Afghanistan. Ecco cos’hanno scritto i taleban per la festa della donna

Un'immagine scattata ieri, 8 marzo, nel villaggio afghano di Fayzabad

Un messaggio di auguri alle donne “dignitose e sofferenti”. Ma sono affermazioni che contraddicono la realtà dei fatti

Ecco cosa scrivono i taleban in occasione dell’8 marzo, festa internazionale della donna. Uomini e donne considerati come “due ali della società”; proibizione del matrimonio forzato delle vedove e del maltrattamento nei loro confronti; ambiente educativo, lavoro e affari affinché le donne “contribuiscano al progresso della società”. Se solo fosse vera almeno una parte di quanto affermato, non ci sarebbero più cronache di donne afghane che si danno fuoco, autoimmolandosi per disperazione, perché seviziate dai familiari, vendute e scambiate tra famiglie come merci, costrette a studiare nelle “scuole clandestine” al prezzo di enormi rischi in quanto espulse dal sistema scolastico (se così si può chiamare una scuola ridotta all’insegnamento religioso) dall’età di 12-13 anni, costrette a lasciare il lavoro (tranne eccezioni in campo sanitario) e, di fatto, espulse dalla società e recluse in casa. Una cosa vera però c’è, in questa dichiarazione taleban di “auguri” per l’8 marzo: le donne afghane sono davvero “dignitose e sofferenti”. Ed è sofferente gran parte della popolazione dell’autoproclamato Emirato islamico.

Il seguente Messaggio è stato pubblicato ieri su Tra.af Radio Television of Afghanistan e ci è stato segnalato dalla ong Nove. Lo pubblichiamo integralmente lasciando i suoi contenuti al giudizio dei lettori.

“Maulawi Abdul Kabir, Deputato Politico del Ministero dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, in nome di Allah, il Misericordioso, il Misericordiosissimo, Dio Onnipotente ha detto:

Mi congratulo con tutte le donne fedeli, dignitose e sofferenti dell’Afghanistan.

In diversi periodi della storia, le donne musulmane del mondo, in particolare le donne afghane, hanno svolto un ruolo influente. Hanno svolto un ruolo significativo in varie battaglie, nella diffusione dell’istruzione e persino nella vittoria del jihad ventennale.La benedetta religione dell’Islam vede uomini e donne con lo stesso occhio, considera entrambi come due ali della società. Rispettano la dignità delle donne e invitano tutti a rispettarle e trattarle bene.

L’Emirato islamico concede diritti speciali alle donne e le rispetta alla luce delle sentenze e delle linee guida islamiche.

L’Emirato islamico non vuole ingannare le donne con slogan vuoti e promesse ingiustificate, come in passato, e usarle come strumento per ottenere progetti e denaro. Piuttosto, l’Emirato islamico vuole proteggere la dignità e l’onore delle donne nel vero senso della parola, in modo che possano godere della felicità mondana e dell’aldilà.

L’Emirato islamico proibisce severamente il matrimonio forzato delle vedove, il maltrattamento nei loro confronti, la punizione senza commettere peccato e simili atti illegali e oppressione delle donne.

L’Emirato islamico cerca di fornire un ambiente educativo sicuro per le donne nella società, nonché lavoro e affari per loro, e cerca di far sì che le donne si vedano nel quadro dell’Islam e della cultura afgana in ogni campo e contribuiscano al progresso della società.

Alla fine, ancora una volta, mi congratulo con loro per l’onorevole, fedele e orgogliosa giornata della donna”.

Wahaj

Intervista. Zarifa Ghafari: Occidente sleale con le donne afghane, ora non ci abbandoni

#avvenireperledonneafghane – La sindaca più giovane del Paese, fuggita nell’estate del 2021, dall’esilio in Germania continua la sua lotta per la pari dignità e la libertà
Zarifa Ghafari

Zarifa Ghafari – Z.F.

