Croazia di rigore. Dramma Brasile, è fuori dai Mondiali

Verdeoro da superfavoriti a eliminati. Dopo il botta e risposta ai supplementari tra Neymar e Petkovic, decisivi gli errori dal dischetto di Rodrygo e Marquinhos. Gli uomini di Dalic danno una grande prova di squadra e si mostrano capaci di soffrire e di saper reagire nel momento più delicato, quando tutto sembrava ormai perduto

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AGI – Giappone prima, Brasile poi: la Croazia fa festa ancora ai rigori e piazza un colpaccio contro la Selecao, prendendosi di cuore e carattere il primo pass per le semifinali di Qatar 2022. All’Education City Stadium di Al Rayyan decidono gli errori di Rodrygo (parata) e Marquinhos (palo), dopo l’1-1 nei tempi supplementari con il botta e risposta tra Neymar (106′) e Petkovic (117′).

Un successo di personalità quello degli uomini di Dalic, maturato attraverso una grande prova di squadra: attenzione, capacità di soffrire e di saper reagire nel momento più delicato, quando tutto sembrava ormai perduto. Poi la lotteria dei rigori che sorride nuovamente ai croati e li riporta al penultimo appuntamento del Mondiale, mentre lascia tanto amaro in bocca ai brasiliani. Per Modric e compagni ora una tra Olanda e Argentina, che si sfideranno a partire dalle 20.00.

Tantissimo equilibrio e poche emozioni in un primo tempo molto bloccato e abbastanza noioso. Nelle primissime battute di gioco è la Selecao che prova a gestire il possesso palla, ma senza mai riuscire a trovare il varco tra le linee di una Croazia attenta e ben messa in campo.

L’unico spunto verdeoro è uno scambio tra Richarlison e Vinicius a ridosso del 20′, che porta alla conclusione del giocatore del Real Madrid murata però da Gvardiol. Poco prima pericolosi anche i croati con Perisic, che non riesce a deviare a dovere un bel cross di Pasalic da destra. Ad inizio il Brasile prova a cambiar ritmo e in pochi minuti spaventa più volte gli avversari: prima è Gvardiol a rischiare un clamoroso autogol sul cross basso di Militao, evitato da un intervento con i piedi di Livakovic, bravo successivamente anche su un mancino ravvicinato di Neymar.

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© Nelson Almeida/ AFP

La delusione del Brasile dopo l’eliminazione

In mezzo diverse proteste brasiliane per un tocco di mano in area di Juranovic, non punito da arbitro e Var. I croati vanno un po’ piu’ in sofferenza, ma fortunatamente per loro ci pensa un attentissimo Livakovic a tenerli a galla, con almeno un altro paio di interventi provvidenziali su Paqueta prima e Neymar poi. Al 90′ (piu’ i 4′ di recupero) resiste così lo 0-0 e si passa ai tempi supplementari, dove la gara resta molto equilibrata e la Croazia prova a darsi una scossa soprattutto a livello offensivo, dopo un match di grande contenimento.

Al 103′ Brozovic spreca una grande chance calciando alle stelle dopo un tocco di Petkovic, nel recupero dell’extra-time invece è il Brasile a colpire: grande scambio tra Neymar e Paqueta, ‘O Ney’ resiste ad un contatto con Sosa, supera in uscita Livakovic e insacca sotto la traversa l’1-0 che fa esplodere di gioia i suoi.

Sembra fatta per i sudamericani, ma al 117′ arriva il colpo di scena con il pareggio improvviso di Petkovic, che calcia di mancino su assist di Orsic trovando la deviazione decisiva di Marquinhos e beffarda per Alisson. Si va così ai calci di rigore e dagli 11 metri, per il Brasile, pesano come un macigno gli errori di Rodrygo (parata di Livakovic) e Marquinhos (palo), mentre per la Croazia non sbaglia nessuno sui quattro tentativi.

Brasile: sit-in dei bolsonaristi davanti alle caserme Vogliono ‘intervento federale’ in attesa discorso leader destra

 © ANSA

– RIO DE JANEIRO, 01 NOV – Cresce il caos in Brasile, dopo l’elezione a presidente di Luiz Inacio Lula da Silva: oltre ai blocchi stradali in corso in almeno 20 Stati, i ‘bolsonaristi’ si stanno organizzando per sit-in davanti alle caserme per chiedere l'”intervento federale”.

La convocazione, fatta attraverso gruppi WhatsApp, mirerebbe a dare tempo al presidente uscente, Jair Bolsonaro, di pronunciarsi ufficialmente sul risultato elettorale.

