Come fare catechismo?

Il titolo del libro di Silvia Meli e Daniela Giovannini –Catechesi: come farla? Accordi e sintonie per comunicare la fede – era invitante. Ho cominciato a leggerlo e poi ho “collaudato” un capitolo con i catechisti (o meglio le catechiste, tranne uno) in parrocchia. La cosa che mi è parsa subito interessante è l’attenzione al lavoro da fare con i genitori, in modo non parallelo ma complementare a quello che si fa con i figli. E quindi l’attenzione a collegare i vertici di due triangoli: il primo catechisti/ragazzi/parroco e l’altro catechesi/figli/genitori. Non casualmente un capitolo ha per titolo “Accordi: al servizio delle relazioni”. La terminologia (accordi, relazioni, come pure sintonie, difese, bisogni, confini, brainstorming ecc.) attinge a un lessico consueto alle autrici le quali, oltre ad essere catechiste parrocchiali, sono counselor professioniste ed esperte di pedagogia e di formazione.

Altro aspetto positivo è quello di affrontare l’impegno catechistico – e tutto ciò che gli ruota intorno – con una visione positiva, ottimistica ma non facilona, fondata sul valore e sul bene che ciascuno – ragazzi e catechisti – è ed ha, su ciò che ciascuno può fare ed essere, tirare fuori da sé e dal gruppo. Un approccio che mira a far sì che tutto l’impegno di catechesi di una parrocchiale diventi servizio che accoglie e incoraggia, che scommette sulle persone e sui loro talenti. Questo mi sembra un buon antidoto per la serpeggiante depressione pastorale di una parte (spero minoritaria) di noi parroci.

Al centro i ragazzi

D’altra parte, si può programmare la catechesi parrocchiale senza condividere l’atteggiamento di Gesù verso i bambini? Il testo fa un esplicito richiamo a Matteo 18: «Se non diventerete come bambini…», a cui aggiungo il monito del successivo capitolo: «Non impedite che i bambini vengano a me». Rifuggendo da inutili sentimentalismi, mettere al centro il bambino – né idolatrato né sottovalutato – vuol dire fare nostro lo sguardo di Gesù sui piccoli, denso di insegnamenti per la Chiesa di noi adulti. Papa Francesco sta dicendo cose interessanti anche a questo proposito quando insiste sulla tenerezza.

Una parte del testo tratta della formazione e della crescita del gruppo, con l’interessante parallelismo con quel che avviene nella crescita dell’individuo. Di grande utilità è la distinzione tra le caratteristiche dei ragazzi dell’arco di età 8-11 e quelli 12-14, il passaggio dalla fiducia totale del bambino all’età della tempesta che precorre l’adolescenza e poi altre differenziazioni di atteggiamento (loro) e che chiedono di adeguare l’approccio (nostro).

Interessante è l’uso di alcune immagini lessicali, come quella del semaforo verde nel senso di un’attenzione educativa volta a trovare la strada e dare fiducia, senza omettere la consapevolezza su rischi e pericoli; come anche l’accettazione del distacco che prima o poi ci sarà. Tutte indicazioni che mi sono parse utili non solo per la catechesi, penso al volto di una Chiesa in cui abbondino meno i divieti e più l’attenzione ad aprire strade e educare alla libertà.

Con quale stile

Parlando degli strumenti di una buona catechesi, il testo si sofferma sulla qualità e il ritmo da dare a ciascun incontro, cioè a quell’ora settimanale in cui si gioca non solo la relazione catechisti/ragazzi, ma probabilmente anche l’immagine di Chiesa che molti si porteranno dietro per tutta la vita. Mi limito a richiamare alcune affermazioni: proporre delle esperienze più che fare delle lezioni, diventare accompagnatori piuttosto che proporci come maestri (anche Gesù ce l’aveva con maestri, dottori della legge e simili….) e, in definitiva, diventare capaci di appassionare. Il verbo rimanda al passaggio decisivo della passione del Signore, e non posso non ricordare che per Giuseppe Ungaretti il cuore di Cristo «è la sede appassionata dell’amore non vano».

