L’intervista. Genomica, biometria, big data: ci serve una nuova bioetica?

Genomica, biometria, big data: ci serve una nuova bioetica?

I temi oggetto del dibattito bioetico riguardano la vita che è di tutti: la generazione, la vulnerabilità, la morte, la cura, gli affetti. È proprio la vita che è di tutti e il pensiero sulla vita al centro del recente volume Dalla bio-etica alla tecno-etica: nuove sfide al diritto (Giappichelli, 395 pagine, 38 euro), di cui è autrice Laura Palazzani, ordinario di Filosofia del diritto all’Università Lumsa di Roma, vice-presidente del Comitato nazionale per la bioetica (2007-2017), componente dello European Group on Ethics in Science and New Technologies (Ege) presso la Commissione europea e membro del Comitato internazionale di bioetica (Ibc) dell’Unesco. L’autrice, muovendo da una prospettiva che promuove e difende l’intrinseca dignità di ogni essere umano, offre una panoramica particolarmente accurata e chiara sia dei temi che via via sono divenuti oggetto della riflessione bioetica sia delle diverse posizioni che si sono andate delineando a livello internazionale.
Può indicarci gli snodi che ritiene più significativi nella storia ormai cinquantennale della bioetica?
Il primo è l’ampliamento della riflessione morale dagli interventi possibili sulla vita dell’uomo a quelli sulla vita non umana (animale, ambiente) e non ancora esistente (future generazioni). Il secondo, nato dall’esigenza di elaborare regolamentazioni per la società, è il passaggio dalla bioetica alla biogiuridica. Il più recente è il percorso dalla bio-etica, o etica della biomedicina, alla tecno-etica, o etica delle cosiddette tecnologie convergenti che includono nanotecnologie, biotecnologie, informatica, scienze cognitive.
In Occidente nel dibattito bioetico si confrontano e si fronteggiano differenti prospettive: quali sono le più rilevanti e quali i loro principi cardine?
Ci sono le teorie libertarie e utilitaristiche che, sulla base del principio di autodeterminazione individuale e di convenienza sociale, ammettono forme di disponibilità della vita, soprattutto nei confini iniziale e finale, e la teoria che riconosce la dignità intrinseca dell’essere umano, dal concepimento alla morte, e considera la vita un bene indisponibile, prioritario rispetto al progresso tecno-scientifico.
In ambito europeo, presso l’Ege, e internazionale, all’Unesco, c’è una posizione che ha assunto posizione dominante?
La funzione prioritaria dei comitati di bioetica è riflettere in modo interdisciplinare e pluralistico sui principali temi emergenti dal progresso tecno-scientifico al fine di informare la società e offrire una consulenza ai governi in vista di una regolazione. L’obiettivo è elaborare documenti condivisi, ricercando una mediazione – nella disponibilità a tenere in considerazione le ragioni degli altri – per identificare valori condivisi. Difficile dire se esista una posizione dominante: certamente si può rilevare che le posizioni estreme dal carattere impositivo e non dialogico tendono a rimanere emarginate dalla discussione.
Nel dibattito internazionale quali sono i valori al momento più condivisi, e quali auspica lo diventino?
L’orizzonte di riferimento entro il quale si sta costruendo il dialogo internazionale è la dottrina dei diritti dell’uomo e il principio condiviso della priorità dell’uomo sul progresso della scienza e della tecnica: un principio che può essere declinato in modi diversi, ma che ha comunque assunto una centralità essenziale nella coscienza collettiva. Si tratta di un minimo etico rilevante che consente di negare la legittimità di alcune posizioni radicali (ad esempio la commercializzazione del corpo e delle sue parti). L’auspicio è che i “minimi etici” possano sempre più consentire l’espressione di “massimi etici”, con il riconoscimento dei valori umani fondamentali.

Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica

Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica


I documenti elaborati dai comitati nazionali di bioetica e da quelli istituiti a livello europeo hanno reale incidenza sulle legislazioni nazionali e comunitarie e sulla comunità scientifica?
L’impressione generale è che i comitati stiano diventando punti di riferimento rilevanti in vista di regolamentazioni percepite come sempre più urgenti a livello nazionale e internazionale. Di fronte alla complessità dei problemi e all’accelerazione del progresso tecno-scientifico, con la conseguente difficoltà del diritto a stare al passo, questi documenti stanno divenendo strumenti per la governance. L’obiettivo che oggi si sta delineando è arrivare a costruire un’etica integrata nel processo di progettazione tecnologica che rifletta l’evoluzione tecno-scientifica prima e durante, non solo dopo: gli eticisti dovrebbero interagire con gli scienziati nella fase dello sviluppo della conoscenza e delle tecnologie per orientare la ricerca e individuare insieme tecnologie che già nella fase di progettazione offrano condizioni e requisiti per l’eticità dell’applicazione. Un compito che gli organismi di bioetica stanno assumendo è anche quello di costruire piattaforme di discussione tra gli esperti (scienziati, eticisti, giuristi) e i cittadini.
Quali saranno i temi oggetto di studio nei prossimi anni?
La discussione, che continua sui “tradizionali” temi bioetici di inizio e fine vita, cura e sperimentazione, si sta aprendo a questioni nuove, che includono le neuroscienze, la genomica, la biometria, i big data, il potenziamento, la roboetica, le tecnologie convergenti.