L’obiettivo finale dei dimostranti – secondo alcuni opinionisti – sarebbe quello di far invocare l’articolo 142 della Costituzione, che prevede l’intervento delle Forze armate per “ristabilire l’ordine tra i poteri”. (ANSA).

In Brasile è partita la sfida elettorale tra Lula e Bolsonaro

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AGI – A meno di 50 giorni dalle elezioni presidenziali del 2 ottobre, i due favoriti Luiz Inacio Lula da Silva e Jair Bolsonaro, capo di stato uscente, inaugurano ufficialmente la campagna elettorale da luoghi simbolo della propria carriera politica.
Favorito nei sondaggi, con il 44% delle intenzioni di voto, il 76enne Lula – ex sindacalista, già presidente dal 2003 al 2010, condannato a 12 anni di carcere per corruzione e rilasciato dopo 580 giorni – ha scelto di aprire la corsa alle urne in una fabbrica della Volkswagen, nel suo feudo di Bernardo do Campo, vicino a San Paulo (Sud-Est), zona industriale dov’è stato fresatore prima di diventare leader sindacale.
Dal canto suo Bolsonaro, controverso presidente uscente di estrema destra, opta per un luogo emblematico: per il suo discorso inaugurale andrà a Juiz de Fora, nel Minas Gerais (Sud-Est), la piazza dove fu pugnalato da uno squilibrato il 6 settembre 2018.

Secondo l’ultimo sondaggio diffuso dall’istituto Ipec, l’ex capitano dell’esercito 67enne, al 32% delle intenzioni di voto, è 12 punti indietro rispetto al suo principale contendente. Sicurezza ai massimi livelli per una campagna elettorale ad alto rischio: sia Lula che Bolsonaro si sposteranno sempre con giubbotto antiproiettile e i comizi pubblici saranno oggetto di controlli serrati.
A riprova del clima pericoloso, i media brasiliani hanno riferito che dopo aver riscontrato potenziali rischi il team di sicurezza di Lula ha cancellato il lancio della campagna inizialmente previsto in un’altra fabbrica a San Paolo.
Per l’ex leader del Partido dos Trabalhadores, la scelta di Bernardo do Campo rientra in una sorta di tradizione della sua carriera politica, proprio per “rafforzare la sua immagine di rappresentante dei lavoratori” ha commentato Adriano Laureno, analista politico dello studio di consulenza Prospectiva.
“Quanto a Bolsonaro, vuole presentarsi come un ‘eletto di Dio’ sopravvissuto all’attacco” del 2018, ha sottolineato l’esperto, valutando questa elezione come “la più polarizzata dall’era democratica” dopo la dittatura militare del 1964 – 1985. In realtà sono già diversi mesi che i due principali favoriti si spostano ai quattro angoli del Paese per incontrare gli elettori, ma è solo in questi giorni che sono autorizzati comizi pubblici e distribuzione di volantini elettorali, mentre gli spot radiotelevisivi saranno diffusi solo a partire dal 26 agosto.
Il presidente uscente intende recuperare il suo ritardo in materia di sociale con la recente approvazione in Parlamento di un controverso emendamento alla Costituzione che autorizza eccezionalmente nuove spese durante il periodo elettorale. Inoltre ha giocato la sua carta vincente mettendo sotto i riflettori la moglie, Michelle Bolsonaro, che ha sedotto l’elettorato evangelico con discorsi infuocati emblematici dei sermoni del pastore. Al centro dell’attenzione anche i giovani brasiliani, con un’intervista fiume di cinque ore rilasciata a un popolare podcast visto da oltre mezzo milione di persone.

Anche Lula sta cercando di ringiovanire la sua immagine per riguadagnare terreno sui social network, dov’è molto indietro rispetto a Bolsonaro in termini di iscritti. Supportato da molti artisti, come la pop star Anitta, l’ex metalmeccanico non esita a pubblicare video umoristici su Tik Tok, il network che va di moda tra i giovani.

Inoltrel’inizio della campagna coincide con l’insediamento del giudice Alexandre de Moraes alla presidenza del Tribunale Superiore Elettorale (TSE). Questo magistrato della Suprema Corte è uno dei nemici giurati del presidente Bolsonaro, contro il quale ha disposto l’apertura di un’indagine per diffusione di informazioni false sul sistema elettorale.

Il Capo dello Stato ha costantemente messo in discussione l’affidabilità delle urne elettroniche utilizzate nel Paese dal 1996, adducendo “frode” senza mai fornire prove. Attacchi che fanno temere che non riconosca il risultato del prossimo ballottaggio in caso di sconfitta.