Altri interessanti passaggi, pescando qua e là nel testo:

– rendere i ragazzi soggetti attivi, protagonisti della loro fede, dare forza ai contenuti che noi proponiamo con la vitalità e l’intuito che essi possiedono. Qualcosa di simile avviene nella vicenda biblica (1Sam 3) del dialogo tra il giovane Samuele e la sua guida Eli, che non esita a staccare il ragazzo da sé perché incontri personalmente il Signore, e con lui la sua missione nella vita;

– l’importanza dei “riconoscimenti”, definiti «unità di misura del tipo di relazione che intessiamo»; una relazione capace di non sminuire, non deprimere e invece di incoraggiare. Anche qui è utile l’accostamento tra il diverso atteggiamento di Gesù e dei discepoli prima del prodigio dei pani (in Giovanni): Andrea ritiene insignificanti i cinque pani e i due pesci di un ragazzo («che cosa sono per tutta questa gente?») mentre Gesù accoglie e apprezza: li “prende” e a partire da quelli sfama la folla;

– la correzione e il rimprovero (riconoscimento in negativo), stando attenti a non umiliare, saper dire a un bambino “Hai sbagliato” senza che lui capisca: “Sei sbagliato”;

– il suggerimento di modalità di conduzione/animazione che valorizzano la partecipazione e il coinvolgimento del gruppo: leggere un testo del Vangelo a più voci, rappresentare episodi della vita di Gesù assegnando le “parti” oppure mimando.

Anche le carezze

Le autrici propongono un coraggioso e azzeccato collegamento con gli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola, vedendo nel cammino catechistico la possibilità di suscitare la volontà e il desiderio verso la padronanza di sé e provocando i catechisti a una sempre più piena consapevolezza della meta verso cui stanno camminando con i loro ragazzi. Netta e pienamente condivisibile è l’affermazione che, senza un «atteggiamento di rispetto, l’educazione non è che addestramento. Ma che cosa può diventare quando da parte del ragazzo, del giovane o dell’adulto manca il desiderio di crescere? Una pedagogia attiva, e per Ignazio non ce ne può essere un’altra, è prima di tutto proposta e promessa: nessuno si metterà in cammino verso una maggiore umanità se non ha incontrato uomini e donne adulti e felici di esserlo» (p. 139).

Un’ultima considerazione: si parla di carezze, termine con cui la psicologia definisce tutto ciò che serve a manifestare al bambino (e all’adulto) considerazione, apprezzamento, fiducia nelle proprie capacità, possibilità di buone relazioni con gli altri e col mondo. Tutte cose di cui soprattutto i bambini hanno assoluto bisogno per crescere.

Anche papa Giovanni, alla sera dell’apertura del Concilio, chiese alla folla che assiepava piazza San Pietro: «Fate una carezza ai vostri bambini!», esempio ineguagliabile di comunicazione verbale e non verbale che è entrato nel cuore della gente. Se la catechesi delle nostre parrocchie non arriva a toccare il cuore, forse stiamo solo perdendo tempo.

Daniela Giovannini – Silvia Meli, Catechesi: come farla? Accordi e sintonie per comunicare la fede, ed. Paoline, Milano 2016, pp. 176, € 13,00.

settimananews.it

Catechismi da rifare?

«Catechismi da rifare». Fatico a non dar ragione a questo titolo, che campeggia in un dossier sull’ignoranza religiosa dei giovani italiani pubblicato da un mensile fortemente e tradizionalmente apologetico, «Il Timone». Pur se il testo dell’articolo, firmato da una catechista di ventennale esperienza, approda a conclusioni parzialmente diverse dalle mie, devo ammettere che gli attuali catechismi approvati dalla Cei per i fanciulli (attuali, ma ormai risalenti agli anni Novanta!) in effetti funzionano poco ­- anzi, a mio debol parere di antico catechista non hanno mai davvero funzionato.