Avvenire per le donne afghane. Ecco il nostro progetto: guarda il video

«Non credo che l’Occidente sia stato leale con le donne del mio Paese. Erano state coinvolte nel futuro dell’Afghanistan, poi sono state abbandonate». Zarifa Ghafari parla da Düsseldorf, dove è stata accolta come rifugiata dopo la sua rocambolesca fuga da Kabul, nell’agosto 2021, con la madre, cinque sorelle minori e il marito. Lei, la più giovane sindaca che l’Afghanistan abbia mai avuto, nominata nel 2018, a 26 anni dall’allora presidente Ashraf Ghani, sopravvissuta a tre attentati e al dolore per l’omicidio del padre, dall’esilio è diventata una delle voci più note dell’attivismo per i diritti delle donne.
Ha scritto un libro (“La battaglia di una donna in un mondo di uomini”, la cui traduzione italiana per Solferino è attesa tra pochi giorni) dal quale è stato realizzato il documentario “In Her Hands”, prodotto da Hillary e Chelsea Clinton e distribuito da Netflix , e ora si accinge a completare un secondo libro proprio sulle donne afghane. Nel febbraio 2022 è tornata a Kabul per completare le riprese del film sulla sua vita e per aprire un centro di assistenza per donne e bambini con l’associazione che ha fondato, Assistance and Promotion of Afghan Women (Apaw). Il primo gesto che Zarifa ha voluto compiere è stato portare un fiore sulla tomba dell’amato padre.

Zarifa Ghafari, non è stata una mossa azzardata tornare in Afghanistan, sebbene avesse avuto assicurazioni di non essere arrestata?
Niente di nuovo per me, la mia vita è sempre stata a rischio, e l’Afghanistan è il mio Paese. Ho un solo passaporto e una sola nazionalità.

È possibile un dialogo con i taleban?
È necessario: si consuma una terribile crisi umanitaria e l’unica possibilità che abbiamo per aiutare la popolazione è attraverso la mediazione con i taleban. Se le associazioni che lavorano nel Paese non dialogano con le autorità, sarà una catastrofe e molti moriranno.

Pensa che l’Occidente stia facendo abbastanza per il popolo afghano e in particolare per i diritti delle donne?
No, soprattutto se pensiamo a come si è mosso per l’Ucraina e per le donne in Iran. In Afghanistan decine di donne giacciono in prigione, decine sono scomparse o uccise e nessuno ne parla. Non c’è vita per le donne, e nessuno ne parla. È un doppio standard incomprensibile. Quando l’Occidente parla di diritti umani, penso: perché non il mio popolo, le mie donne, il mio Paese? Sì, mi sento abbandonata. E chiedo che l’Occidente faccia almeno quanto fa in supporto al popolo e agli attivisti iraniani. Anche in Afghanistan le donne manifestano, rischiano la vita per i propri diritti, perché non hanno lo stesso supporto? Il silenzio dell’Occidente rende i talebani più forti, li mette nella condizione di reprimere perché sanno che non ci saranno reazioni.

Alcune attiviste suggeriscono di troncare ogni aiuto ai taleban, sia per isolarli sia perché si teme l’effetto corruzione. Lei cosa ne pensa?
Non credo che tagliare gli aiuti sia una buona opzione. Non importa se gli aiuti finiscono anche alle famiglie dei taleban: anche loro hanno mogli, bambini che hanno bisogno, perché punirli? Quanto alla corruzione, le ong internazionali hanno molte possibilità di rendicontare le loro spese. Certo l’ideale sarebbe che gli aiuti arrivassero direttamente alle donne e alle famiglie. Le donne non sono corrotte.

Pensa che ci sia un futuro per lei in Afghanistan?
Non ho lasciato per sempre il mio paese. Certe volte penso con tristezza alla decisione che ho preso. Se mio padre fosse stato vivo e io non avessi avuto la responsabilità della mia famiglia, in quanto primogenita, forse non sarei fuggita. Ma non importa quando e come: tornerò in Afghanistan, appartengo al mio Paese e non voglio che siano i taleban a rappresentarmi.

Suo padre l’ha sostenuta negli studi e nell’impegno civico, suo marito la assiste nel suo lavoro. Che ruolo possono giocare gli uomini nella battaglia per la pari dignità delle donne?
Senza gli uomini la strada verso la pari dignità delle donne non è percorribile. La maggioranza della popolazione maschile afghana rispetta le donne e non condivide la mentalità dei taleban. I valori dell’istruzione e del lavoro non ci arrivano dalla comunità internazionale, ma hanno radici nella nostra cultura, nella nostra religione, nella nostra identità. Più del 50% della popolazione è donna. Se non dai al 50% della popolazione il diritto di vivere una vita normale, è difficile che l’intera società sopravviva.