Lula e Bolsonaro sono stati entrambi invitati all’investitura del giudice Moraes pertanto potrebbero concludere insieme questa prima giornata ufficiale di campagna nella sede del TSE, a Brasilia. Il primo turno delle presidenziali brasiliane è previsto per il 2 ottobre mentre l’eventuale ballottaggio si terrà il 30 ottobre.

Brasile. È morto Luis Tenderini, fondatore del movimento Emmaus

Originario di Premana, in Valsassina, si è spento a Recife dopo una vita spesa per i poveri per i diritti umani
È morto Luis Tenderini, fondatore del movimento Emmaus

«Lottare con tutte le forze perché sia rispettata in tutto il mondo la dignità della persona umana; distruggere le strutture sociali che generano oppressione, esclusione e miseria; testimoniare il Vangelo della fraternità universale perché siamo tutti figli dello stesso Padre». Queste parole di dom Hélder Câmara riassumono efficacemente la vita e il messaggio di Luis Tenderini, laico italiano residente da lunghi anni in Brasile, morto nei giorni scorsi a Recife (e lì sepolto sabato 2), per le conseguenze di una leucemia. Dell’arcivescovo di Olinda e Recife, fra i protagonisti del Concilio, Luis era stato amico e stretto collaboratore per anni, a partire dal primo incontro nel 1979.

Originario di Premana, in Valsassina, Luis aveva dovuto lasciare il paese e frequentare le elementari a Como, dopo la morte del padre che lascia la mamma sola con dieci figli piccoli. Nel 1968 la partenza per il Brasile, come seminarista gesuita. Destinazione: Teresina, la capitale dello Stato più povero, nel Nordest. «Il contatto con la realtà sociale di quella regione mi ha orientato a una nuova scelta di vita», raccontava. Da lì la decisione di lasciare i gesuiti per andare a vivere a San Paolo, lavorando come operaio, nella stessa città dove operava il compaesano padre Angelo Gianola, missionario del PIME. «A contatto con i problemi e le lotte del mondo operaio nel difficile contesto politico brasiliano – raccontava Luis – la “vela” della mia vita si è distesa sempre più: ho potuto definire con più chiarezza e determinazione l’obiettivo di una vita inserita nel contesto di una Chiesa popolare, impegnata a vivere e testimoniare lo spirito rinnovatore del Concilio Vaticano II».

Il forte coinvolgimento col movimento operaio – che porta Luis ad incrociare le strade del futuro presidente Lula – conduce lui e la famiglia (nel frattempo si era sposato con Djanira, dalla quale avrà tre figlie), a trasferirsi a Recife nel 1979. Così Luis ricordava la tappa fondamentale del suo percorso: «Quel profetico pastore ha aperto nuovi orizzonti nella mia vita: la Commissione Giustizia e Pace della diocesi e, successivamente, il Movimento Emmaus». Fino al 1995 Luis è stato, di fatto, il braccio destro di Câmara, pagando di persona la sua convinta opzione per i poveri: nel 1989 è stato rapito dagli squadroni della morte e torturato.

Nel 1996 Luis fonda la sezione brasiliana del movimento Emmaus (iniziato nel ’54 in Francia), diventandone poi referente per l’intero continente latinoamericano. Negli anni che seguono, fino alla morte, Luis si dedica ai “trapeiros” (straccivendoli) di Emmaus, sempre tenendo vivi i legami con l’Italia – dove fioriscono varie iniziative di sostegno al movimento – e, in particolare con il suo paese natale.

Nel settembre del 2021, per il suo impegno in favore dei diritti umani, l’Unesco lo ha premiato, mentre a Recife gli è stata intitolata una scuola professionale. Alla sua morte, il centro Hélder Câmara ha diffuso una dichiarazione, in cui leggiamo: «Impossibile dire addio a Tenderini. Una forza come la sua non si esaurisce con l’arrivo della morte. Ha affrontato, da vicino, gli orrori della dittatura. Ha abbracciato la giustizia sociale. Ha dedicato la sua vita alle persone e alla protezione dei diritti. Un’eredità che non sarà mai dimenticata».

Avvenire

Brasile: le Chiese dell’Amazzonia tornano a riunirsi a Santarém a cinquant’anni dal primo incontro.