Ha ragione l’articolista: «Ho provato più volte a chiedere ai bambini cosa avessero capito di quelle pagine: il risultato era sempre deprimente… I catechismi della Cei sono certamente molto verbosi: i bambini si perdono, non riescono ad afferrare cosa ci sia di importante da conoscere… un bla bla incessante… Nella memoria non si imprime nulla se non qualche pensierino tra il vago e il banale… I catechismi della Cei difettano di organicità e di drammaticità: portano “a spasso” il bambino per anni, dicendo che Gesù ci vuole bene, ma non si capisce dove vada a parare… I bambini amano le sfide: se si sta solo al loro livello, dopo poco si annoiano. Invece i termini che maggiormente incontrano sono “camminare insieme”, “pace”, “volere bene”, “essere buoni”».

Forse un po’ forte ma vero, anche se poi il rimedio indicato dalla catechista è un ritorno al (presunto) rigore del passato. Di fatto mi pare innegabile che -­ similmente a quanto accaduto più in generale in tutta la pedagogia dell’ultimo mezzo secolo – anche nell’educazione religiosa la volontà (in sé corretta) di sfuggire al mero nozionismo ha condotto ad annullare o quasi i contenuti, sostituendoli con esortazioni «morali» che però alla fine suonano come i buoni moniti della nonna. Il risultato è che ­- da una parte – ai bambini usciti dal percorso di iniziazione cristiana mancano le basi di conoscenza oggettiva dei contenuti della fede cattolica, anche soltanto per rifiutarli (ma a ragion veduta, almeno) e ­- dall’altra – nemmeno il comportamento etico trova supporti maturi per eventualmente sussistere.

Il cristianesimo viene ammannito come una favola per bambini, ovviamente a lieto fine, col risultato paradossale però che i bambini si annoiano a sentirla perché è buonista anche per loro. Non c’è avventura, non c’è conquista, non c’è dubbio né domanda: tutto volutamente reso troppo facile, dunque banalizzato. Non credo che il problema sia tornare a un senso del sacro solenne ed austero, distante e terribile; ma il gusto di affrontare un «mistero» – nel senso pedagogico, teologico e anche liturgico del termine – quale altra età, se non l’infanzia, ha il potere di coglierlo, di farsene coinvolgere?

Non so se i catechismi debbano essere rifatti (nemmeno so se siano gli strumenti giusti, oggi). La mia netta impressione è che «non prendono», come in genere «non prende» la catechesi parrocchiale odierna: che non lascia cultura e nemmeno curiosità. Ma qui passo la palla all’amico Gilberto Borghi, nel cui terreno di caccia mi sono addentrato forse a sproposito. Termino con l’osservazione di una conoscente, stavolta molto anziana e sempre in sincera ricerca: «Se ti fai delle domande, hai finito di credere». Avrà mica ragione lei?

fonte: vinonuovo.it

Impegni gruppi catechesi S. Stefano Reggio dal Giovedì Santo fino alla Cresima 24 Maggio 2015

comunità parrocchiale
S. Stefano – S. Zenone

GIOVEDÌ SANTO
ore 19 S. Messa in “coena Domini”
con lavanda dei piedi ai ragazzi
della 1a comunione IV Elementare
a seguire Adorazione notturna

DOMENICA DI RISURREZIONE
S. Messa ore 10

LUNEDÌ DELL’ANGELO
S. Messa ore 10

DOMENICA 12 aprile
ore 15.30 PRIMA CONFESSIONE

SABATO 9 maggio
ore 15 CONFESSIONI
e a seguire PROVE DEI CANTI
e della 1a COMUNIONE

DOMENICA 10 maggio
ore 10 1a comunione

DOMENICA 24 maggio
ore 11 CRESIME IN DUOMO

catechesi