l’inizio” è stato uno slogan di questo tempo.

E il Sinodo potrebbe esserne la prova anche se cambiare è sempre impegnativo e la strada conosciuta è sempre un richiamo che pericolosamente attira più che la proposta di una nuova via.

Riflettendo sulla misericordia di Dio abbiamo scoperto che non è ciò che Dio fa, ma chi è Dio e ci siamo convinti che la misericordia deve essere, come detto dal Papa, “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa”, anche della Chiesa di Como, chiamata ad essere una Chiesa che non giudica ma accoglie, che non esclude ma include, che non conta sui suoi mezzi e strutture ma una Chiesa povera e semplice che conta solo sulla misericordia ricevuta e offerta.

Ci siamo accorti di essere lontani da questo traguardo. Il vescovo Oscar l’aveva detto nella messa crismale del 2020: “Siamo sicuri che ne uscirà una nuova immagine di Chiesa più povera, più umile, meno dotata di strutture, ma forse più accogliente, non giudicante, amica degli uomini e in cammino con loro a immagine di Gesù”.

Lo stesso concetto è stato ripreso dal Vescovo nell’omelia della celebrazione conclusiva del Sinodo: “La Chiesa è infatti chiamata a diventare un segno vivo, una presenza semplice, ma trasparente della misericordia di Dio, della sua tenerezza e del suo amore di Padre”. Riuscirà la Chiesa di Como a diventare una chiesa più popolare e solidale e soprattutto una chiesa sinodale, come la desidera papa Francesco e come essa è e deve essere?

Il Sinodo della Chiesa di Como, pur precedente nella sua indizione, si sta intrecciando con il cammino sinodale della Chiesa italiana che, pungolata da Papa Francesco, ha finalmente messo in moto un proprio cammino sinodale e nello stesso tempo, non può ignorare il sinodo che il Papa ha proposto alla Chiesa universale che prevede addirittura due anni di sinodo.

Il Sinodo comasco si inserisce quindi in questo auspicato processo di rinnovamento e di “conversione pastorale e missionaria” della Chiesa di cui sentiamo il bisogno in questo tempo di transizione verso il “cambiamento d’epoca” che stiamo faticosamente vivendo.

Settimana News

Chi sono i nuovi #cardinali

I nuovi cardinali, che il Papa creerà nel concistoro del 27 agosto sono: monsignor Arthur Roche, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; monsignor Lazzaro You Heung sik, Prefetto della Congregazione per il Clero; monsignor Fernando Vergez Alzaga, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; monsignor Jean-Marc Aveline, arcivescovo Metropolita di Marsiglia; monsignor Peter Okpaleke, vescovo di Ekwulobia (Nigeria); monsignor Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo Metropolita di Manaus (Brasile); monsignor Filipe Neri Antonio Sebastiao di Rosario Ferrao, arcivescovo di Goa e Damao (India); monsignor Robert Walter McElroy, vescovo di San Diego (Usa); monsignor Virgilio Do Carmo Da Silva, arcivescovo di Dhili (Timor Orientale); monsignor Oscar Cantoni, vescovo di Como; monsignor Anthony Poola, arcivescovo di Hyderabad (India); monsignor Paulo Cezar Costa, arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Brasilia (Brasile); monsignor Richard Kuuia Baawobr M. Afr, vescovo di Wa (Ghana); monsignor William Goh Seng Chye, arcivescovo di Singapore (Singapore); monsignor Adalberto Martinez Flores, arcivescovo Metropolita di Asuncion (Paraguay); monsignor Giorgio Marengo, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar (Mongolia).

Per quanto riguarda, invece, i non elettori, il Pontefice ha annunciato i nomi di monsignor Jorge Enrique Jimenez Carvajal, arcivescovo Emerito di Cartagena (Colombia); monsignor Lucas Van Looy sdb, arcivescovo Emerito di Gent (Belgio); monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo Emerito di Cagliari (Italia); Gianfranco Ghirlanda, Professore di Teologia; monsignor Fortunato Frezza, Canonico di San Pietro.

L’unico italiano “residenziale” è il vescovo di Como. Monsignor Oscar Cantoni, 71 anni, originario di Lenno, è stato ordinato sacerdote nel 1975.  Subito dopo l’ordinazione sacerdotale gli è stato affidato l’incarico di curare la pastorale vocazionale diocesana. Ha contribuito a fondare, nella Diocesi di Como, l’ “Ordo Virginum” (associazione di vergini consacrate). Nel 1986 (incarico che ha mantenuto fino al 2003) è stato nominato padre Spirituale del Seminario di Como. Dal 2003 vicario episcopale per il Clero, è stato poi nominato vescovo nel 2005. Ha preso possesso della Diocesi di Crema il 19 marzo 2005, mentre dal 4 ottobre 2016 è vescovo di Como. Attualmente è assistente del Delegato per i Seminari d’Italia.

Monsignor Giorgio Marengo, missionario della Consolata, è stato, fino all’8 marzo 2021 il più giovane vescovo italiano. Nato a Cuneo il 7 giugno del 1974, si è formato negli scout. Dopo gli studi filosofici presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma, ha emesso i voti il 24 giugno del 2000 ed è stato ordinato presbitero l’anno seguente. Inviato missionario in Mongolia, è stato parroco di Maria Madre della Misericordia ad Arvajhėėr e, dal 2016 e fino alla nomina episcopale, consigliere regionale dell’Asia e superiore dell’ordine per la Mongolia. Nell’aprile del 2020 papa Francesco lo ha nominato prefetto apostolico di Ulan Bator e vescovo titolare di Castra Severiana.

Tra i non elettori monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari, nato in Piemonte, a San Giorgio Canavese, il 18 luglio 1942, era stato ordinato sacerdote nel 1967 dal vescovo di Ivra monsignor Luigi Bettazzi. È stato assistente ecclesiastico generale dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani dal 1990 al 1993.

Nel 1992 Giovanni Paolo II lo aveva nominato vescovo a Iglesias, dove era stato particolarmente vicino ai minatori. Dal 1999 vescovo a Ivrea e presidente del comitato scientifico e organizzatore delle settimane sociali dei cattolici italiani, era poi stato nominato arcivescovo di Cagliari da Benedetto XVI nel 2012. Il 22 settembre 2013 aveva accolto papa Francesco, fresco di elezione, per la sua visita a Bonaria. Dopo le dimissioni per limiti di età del 2017, il Papa lo conferma per altri due anni.

Il gesuita Gianfranco Ghirlanda, invece, nato a Roma il 5 luglio 1942, è stato rettore della Pontificia Università Gregoriana di Roma dal 2004 al 2010. Attualmente è assistente pontificio per le questioni canoniche relative all’associazione dei Memores Domini (comunioe e liberazione) e sta seguendo la riforma della Carta Costituzionale del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Monsignor Fortunato Frezza, classe 1942, viterbese, è stato Sotto-Segretario del Sinodo dei Vescovi, Assistente Ecclesiastico dei Medici e Farmacisti della Città del Vaticano e cappellano della società della Roma Calcio. Attualmente è canonico di San Pietro.

Famiglia Cristiana