Una nascente mariologia: gli apocrifi sull’Assunta

di: Mario Colavita

maria apocrifi

Dobbiamo abituarci a vedere gli scritti apocrifi come un tesoro in cui possiamo trovare preziosi indizi che ci richiamano all’ambiente liturgico-cultuale del proto-cristianesimo.

Anche se la Chiesa dal IV secolo in poi li ha disconosciuti, la letteratura apocrifa era così entrata nelle midolla delle comunità che difficilmente se ne è potuto fare a meno.

Per secoli, forse senza saperlo, la liturgia, la poesia, l’arte e la letteratura sono cresciute gomito a gomito con questi scritti.

L’Ufficio catechistico nazionale, in un documento dal titolo “Incontro alla Bibbia” pubblicato nel 1996, scrive a riguardo agli apocrifi: «Gli apocrifi contengono in ogni caso preziose testimonianze di pietà popolare e di tendenze teologiche diverse e, se non ci forniscono nuove informazioni credibili su Gesù né dati dottrinali inediti, ci informano indirettamente sull’ambiente spirituale delle comunità in cui vennero scritti».

Apocrifi come fonte

Popolo e pastori hanno attinto dagli apocrifi per sostanziare e illuminare alcuni punti non chiari della vita dell’infanzia di Gesù, della Vergine Maria, degli apostoli e dei martiri.

Incuriositi e stimolati nel cercare motivazioni, anche per rispondere alle idee eretiche, i primi cristiani attingono alle fonti apocrife per confermare tradizioni e visioni circa la morte e l’assunzione di Maria.

Sin dai primi secoli i cristiani provenienti dal giudaismo si domandavano come la madre di Dio fosse morta, il luogo della sua sepoltura e che fine avesse fatto il suo corpo.

A questi interrogativi rispondono i testi apocrifi dei transiti e delle dormitio dai quali possiamo scoprire indizi che illuminano la vita e la liturgia delle prime comunità cristiane circa il culto della Vergine Madre di Dio.[1]

C’è chi ha scritto che questi testi sono come piccoli torrenti torbidi dove è possibile trovare pagliuzze d’oro; non solo, ai testi apocrifi “mariani” del primo cristianesimo spetta di aver fissato una forma di predicazione e di catechesi che la tradizione ha tramandato nelle sue varie forme.

Gli apocrifi sull’assunta hanno un triplice scopo: quello di difendere, confermare e attualizzare il credere Maria come Vergine madre di Dio. Maria è vergine e gli apocrifi difendono questo dato (prima durante e dopo la nascita), rimane vergine fino alla sua morte e assunzione.

È Madre di Dio, madre di Cristo, per questo ha avuto il privilegio di essere dal figlio custodita nella morte e dopo la morte.

Devozione mariana nascente

La devozione Maria si stava diffondendo tra i giudeo-cristiani. Gli apocrifi ne diffondono il culto… apportando notizie non rintracciabili nei testi canonici. Del resto, nel Nuovo Testamento l’ultima notizia circa Maria è che stava in preghiera con gli apostoli nel cenacolo e poi basta, nessuna parola.

Gli apocrifi mariani mettono in risalto l’idea della vicinanza di Maria alla nostra condizione: con le sue dimensioni più umane e naturali (la stanchezza, la fame, la sete…) e i suoi risvolti psicologici (la nostalgia del Figlio, la preoccupazione di non suscitare malumori e competizioni all’interno del gruppo di pares dei discepoli, l’affetto materno profondo e autentico nei loro confronti) e, per altro verso, ne mettono in evidenza, con grande efficacia, la grandezza, la superiorità morale e spirituale, gli afflati mistici raggiunti dalla sua santità.

Dalla lettura dei transiti emerge in filigrana una chiara e nascente mariologia. Essa è espressione della fede e della devozione dei giudeo-cristiani.

Questa venerazione alla Vergine Maria e Madre di Dio si evince da una serie di titoli con cui Maria viene salutata ora dagli apostoli ora da Cristo.

I titoli, nell’antichità, esprimevano l’onore dato a particolari personaggi, sono espressioni genuine che sostanziano quella devozione mariana che ininterrottamente si è portata fino ai nostri giorni. Questi titoli, poi, hanno un sapore biblico richiamandosi alla storia d’Israele.