da Avvenire

“Nanotecnologie” al top “fuochi” e invidie col flop

“L’Espresso” (22/11, p. 117): “Nanotecnolo-gie”. Elogio di un sistema che abbassa la tempera-tura in lavatrice: utile e sicuro. Troppo calore fa male. Stesso “Espresso” (p. 24) opportuna replica (“Top e flop”) a recente affermazione azzardata per cui «tra la sinistra europea e i democratici Usa c’è sempre stato un legame», provata col fatto che il 10/11/1960 “L’Unità” in prima pagina «riporta(va) l’elezione di Kennedy». A quel “top” segue subito il “flop” abbassa-temperatura: la stessa “Unità” (p. 2) esaltava i rapporti tra «la Cgil e i sindacati cecoslovacchi». Si sa oggi, ma già allora – 4 anni dopo Budapest, e 8 prima di Praga – si sapeva quale fosse la realtà della Cecoslovacchia: figurarsi i sindacati! Il giusto bagno freddo in pagina abbassa la temperatura. Tu però poi a p. 26 trovi: «Gesù, è un fuoco di Paglia». Un vero “fuoco”, e tutto di ironie volutamente brucianti. Ce l’ha in blocco e comunque con cattolici e Chiesa: «il card. Bertone e il collega Bagnasco… i gesuiti della Chiesa del Gesù» – ahimè per di più “gremita” – e il «Don Camillo-risolvi problemi», e «Mario Monti e Mario Draghi (purtroppo, vero? Ndr) allievi prediletti dei Gesuiti», e il generale di questi, e il cardinal Ravasi che dialoga – aiuto! – col… direttore del “Corsera”, il quale – orrore! – da “La Casta” sarebbe passato alla “Compagnia”, ovviamente di Gesù. Insomma: proprio «un fuoco di Paglia» – maiuscola mirata – con allusioni ripetute cariche di certa invidia a S. Egidio e… all’Opus Dei, che non poteva mancare. Insomma: un “fuoco” ad altissima temperatura che sbuffa da tutti i laicissimi coperchi. Che dire? Verrebbe bene la “nanotecnologia” di p. 117: abbassa la temperatura e forse garantisce miglior pulizia: dei luoghi comuni. Provare, per… ricredersi.
avvenire.it

Convegno a Bruxelles sugli aspetti etici e religiosi delle nuove frontiere della scienza