Lei non perde la speranza…
No. Non importa se la mia battaglia non darà frutti per me, l’importante è lottare per la prossima generazione. Voglio che mia figlia non mi biasimi per non aver fatto abbastanza. Voglio che possa vivere in Afghanistan godendo interamente dei suoi diritti, come un maschio, come io non ho potuto fare. Allora mi siederò davanti a lei e le dirò che questo è stato reso possibile anche grazie alla mia lotta. Su questo, sì, sono ottimista.

Impedire alle donne di studiare, in nome di Dio. È quello che accade oggi in Afghanistan

Taliban use water cannon on women protesting education order in Afghanistan  | CNN

Neda Mohammad Nadeem, ex comandante militare divenuto in ottobre Ministro dell’Istruzione Superiore, lo scorso 20 dicembre, ha indirizzato a tutte le università pubbliche e private una comunicazione in cui formalizza la sospensione della frequenza dei corsi universitari per le studentesse, motivando il decreto con la necessità di dar corso ad una riforma dell’istruzione, ad oggi troppo occidentalizzata e irrispettosa della sharia.

Erosione dei diritti
Dopo il drammatico quinquennio 1996-2001, segnato dalle azioni repressive e autoritarie dei talebani e dall’imposizione di estese limitazioni delle libertà individuali a tutta la popolazione afghana e in particolare alle donne, il loro ritorno nell’agosto 2021, sedici mesi fa, ha fatto nuovamente precipitare le donne in un’inesorabile, drammatico processo di erosione dei diritti fondamentali: limitazioni drastiche alla libertà di movimento, interdizione dell’uso di spazi pubblici come parchi e palestre, espulsione dai luoghi di lavoro (perfino dalle Ong), imposizione del velo integrale.

L’estromissione dalle professioni, dalla vita pubblica e dalla politica, è stata accompagnata da un piano di progressiva esclusione dall’istruzione. Già dallo scorso anno, con la ripresa dell’attività scolastica dopo la pausa estiva, le bambine maggiori di dodici anni si sono viste vietare l’accesso a scuola: si stimano in tre milioni le bambine e le ragazze cui è stato impedito il proseguimento dei percorsi di istruzione oltre il sesto grado – equivalente alla nostra prima media.

Intanto va aumentando il tristissimo fenomeno delle spose bambine: oggi, in Afghanistan, il 17% delle bambine si sposa prima dei quindici anni.

Tutto questo sullo sfondo delle disperate condizioni di vita di una popolazione che, a causa della povertà e della crisi alimentare che ha portato alla fame il 55% del paese, vede crescere in modo esponenziale i ricoveri per malnutrizione, soprattutto tra i bambini.

Giuliano Battiston, in alcuni recenti articoli per l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica internazionale),[1] afferma che l’annuncio del ministro Nadeem, «presentato come compimento di sacri principi religiosi, come atto necessario all’instaurazione di un “vero sistema islamico”», è destinato ad indebolire l’Emirato, in quanto porterà ad una intensificazione dello scontro tra i talebani e la società afghana.

Non tutti però…
Nonostante i mezzi spietati e violenti messi in atto dal regime negli ultimi sedici mesi per reprimere ogni forma di dissenso, in tutto il paese vanno organizzandosi manifestazioni di protesta.

E, come per l’Iran, anche in Afghanistan si possono cogliere importanti segnali di solidarietà tra uomini e donne: docenti universitari che annunciano le proprie dimissioni come forma concreta di appoggio alle colleghe e alle studentesse, studenti di Medicina che si rifiutano di sostenere gli esami alzando cartelli con la scritta “O tutti o nessuno”.

La decisione di impedire alle donne l’accesso all’università ha suscitato molte critiche a livello internazionale, anche da parte di paesi a maggioranza musulmana, come Turchia e Arabia Saudita.

L’Arabia Saudita ha espresso «stupore e rammarico» per il divieto, mentre la Turchia, per bocca del proprio ministro degli Esteri, lo ha definito «non islamico e non umano». Cavusoglu ha esortato i talebani a revocare la decisione, affermando che non c’è una «spiegazione islamica» dietro questo divieto, dal momento che la religione islamica «incoraggia l’istruzione e la scienza».[2]

Sulla stessa linea si collocano anche le dichiarazioni del grande imam della moschea al-Azhar del Cairo, Ahmed el-Tayeb, firmatario con papa Francesco, nel febbraio del 2019, del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Ahmed el-Tayeb ha condannato in modo deciso i talebani, affermando che il divieto all’istruzione viola i diritti fondamentali delle donne ed è in contraddizione con i principi dell’Islam.