L’autore del Transitus Romanus, ad esempio, ha voluto rileggere la storia di Maria con il genere del midrash, una sorta di racconto ebraico che cerca di scavare dentro il testo e attualizzarlo.

L’autore dell’apocrifo ha riletto la Bibbia e ha cercato delle testimonianze che prefigurino Maria con diversi titoli: La Vergine, la casta Colomba, Sorella e Madre, Madre dei dodici rami, Madre dei dispersi, Nuova Eva, Nuova Myriam, Nuovo Tempio, Arca dell’Alleanza, Depositaria del mistero.

Questi titoli mettono in evidenzia l’appartenenza di Maria al popolo ebraico; il richiamo costante alla storia e alla tradizione biblica conferisce a Maria un posto tutto particolare che dai giudeo-cristiani si è poi riversato nel primo cristianesimo.

Titoli mariani

Maria è chiamata Vergine che ha concepito senza corruzione. Per i padri della Chiesa e per gli autori dei testi apocrifi, la verginità è condizione per l’incorruttibilità di Maria nel sepolcro, Inoltre, la verginità unita alla divina maternità diventa presupposto per l’assunzione ad opera del Figlio.

Maria è chiamata casta Colomba con particolare riferimento al Cantico dei Cantici (Ct 2,14). La rielaborazione patristica vede in Maria la “bianca colomba”.

Maria è salutata come Sorella e Madre: l’Angelo Gesù, incontrando Maria, la chiama Madre, successivamente Giovanni la chiama Sorella anche a significare, secondo l’intenzione dell’autore del Transitus, la familiarità di cui Maria godeva nella comunità cristiana primitiva.

Il titolo più emblematico è quello di Madre dei dodici rami. È Giovanni a chiamare Maria con questo appellativo: il 12 rinvia alle tribù d’Israele e, nel Nuovo Testamento, al gruppo dei 12 apostoli. Il titolo unisce splendidamente il dato anticotestamentario con quello della nuova Chiesa in cui Maria diventa trait d’union.

Maria è salutata come Madre dei dispersi: è un titolo dal sapore escatologico nel senso che in Maria saranno radunati i figli di Dio nella nuova Gerusalemme.

Maria è chiamata Nuova Eva e Nuova Myriam. Myriam, sorella di Mosè e Aronne, è guida del popolo (cf. Mi 6,4), profetessa, colei che intercede; secondo il Talmud Babilonese, Myriam sarebbe morta nel bacio di Dio e non avrebbe conosciuto la corruzione della tomba.

Maria è salutata come Nuovo Tempio e Arca dell’Alleanza. Il triste episodio di Iefonia che vuole rovesciare il lettuccio della Vergine ricorda l’episodio di Uzza che, nel toccare l’Arca, fu punito con la morte (cf. 2Sam 6, 6-7). La confessione di Iefonia conferma che Maria è l’arca vivente di Dio.

Maria è chiamata Depositaria del mistero; nel Transitus emerge il tema dell’arcano, del mistero legato alla Sapienza vicina a Dio (cf. Prov 8,22-31).

Questi titoli non fanno altro che amplificare la devozione nella Madre di Dio e presentare la Vergine Maria legata alla storia d’Israele. I testi apocrifi mariani ci aiutano a collocare Maria dentro la storia della salvezza, Maria è Vergine e madre di Dio e collabora con il figlio Gesù per la nostra redenzione. I titoli mariani, passati nella devozione popolare, non fanno altro che confermare il sentire della Chiesa.

Settimana News

Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria

Osservatore Romano

Duccio di Buoninsegna, vetrata per il il duomo di Siena con al centro la scena dell’Assunzione

Il rapporto di Maria con la Trinità è continuo; tutti gli aspetti della sua esistenza appartengono a quel mistero: l’ideazione della sua singolare vocazione, la sua concezione immacolata, la sua perpetua condizione verginale, la sua divina maternità, la sua compagnia materna data al Figlio in ogni passaggio della sua missione messianica, la sua maternità ecclesiale. È certamente vero che nessuna creatura ha avuto né avrà tanta relazione con la Trinità. Ciascuna delle tre divine Persone ha posto sull’esistenza di Maria, in modo proprio, l’impronta della sua somiglianza.