di RICCARDO BURIGANA

Cosa accade all’autocomprensione dell’uomo e alla pietà religiosa quando la vita umana è vista come l’oggetto di un progetto tecnologico piuttosto che come il risultato di un’evoluzione o della creazione divina? È questa una delle principali domande alle quali vuole dare una risposta il convegno ecumenico “Human Enhancement: Moral, Religious and Ethical Aspects from a European Perspective”, che si tiene a Bruxelles dal 25 al 27 aprile. L’incontro è promosso dalla commissione Chiesa e società della Conferenza delle Chiese europee (Kek), sotto l’auspicio del segretario generale del Consiglio d’Europa, in collaborazione e con il sostegno, tra gli altri, della Community of Protestant Churches in Europe.
Il convegno, organizzato nel corso del 2011 da una commissione internazionale di teologi e uomini di scienza, è stato pensato come l’inizio di un percorso di approfondimento ecumenico su alcuni temi. La Kek, infatti, desidera offrire un contributo al dibattito contemporaneo sul rapporto tra etica, scienza e tecnologia, ponendo una particolare attenzione ai più recenti sviluppi della bioetica e della biotecnologia. Si tratta di temi sui quali la Kek conduce, spesso in collaborazione con la Chiesa cattolica, una riflessione che ha alle spalle anni di incontri ecumenici, con i quali si è imparato a pensare insieme a come i cristiani devono rispondere alle nuove frontiere della scienza. Infatti, già nel 2003 la commissione Chiesa e società ha organizzato un convegno ecumenico su “Human life in our hands? Churches and Bioethics”. A questo convegno, che affrontava uno dei temi più controversi del tempo, presero parte quasi cento rappresentanti di Chiese e comunità ecclesiali da ventidue Paesi per un primo confronto ecumenico internazionale.
Nel corso degli anni si è venuto ampliando il dibattito ecumenico sul rapporto tra etica e scienza, suscitando molto interesse e determinando qualche difficoltà non solo tra le diverse tradizioni cristiane, ma anche all’interno delle singole confessioni, chiamate a confrontarsi anche con le sollecitazioni delle istituzioni europee e nazionali. Uno dei segni di questo crescente interesse ecumenico è stato il documento sull’Human Enhancement, preparato dal gruppo di lavoro sulla bioetica e la biotecnologia della Kek e presentato all’assemblea generale di Lione, nel 2009. Questo documento, che è stato particolarmente apprezzato in ambito ecumenico, anche fuori dall’Europa, cercava di arricchire il dibattito delle istituzioni politiche e del mondo della scienza con un richiamo all’importanza di una visione teologica sulla creazione. Al tempo stesso il documento voleva ampliare la discussione su questi temi tra i cristiani nella consapevolezza che ancora molto dovesse essere fatto per un maggiore coinvolgimento ecumenico nel dibattito in corso.
Proprio dal dibattito intorno a questo documento è nata l’idea di organizzare un convegno ecumenico internazionale così da moltiplicare le occasioni di confronto con il mondo della scienza per aiutarlo a non perdere di vista la centralità della persona umana. Il convegno di Bruxelles, che sarà aperto dal metropolita di Francia, Emmanuel, presidente della Kek, si propone di favorire un dialogo internazionale, interdisciplinare e interconfessionale per definire i termini dell’human enhancement, cioè di come la scienza possa e debba migliorare la vita dell’uomo, senza però stravolgere la sua natura come se l’uomo non fosse altro che una “macchina” sulla quale intervenire per migliorare le sue prestazioni. Su queste “nuove tecnologie” le Chiese e le comunità ecclesiali in Europa sono chiamate a un confronto ecumenico a partire dai diversi approcci, che caratterizzano la propria ricerca teologica, anche in rapporto alle istituzioni europee e al mondo della scienza. In questa fase di confronto gli organizzatori del convegno di Bruxelles auspicano un coinvolgimento anche delle altre religioni, soprattutto di quelle che hanno presenza particolarmente forte in Europa, tanto che il programma del convegno di Bruxelles comprende anche dei relatori musulmani e ebrei. A Bruxelles sarà preso in esame anche il documento discusso nell’assemblea generale di Lione del 2009, in modo da procedere a una sua revisione che tenga conto degli ulteriori sviluppi ecumenici su questi temi. Infatti, appare quanto mai importante giungere a una riflessione pienamente condivisa dai cristiani, così da proporre una “comune voce ecumenica” alle istituzioni europee.
Proprio una sempre più stretta collaborazione ecumenica appare la premessa necessaria per rafforzare il dialogo con i diversi soggetti dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa che stanno affrontando, a vario livello, il tema del rapporto tra etica e scienza. Le istituzioni europee, infatti, rappresentano l’interlocutore privilegiato in questa fase nella quale appare evidente quanto i cristiani possano contribuire a chiarire i termini e i limiti della biotecnologia alla luce di una testimonianza evangelica che metta al centro i valori umani. A Bruxelles si rifletterà, dunque, sulla ricerca di un necessario equilibrio tra il miglioramento delle “prestazioni” del genere umano da un punto di vista puramente fisico e lo sviluppo delle sue capacità morali, mentali e spirituali, così come è all’ordine del giorno il rapporto tra i cospicui investimenti economici nella ricerca in questo campo e quelli necessari per assicurare un’assistenza sanitaria sempre più capillare e professionale, dal momento che non mancano le voci ecumeniche che hanno denunciato il drenaggio di risorse economiche che sarebbero utili per combattere le tante situazioni di povertà e abbandono presenti anche in Europa. Questo punto è strettamente connesso alla riflessione su come questo “nuovo” uomo possa accentuare ancora di più le distanze economiche nel mondo, determinando anche la creazione di una società sempre più individualista. Fin dalla formulazione della proposta di questo convegno internazionale la commissione organizzatrice ha auspicato che si potesse giungere alla redazione di un testo che costituisse una base sulla quale proseguire una riflessione ecumenica che fosse alimentata dal contributo di tutti i cristiani. Anche per questo il convegno di Bruxelles si propone di ampliare la partecipazione di gruppi e associazioni ecumeniche.