In nome di Dio o dei maschi?
Eppure, è proprio appellandosi ai principi dell’Islam, è proprio in nome di Dio che in Afghanistan si impedisce alle bambine e alle ragazze di studiare.

In nome di Dio. Quante volte, nella storia, in nome di Dio, le donne sono state condannate al silenzio e all’ignoranza? Quante volte le bambine, le ragazze, le donne sono state immolate, come agnelli sacrificali, sull’altare di un potere che assume il volto di un maschio che detta legge, appellandosi ad una religione piegata alle proprie pulsioni e alle proprie paure?

Paura della bellezza e della potenza di un corpo di donna capace di generare vita, e perciò da tacitare, segregare, sottomettere, violentare, rendere insignificante, annichilire, attraverso l’occultamento o la mercificazione – burqa e pornografia come facce della stessa medaglia.

Ho conosciuto l’Afghanistan leggendo i romanzi di Khaled Hosseini; immersa nelle pagine de Il cacciatore di aquiloni e di Mille splendidi soli, ho immaginato gli aquiloni punteggiare di rosso, di azzurro e di giallo il cielo di Kabul e mi sono figurata i profili delle montagne e dei deserti di quella terra lontana. E attraverso le storie di Mariam, sposa bambina, e di Fariba, Laila e Aziza, ho intravisto tutta la disperata fatica di essere donna in Afghanistan e continuare a sperare: «E, per la prima volta, Laila non vide il viso di una rivale, ma un viso di dolori taciuti, di fardelli portati senza protestare, un destino di sottomissione e di sopportazione».[3]

Per noi, donne d’Occidente, la conquista delle libertà individuali, tra cui il diritto allo studio, ha alle spalle un tragitto troppo breve per poterlo considerare scontato. Ciò che sta accadendo oggi in Iran e in Afghanistan ci invita a ripensare, una volta di più, alle fatiche e alle lotte che tante donne, prima di noi, hanno sostenuto perché in nome di nessun Dio una bambina potesse essere privata della felicità di imparare e di studiare.

Mia nonna paterna, nata alla fine dell’Ottocento, era analfabeta. Il mio primo giorno da insegnante l’ho dedicato a lei, a questa nonna che non ho conosciuto, che non sapeva leggere e scrivere, ma amava coltivare fiori.

[1] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/afghanistan-perche-escludere-le-donne-dalluniversita-indebolisce-i-talebani-37132

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/le-donne-e-linverno-afgano-37133

[2] https://www.aljazeera.com/news/2022/12/22/turkey-saudi-arabia-condemn-talibans-university-ban-for-women

[3] Khaled Hosseini, Mille splendidi soli, Piemme 2007, pag. 259.
settimananews.it

Afghanistan. Attentato contro una moschea a Kabul, decine di morti e feriti

L’esplosione durante la preghiera serale, tra le vittime anche l’Imam.
Sempre tesa la situazione a Kabul, dove gli attentati non si arrestano

Sempre tesa la situazione a Kabul, dove gli attentati non si arrestano – Ansa

Attentato contro una moschea a Kabul. Una forte esplosione è stata udita in tutta la capitale. Ci sarebbero almeno 20 morti e 40 feriti. L’ong Emergency riferisce che il suo ospedale nella capitale afghana ha ricevuto finora 27 feriti di cui 5 minori, tra questi un bimbo di 7 anni. Tre dei pazienti sono deceduti dopo il ricovero.

L’attacco terroristico è avvenuto nella moschea di Abu Bakr al Siddiqi, nel quartiere di Khari Khana, nel nord di Kabul.

Anche l’imam della moschea figura tra le vittime dell’esplosione avvenuta nel corso della preghiera serale nel luogo di culto, lo riferisce un responsabile talebano coperto da anonimato al Guardian.

Dal portavoce dell’Emirato islamico in Afghanistan, Zabihullah Mujahid, è arrivata la condanna l’attacco: “Preghiamo per le vittime, i responsabili verranno puniti”

Questo attentato fa seguito a diversi altri avvenuti nella capitale, ma anche in altre città afgane. Sono diversi i gruppi radicali jihadisti presenti nel territorio nazionale, compresi i militanti del Daesh, che vorrebbero prendere il potere o conquistare almeno alcune aree.

Avvenire