Il Padre, come è all’origine di tutta l’opera salvifica, è anche all’inizio dell’avventura di grazia vissuta da Maria come madre messianica: la grazia di Maria viene dal Padre e porta al Padre, che la glorifica chiamandola vicino al Figlio che siede alla sua destra. Maria è stata assunta: non si è auto-elevata in cielo; non è ascesa al cielo per forza propria. Occorre perciò indicare il soggetto attivo dell’Assunzione, per comprendere e spiegare, nella fede, tale privilegio mariano. Quel soggetto attivo è il Padre. È lui che ha chiamato e portato in cielo la madre del Figlio.

Maria, con l’Assunzione, rivive in modo inverso, la grazia e la gioia dell’incarnazione; lei, per così dire, esperimenta un nuovo rapporto con Gesù, quasi una restituzione dell’amore che egli le riserba accogliendola in Cielo: «Così com’ella l’ha accolto nell’ambito delle cose umane, allo stesso modo egli ora la fa entrare nella sua vita divina ed eterna. Entrambi gli atti sono in sé completi ed includono globalmente l’uomo, l’anima e il corpo. […] È un ciclo anche quello tra la Madre e il Figlio, in quanto come una volta la Madre ha pronunciato un sì nei riguardi del Figlio e di tutto ciò che lo riguarda, allo stesso modo è il Figlio che oggi pronuncia un grande sì verso la Madre» (A. von Speyr, L’ancella del Signore. Maria, Milano, Jaca Book, 1986, p. 145).

La glorificazione di Maria con l’Assunzione al cielo è, con ogni evidenza, tema immediatamente mariano, ma fondamentalmente essa è tema teologico, nel senso che è una delle iniziative del Padre su Maria. La Vergine riceve la grazia dell’Assunzione, come aveva ricevuto quelle dell’Immacolata concezione, dell’annunciazione, della maternità divina. Tenendo conto questo grande aspetto del mistero cristiano (l’attività di Dio e la passività della creatura), è proprio il caso di dire che il cosiddetto “autogiudizio”, su cui tanto s’insiste in questi anni, non si dà nel senso più serio in cui si deve dire dell’ultimo giudizio di Gesù sui singoli uomini e sulla storia. Il giudizio ultimo è l’estremo atto salvifico che Gesù, quale fratello necessario, porrà come Redemptor hominis e come Salvator mundi. In quanto iniziativa del Padre, l’Assunzione conferma in modo chiaro che nel cristianesimo non esiste l’auto-redenzione e, perciò, neppure l’auto-giudizio e l’auto-glorificazione. Maria non si è auto-redenta (è il senso dell’Immacolata concezione); perciò non si è neppure auto-glorificata (è il senso dell’Assunzione). Gesù salva lei e i suoi tre popoli: il popolo di Adamo di cui è la figlia migliore; il popolo d’Israele, di cui è il “resto santo”; il popolo della Chiesa, di cui è il beato inizio.

Fede escatologica e mariana

C’è una dimensione mariana nella vittoria redentiva di Cristo ottenuta nell’evento passato della Pasqua, che determina l’intero futuro? e se c’è, dov’è? Maria, profetizzata come uno dei soggetti della lotta contro Satana (cfr. Gn 3, 15), quale nuova Eva partecipa a tale lotta con la presenza attiva sotto la Croce. I rapporti Adamo-Eva e Cristo – nuova Eva non possono non essere compresi nel contesto dell’evento staurologico: la Croce è il nuovo “albero della vita” sul quale (Cristo) e intorno al quale (Maria) ricomincia la storia della salvezza nel segno della fedeltà e dell’ubbidienza.

Maria, con il  della «mediazione materna», come san Giovanni Paolo II s’esprime nella terza parte della Redemptoris Mater, ha partecipato a escatologizzare la storia, prima permettendo l’ingresso in essa del Salvatore come causa escatologica, poi ha continuato la collaborazione all’opera messianica del Figlio, permanendo al fianco di lui fino all’apice della lotta messianica, ossia fin nel cuore del mistero dell’ora pasquale. La nostra fede escatologica è dunque anche mariana perché riguarda un futuro, la cui causa è stata posta in un passato (incarnazione e croce) nel quale Maria ha preso parte in modo attivo ed essenziale. Questo — non stupisca — esige anche che perfino la “teologia della storia” si connoti in modo mariano.