(©L’Osservatore Romano 25 aprile 2012)

Quando la bioetica diventa campo di battaglia

Non può passare come una provocazione o, al contrario, un «puro esercizio di logica» la difesa dell’infanticidio argomentata da due studiosi italiani – Alberto Giubilini e Francesca Minerva – nella rivista The Journal of Medical Ethics.

I due bioeticisti chiamano «aborto post-nascita» l’omicidio dei neonati perché, così come i feti, i bambini nati da poco non sarebbero persone e non hanno quindi diritto alla vita. Se i primi si possono abortire, si dovrebbe poter sopprimere pure i secondi, usando lo stesso termine (aborto), perché «omicidio» è riservato alle persone. Conforta la reazione di disgusto e ripugnanza, dilagata soprattutto in Rete, così forte che gli editori della rivista, Julian Savulescu e Ken Boyd, e gli autori stessi hanno cercato, in qualche modo, di difendersi.

Savulescu, che da sempre sostiene tesi analoghe a quella dell’articolo, ha rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui giustifica la pubblicazione ma che, a scanso di equivoci, inizia così: «Sono personalmente contrario alla legalizzazione dell’infanticidio». L’editore associato Boyd ha spiegato di non condividere le conclusioni dell’articolo, precisando addirittura che quei due bioeticisti lui non li conosce neppure. Mai visti. E persino i due studiosi hanno tentato di minimizzare quel che loro stessi hanno scritto. In una lettera aperta protestano che il loro è solo «un puro esercizio di logica», niente di più lontano da una proposta di legge in materia.

Dichiarazioni che suonano francamente patetiche e inadeguate. Autori ed editori non negano la tesi del saggio – l’infanticidio è accettabile per le stesse ragioni per cui lo è l’aborto – e si dissociano solamente dalla sua legalizzazione (gli autori non in modo esplicito). Ma se è tutto tanto logico, razionale, consolidato nella letteratura, e soprattutto così robustamente argomentato come ripetono continuamente, perché non se ne può giustificare la messa in pratica? E se editori e autori sono contrari all’infanticidio, perché non l’hanno precisato chiaramente in una nota al testo?

Forse perché quel saggio rivela realmente il loro orientamento culturale. Nel testo leggiamo infatti che «lo status morale di un neonato è equivalente a quello di un feto nel senso che entrambi mancano di quelle caratteristiche che giustificano l’attribuzione del diritto alla vita di un individuo. Sia un feto sia un neonato sono certamente esseri umani e potenziali persone, ma nessuno dei due è “persona” nel senso di un “soggetto di un diritto morale alla vita”.

Noi chiamiamo persona un individuo che è capace di attribuire alla propria esistenza (almeno) alcuni valori di base come il ritenere una perdita l’essere privati della propria esistenza. Ciò significa che molti animali non umani e individui umani mentalmente ritardati sono persone, ma che tutti gli individui che non sono nelle condizioni di attribuire alcun valore alla propria esistenza non sono persone. L’essere semplicemente un essere umano di per sé non è una ragione per attribuire a qualcuno un diritto alla vita».

Difficile pensare che chi si esprime in questo modo – e chi pubblica, ritenendo queste idee utili al progresso dell’umanità – non condivida quanto formulato. Con tutte le conseguenze del caso, infanticidio compreso. A questo punto autori ed editori dovrebbero chiarire se dissentono o meno dalle definizioni e da certe argomentazioni dell’articolo: è inevitabile dedurne la plausibilità dell’infanticidio, indipendentemente dal fatto che se ne discuta o meno la traduzione in legge. Ma la questione non riguarda solo loro. Investe tutto quel mondo, specie accademico, che si occupa di queste tematiche: i due studiosi non vengono dalla luna, ma sono laureati e dottorati in prestigiose università italiane – Milano, Bologna – e Savulescu ha già collaborato con l’università Vita & Salute del San Raffaele.
Ci sono domande che urgono. Mi chiedo, e chiedo a chi fa parte del mondo della bioetica: riflettere sulla vita umana, sia pure in ambito accademico, può essere solo un «puro esercizio di logica»? Cosa pensiamo di espressioni tipo «aborto post-nascita»? Siamo disposti ad accettarne il diritto di cittadinanza nel lessico della bioetica? E soprattutto, in nome della libertà di pensiero e di espressione, siamo disposti a riconoscere che alcuni orientamenti e definizioni, come quelli espressi nel saggio di cui si sta parlando, possono portare a conseguenze sociali ed antropologiche devastanti, come ben dimostrato nell’articolo? Insomma, siamo disposti a interrogarci sul ruolo e il compito della bioetica?

 

Assuntina Morresi – avvenire.it