Cinquant’anni dopo le Chiese dell’Amazzonia si ritrovano a Santarém, in Brasile. Nella città che sorge lungo il Rio delle Amazzoni si svolse, nel 1972, il primo Incontro della Chiesa dell’Amazzonia legale, mettendo le basi per un lungo cammino, proseguito nei decenni, sfociato nel Sinodo del 2019 e nella successiva esortazione apostolica di Papa Francesco Querida Amazonia. Dopo la celebrazione d’avvio di lunedì sera, ieri sono entrati nel vivo i lavori del quarto Incontro della Chiesa dell’Amazzonia legale, che si concluderà domani. Tra i messaggi giunti in occasione dell’incontro quello di Papa Francesco, che ha invitato le Chiese dell’Amazzonia a essere “coraggiose e audaci”. Il card. Pedro Barreto, presidente della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia (Ceama) e della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), ha definito l’incontro di questi giorni “un’esperienza pasquale, un cammino che la Chiesa cattolica sta facendo, passando dal locale al globale, dall’Amazzonia alla Chiesa universale”. Ha poi richiamato tre verbi proposti da san Giovanni Paolo II: ricordare, vivere e guardare. Ricordare “con gratitudine il passato” e i 50 anni di Santarém; vivere con “passione, con entusiasmo, con parresia, questo momento della storia che viviamo nella Chiesa dell’Amazzonia”, insistendo sul fatto che l’entusiasmo, che viene da Dio, deve essere contagioso; guardare al futuro con speranza, e farlo “a partire dal bioma amazzonico, per l’umanità. Uno stile presente nella Repam, con le sue denunce davanti alle organizzazioni internazionali, segno che qualcosa che sta cambiando la mentalità, anche dei grandi imprenditori, che vedono l’Amazzonia con altri occhi”.
L’incontro di Santarém contribuisce “a ravvivare più fortemente in tutti noi l’impegno assunto dalla nostra Chiesa 50 anni fa”, secondo dom Walmor Oliveira de Azevedo, presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, che ha inviato un videomessaggio. Il presidente dei vescovi brasiliani ha sottolineato l’importanza del Concilio Vaticano II e della Conferenza di Medellín, vedendo nel Documento di Santarém “uno strumento per un’evangelizzazione dell’Amazzonia che rispetti le culture dei popoli originari e sia al servizio della conservazione dell’Amazzonia”.
L’arcivescovo di Manaus, dom Leonardo Steiner, che sarà creato cardinale nel prossimo Concistoro, in relazione a Querida Amazonía, ha insistito sul fatto che “i sogni sono dimensioni di un’unica realtà, di un tutto, un invito alla Chiesa a essere presente in ciascuna realtà, a inculturarla, ad andare incontro a essa per scoprire ciò che è il più significativo”.

Sir

Brasile: potere e terre usurpate

brasile

Settimana News

Domenica 16 gennaio scorso, Avvenire ha pubblicato un servizio dell’inviata in Brasile Lucia Capuzzi – ben organizzato e ben scritto – in cui ha raccontato, attraverso interviste realizzate con alcuni protagonisti della resistenza e della solidarietà, il dramma della violenza contro gli indigeni e i contadini del Maranhão.

L’articolo mi interpella inevitabilmente, perché vivo in questo Stato del Brasile da circa trentacinque anni, in cui la mia vita si è testardamente intrecciata con le lotte indigene e contadine, in difesa e riconquista di territori caratterizzati da spiritualità ancestrali e da profonde identità culturali.

Raccontare, ancora una volta, la sofferenza dei popoli originari, dei quilombolas, delle comunità contadine tradizionali, può indurre qualcuno a commentare cinicamente “niente di nuovo sotto il sole”. Ma c’è una tragica verità nascosta in questa coazione a ripetersi della violenza e della puntuale narrazione degli umiliati e degli sconfitti: sembra che non ci sia via d’uscita a non essere, questa, se non la ripetizione.

E tutto viene da lontano, perché, di fatto, la dittatura civile-militare, 1964-1985, non ha mai smesso di opprimere e uccidere nel mondo agrario brasiliano. Ma è necessario risalire più lontano ancora nel tempo, perché la violenza del latifondo e dello Stato è costitutiva del regime coloniale che dal 1500 perdura fino ad oggi.

La prima considerazione da fare è allora che tale violenza non è confinabile all’attuale congiuntura necro-politica del Brasile, ma che si tratta di un fatto sistemico, costitutivo, strutturale, della storia ingrata della Terra di Santa Cruz e dell’Abya Ayala.

Infatti, se scopriamo qualcosa di nuovo nella violenza attuale, questo inedito è offerto dalla rivelazione senza pudore e senza vergogna dell’odio che, da sempre, le élites nazionali, di antica o più recente colonizzazione, hanno riservato per i popoli indigeni, i neri e i poveri.