La partecipazione di Maria alla strutturazione della storia della salvezza, ossia alla sua escatologizzazione, è stata così profonda ed essenziale che la sua esistenza può essere considerata una «microstoria della salvezza» (S. De Fiores): essa ha infatti sintetizzato l’intero progetto di grazia che il Dio trinitario ha disegnato e realizzato per la famiglia umana. Nella sua esistenza si inverano, in modo essenziale e nuovo, i maggiori passaggi della storia di grazia: «Per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede» (Lumen gentium, n. 65). In particolare, nel suo mistero sfocia l’evento dei nostri primordi (è la “nuova Eva”); si concentra il mistero del primo Israele (è la “Figlia di Sion”); ha principio il mistero del secondo Israele (è la “Chiesa nascente”).

La connessione del mistero mariano col mysterium salutis è tale che l’esistenza della Vergine-Madre è segno di tutti i misteri cristiani: del mistero trinitario (per essere figlia eletta del Padre, madre santa del Figlio, sposa amorosa dello Spirito); del mistero dell’incarnazione (per la sua maternità divina); del mistero pasquale-pentecostale (per il suo essere stata “socia del Salvatore” sotto la croce e compagna degli apostoli nel cenacolo); del mistero della Chiesa (per essere sua madre e suo modello); del mistero della fine (per essere assunta nella gloria trinitaria ed essere glorificata come regina, divenendo in pienezza “La Gloriosa”).

La salvezza completa

Con la sua Assunzione Maria anzitutto ci presenta il cristianesimo come religione del futuro assoluto. Parla anche all’uomo contemporaneo, quasi ammonendolo, perché questi consuma la sua esistenza nel quotidiano e pone le sue scelte nella breve terra dell’oggi, senza pretendere che esse debbano scaturire da lontano (assenza della tradizione) o debbano portare lontano (assenza dell’apertura al futuro ultimo), restando così irretito nelle forre del presentismo.

D’altra parte, il presentismo non è il tempo buono per l’uomo del nostro “tempo debole”, né la storia, nel suo insieme, è adeguata risposta al radicalismo della tensione al futuro che è dentro il suo cuore: «L’istinto del cuore — afferma la Gaudium et spes — lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea […] di un annientamento definitivo della sua persona» (n. 18). Perciò dice bene il filosofo Michele Federico Sciacca, quando afferma, con amabile ironia: «Io con la storia mi accendo la pipa» (Come si vince a Waterloo, Milano 1965, p. 12).

Purtroppo, l’uomo contemporaneo sembra farsi bastare quanto entra nelle strette stive di una “nave“ che solca un mare senza orizzonti lunghi. Al cristianesimo ciò non basta: l’Assunzione di Maria ricorda quanto esso pensa sul destino ultimo dell’uomo, che è chiamato a realizzarsi in pienezza e per sempre. È questo il senso della “gloria”, parola che Hans Urs von Balthasar ha genialmente scelto per dire tutto il cristianesimo nella sua monumentale teologia.

È un fatto che molti uomini d’oggi, come denunciava Benedetto XVI, sono scivolati dentro l’anello nero e soffocante del nichilismo, che è filosofia debole, ma che ha certamente la forza di stringere al collo la «bambina speranza», di cui parlava Péguy, e di soffocarla. Dinanzi al labirinto nichilistico che smarrisce l’uomo di oggi disarcionandolo dalle “grandi narrazioni”, inchiodandolo al solo presente, convincendolo che gli possano bastare i futuri brevi, allevandolo soprattutto alla malsana idea di una vita senza “giudizio ultimo”, il cristianesimo, preoccupato, s’impegna ad aiutare l’uomo della post-modernità a uscirne per evitare che finisca nelle fauci della tigre cinica.

Maria è imitabile sempre, lo è anche la sua Assunzione. Ma che cosa significa, oggi, essere «assunti» a imitazione di Maria? È presto detto: significa elevare, in un vortice aspirante di grazia, le nostre persone, le nostre «opere» e i nostri «giorni», la nostra vita cristiana ed ecclesiale, la nostra missione, la nostra animazione evangelica delle realtà temporali.

