Il buon ladrone, primo santo cristiano, dimenticato dalla memoria della Chiesa

Giotto, «Il buon ladrone»  (Assisi, basilica di San Francesco)

osservatoreromano.va

«Gentil o hebreo o simplemente un hombre / Cuya cara en el tiempo se ha perdido / Ya no rescataremos del olvido / Las silenciosas letras de su nombre / Pero la historia no dejará que muera la memoria / De aquella tarde en que los dos murieron» (Jorge Luis Borges, Lucas, XXIII).

La tradizione è stata saggia a chiamare uno dei malfattori “buon ladrone” (cfr. Lc 23, 39-43). È una definizione appropriata, ricorda Timothy Radcliffe, perché lui sa come impossessarsi di ciò che non è suo. Mette a segno il più strabiliante colpo della storia. Ottiene il paradiso senza pagare per entrarvi. Come facciamo noi tutti. Dobbiamo solo apprendere ad accettare doni.

«Un posto nel calendario per il primo santo cristiano», così intitola Alessandro Pronzato il capitoletto dedicato al malfattore nei suoi Vangeli scomodi. E dice: «Ho sfogliato il calendario. Il ciclo liturgico, zeppo di santi non riserva neppure un posticino per lui. C’è un posto e ci sono feste, per tutti quelli che erano presenti sul calvario quel giorno. Un posto perfino per gli assenti. Per lui, il buon ladrone, primo santo cristiano, non c’è posto nel calendario. Insomma. Un personaggio scomodo, non troppo raccomandabile, neppure dopo la morte. Quindi, niente festa per lui. Intendiamoci. Non è che lui ci soffra per queste sgarberie dei liturgisti. Resta pur sempre l’unico santo canonizzato direttamente dal Cristo: “In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso”. Ciò gli basta. E ne avanza. Accompagna Gesù nel suo ingresso in paradiso. Proprio lui. Il fuorilegge. L’escluso (anche dal calendario liturgico)».

Nessun posto per lui nel calendario: imbarazzante che del primo santo ci sia così taccagna memoria, ripete Marco Pozza. Un cantuccio in un ricordo chiese dal patibolo. Inaugurò invece il paradiso: il Cielo eccede sempre con chi lascia il certo per l’incerto…

Che fosse un brigante, un poco-di-buono, probabilmente un complice di Barabba, un semi-terrorista, un delinquente, un facitore-di-male, è piuttosto pacifico. Eppure, essere canonizzato in direttissima da Gesù stesso suona un tantino eccessivo, no? Senza purgatorio, senza regolari procedure canoniche bollate (e senza che nemmeno abbia fondato una congregazione di suore, aggiunge Giovanni Berti)!

È certo però che la Chiesa latina non gli concede nemmeno un cantuccio nelle celebrazioni del suo calendario liturgico, tranne che ricordarlo ogni tre anni quando nella domenica di Cristo Re (Anno c) si proclama il Vangelo secondo Luca. «Guardati dal dimenticare» (Dt 4, 9). La Chiesa caldea invece, assieme alle altre chiese di tradizione siriaca, festeggia il ladrone il lunedì dopo Pasqua, in un dramma liturgico prima dell’Eucaristia: il lunedì dell’Angelo loro lo chiamano il lunedì del Ladrone. In una sorta di auto sacramentale, un diacono impersona il cherubino che guarda gelosamente le porte chiuse del paradiso sbarrandone l’accesso, e un altro diacono il ladrone che dice di poter entrare, perché il Signore gli ha dato la chiave. Ne segue un acceso dialogo, senza esclusione di colpi, tra colui che sbarra l’ingresso e colui che insiste nell’accedervi, fino a che questi tira fuori una croce e la mostra al cherubino, il quale si arrende e festosamente abbraccia il ladrone e lo accompagna dentro. Altrettanto canta la liturgia bizantina del Venerdì santo: «Ha aperto le porte chiuse dell’Eden al ladro con la chiave del suo Ricordati di me».

Perché il ladro dice “Ricordati di me”, e non “salvami” come ci si potrebbe aspettare? Perché il ricordo al posto della salvezza? Sembra il segno di un’umiltà triplice, dice Fabrice Hadjadj: la prima umiltà è che il nostro ladrone si abbandona al buon cuore del Signore. Non si crede degno del regno che verrà, ma domanda solamente a Gesù di ricordarsi di lui; la seconda umiltà si intuisce dal fatto che il verbo “ricordarsi”, nel Vangelo secondo Luca, viene usato per la prima volta alla fine del Magnificat: Maria dichiara che l’onnipotente «si è ricordato della sua misericordia». Infine, la terza umiltà: il nostro non ha l’impazienza dell’altro ladrone, non dice “ricordati di me” subito, ma “quando entrerai nel tuo regno”. E Gesù non l’esaudisce… È sempre così nelle sue abitudini, la sorpresa, l’inesattezza sovrabbondante.

Perciò il patriarca Bartolomeo, nelle meditazioni per Via Crucis al Colosseo del 1994, inserì un’invocazione ispirata alla liturgia bizantina che ogni giorno fa dire al credente: Signore, non ti darò il bacio di Giuda, ma come ha fatto il ladrone, ti prego: ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Ogni giorno, ogni volta che i fedeli di rito bizantino, ortodossi e cattolici, si avvicinano alla comunione, usano le parole del ladrone (mentre nel rito romano usiamo le parole del centurione). «Guardati dal dimenticare» (Dt 4, 9).

