Ulivo e vigneti migrano sulle Alpi per il cambiamento climatico

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AGI – Per effetto dei cambiamenti climatici la coltivazione dell’ulivo in Italia è arrivata a ridosso delle Alpi, nella Pianura Padana, inoltre, si coltiva oggi circa la metà della produzione nazionale di pomodoro destinato a conserve e di grano duro per la pasta, colture tipicamente mediterranee, mentre i vigneti sono arrivati addirittura sulle vette.

È quanto emerge dal primo studio Coldiretti-Ixè su “I tropicali italiani e gli effetti dei cambiamenti climatici” presentato in occasione dell’apertura del Villaggio Coldiretti di Palermo, da Piazza del Teatro Politeama a Piazza Castelnuovo, con migliaia di agricoltori, assieme al presidente di Coldiretti Ettore Prandini, dove è stata allestita la prima esposizione di produzioni tropicali coltivate in Italia, dall’avocado al logan, dalla papaya alle banane, dal mango alla carambola.

Il 2022 si classifica fino ad ora in Italia come l’anno più caldo di sempre con una temperatura nei primi dieci mesi addirittura superiore di +1,07 gradi rispetto alla media storica, ma si registrano anche precipitazioni ridotte di oltre 1/3, secondo l’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Isac Cnr, che effettua rilevazioni in Italia dal 1800.

L’anomalia climatica rispetto alla media – sottolinea la Coldiretti – è stata più evidente nel nord (+1,41 gradi) rispetto al centro (+1,01 gradi) e al sud (+0,85 gradi) a conferma dei cambiamenti climatici in atto.

La tendenza al surriscaldamento è dunque evidente in Italia dove la classifica degli anni più caldi negli ultimi due secoli si concentra nell’ultimo decennio e comprende nell’ordine – precisa la Coldiretti – il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2020. Il risultato è un profondo cambiamento sul paesaggio, sulla distribuzione e stagionalità delle coltivazioni e sulle stesse caratteristiche dei prodotti più tipici del Made in Italy.

Si è verificato nel tempo – precisa la Coldiretti – un significativo spostamento della zona di coltivazione tradizionale di alcune colture come l’olivo che è arrivato alle Alpi. E’ infatti in provincia di Sondrio, oltre il 46esimo parallelo, l’ultima frontiera nord dell’olio d’oliva italiano. Negli ultimi dieci anni – spiega la Coldiretti – la coltivazione dell’ulivo sui costoni più soleggiati della montagna valtellinese è passata da zero a circa diecimila piante, su quasi 30 mila metri quadrati di terreno.

In Toscana sono arrivate addirittura le arachidi mentre nella Pianura Padana si coltiva oggi circa la metà della produzione nazionale di pomodoro destinato a conserva e di grano duro per la pasta, colture tipicamente mediterranee.

Il vino italiano – continua la Coldiretti – è aumentato di un grado negli ultimi 30 anni, ma si è verificato nel tempo un anticipo della vendemmia anche di un mese rispetto al tradizionale mese di settembre, smentendo quindi il proverbio “ad agosto riempi la cucina e a settembre la cantina”, ma anche quanto scritto in molti testi scolastici che andrebbero ora rivisti.

Il caldo ha cambiato anche la distribuzione sul territorio dei vigneti che tendono ad espandersi verso l’alto con la presenza della vite a quasi 1200 metri di altezza come nel comune di Morgex e di La Salle, in provincia di Aosta, dove dai vitigni più alti d’Europa si producono le uve per il Blanc de Morgex et de La Salle Dop.

Il riscaldamento provoca anche – precisa la Coldiretti – il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l’affinamento dei formaggi o l’invecchiamento dei vini.

Una situazione che di fatto – continua la Coldiretti – mette a rischio il patrimonio di prodotti tipici Made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori umani e proprio alla combinazione di fattori naturali e umani. Ma i cambiamenti climatici in corso si manifestano anche – sottolinea la Coldiretti – con la più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense e l’arrivo di nuovi pericolosi parassiti alieni.

“L’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici ma è anche il settore più impegnato per contrastarli” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “i cambiamenti climatici impongono una nuova sfida per le imprese agricole che devono interpretare le novità segnalate dalla meteorologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio”.