Dinanzi a Maria assunta in cielo il grido dei pellegrini verso la Patria trinitaria dev’essere più acuto e più radicale: l’intero tuo spirito diventi nostro. Il cristianesimo, anche con l’ostensione dell’“icona della Gloriosa”, dinanzi a un uomo, quello contemporaneo, che ama raccontarsi come un essere senza radici e senza promesse, invita a non aver paura del futuro, ma a riassumerlo con fiducia e serietà, a interrogarlo con radicale rigore.

Sfida alla gioia

C’è una vena di tristezza che connota la nostra ora storica, ed è così profonda da non poter essere nascosta dal frastuono del suo vitalismo. L’epoca contemporanea, nonostante tutto, è triste. La sua è una tristezza che ne segna vistosamente il volto fino a contraddistinguerla. La nostra epoca, fra l’altro, sarà ricordata come un tempo che ha conosciuto la tentazione della disperazione. C’è stato nell’Occidente del Novecento, il terribile “secolo breve”, una venatura amara nella vita privata, nella vita sociale e politica, e perfino nella cultura: Baudelaire, Mallarmé, Camus, Gide, Bernanos, Pavese, Tomasi di Lampedusa sono solo alcuni nomi di quel filone nerastro della sua letteratura che tinge di tristezza il frontespizio del tempio della cultura contemporanea.

Senza dire delle correnti malinconiche, tristi, disperanti della filosofia contemporanea, che in tanta parte è filosofia nichilista o comunque della crisi della ragione e dei comuni valori. Tristissimo, poi, è lo scenario se guardiamo all’ambito socio-politico su scala planetaria: sono vistosi i segni di tristezza causati dalla fame e dalla guerra sul volto dei popoli, specie su quello dei cosiddetti “popoli ultimi”, e dal terrorismo che rattrista e getta nel panico tutti con i suoi progetti di violenza e di morte.

C’è oggi una «difficoltà a dir di sì», affermava anni fa Johann Baptist Metz. Si constata una marcata indisponibilità alla gioia e, ciononostante, le ostentazioni vitalistiche del nostro tempo, e nonostante le grandi vittorie che l’uomo d’oggi indubbiamente si è date in campo scientifico e tecnologico. Paradossalmente, tanta parte della tristezza patita dall’uomo di oggi dipende proprio da quelle presunte e improprie “vittorie”: basti il solo cenno al guasto ecologico per intenderci.

La Chiesa osserva ed è preoccupata. Essa sa che nel lungo elenco dei «prodotti» dell’Homo faber d’oggi non si trova la gioia. Si constata anche una tacita confessione di debolezza e d’impotenza da parte di una civiltà che pure mostra di poter tanto; basti pensare all’incapacità di questa a fronteggiare serenamente la morte, intorno a cui non sa fare altro che organizzare una specie di congiura del silenzio. Scriveva Paolo VI: «La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d’altronde. È spirituale» (Esort. ap. Gaudete in Domino [9.5.1975], i).

Ora, di fronte a questa profonda e vasta tristezza che permea dei suoi neri umori un’intera epoca, la Chiesa sente di dover reagire: presenta, anzitutto dinanzi ai suoi occhi, ma anche in faccia al mondo, un segno di speranza, ed è Maria Assunta (cfr. Lumen gentium, n. 68): «La solennità del 15 agosto celebra la gloriosa Assunzione di Maria al cielo: è, questa, la festa del suo destino di pienezza e di beatitudine, della glorificazione della sua anima immacolata e del suo corpo verginale, della sua perfetta configurazione a Cristo risorto; una festa che propone alla Chiesa e all’umanità l’immagine e il consolante documento dell’avverarsi della speranza finale: ché tale piena glorificazione è il destino di quanti Cristo ha fatto fratelli» (Paolo VI, Esort. ap. Marialis cultus, [2.2.1974], n. 6).