Ho detto che la Chiesa romana non ha incluso il buon ladrone nel proprio martirologio. A dire il vero, non è così: infatti, il buon ladrone è iscritto nel Martirologio romano il… 25 marzo, solennità dell’Annunciazione. Nell’antichità patristica, si pensava che il Signore fosse stato concepito e fosse anche morto un 25 marzo. Quindi, se quel giorno Gesù è morto e ha portato con sé il malfattore, ha senso ricordarlo lo stesso 25: è il suo dies natalis. Certo, simbolicamente può essere suggestivo: tra annunciazione e crocifissione c’è una corrispondenza, ben resa dal romeno Sandu Tudor, poi monaco Daniil: «Considera gli otto grandi momenti della vita del Salvatore: annunciazione, nascita, battesimo, trasfigurazione, crocifissione, risurrezione, ascensione, discesa dello Spirito Santo. È l’ottava del mistero dell’umiltà di Dio per la nostra salvezza. Sovrapponendo i primi quattro momenti agli altri quattro, si ottiene una corrispondenza polare perfetta che illumina il mistero della nostra salvezza: l’annunciazione corrisponde alla crocifissione, la nascita alla risurrezione, il battesimo all’ascensione, la trasfigurazione alla discesa dello Spirito Santo. È il mistero della croce a costituire l’annuncio dell’angelo; è la risurrezione che ci permette di rinascere dall’alto; è l’ascensione al cielo che svela l’adozione a figli introducendoci nel regno; è la discesa dello Spirito Santo che ci permette di trasfigurarci nella luce divina».

Splendido e verissimo, nonché suggestivo. Ma, de facto, nella vita liturgica cattolica e quindi nella consapevolezza orante dei fedeli oggi questi collegamenti sono praticamente invisibili se non davvero inaccessibili. Significa semplicemente obliterare, cancellare, accantonare, cassare, rimuovere, far svanire la memoria del ladrone graziato. Ubi maior minor cessat.

Ho sottolineato la dimenticanza de facto (se non de iure) del ladrone nel calendario liturgico romano. Ma la “amnesia” non è totale, c’è ancora qualche resto di memoria, come brace che tiene il fuoco acceso sotto la cenere. La diocesi di Gerusalemme il 12 ottobre ha la memoria facoltativa del buon ladrone, mentre al Santo Sepolcro questa memoria è obbligatoria: i francescani della Terra Santa sono anche qui i custodi della memoria del ladrone proprio nel luogo storico e concreto che è il cuore dell’evento cristiano, dove avvenne la Pasqua di morte e risurrezione del Signore Gesù. «In verità ti dico: oggi con me sarai in paradiso»: nella nostra umanità, tribolata e pacificata, il Signore ci permette di godere della comunione con Lui.

È uno dei protagonisti delle riflessioni di Fabio Scarsato, nel libro del titolo significativo: Wanted. Esercizi spirituali francescani per ladri e briganti. I figli del Poverello si trovano a proprio agio con il poco-di-buono del Calvario. Giotto lo ha ritrattato rivestito di luce, in paradiso, abbracciato alla sua croce (cappella della Maddalena, nella basilica inferiore di Assisi). I rigoristi invece — puritani, giansenisti, pelagiani e meritocratici — si trovano a disagio con lui. Troppa misericordia. Eccessiva. Anche gli idealisti, gli gnostici e i manichei non si trovano a proprio agio. Troppa carne concreta, martoriata. Carne ineludibile. Ci fa bene, però: là, nello sguardo di Gesù al ladrone, splende l’amore pazzo del cuore di Cristo per i suoi, pecorelle ritrovate. «Guardati dal dimenticare» (Dt 4, 9).

Sul Tabor, Cristo si manifesta nella gloria tra Mosè ed Elia e si intrattiene con loro sulla «sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9, 31); sul Golgota, Cristo è messo in croce tra due malfattori e si intrattiene con uno di essi sul paradiso. Una divina ironia vede qui la luce: in gloria, si parla della croce; in croce, si parla della gloria; a costo di spingere la tensione all’estremo. Che audacia, nel bel mezzo del supplizio, dire che il paradiso è per oggi stesso!

Tre crocifissi, uno il Salvatore, uno il salvato… e il terzo? Semplicemente non sappiamo. Luca non lo dice. Il racconto ha un open ending, come la parabola del figliol prodigo: la parabola non dice se il figlio arrabbiato finalmente accoglie l’invito del padre ad entrare nella festa per il fratello ritrovato o non (cfr. Lc 15, 32). Non lo dice, e quindi non lo sappiamo. Bellissima l’allusione al riguardo in una poesia di Scott Cairns, Another Crucifixion, pubblicata nel suo Slow Pilgrim. The Collected Poems. Scordare la storia del buon ladrone, non è un simbolo della nostra dimenticanza di riconoscerci intessuti nella sua stessa storia? Ci fa tanta paura tanta tenerezza? Ma non vogliamo forse che anche la nostra storia abbia un finale analogo, un happy ending davvero tale? «Guardati dal dimenticare» (Dt 4, 9).

Sogno un corso di esercizi spirituali sotto la guida del buon ladrone: potrebbe essere un modo di ricuperare la memoria delle meraviglie di Dio, con l’aiuto dell’operaio dell’undicesima ora (e il 59° minuto) di Mt 20, 1-16. Scandalosamente stupendo. Come nel testamento del martire trappista Christian De Chergé, non vorremo dire con lui «che ci sia dato di incontrarci di nuovo, “larrons heureux” (ladroni colmati di gioia, ladroni graziati, ladroni beati) in paradiso»?

Oppure ognuno di noi non vorrebbe pregare con sant’Efrem il Siro: «Ricordati anche di me insieme al ladrone, perché alla sua ombra io possa entrare nel tuo regno» (Inni Pasquali, Sulla Crocifissione vi, 20)?

di Guglielmo Spirito