Insomma, davvero non c’è “niente di nuovo sotto il sole” nei dati statistici pubblicati nel dicembre dello scorso anno dalla Commissione Pastorale della Terra?

Sono, forse, ancora una volta, parole che non riescono a rompere il muro dell’indifferenza e rimangono ben lontane dal grido dei popoli e delle comunità vittime della violenza del capitale e dello Stato.

Fino al 31 agosto 2021, si raggiunse un numero di famiglie aggredite maggiore del numero verificato in tutto il 2020. 418 territori sono stati oggetto di violenze nei primi 8 mesi del 2021. 28% di questi territori sono aree indigene. Tra gennaio e novembre del 2021, sono stati registrati 26 omicidi in conflitti di terra. Un aumento del 30% in relazione all’anno precedente, in cui furono documentati 20 omicidi… Le morti in conseguenza dei conflitti fondiari sono aumentate vertiginosamente, con un aumento del 1.044%, passando da 09, in tutto l’anno 2020, 103 registrate fino ad ora. Tra queste 103, 101 sono di indigeni Yanomami.[1]

Riflettendo ancora novità in questo sistema di morte che è il Brasile, si è obbligati a sottolineare che l’attuale violenza non aggredisce solamente i corpi e i territori dei poveri, ma colpisce la speranza di coloro che sognano e lottano per un futuro diverso per l’umanità: la possibilità di sconfiggere la necro-economia capitalista e creare processi di fraternità e sororità di tutti gli esseri viventi, la Terra senza male, il Bien Vivir, che è il progetto indigeno, quilombola e contadino.

Ascoltare il grido dei poveri
Ma c’è forse un’altra drammatica verità. L’anomia brasiliana, che oggi rivela con spudorata intensità ciò che è sempre sistemicamente accaduto, dice al mondo, e specialmente all’Europa: “io sono oggi ciò che tu sarai domani, o meglio, ciò che già sei, forse, senza rendertene conto”. Mi pare che sia in atto un processo di brasilianizzazione del pianeta terra, nell’ambito della crisi di civilizzazione che stiamo vivendo.

Insomma, oggi le attitudini terzomondiste appaiono evidentemente datate, quando ci mettiamo in ascolto del grido dei poveri, che è ben più esteso e assordante del grido che viene dall’Amazzonia, tanto ricordata dagli occidentali illuminati, o dal grido della savana, il Cerrado brasiliano, ferito a morte da decenni e così dimenticato dagli occidentali.

Non si tratta di una polemica stupida che collocherebbe in concorrenza due tragedie ambientali, ma la rimozione del Cerrado e l’opzione per la foresta tropicale rivelano la cecità dell’Occidente che ignora deliberatamente il bioma più antico del pianeta, dove si articola tutto il complesso sistema dell’acqua dolce e dei bacini idrografici, presente in ben undici Stati del Brasile. Ed è nel Cerrado che risuscita il latifondo, dove si coltivano la soia, la canna da zucchero e l’eucalipto, materie prime esportate in Occidente e in Cina, dall’Arabia Saudita Verde che è il Brasile.

Bisogna certo aprire il cuore, ma anche gli occhi. Infatti, in quest’anno di elezioni presidenziali, sta vincendo, per il momento, l’ipotesi della sinistra che vuole sostituire l’attuale governo di estrema destra. Pare un processo a maquillage del realismo prudente della politica come mera constatazione degli interessi degli impresari e delle pretese dei partiti.

Per Lula, qualunque cosa e qualunque alleanza devono e possono servire per vincere le elezioni. I partiti di sinistra avrebbero potuto proporre l’impeachment del Presidente, ben prima di arrivare ai 600.000 morti a causa del COVID, provocati dal negazionismo e dalla negligenza del governo federale, ma hanno preferito il cammino elettorale, intendendolo come l’unica garanzia per tornare al potere.

Pare allora che non ci sia un progetto politico, ma non è vero. Il cuore di questo progetto si chiama MATOPIBA, un programma a servizio dell’agribusiness, delle miniere, dell’energia, dei trasporti terrestri e fluviali, dei porti… che abbraccia il Cerrado degli Stati del Maranhão, Tocantins, Piauí, Bahia, inaugurato nel maggio del 2015 dalla presidente Dilma Roussef e dal Partito dei lavoratoti PT, copia fedele del progetto di sviluppo e devastazione dell’Amazzonia, che era il programma Grande Carajás (1984) della dittatura civile-militare.

Ripetizione fedele della follia capitalista.