Nella vita della Chiesa

La presenza di Maria nella Chiesa non proviene solo dal passato (come se vi fosse solo ben ricordata), ma proviene anche dal futuro: l’attende nella gloria e realizza in essa una misteriosa presenza soprattutto come sua permanente madre. Maria, donna di futuro, è presente nella Chiesa da sempre, perché ne fa parte in modo costitutivo: senza di lei la Chiesa sarebbe una comunità religiosa senza prototipo e senza modello ispirativo, sarebbe un popolo pellegrino senza il segno di sicura speranza dinanzi ai suoi occhi, sarebbe una famiglia senza madre, ma non al modo di una famiglia restata senza madre (cosa che è possibile), ma al modo di una famiglia che non avrebbe avuto mai la madre (cosa che non riusciamo a concepire).

La Chiesa senza Maria dovrebbe spiegare diversamente le sue origini (è stata la Chiesa nascente), dovrebbe spiegare diversamente l’ingresso nel mondo del suo fondatore (Cristo è nato da donna: cfr. Gal 4, 4), dovrebbe spiegare diversamente la sua attuale unione con Cristo che rende salvifico il suo agire (è sacramento in Cristo, la cui sacramentalità è legata all’incarnazione del Verbo avvenuta nel seno della Vergine Madre).

Glorificazione regale

L’Assunzione non è l’ultimo mistero di Maria, che è già la sua glorificazione, ma ad essa segue un’altra forma di glorificazione, quella regale. Come si sa, Pio XII al termine dell’Anno mariano del 1954, dedicato al centenario alla definizione dommatica sull’Immacolata, l’11 ottobre pubblica l’enciclica Ad coeli reginam. In essa Papa Pacelli portava le motivazioni della nuova festa liturgica di Maria regina, fissandola a conclusione del mese di maggio, legandola perciò alla pietà popolare. Invece, nel riformato Calendario romano del 1969 la festa della regalità della Vergine viene spostata al 22 agosto, all’ottava dell’Assunta. In tal modo si fa una scelta teologica molto saggia e intelligente: infatti, è evidenziato il legame misterico che esiste fra Assunzione e glorificazione regale di Maria.

Questo legame è mostrato e reso esplicito dalla liturgia del 15 agosto, quando nell’antifona del Magnificat di quel giorno, così si canta: «Rallegratevi, perché Maria è salita nei cieli: / con Cristo regna per sempre». La “logica dei misteri” è evidente: il “salire in Cielo” e il “regnare in Cielo” si legano, come sono connessi l’ascendere di Gesù al Cielo e il suo regnare avendo ricevuto la glorificazione regale da parte del Padre. Con lucidità magisteriale Paolo VI afferma rispetto alla memoria mariana del 22 agosto: «La solennità dell’Assunzione ha un prolungamento festoso nella celebrazione della beata vergine Maria regina, che ricorre otto giorni dopo, nella quale si contempla colei che, assisa accanto al Re dei secoli, splende come Regina e intercede come Madre» (Esort. Ap. Marialis cultus, n. 6).

In questo testo pontificio non si afferma solo l’essenziale legame tra Assunzione e regalità di Maria, ma anche un ordine fra i due eventi della sua glorificazione. «Giustamente il testo sottintende che per la liturgia romana la solennità del 15 agosto costituisce, a rigor di termini, la celebrazione più piena della regalità di Maria: nella luce dell’Assunzione la festa del 22 agosto appare solo come un “prolungamento festoso” di essa come peculiare contemplazione di “colei che, assisa accanto al Re dei secoli, splende come Regina e intercede come Madre”» (D. M. Sartor, Le feste della Madonna. Note storiche e liturgiche per una celebrazione partecipata, Bologna, Dehoniane, 1987, p. 136).

Però, è anche vero che, in un’ottica teologica rigorosa, il culmine della glorificazione di Maria e, perfino il senso ultimo di essa, si ha nella sua glorificazione regale. È lì che lei diviene, in senso pienissimo, “La Gloriosa”.

di Michele Giulio Masciarelli

Reggio Emilia / Avvisi per Giovedì 15 agosto 2019 S. Maria Assunta – Titolare della Cattedrale