 

«Il momento di agire è ora». Rapporto Onu sul cambiamento climatico

«Il momento di agire è ora». Rapporto Onu sul cambiamento climatico

L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’organismo delle Nazioni Unite per la valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici, ha pubblicato il 4 aprile il terzo volume (WG3) del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC.

Il bilancio è in qualche modo positivo considerando che, si legge nel comunicato, «nel periodo 2010-2019 le emissioni medie annue di gas serra a livello globale erano ai livelli più alti della storia dell’umanità, ma il loro tasso di crescita è rallentato»; e che «dal 2010, ci sono state riduzioni significative – fino all’85% – nei costi dell’energia solare, dell’energia eolica e delle batterie. Una gamma crescente di politiche e leggi ha migliorato l’efficienza energetica, ridotto i tassi di deforestazione e accelerato la diffusione delle energie rinnovabili». Con l’avvertimento, però, che «senza un’immediata e profonda riduzione delle emissioni in tutti i settori, l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C è fuori portata».

«Siamo a un bivio. Le decisioni che prendiamo ora possono assicurare un futuro vivibile. Abbiamo gli strumenti, le conoscenze e le competenze necessari per limitare il riscaldamento», ha detto il presidente dell’IPCC Hoesung Lee. «Sono incoraggiato dall’azione climatica intrapresa in molti paesi. Ci sono politiche, regolamenti e strumenti di mercato che si stanno dimostrando efficaci. Questi, se estesi e applicati in modo più ampio ed equo, possono favorire una profonda riduzione delle emissioni e stimolare l’innovazione».

In tutti i settori esistono soluzioni che possono almeno dimezzare le emissioni entro il 2030 Limitare il riscaldamento globale richiederà importanti transizioni nel settore energetico. Ciò comporterà una sostanziale riduzione dell’uso dei combustibili fossili, una diffusa elettrificazione, una migliore efficienza energetica e l’uso di sistemi di alimentazione alternativi (come quelli basati sull’idrogeno).

«Avere operative e funzionanti le giuste politiche, le infrastrutture e le tecnologie per consentire cambiamenti nei nostri stili di vita e nei nostri comportamenti – ha detto il co-presidente del gruppo di lavoro III dell’IPCC, Priyadarshi Shukla – può portare a una riduzione del 40-70% delle emissioni di gas serra entro il 2050. Questo offre un significativo potenziale non sfruttato (…). L’evidenza scientifica mostra anche che questi cambiamenti negli stili di vita possono migliorare la nostra salute e il nostro benessere».

Le città e altre aree urbane – si afferma nel comunicato – «offrono opportunità significative per la riduzione delle emissioni, che può essere conseguita attraverso un minore consumo di energia (ad esempio creando città compatte e percorribili a piedi), l’elettrificazione dei trasporti in combinazione con fonti energetiche a basse emissioni, e un maggiore assorbimento e stoccaggio del carbonio utilizzando soluzioni naturali. Esistono opzioni per città già consolidate, per città in rapida crescita e per città nuove». Per esempio, rileva il co-presidente del gruppo di lavoro III dell’IPCC, Jim Skea, «vediamo esempi di edifici a energia zero o a emissioni zero in quasi tutti i tipi di clima». Ne consegue che «l’azione di questo decennio è fondamentale per sfruttare il potenziale di mitigazione degli edifici», a condizione tuttavia di un uso più efficiente dei materiali, il riutilizzo e il riciclo dei prodotti e la riduzione al minimo dei rifiuti.

«Negli scenari che abbiamo valutato», sostengono nel comunicato gli autori del Rapporto, «limitare il riscaldamento a circa 1,5°C richiede che le emissioni globali di gas serra raggiungano il loro picco, al più tardi, nel 2025 per poi ridursi del 43% entro il 2030; allo stesso tempo, anche il metano dovrebbe essere ridotto di circa un terzo. Anche se faremo questo, è quasi inevitabile che supereremo temporaneamente tale limite di temperatura, ma potremmo ritornare al di sotto di esso entro la fine del secolo».

Il momento «è ora o mai più, se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5°C», ha detto Skea, «senza una riduzione immediata e profonda delle emissioni in tutti i settori, sarà impossibile».

Adista