Unità Pastorale «Santi Crisanto e Daria» 

e Parrocchia di Sant’Agostino ~ Reggio Emilia

Giovedì 15 agosto 2019 Santa Maria Assunta Titolare della Cattedrale

Risultati immagini per assunta cattedrale reggio emilia

– ore 8.00 Lodi Mattutine davanti alla Pala dell’Assunta

– ore 11.00 Solenne celebrazione presieduta da Mons. Caprioli

(Anima il canto la Cappella Musicale della Cattedrale)

ore 17.00 Santo Rosario davanti alla Pala dell’Assunta

– ore 18.00 Solenne celebrazione eucaristica presieduta dal canonico Mons. Francesco Marmiroli

– ore 19.15 Vespri solenni davanti alla Pala dell’Assunta

* In S. Prospero: Santa Messa dell’Assunta alle ore 9 

* In S. Teresa e in S. Stefano: sospesa la Messa delle ore 10.00

* In S. Agostino: sospese le Messe delle ore 9 e 11.00

Indulgenza plenaria in Cattedrale il giorno 15 agosto

NOVENA DI PREPARAZIONE

Da lunedì 5 a martedì 13 agosto in Cripta (nei giorni feriali)

ore 7. 40 Lodi; ore 8 e 10.30 S. Messa; 

(escluso il sabato) ore 17.20 Rosario e ore 18 Vespri 

Domenica 11 agosto in tutte le chiese:

orario festivo 

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Mercoledì 14 agosto

ore 7. 40 Lodi; ore 8 e 10.30 Messa di San Massimiliano Kolbe (in Cripta) 

ore 17.00 Rosario e ore 17.40 Primi Vespri (in Cattedrale, Pala dell’Assunta)

Messe della Viglia 

– alle 18.30 in S. Prospero e in S. Agostino; alle 19.00 in S. Stefano 

– alle 18.30 in S. Teresa con il ricordo di Giovanna Gabbi nel 12° anniversario

Nell’Arte / Il Magnificat di Arcabas

La speranza è che ritorni il desiderio di cantare il Magnificat: ciascuno nel proprio idioma, ciascuno con la sensibilità e il linguaggio artistico che gli sono più congeniali

in vinonuovo.it

Arcabas

 

MAGNIFICAT

(Arcabas, pseudonimo di Jean-Marie Pirot, 1987, Saint-Pierre-de-Chartreuse,
Museo d’arte sacra contemporanea, chiesa di Saint-Hugues-de-Chartreuse)

 

«Ha spiegato la potenza del suo braccio… ha rovesciato i potenti dai troni…» (Lc 1,39-56?

 

Come fanno, gli artisti, a raffigurare il Magnificat? Riproducono, per lo più, il luogo e il momento in cui la Vergine si slancia in questa preghiera strepitosa (vedi Taizé). Ma le parole della preghiera restano “sepolte” nel Vangelo di Luca, come note in uno spartito, senza poter risuonare nell’opera d’arte.

Tutti gli artisti, tranne Arcabas. Che, stranamente, crea un quadro senza figure, pieno di lettere colorate. Dando l’impressione, in un primo momento, d’aver fatto del Magnificat una versione per bambini. E poi convincendoci d’aver dato, della preghiera, un’interpretazione alta, in cui le parole diventano immagini (una buona idea, tra l’altro, per chiunque voglia rendere omaggio alle grandi poesie).

Che cosa ha intuito il pittore francese? Che le parole della Vergine sono talmente belle da meritare d’essere dipinte una a una, lettera per lettera, pur di rallentare la lettura e far assimilare il significato.

Ad aderire alle parole del salmo 47 (46) – «Cantate inni a Dio… Cantate inni con arte» era già stata Maria, ben prima di lui: con lo stesso entusiasmo l’artista ha piegato una lamiera e cercato le tinte per rendere al meglio ogni vocabolo.

L’operazione si potrebbe ripetere, ogni giorno, in modo diverso: suggerendo a un grafico di stanare un font più giusto, a un artigiano di cimentarsi col ferro battuto, a un altro col vetro, a un altro ancora con una tovaglia ricamata… A un regista di pensare a una voce e a un corpo, individuando l’attrice più adatta a interpretarlo. A un chitarrista di studiare un accompagnamento, a un disegnatore di pensare a figure da proiettare, a un coreografo ecc…

La speranza è che ritorni il desiderio di cantare il Magnificat: ciascuno nel proprio idioma, ciascuno con la sensibilità e il linguaggio artistico che gli sono più congeniali.